Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: HannibalLecter    26/05/2016    3 recensioni
Liam Carter Wright è un giovane avvocato esperto in divorzi e furiosi litigi, tipico topo di città la cui unica idea di contatto con la natura comprende un dissetante cocktail servito in una noce di cocco, calda sabbia bianca e donne dalla pelle dorata dal sole.
Felicity Van Houten, testa tra le nuvole e lentiggini, invece lavora quotidianamente immersa nel verde e ogni sera si rifugia nella sua casetta di campagna alquanto malandata, circondata da un vero e proprio paradiso fiorito, che la tiene impegnata a tal punto da farle scordare di fare la spesa o pagare le bollette.
Il sole stava calando e tutto il giardino aveva assunto una deliziosa sfumatura aranciata. Diressi il getto dell'acqua verso il cespuglio di azalee e mi misi a canticchiare tutta allegra:
«Le rose sono rosse
le viole sono blu
Liam Carter Wright è una testa di cactus
e presto lo scoprirai anche tu!»
Passai al rododendro che tenevo in un bellissimo vaso di terracotta decorata e innaffiai abbondantemente anche lui.
«Miss Van Houten, lei è una poetessa sublime»
Mi voltai di scatto e mi trovai di fronte in tutto il suo splendore Mr. Testa di Cactus meglio conosciuto come Liam Carter Wright.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Felicity

 

 

 

 

«Papà, ho sonno…», aveva borbottando Arabella, stropicciandosi gli occhietti grigi stanchi, una mezz’oretta prima per poi crollare sul divano.

 

Avevo spiato segretamente dalla soglia della cucina Liam posare delicatamente il corpicino della figlia tra i cuscini, sistemarle il plaid leggero che tenevo vicino al portagiornali sulle spalle e accarezzarle i boccoli sparsi. Avevo sorriso di fronte a quella scenetta e mi ero ritirata in silenzio verso il lavello e la pila di piatti sporchi che mi attendevano.

 

Mr. Liam aveva poi insistito per darmi una mano con le stoviglie da lavare e così, dopo aver accostato la porta per non disturbare la bambina, avevamo iniziato a lavorare fianco a fianco. Io passavo la spugnetta, li sciacquavo sotto l’acqua tiepida e poi glieli passavo per permettergli di asciugarli ed impilarli in ordine. Non parlammo ma stranamente mi sentii molto più vicina a quell’uomo distante di quanto fossi mai stata.

 

Una volta ripulita la cucina e i fornelli gli proposi di prenderci un caffè in veranda. Lo invitai ad andare ad accomodarsi mentre io preparavo il tutto. Gli preparai un espresso, prodotto dalla mia macchina del caffè di cui andavo veramente orgogliosa, e scaldai l’acqua per la mia tisana ai frutti di bosco. Aggiunsi all’ultimo qualche biscotto, promettendo che poi ci avrei dato un taglio con tutti quei dolcetti fuori pasto.

 

Quando lo raggiunsi notai che si era seduto sulla poltrona che solitamente occupavo io e quando si accorse del mio arrivo distolse lo sguardo dal giardino buio e mi dedicò un tiepido sorriso. Chissà se quell’uomo sapeva ridere di tutto cuore…

 

«Da qui si riesce a vedere il cielo che, tra l’altro, stasera è bellissimo…», osservò tornando a guardare oltre le pareti in vetro.

 

Lo sapevo molto bene, avevo passato notti intere accoccolata su quella poltroncina in vimini a naso in su, gli occhi rivolti al firmamento.

 

Lui si stiracchiò, un gesto che trovai estremamente familiare e per questo insolito data la sua tradizionale compostezza, e mi confidò piano: «Da bambino sognavo di fare l’astronomo. Scrutare per ore gli astri, attendere mesi per poter vedere un pianeta in una determinata posizione…», poi parve riscuotersi e aggiunse: «Ma era solo uno sciocco desiderio infantile»

 

Allungai le gambe sul divano e scossi la testa nella penombra. «Non è vero, Mr. Liam. I sogni che si hanno da bambini sono qualcosa di puro e autentico. Io sto facendo proprio quello su cui fantasticavo da piccola: rendo belle le cose, omaggio la natura e regalo piccoli angoli fioriti alle persone»

 

«Non fai testo, Felicity. Comunque tu avresti avuto le spalle coperte. Io dovevo riuscire a diventare qualcuno. Dovevo cambiare le cose e per farlo mi servivano prestigio e soldi, certamente non telescopi e mappe di costellazioni!», ribatté, una punta di frustrazione nella voce.

 

Quel suo commento iniziale mi indispettì. Avrei dovuto esserci abituata: da sempre le persone pensavano che in quanto di famiglia benestante fossi immune ad ogni problema. Mi sentivo giù? Papà poteva regalarmi una vacanzina ai Caraibi, no? Mi sentivo sola e incompresa? Papà poteva spedirmi dal miglior psicanalista del paese, giusto? Non era mai stato così. Le persone mi avevano sempre giudicato per quello che mio padre e mia madre possedevamo e non erano mai stati imparziali nei miei confronti. Come può una ricca ragazzina sentirsi malinconica? Ero consapevole che il mondo fosse pieno di persone veramente sfortunate e che io ricoprissi una posizione privilegiata, ma questo non toglieva il fatto che la mia vita non era stata comunque sempre tutta rose e fiori.

«Non fare anche tu l’errore di vedermi solo come Ms. Van Houten. Ci sono che tu non sai di me, perciò non permetterti di dire certe cose. Cosa credi? Io non sono proprio il tipo che dice ‘Vabbè, tanto Papino finanzia quindi io di professione posso fare il lazzarone’, speravo lo avessi capito ormai…», esclamai amareggiata.

 

Mi rannichiai su me stessa, le mani strette intorno alla tiepida ceramica della tazza e gli rivolsi uno sguardo deluso. Lui parve pentirsi delle sue parole e si sporse verso di me: «Scusa, non era mia intenzione Felicity. Mi sono espresso male. Devi sapere che io sono cresciuto in una famiglia tanto numerosa quanto modesta. Non mi sarei mai sognato di possedere un’auto che valesse più di 2000$ e che non fosse di terza o quarta mano! Mai avrei potuto immaginare che sarei arrivato a possedere più di una casa o una barca. Condividevamo tutto e cercavamo di arrivare a fine mese. Calze buche e rattoppate per la centesima volta, zuppa leggermente allungata e sussidi statali erano la mia quotidianità. Io sono scappato da quella vita, probabilmente spaventato dall’idea di ritrovarmi in un batter d’occhio ad essere un padre di famiglia che faticava a sfamare i figli e a garantirgli un’istruzione basilare. Ho fatto tanti errori nella mia vita ma non recrimino certo i miei genitori, loro hanno fatto ben più di quanto le loro possibilità e la loro educazione permettesse. Ho lavorato, ho studiato notte e giorno, ho subito tantissime umiliazioni per arrivare dove sono ora e ne sono fiero»

 

Ascoltai sempre più sorpresa quel discorso così intimo che veniva direttamente dalla parte forse più tormentata e nascosta di quell’uomo sempre lontano ed imperscrutabile. E così capii, compresi che anche lui era sempre stato giudicato per tutto quello che lo circondava e mai per le sue vere capacità. Era una situazione esattamente antitetica alla mia eppure entrambi avevamo reagito allo stesso modo: eravamo scappati.

 

Quasi senza accorgermene allungai una mano e gli lasciai una lieve carezza sul braccio. Lui a quel contatto alzò gli occhi e mi dedicò uno sguardo pieno di gratitudine e comprensione.

 

Non so perché ma mi ritrovai a narrargli come fossi davvero finita  a fare la giardiniera da strapazzo. Gli raccontai di come, ad undici anni non ancora compiuti, Papà andasse a giocare a golf con il rettore di Harvard e insieme progettassero di inserirmi nel corso di legge avanzato con addirittura un anno di anticipo e senza neanche sottopormi ad un test attitudinale o un quiz selettivo perché tanto ‘è figlia tua e la genetica non mente’. Mi ritrovai così, a sedici anni, da sola in un loft a Cambridge, perché mia madre al solo sentir nominare la parola ‘studentato’ aveva borbottando qualcosa a proposito di bande di depravati, furti e festini alcolici, prima di simulare uno svenimento. Avevo passato sere intere a piangere al telefono con Zoe e a supplicare mio padre di farmi tornare a casa o almeno di permettermi di cambiare corso di laurea. Trascorrevo le notti sui libri di diritto penale senza capirci assolutamente nulla e la mia unica consolazione la trovavo nel prendermi cura della mia terrazzina fiorita. Al termine del primo anno, con il solo esame di lingua inglese passato alle spalle e un esaurimento nervoso che stava per avere la meglio su di me, mamma finalmente si era resa conto che così non si poteva andare avanti e fece una cosa per cui le sarò sempre grata: si oppose a mio padre. So che può sembrare un nonnulla ma voi non sapete cosa significhi avere a che fare con Montgomery Van Houten, non ne avete proprio idea. Abituato ad avere sempre il controllo su tutto e ad occupare una posizione di superiorità non concepiva il fatto che qualcuno avrebbe potuto ribellarsi ai suoi piani accuratamente redatti.

 

«Ammetto che persino io mi sono sentito in soggezione di fronte a tuo padre...Come si è risolta quindi la faccenda?», mi chiese interessato, sorseggiando il suo caffè ma non distogliendo gli occhi attenti dal mio viso.

 

Mi rigirai pensosamente una ciocca si capelli tra le dita mentre con la mente ritornavo a quella terribile estate fatta di silenzi densi, occhiate di disapprovazione e occhi segnati dalla stanchezza. «Continuai a frequentare giurisprudenza ma ottenni il suo benestare per affiancare ad essa anche degli studi paralleli e io scelsi botanica e scienze naturali. Da lì in poi le cose migliorarono decisamente: compresi quale fosse la mia vera passione, riuscii a superare gli esami di legge e conobbi Theodore…»

 

«Mi pare assurdo pensare che hai studiato sugli stessi banchi dove poco prima ero passato io; ci saremmo potuti conoscere anni fa…», mormorò piano.

 

Gli rivolsi un’occhiata in tralice: «Ti pare assurdo che una ragazzina che per campare pianta fiorellini possa avere il tuo medesimo titolo di laurea conseguito nello stesso prestigioso ateneo?», lo provocai con tono di sfida.

 

Lui arricciò le labbra in una sorta di buffa smorfia prima di negare, ma vidi chiaramente il luccichio divertito nei suoi occhi.

 

Balzai giù dal divano e gli puntai un dito contro il petto:  «Mascalzone! Davvero ti sorprende questa cosa?»

 

Un pochetto ci rimasi male perché non credevo davvero che anche un uomo intelligente come Mr. Liam potesse cadere vittima di quegli sciocchi luoghi comuni che associavano sempre le persone con un lavoro umile e manuale ad un livello di istruzione irrisorio.

 

Lui mi imitò e, una volta in piedi a sua volta, mi ritrovai in una posizione di svantaggio, sovrastata com’ero dal suo metro e novanta. «Non avevo dubbi sul fatto che fossi sveglia, solo non immaginavo lo fossi più del sottoscritto. Non sopporto le persone più in gamba di me, tutto qui: pure manie di protagonismo», sussurrò piano scompigliandomi i capelli delicato.

 

Le mie labbra si stirarono autonomamente in un sorrisetto vittorioso: «Stavi apertamente ammettendo che sono più brillante io? Oh, quale soddisfazione! Anche se a tal proposito io non avevo mai avuto dubbi…», mi presi gioco di lui sollevando le sopracciglia e scuotendo la testa.

 

In quel momento si sentirono dei passettini sul legno chiaro della veranda e una vocina ci interruppe: «Papà? Voglio anche io un pesce come quello di Felicity, posso averlo? Papà?»

 

A quanto pareva George aveva fatto colpo. Mi piegai sulle ginocchia e sussurrai nell’orecchio della bambina: «Quel pesciolino là dentro è il mio migliore amico, sai? Ascolta tutto quello che ho da dire e non è mai scorbutico o distratto». Vidi i suoi occhi, ancora assonnati, spalancarsi nell’udire quel segreto e la sua piccola bocca si aprì sorpresa senza però emettere nessun suono.

 

«Poi chi se ne prende cura quando tu non ci sei?», le domandò Liam, come sempre troppo serio e preoccupato anche per le più piccole inezie.

 

Presi tra le braccia la bambina, che si stava già rabbuiando nel sentire la risposta del padre, e le sorrisi. «Potrei tenerlo io quando tu sei dalla tua mamma, che ne dici? Prometto di dargli sempre la pappa e Georgie potrà fargli compagnia, non è una bella idea?»

 

Poco dopo mi lasciarono sola a guardare i fari della loro macchina che si allontanava. E mi ritrovai a provare un moto d’affetto incondizionato nei confronti di quella piccolina divisa tra due genitori, tra due case, tra due coste differenti di una nazione. Da piccola tremavo ogni volta che mia madre, dopo una lite con papà, minacciava di lasciarlo. Ora penso che non potrebbero mai davvero dividersi, sono entrambi poco pazienti, nevrotici e convinti di essere persone cordiali ma di polso e insieme formano un duo indissolubile. Mio padre sarà sempre un uomo troppo impegnato e sempre pronto ad esprimere il suo dissenso tramite brontolii e sbuffi; così come mia madre sarà sempre leggermente schizofrenica e svagata. Eppure è da anni e anni che, non importa quanti chilometri li separino, si sopportano e si continuano a cercare. Montgomery Van Houten probabilmente odia il romanticismo tanto quanto il Grinch detesta il Natale eppure una volta mi ha confessato che quando viaggia per lavoro si ritrova sempre ad osservare le cose belle o ridicole e a pensare a quanto sarebbero potute piacere a Grace o quanto avrebbe riso di fronte a ciò. E io l’ho sempre trovata una cosa semplicemente meravigliosa.

 

Era un qualcosa che mi aveva sempre attratto il matrimonio e il rapporto che questo racchiudeva. Quando due persone si promettevano rispetto, fedeltà e sostegno nel bene e nel male di fronte ad un’autorità, laica o religiosa che fosse, erano nel fior fiore dell’innamoramento e non avevano la minima idea di quanto quel sentimento sarebbe potuto durare. Forse per sempre, forse un paio di anni. Quanto sarebbe durata quella felicità e quell’amore? Nessuno poteva saperlo eppure si poteva decidere di avere fiducia l’uno nell’altro e provare ad affrontare il futuro fianco a fianco. E io, Felicity Van Houten, era dalla tenera età di quattro anni che non aspettavo altro.

 

***

 

 

Da: l.carter.wright@gmail.com

A: felicity.vh@gmail.com

Object: A proposito di quel pesce rosso…

 

Ora ho una famiglia di pesci che abita nel mio salotto. Mi chiedo di chi sarà mai stata la brillante idea…

Arabella pare al settimo cielo e prima di andare a letto (ha insistito per portarsi  la boccia in camera) ha voluto leggere loro una favola della buonanotte.

Inutile dire che ti devo ringraziare, forse.

 

L. Carter Wright

 

 

Nascosi un sorriso dietro il bordo ricamato della coperta leggera in cui ero avvolta. Avevo lavorato tutto il giorno sotto il sole cocente e quando finalmente ero tornata a casa mi ero ritrovata con un fastidioso mal di testa e la sola voglia di sdraiarmi ad oziare in compagnia di una vaschetta di gelato. Non avevo la concentrazione necessaria per riprendere la lettura della biografia di Charles Darwin, regalo pasquale di Theo, e non ero neanche dell’umore adatto per cucinare o riordinare casa. Volevo solo godermi un attimo di pace usando meno muscoli possibili.

 

E quando aprii la mia casella di posta elettronica e ci trovai quel messaggio ancora chiuso in attesa mi rallegrai tutta d’un colpo. Mi accorsi solo dopo svariati secondi che sotto a quello c’era un’altra bustina lampeggiante il cui mittente era un certo Prof. Theodore H. Graham.

 

Era la prima volta che mi scriveva da quando avevamo avuto quella sorta di lite via etere che si era conclusa con lui che si disconnetteva bruscamente da Skype senza neanche cercare di provare a riconciliarsi con la sottoscritta. Nonostante fossi curiosa di sapere cosa avesse da dire a proposito il signorino non avevo resistito e avevo deciso d’impulso di parcheggiarla per il momento e aprire immediatamente quella di Mr. Liam.

 

Mi sentii per un momento come una specie di Tata Matilda (magari un po’ più bellina, dai) con la missione di mettere pace e una spruzzatina di gioia nella vita di Liam Carter Wright e della sua deliziosa figlioletta Arabella. Un po’ lo invidiavo perché, nonostante non avesse avuto la storia d’amore da favola, aveva pur sempre una dolce creaturina tutta sua di cui prendersi cura.

 

Nel pensare a ciò mi si imporporarono le guance dalla vergogna del ricordo di quando avevo accarezzato l’idea di mentire a Theo e fare in modo di restare incinta a sua insaputa. Era stato un pensiero terribile, egoista e meschino e mi ero pentita due secondi dopo averlo formulato eppure era da allora che sognavo di avere dei bambini con la stessa frequenza con cui fantasticavo riguardo al mio tanto agognato futuro fiabesco con principe azzurro, ranocchie e scarpette di cristallo.

 

Iniziai a digitare di getto la risposta senza dover pensare troppo a cosa scrivere, con una naturalezza che non avevo mai quando invece scrivevo al mio fidanzato. Con Theo avevo sempre la sgradevole sensazione di essere sotto esame, che ogni mia parola, decisione o passo fosse attentamente analizzato e poi valutato: approvato o bocciato. E la cosa che più di tutte mi faceva impazzire era che il tutto avveniva in silenzio. Perché un conto è scoprire le proprie carte e dire chiaramente che una determinata cosa non è stata gradita, un altro invece è il giudicare e il rimproverare con sguardi risentiti, silenzi carichi di biasimo e i tentativi di evitarsi in un chiaro segno di muta critica.

 

 

Da: felicity.vh@gmail.com

A: l.carter.wright@gmail.com

Object: Re: A proposito di quel pesce rosso…

 

Posso suggerire dei nomi per i nuovi membri della famiglia Carter Wright? Io opterei per qualcosa che sdrammatizzi quel cognome pomposo che si ritrovano…Aldo? Gino? Vito Corleone? Un pesce rosso con il nome del mafiosissimo Padrino mi pare molto appropriato, non credi?

Quando riparte Arabella?

 

F.

 

Schiacciai il tasto di invio, senza ricontrollare la sintassi e l’ortografia di quanto avevo appena battuto a computer cosa che invece dovetti fare prima di dare l’avvio alla spedizione dell’email per Theo.

Era stato insospettabilmente carino e molto poco prolisso o concentrato su di sé, cosa assolutamente poco da lui. Anzi, se dovevo descrivere la sua missiva avrei usato tre parole: sintetica, risoluta e scritta certamente dal gemello cattivo di Theodore.

 

 

Da: th.graham@harvard.edu

A: felicity.vh@gmail.com

Object: -

 

Noi due dobbiamo parlare e dobbiamo farlo presto perché così non si può andare avanti.

 

Professor T. H. Graham

 

Non aveva messo l’oggetto! Voi forse non potete capire pienamente la grandezza di questa cosa ma vi dico solo che una volta, in preda ad un attacco di pigrizia e poca fantasia, gli inviai una mail senza oggetto e lui mi rispose con tre fogli di rimproveri a cui allegò un file di quelli che i professori di Harvard rifilano alle povere matricole per insegnare loro come scrivere correttamente delle eventuali email indirizzate ai propri docenti.

 

Non si era però dimenticato di firmare in modo completo come se io potesse mai dimenticarmi del fatto che fosse un fastidioso professore e tanti blablabla. Cosa avrei dovuto rispondere ad una lettera del genere?

 

Hai ragione?

 

Bene, allora muovi le tue chiappette d’oro. Io ti aspetto qui?

 

Hei, Theo, e l’oggetto???

 

Sbuffai esasperata; non sopportavo quel genere di messaggi assolutamente oscuri e criptici. Si manteneva sul vago, senza fornire riferimenti temporali e spaziali, e mi ordinava implicitamente qualcosa, come se fossi una bambina da ricondurre all’ordine.

 

Dobbiamo parlare. Che modi erano quelli? Io non dovevo fare proprio nulla se non finire il mio barattolino di gelato cioccolato e caramello avendo ormai quasi raggiunto il fondo in plastica della confezione.

 

Chiusi la conversazione e anche il pc, sprofondando tra i cuscini alle mie spalle, e ripresi in mano il cucchiaino. Quando si parla di comfort food…

 

 

***

 

 

«Mi raccomando: innaffia le piantine tutti i giorni e tra poco avrai le tue personali e gustosissime fragole, non mangiarti tutti i biscotti sull’aereo altrimenti poi ti viene mal di pancia e non ti resterà che contorcerti dal dolore per tutto il volo e penserai sempre con risentimento a me e ai miei dolcetti e soprattutto, Arabella, torna presto!», non riuscii a terminare l’ultima frase che la bambina si gettò tra le mie braccia andando a cozzare con la sua testolina contro la mia mandibola.

 

«Ahi!», esclamammo all’unisono prima di guardarci negli occhi, scoppiare a ridere e tornare ad abbracciarci.

 

Accarezzai piano quei morbidi capelli boccolosi che avevano la consistenza delle piume di un pulcino e inspirai quel dolce odore che solo i bambini sotto i sei anni ancora conservano: borotalco, calore umano e albicocca.

 

Due minuti più tardi Liam le infilò sulle esili spalle il suo zainetto azzurro di Frozen, le lasciò un ultimo bacio sulla fronte e la consegnò alle cure dell’assistente di volo che avrebbe badato alla piccola fino all’atterraggio in California e al passaggio di testimone, ovvero Arabella, nelle mani di sua madre Tiffany della famiglia Kennedy.

 

Il sole stava tramontando e centinai persone, cariche di bagagli, scorrevano rapidamente intorno a noi, tutte dirette chissà dove. Sapevo benissimo che Liam aveva scelto quel volo nella vana speranza che la figlia riuscisse a dormire durante il volo in modo da arrivare riposata e non accusare troppo le tre ore di fuso orario. Lo osservai di nascosto mentre ci dirigevamo fianco a fianco verso l’uscita del Logan International Airport e mi intenerii nel vedere i suoi occhi velati di malinconia.

 

«Agosto arriverà presto e poi potrai averla con te per due intere settimane…», cercai di consolarlo mentre gli sfilavo davanti, approfittando della sua gentilezza nel volermi sempre aprire le porte e farmi passare per prima.

 

Lui non parve risollevarsi alla notizia, anzi, se possibile si rabbuiò ancora di più. Ecco, ora chissà quale brutto pensiero gli avevo fatto tornare in mente. Decisi così di non infierire ulteriormente e lo seguii obbediente verso l’immenso parcheggio sotterraneo. Pagò l’importo indicato alle macchinette automatiche, agguantò in modo brusco il ticket rilasciatogli e fece dietrofront verso la sua auto.

 

Io guardai con sguardo perso quelle file infinite di auto tutte uguali. Chissà perché la gente amava acquistare autovetture di colori sempre uguali: nero, blu, grigio. Una massa uniforme di lamiere luccicanti che non aiutavano certo il mio già forte senso di disorientamento.

 

«Ti ricordi dove l’hai parcheggiata?», domandai dubbiosa cercando di ricordarmi quale lettera contrassegnasse il nostro settore ma l’unica cosa che mi venne in mente fu che avevo passato tutto il tempo a lasciare che Arabella intrecciasse i miei capelli in modo disordinato con le sue manine paffutelle perché voleva trasformarmi in Elsa.

 

«Certo», asserì lui, svoltando sicuro a sinistra.

 

«Ovviamente…», borbottai sottovoce di fronte all’ennesimo sfoggio di Liam-perfezione.

 

Quell’uomo era stato progettato in laboratorio? Probabilmente sì, mi consolai mentalmente pensando che sua sorella Judith invece aveva un’automobile color zucca e nonostante ciò una volta, ovviamente una volta in cui anche io ero presente, la aveva smarrita ugualmente.

 

Una volta accomodatami sul sedile del passeggero non smisi certo di preoccuparmi del fatto che ipoteticamente parlando c’era la possibilità che stessi dividendo l’auto con un robot, soprattutto notando nuovamente quanto guidasse bene.

 

Teneva in modo sicuro il volente, frenava dolcemente e ripartiva in modo deciso ma mai brusco. Non saliva sui marciapiedi per sbaglio, non passava con il giallo e non rischiava di investire i ciclisti: tutte cose che io facevo abitualmente.

 

«La tangenziale è dall’altra parte, sai? Ne sono certa perché è l’unica strada che riesco ad identificare senza Google Maps…», gli feci notare indicando l’ampio l’imbocco sulla destra che aveva appena superato.

 

Lui, come sempre, ignorò quello che avevo appena detto e continuò imperterrito a fissare la strada di fronte a sé. Tamburellai le dita sulla pelle scura del mio sedile per decidermi sul da farsi. Avevo visto tanti, troppi, film d’azione per colpa della mia amicizia di Donovan, anche se a Tom Cruise e Matt Damon non si dice mai di no, e perciò pensai alla possibilità di aprire la portiera, gettarmi dall’auto in corsa, fare quella strana mossa di rotolamento sull’asfalto, possibilmente non lasciando su quest’ultimo tre quarti di pelle, per poi rialzarsi tutti baldanzosi in piedi, sani e salvi, mentre l’auto con il nemico salta in aria in lontananza.

 

Provai a tirare con cautela la maniglia della mia portiera e con mio enorme stupore mi accorsi che era stata bloccata.

 

Girai lentamente la testa verso il mio autista. «Con te non si sa mai…», mugugnò senza distogliere la sua attenzione dalla strada.

 

Rinunciai ai miei propositi alla 007 e mi lasciai andare contro lo schienale del sedile. «Questo è un rapimento?», gli domandai  stridula.

 

«Può darsi», mi rispose con la sua solita faccia tosta.

 

Ecco, così imparavo ad invischiarmi in questioni familiari che non mi riguardavano. Questa era la giusta punizione per la mia volontà nel voler dar sempre confidenza a tutti e non mettere dei paletti nel mio rapporto con i clienti. Dal passare da piantare tre piantine aromatiche all’organizzare un barbeque insieme io ci impiegavo esattamente tre minuti.

 

Madre me lo ripeteva sempre, fin da quando da piccola un signore mi invitò a salire sul suo furgoncino, cosa che avrei fatto tutta felice se non fossi stata prontamente trattenuta da Zoe, la cui già da bambina era dotata di una mente perversa che la portava a diffidare di tutti e a schifare la maggior parte degli esseri umani, mi ripeteva sempre che avrei fatto una brutta fine se non avessi imparato a dire di no alle caramelle offertemi e a non sedermi sulle tazze dei wc pubblici.

 

«Sei certo di voler rapire proprio me? Fossi in te mi abbandonerei accanto sul ciglio della strada e andrai a cercare qualcuno come Rachel McAdams o Blake Lively…», gli proposi cercando di mettere fine alla sua brutta abitudine di troncare ogni mio tentativo di capirci qualcosa in quella situazione alquanto ingarbugliata.

 

«Ne sono certo», mi zittì prontamente lui.

 

Nulla, facevo prima a conversare con il conduttore radiofonico che ora stava gracchiando qualcosa a proposito della nuova canzone che segnava il ritorno di Justin Timberlake. Cosa? COSA? Io amo Justin! Fin da quando aveva i ricciolini biondi ed era un super tamarro.

 

…I got this feeling, inside my bones
It goes electric, wavey when I turn it on
All through my city, all through my home
We're flying up, no ceiling, when we in our zone…

 

Allungai la mano verso la schermata touch della radio e alzai il volume ad un livello quasi insopportabile che, se non si fosse trattato di Justin del mio cuoricino, sarebbe stato assolutamente un gesto da pazzi.

 

Abbassai il finestrino, se dovevo comportarmi da truzza volevo farlo in modo convincente, e iniziai a cantare a squarciagola, mettendoci particolare impegno per imitare i versi in falsetto:

«I can't stop the feeling
So just dance, dance, dance
I can't stop the feeling
So just dance, dance, dance, come on
»

 

Dance, dance, dance! Wooo, iniziai a muovermi seguendo il ritmo della musica, per quanto gli spazi ristretti dell’auto potevano permettermelo, e continuai così fino a quando Rihanna prese il posto di Justin e io mi affrettai a cambiare stazione radio.

 

Quando tornai in me e mi ricordai che ehm, non ero propriamente sola, come al solito quando improvvisavo le mie sessioni di danza improvvisate e scoordinate, e trovai il coraggio di voltare il capo mi scontrai con Liam che tentava in tutti i modi di trattenersi per non scoppiare a ridere.

 

«Ridi, non vorrei mai che ti soffocassi nel tentativo di trattenerti dal prenderti gioco di me e della mia spensieratezza e uscissimo di strada andando a spiaccicarci contro quell’autobus», borbottai quasi offesa.

 

A dire il vero mi sorprendeva quasi il fatto che non avesse spento la radio e di conseguenza anche il mio entusiasmo ballerino nel suo tipico atteggiamento serioso guastafeste.

 

«Permalosa», sogghignò per punzecchiarmi.

 

Era incredibile come riuscisse ad irritarmi ma in un modo quasi piacevole non come quelle persone che ti indispongono e come conseguenza vorresti solo picchiarle con una sedia. No, Mr. Liam era fastidioso e spesso anche più infantile di me eppure anche quando ti tediava o si faceva beffe di te lo faceva in un modo quasi gentile e premuroso. Oddio, ho davvero associato l’attributo di premuroso a quella sorta di uomo gigante che ora sta sghignazzando senza vergogna sul sedile accanto al mio?

 

«Io mi definirei spontanea e poco rigida. A differenza di qualcuno che pare non sapersi divertire, qualcuno a caso, qualcuno tipo Mr. Liam Ho-Un-Cognome-Doppio-Perché-Fa-Figo!», tentai di mettere a tacere le sue risate di derisione.

 

Lui girò all’improvviso in una stradina perpendicolare sulla destra facendomi perdere il senso dell’equilibrio e così mi ritrovai, nel giro di un istante, ad atterrare, sbattendo in malo modo la tempia, con la testa premuta contro il vetro del finestrino. Seppi per certo che lo aveva fatto apposto, lui il Signorino nato con le doti da pilota alla Hamilton.

 

Ci fermammo in un piazzale in ghiaia e Liam spense i fari e il motore. Fece per darmi le spalle e scendere dall’auto ma parve ripensarci, accostò la portiera che aveva appena aperto, si girò verso di me e mi sussurrò con voce flautata: «Ho lavorato in un nightclub per pagarmi gli studi quindi sì, so come ci si diverte…». Me lo disse a pochi centimetri dal mio volto, le parole quasi soffiate sulle mie guance accaldate e gli occhi velati di malizia. Senza darmi il tempo di riprendermi uscì dall’abitacolo dell’auto e nel giro di un nanosecondo, chi caperri era? Edward Cullen?!, era già dal mio lato ad aprirmi galantemente la portiera.

 

Uscii traballante dall’auto e mi aggrappai a lui per non cadere dal momento che ero riuscita nella rara impresa di restare incastrata nella cintura di sicurezza.

 

Lui mi sorresse pronto ma subito mi presentò il conto di tale gentilezza, mettendo su un ghigno e commentando compiaciuto: «Ti ho rivelato il mio segreto due secondi fa e già cerchi di approfittarne: birichina!»

 

Idiota. Dio, qui stavamo toccando livelli di idiozia altamente pericolosi eppure, non so se perché abituata all’umorismo da edera rampicante di Theo o dalla stupida volgarità che caratterizzava ogni cosa facesse o dicesse Donnie, ma apprezzavo segretamente quegli scambi di battute a metà tra lo scherzoso e un tentativo di flirtare. FLIRTARE? Felicity Van Houten ritorna in te!

 

Mi staccai, a malincuore (accidenti, Felicity!), dal suo petto e feci due passi, più per allontanarmi da lui che per avviarmi davvero verso qualcosa non sapendo neanche se fossimo ancora in Massachusetts.

 

«Mi stai quindi dicendo che facevi il gigolò?», gli chiesi ridacchiando, «Lo avessi saputo prima avrei assoldato te per la mia festa dei diciotto anni: Claude fu una delusione terribile!», conclusi dandomi arie da grande donna vissuta.

 

Lui per un attimo parve sconcertato, dopodiché tornò in sé, sollevò le sopracciglia e mi afferrò per un braccio. «Questo lo hai dedotto tu. E comunque mi spiace per Claude, ci fossi stato io al posto suo non l’avresti certo ricordata come una serata deludente…», commentò piano facendo scorrere il palmo della mano lungo il mio braccio scoperto fino a raggiungere la mia mano e stringerla.

 

Quello non andava per niente bene. Mi piaceva battibeccare con lui, anche se ormai i nostri punzecchiamenti avevano lasciato il sicuro terreno degli argomenti neutrali e si stavano avviando pericolosamente verso zone che non dovrebbero essere neanche lontanamente esplorate da due persone con un rapporto come il nostro. O meglio, due persone con il nostro non-rapporto.

 

Abbassai lo sguardo non sapendo bene come comportarmi di fronte a quelle sensazioni in netto contrasto con i sensi di colpa che la mia coscienza non faceva altro che sbandierare di fronte ai miei occhi. «Liam, io non penso che…», sollevai gli occhi e mi bloccai di fronte a ciò che mi si parò di fronte agli occhi.

 

Ora sì che erano guai.

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo corto e forse anche un po’ inutile ma credetemi se vi dico che faccio il possibile per non scrivere schifezze (che poi magari escono in ogni caso >.<) e non farvi attendere un nuovo passaggio della cometa di Halley prima di aggiornare.

Arabella è partita, e così restano solo i nostri due protagonisti. Ma prima di esultare e pensare al vestito da comprare per il loro matrimonio attendete un attimino: Theo (*sbadiglio*) sta per tornare più forte di prima!

 

Alla prossima ragazzuoli e se volete farmi sapere cosa ne pensate non esitate a scrivermi una recensione a cui io risponderò prontamente (=entro il 2793 (no vero))

S.

 

P.S. Vi lascio anche stavolta il link della nuova ff nonostante non abbia ancora avuto il tempo di andare avanti (quando inventeranno sul serio un giratempo??)  --> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3444659&i=1

 

 

 

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: HannibalLecter