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Autore: ZeldaFitzgerald    26/05/2016    0 recensioni
Flusso di coscienza di Louis Tomlinson, è a Londra e piove.
FF LARRY
NOTA: Se anche per voi l'angst è pane quotidiano, questo è la canzone che ha ispirato la ff https://www.youtube.com/watch?v=Gft81t8xqQc
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piove.
A Londra piove sempre, forse troppo. Non amo la pioggia, rende tutto più triste e cupo, anche me. C’è una sola cosa che amo dell’acqua che scroscia sulle finestre, di quelle gocce che si fermano sul vetro calme, per un solo istante che sembra interminabile prima di correre giù e schiantarsi sul davanzale. Tu. La pioggia mi parla di te, mi ricorda quello che eravamo, quello che non siamo più.
 
Lo siamo ancora? Lo siamo sempre stati? Lo saremo sempre?
Te lo ricordi quel “Non lascerai mai Louis, vero Harry?” ? Ricordi cosa hai risposto? Sei stato istintivo, veloce, fin troppo emotivo nel ribattere rapido quasi ti avessero fatto una domanda ovvia, scontata, una domanda che non meritava risposta. Hai detto, con delicatezza ma alzando gli occhi velocemente per far capire che eri serio “Never”. Io lo porto tatuato sul cuore. E’ stato l’inizio di tutto. Io e te, noi, nessun altro.
 
Pioveva quel giorno, non ricordo precisamente dove fossimo, io guardavo solo te ed era l’unica cosa che in quel momento mi interessava vedere, non mi avresti mai lasciato. Parole tue, parole mie, parole nostre. Insicuri e decisi allo stesso tempo, rei e consapevoli di esserci fatti una promessa. L’avevano visto e sentito tutti? Ci avrebbero fatto la paternale? Ci avrebbero impedito ancora di sederci l’uno accanto all’altro? Harry, cosa ci interessava di tutte quelle minuzie, di tutte quelle frivolezze, di quelle libertà limitate e limitanti quando eravamo andati in all-in a cuore aperto?. Un tavolo da gioco, le nostre carte finalmente scoperte, una bilancia che pesava due muscoli identici. Due cuori andavano a costituire quel ricco bottino, nessuna differenza… il mio, il tuo, a chi importava? Mi avevi detto “Niente ombrello oggi, niente coperture, usciamo così”. Un bacio sul collo, le dita che si intrecciavano come pezzi di puzzle perfetti, gli occhi chiusi. Non ho mai avuto il coraggio di aprire gli occhi, se fosse stato reale o meno non avrebbe fatto differenza, vivevo il momento per la prima volta e non avevo mai provato sensazione migliore. Eravamo a casa finalmente, che poi sembra anche tanto scontato da dire ma tu sei casa e le mie parole hanno sempre un peso. Abbiamo messo su un disco, un vecchio vinile che ti faceva impazzire e abbiamo iniziato a ballare, birra in mano io, succo d’uva tu; abbiamo iniziato a ridere della goffaggine che aveva invaso i nostri corpi, di quei movimenti ridicoli, dei tuoi riccioli aventi vita propria, delle mie mani troppo sudate. Dio Harry, quando abbiamo smesso di vivere della nostra felicità? Quando ho smesso di essere la tua casa?
 
Inizia a piovermi sul cuore ogni volta che provo a ricordare, ogni volta che la memoria dei tuoi occhi ridenti si fa strada tra le vene, nello stomaco, ogni volta che inspiro e sento il tuo profumo. Sai quando senti qualcosa scorrerti dentro, quando senti il ritmo accarezzarti la pelle? Tu eri quella sinfonia, eri quella musica leggera e burrascosa che continua a tormentarmi il cuore.
 
Continua a piovere incessantemente e giù fiumi di ricordi, di odori, di sensazioni che ho lasciato indietro per troppo tempo perché fa troppo male riviverli. Pioveva anche quando ti sei lasciato amare per la prima volta, timido e impacciato sul letto, senza fretta e con la paura di non essere abbastanza. Avevi chiesto di appoggiarti sul mio petto perché avevi bisogno di sentirmi il cuore e di sapere che batteva esattamente alla stessa velocità del tuo, di sapere che anche io ero eccitato e spaventato come te. Con spavalderia ti avevo detto che avresti dovuto scendere più giù del cuore per sapere come davvero mi sentissi e ti avevo fatto ridere, come solo io riuscivo a fare… ci riesco ancora, Haz? Ti ho preso la testa fra le mani e ti ho accompagnato lungo quella che era la linea del mio corpo, più morbida e pulita di ora, nessun tatuaggio, nessun segno evidente del mio amore per te. Hai preso a baciarmi con insistenza, singhiozzando quasi stessi piangendo ma non c’era segno di alcuna lacrima sul tuo volto, era il tuo modo di fare ed era talmente tanto tuo che a me faceva impazzire. Fu facile incastrarsi, fu meraviglioso esplodere e prendere vita l’uno dall’altro per un tempo lunghissimo che a me sembrava sempre troppo poco, non ne avevo mai abbastanza. I graffi, i morsi, le tue labbra rimpolpate dalla pressione delle mie, le tue guance fiorivano al mio solo tocco, erano tutte sensazioni, tutti i nostri sapori che si mescolavano. Ricordo quei baci rubati prima di entrare in scena, le finte litigate per il disordine in casa, la smania di farci nostri ancora una volta in segreto per nostro unico desiderio. Eri necessario e indispensabile alle mie giornate, ai miei pensieri, alla mia voglia di far fronte ad ogni situazione di quella vita troppo più grande di me. Non sono mai stato forte, mai stato bello come te… e non parlo di stupida estetica, parlo di come riesci a rendere tutto facile, tutto meraviglioso, rendevi bello anche me.
 
Quando ha smesso di piovere Harry? Io non lo so. Io non voglio saperlo perché se solo dovessi arrivare a capire che è dipeso da me io non riuscirei a darmi pace e a rassegnarmi al fatto che sono riuscito a far appassire l’unico fiore che avessi nel mio giardino. Io non so parlare, non so come si smetta di essere quello che si era, come si faccia a tornare quello che si era o ad essere quello che si vuole. Io scrivo, scrivo canzoni, sono tue. Non so cosa ci tenga così lontani adesso, non so cosa posso fare per raggiungerti, vuoi che lo faccia? Non so come ho fatto a perderti e a permetterti di andare via quel giorno in cui c’era il sole. Quel giorno in cui sei tornato e mi hai guardato fisso negli occhi e io ho abbassato lo sguardo per la vergogna di essere ricaduto in un vortice troppo più grande di me, per l’umiliazione di aver coinvolto ancora una volta la mia famiglia, per essere stato così debole da non esserti mai riuscito a dirti che ti amo. Lo facevo quando eravamo più piccoli, in quei giorni di pioggia che passavamo a coccolarci sotto le coperte, ti baciavo e ti dominavo perché dovevo sentirmi forte.
 
Non so più niente ormai, però una cosa la so, voglio essere tuo, ancora.
   
 
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