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Autore: verichan    26/05/2016    1 recensioni
Fu una cosa piuttosto veloce: il giorno prima completava il suo Tormento, il giorno dopo lasciava il Circolo.
Ma partiamo dal principio.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 «Sarebbe un peccato abbandonarla a se stessa, non trovate, Custode?»

«In effetti...»

Costruito in appena dieci anni grazie alla generosità monetaria del popolo (i Custodi avevano giusto debellato un Flagello), il Picco del Soldato era un gioiello dell'era passata: arroccata su un monte, ulteriormente protetta dalla fortuna di avere un unico accesso fatto di gallerie labirintiche, la fortezza rappresentava un luogo sicuro e difficile da espugnare. Fatta per durare nel tempo, la sua ossatura non era in cattive condizioni, anzi. Da fuori se ne ammiravano immediatamente i muri massicci, le alte torrette e l'imponente mastio; il cortile interno era ampio e conteneva laboratori artigianali, magazzini, le scuderie e un canile, tutto in discreto stato. Il problemino, forse superficiale, era dentro l'edificio, con pareti e pavimenti incrostati di sangue e ricoperti di sporco, il mobilio a pezzi, cianfrusaglie sparse, ragnatele, ruggine, cumuli di ossa umane da raccogliere con la scopa e cimeli di vite spezzate privi di significato nel presente. E il tanfo. Il tanfo era indescrivibile.

«C'è molto da fare, lo so, ma io e la mia famiglia la rimetteremo in sesto.»

«Perché?» domandò confuso. «Perché faticare tanto per il Picco del Soldato? Cosa ne ricaveresti?»

Era stranito anche dal fatto che ne stesse parlando con lui, quando il Custode anziano era Alistair. Il Picco del Soldato non era una sua proprietà. Cioè, sì, tecnicamente lo era, lui e il biondo erano il triste distaccamento dei Grigi nel Ferelden, però allo stesso tempo non osava considerarla tale. Era un mago del Circolo, ben pochi oggetti avevano potuto essere considerati suoi nella torre, perfino i calzini bucati e le mutande erano in comune nel dormitorio. Un'intera roccaforte sembrava decisamente fuori dalla sua portata.

«Una casa. Se voi accetterete la mia offerta.» L'espressione di Levi si fece intensa e Elmer, dopo averlo visto calmo e terrorizzato, ne rimase colpito. «Per anni il nome dei Dryden è stato sinonimo di cattive notizie: nessuno ci ha accolto nel momento del bisogno, nessuno ci ha porto una mano amica; eravamo le pecore nere della nobiltà, e i nostri vecchi amici hanno preferito ignorare la nostra esistenza piuttosto che incorrere nelle ire del sovrano. Siamo diventati mercanti, sempre in movimento, sempre in cerca del riscatto, e anche se quest'avventura non ci ha dato i mezzi per ripulire la macchia dei Dryden e riprendere i nostri possedimenti, mi rifiuto di distogliere lo sguardo di fronte a una tale opportunità.»

Beh, Levi ci sapeva fare con le parole, poco ma sicuro.

«Cosa proponi?»

«La roccaforte appartiene ai Custodi Grigi, questo è indiscutibile, tuttavia attualmente l'ordine non è nelle condizioni di renderla abitabile. La mia proposta è questa: permettete ai Dryden di trasformare il Picco nella loro nuova dimora, e noi ci occuperemo della sua manutenzione e di resuscitarla economicamente. A tempo indeterminato.» L'abile mercante gli lasciò qualche attimo per assimilare. «Cosa ne pensate, Custode?»

Cosa ne pensava? Era un'idea fantastica, ma sentiva che non spettava a lui decidere. Spostò gli occhi sulle fiamme del camino dello stanzone in cui avevano sigillato il Velo e massacrato la Sophia-demone, e poi sul grande quadro polveroso appeso sopra di esso. Dopo aver ucciso Avernus avevano riposato, mangiucchiato qualcosa per pranzo, deciso il da farsi. Avevano sterminato la restante spazzatura demoniaca, rassettato un po' l'ambiente, scaraventato rimasugli di corpi giù dalle finestre e pulito il tavolo rotondo della sala, racimolando sedie intatte per accomodarsi. Avevano disinfettato gli strumenti della cucina per cuocere le loro scorte durante il pernottamento e arieggiato i locali, soprattutto nella camerata scelta per dormire. Gli era piaciuto lavorare per ottenere un posto suo. Si era sistemato sul letto che aveva reclamato, si era scaldato sotto le coperte strofinando tra loro i piedi, e al mattino si era svegliato ristorato e di buon umore. Avevano preparato la colazione e mangiando avevano discusso con più precisione la prossima meta. Non aveva dimenticato il suo piano di fuga e convincere gli altri che la direzione giusta fossero i nani, nonostante la distanza, non era stato complicato. Era stato tentato dalla vicinanza alla costa, il porto di Amaranthine, ma alla fine aveva preferito le Vie Profonde di Orzammar. Levi si sarebbe diretto a Denerim per inviare dispacci ai famigliari e procedere con l'organizzazione, e Regar e Adro li avrebbero scortati fino all'incrocio per Redcliffe.

«Ne parlerò con Alistair.» disse infine. Levi annuì speranzoso.

Si alzò dalla sedia e andò verso l'armeria, dove Alistair aveva detto sarebbe andato. Chi era lui per decidere della gestione degli immobili dei Grigi? Se avesse accettato, chi gli garantiva che i Custodi che sarebbero arrivati dopo di lui avrebbero mantenuto i patti? Soprattutto se del Custode che lo aveva stretto non ci fosse stata più traccia. Non era uno di quei bastardi che mentivano per il gusto di mentire, Elmer raccontava balle principalmente per necessità, e illudere il povero Levi non gli avrebbe portato nessun giovamento, soltanto il compimento di una cattiva azione. No, grazie.

Passò dall'archivio salutando Leliana, intenta a salvare il salvabile, la sorridente ottimista; superando la cucina udì il mugolare di Adro, il mostro dallo stomaco senza fondo, mentre Regar sistemava le padelle adoperate, la solita amante dell'ordine. Non aveva idea di dove fosse Morrigan. Non si erano rivolti la parola in seguito alla morte del mago del sangue, e non si era nemmeno unita al gruppo nelle pulizie casalinghe. Probabilmente aveva trascorso la nottata nella natura, la selvaggia. Ce l'aveva con lui per la decisione di ammazzare il pazzoide dal grosso neo frontale, ne era certo. La disapprovazione della strega non contava molto, né la possibilità che fosse così infuriata da lasciarli; l'importante era che non gli mettesse i bastoni tra le ruote. Grazie al cielo aveva già appreso la magia mutaforma.

L'armeria era deserta. Le casse e le rastrelliere erano già state esaminate e l'armamentario di un qualche valore era stato trasportato sul carro di Levi. Si avvicinò ai manichini, tastando i tagli che parevano nuovi (trucco preso da Il cacciatore di taglie, vol. 2): non c'era polvere incastrata nelle fessure e delle schegge di legno giacevano ai piedi del fantoccio, perciò era stato bistrattato di recente. Era incredibile che nonostante la fatica del giorno prima il Custode si fosse ripreso a sufficienza per allenarsi. La sua ammirazione per Alistair era accresciuta notevolmente dopo la lotta con Avernus; ogni colpo era andato a segno, ogni parata efficace, il suo intervento aveva impedito a Elmer di finire arrostito o tagliuzzato mentre rimuoveva i glifi protettivi del nemico, e non aveva mai avuto un cedimento fino alla fine, forse motivato dal tradimento di Avernus. Cavolo, era un bambinone ma ci sapeva fare, e un tratto che Elmer apprezzava, sia in simpatia che in antipatia, era la competenza nelle proprie arti.

Allora, dov'era il suo fratellastro? Espanse i suoi sensi di mago, augurandosi che non fosse andato lontano.

Una presenza attirò la sua attenzione e vi si diresse convinto. Tuttavia, compiuti pochi passi, si bloccò. Che cavolo...? Per prima cosa, sostava al di là della sua percezione, non avrebbe dovuto accorgersene; seconda cosa, perché era così sicuro che si trattasse di Alistair? Poteva benissimo essere Morrigan, eppure non aveva avuto dubbi sull'identità della presenza. Cosa diamine pot-

«Ahhh, maledizione.» imprecò rassegnato. «Dannato Duncan.»

Il rito dell'Unione, ecco cos'era. Se n'era accorto ieri, prima dello scontro con l'eretico, e poi se n'era scordato. Il legame era subdolo, in onore delle creature maligne da cui scaturiva, e soltanto grazie all'intento di volerlo trovare lo aveva finalmente scorto, nascosto sotto la sua pelle. Che fosse stata la grossa quantità di sangue di Custode sparsa per la fortezza, vecchio che fosse, ad averlo distratto?

“Spero di essere ancora in tempo a liberarmi di questa condanna.”

Si passò le dita tra i capelli e strinse le estremità in un pugno, le radici tiranti sullo scalpo una sensazione massaggiante che lo calmò. Era un metodo che aveva imparato proprio qua al Picco. Di solito non era tipo da gridare per la frustrazione o uscirsene con atti di violenza fisica per scaricarsi; pensava spesso di passare alle mani, ma il suo senso civile lo salvava dal diventare un selvaggio. Elmer era più uno da vaffanculo eloquente, così che la persona sciagurata, bersaglio della sua collera, comprendesse senza fraintendimenti di essere una gran testa di cazzo. Era un uomo semplice. Le sporadiche alzate di voce le aveva avute con... Bah, meglio non pensarci. Accantonò anche il problema Unione, su cui aveva condotto più di una sessione meditativa. Poiché non aveva alcun modo di cambiare il suo destino, si era affidato alla pazienza. Per adesso.

Seguì la traccia di Alistair fino alla porta della cappella. L'entrata era stata lasciata sufficientemente aperta, per cui scivolò nella stanza non udito, e osservò Alistair chino su un ginocchio, le mani giunte in preghiera, circondato dal pulviscolo evidenziato dalla luce proveniente dalle tre finestre dell'abside. Era una chiesetta con una decina di panche di legno sporco per lato e un altare a cui mancava la statua di Andraste; i Custodi credenti l'avevano spostata accanto all'ufficio del comandante quando avevano ceduto all'esigenza di indietreggiare. Elmer cercò di non disturbare il raccoglimento spirituale con i suoi stivali e si accomodò su una panca centrale a sinistra.

Mentre Alistair chiacchierava col Creatore o chi per lui, il mago ne esaminò l'aura. Era differente da quello a cui era abituato. Le auree non avevano colore o personalità, emanavano energia, senza distinguere che creature fossero; l'energia di Alistair aveva un'aggiunta... oleosa. Era come avere tra le dita una sostanza impalpabile di cui rimaneva un residuo sulla pelle. Non era fastidiosa di per sé, soltanto strana. Si chiese se quella dei prole oscura fosse identica.

Il Custode inginocchiato uscì dal suo stato di riflessione religiosa. Elmer notò la nuca alzarsi verso l'altare, nell'automatica ricerca della figura di Andraste; non incontrandola, sospirò e riabbassò il capo. Cosa si provava ad avere una fede sincera verso un'autorità più grande? Grazie alla sua straordinaria fiducia in se stesso, Elmer non aveva mai sentito il bisogno di appoggiarsi alla personificazione di virtù, bontà e via dicendo. Era quasi certo che il Creatore fosse una creazione dell'uomo, di Andraste o individui nella sua cerchia, afflitti da deliri o dalla necessità di unire i popoli contro un nemico potente. Non lo infastidivano i credenti, gli stavano sul cazzo i fanatici e in generale chi usava la fede per raggiungere tutt'altri fini. Guardandolo, trovava infantile avercela con lui per il suo passato nella Chiesa, ed era giunto il momento di smetterla di definirlo “ex templare” nella sua testa. La piega che la sua sorte aveva preso non dipendeva da Alistair, perciò concedere un po' più di cordialità al bambinone non sarebbe stato un crimine, suvvia. Nella sua infinita bontà, allungò un braccio verso le candele diseguali e, con un colpo di mana e brevi parole, le accese. L'ex templ- ehm, il biondo si voltò di scatto, la bocca semiaperta e gli occhi a palla per la sorpresina.

«Sembravi... spento?»

La battuta era veramente pessima, ma si guadagnò ugualmente un'espressione ilare e uno sbuffo soffocato. Alistair cambiò postura, alzandosi e tenendo alla sua destra l'altare e alla sinistra il mago.

«È da molto che aspettavi?» domandò in un tono rispettoso della casa del Creatore. Sembrava quasi un adulto.

«Giusto qualche minuto. Ti devo parlare, ma non c'è fretta, se devi concludere.»

«No, ho finito.» Contemplò i graffi sul rettangolo di pietra dove Andraste si era eretta secoli prima. «Stavo... Ho pregato per noi.» Elmer se ne stette intelligentemente zitto, fiutando i sentimenti nell'aria. «Come sapevi che ero qui?»

«Il Rito dell'Unione. Ti sento, ora.»

«Oh. Benvenuto nell'ordine, suppongo.» scherzò. All'occhiataccia del mago aggiunse «Oppure no.» Si schiarì la voce e optò per un lieve cambiamento di rotta. «Sono curioso: i maghi avvertono il sangue dell'Unione in maniera diversa dagli altri?»

«Non lo so. Tu come lo senti?»

«Appiccicoso. Come la resina degli alberi.» disse con una smorfia al pensiero. «In un paio di giorni sentirò anche te.» Lo raggiunse a sedere. «Invece, quando c'è in giro la prole oscura, il sangue mi formicola nelle vene. Hai presente le formiche che ti camminano sulla pelle? Ecco, così ma sottopelle.»

«Meraviglioso, Alistair, davvero meraviglioso.»

«Tutte le volte che parliamo dell'ordine ti porto sempre brutte notizie. Mi spiace.»

«Non è colpa tua.» Era di Duncan. «Per me è più una sensazione oleosa, che ti rimane addosso nonostante ci si lavi le mani. È completamente diverso da tutto il resto.»

«Il resto?»

«I maghi portano a un livello superiore il detto “avere gli occhi dietro la testa”.» decantò. «Gli studiosi ipotizzano che ogni essere vivente sia connesso all'Oblio. L'Oblio è composto da mana. I maghi sono particolarmente connessi ad esso. Risultato: se ci concentriamo adeguatamente lo percepiamo nei viventi intorno a noi.»

«Che cosa percepite?»

«Energia. Alcuni dicono che si tratti dell'anima, una teoria parzialmente comprovata da incantatori che affermano di distinguere le emozioni di persone o animali, presupponendo siano abbastanza intense da farsi sentire oltre il guscio di carne e ossa.»

«Uau. E tu ci riesci?»

«Io? Hmph. Mi sopravvaluti, fratello.»

“Fratello” era inteso come un'amichevole presa in giro, ma uno sbrilluccichio commosso gli ricordò che per il Custode i nomignoli di parentela avevano un significato tutt'altro che leggero. Proseguì prima che il compagno si inoltrasse in uno scambio a cuore aperto.

«Gli spiriti sono un'altra storia. Si dice siano i primi figli del Creatore, l'avrai studiato.» Il biondo annuì. «Sono attratti dal nostro mondo: spiano nelle nostre menti e modellano l'Oblio a seconda di quello che vedono nei nostri sogni, e purtroppo non si fermano a questo. Entrano in contatto con le nostre emozioni, ed è lì che le cose si mettono male.»

«Lo so. Gli spiriti non sono in grado di comprenderle. Loro esistono in un mondo immateriale, noi, tutto il contrario.»

«Ti posso assicurare che anche se non le capiscono le trovano abbastanza invitanti da assumerne il nome. Spirito del Valore, demone dell'Ira. La loro energia è pura emozione, per i maghi non c'è scampo.»

«Quindi, quando incontri un demone dell'Ira...»

«Sento la sua ira. Devi avere una volontà ferrea o ne verrai sopraffatto.»

«Ora capisco perché sei così forte. O perché i maghi sono sempre di malumore.»

«Esagerato.» ribatté con una gomitata. «A proposito di malumore. Una volta io e-»

E Jowan.

Si bloccò interdetto. Jowan. Che cazzo c'entrava Jowan? Non aveva alcun diritto di invadere le sue tranquille giornate con ricordi felici di un passato irrimediabilmente insudiciato. Ogni tanto capitava che qualcosa gli rievocasse il suo sorriso, la sua voce o delle parole senza contesto, ma questa era la prima volta che riusciva a fare breccia attraverso la sua bocca. Piccolo bastardo! Credeva di fargliela? Elmer era pronto a spedire indietro la sgradita visita: via l'aneddoto, avanti il prossimo argomento.

«Ad ogni modo.» ricominciò sotto lo sguardo confuso di Alistair. «Ti cercavo per una questione con Levi.» Storse il naso al suo tono forzatamente normale, seccato di non essersi ripreso alla perfezione dallo scivolone. «Propone di occuparsi del Picco in cambio di una casa. Io accetterei, ma non so se poi arriveranno altri Custodi con un rango superiore a rompere la mia parola.»

«Non credo che ci siano problemi. Duncan ha menzionato che tutti i Custodi si servono di siniscalchi per gestire le proprietà.»

«Duncan ne aveva uno?»

«No. Il numero dei Custodi non era alto, non hanno mai abitato in un posto che richiedesse un aiuto di gestione.»

«Perfetto. Perfetto.» ripeté, a corto di parole.

Che gli prendeva? Cos'era quello scombussolamento emotivo? Era soltanto Jowan, e ci aveva pensato per cinque miseri secondi, che diamine.

«Perfetto, sì.» fu d'accordo il compagno. «Quindi... Ehm... Elmer. Cosa stavi per dire prima?»

Elmer fissò il suo interlocutore senza una risposta pronta, un'occorrenza rara. Cosa avrebbe dovuto dire? “Niente”? Nemmeno Alistair era così stupido da crederci.

«Ho perso il filo del discorso, tutto qui.» faticò a pronunciare attraverso la mascella irrigidita.

«Va bene.» accettò il ragazzo cresciuto con i mabari. «Ti va di riprenderlo?»

Il moro soppesò l'esitante offerta e la speranza innocente negli occhi nocciola. Aveva appena deciso di comportarsi meglio nei suoi confronti, non poteva rimangiarsi la promessa al minimo dramma personale di cui, tra l'altro, Alistair non aveva alcuna responsabilità. Un po' di maturità, cazzo. Nascondendo alla buona un sospiro, si leccò le labbra secche con un guizzo della lingua e incrociò le braccia. Da dove iniziare?

«Ne vuoi parlare?» reiterò il Custode non ricevendo una risposta verbale.

«No.» replicò svelto, per poi darsi un ceffone mentale e rettificare. «No, scusa. Sono... arrabbiato, per farla breve.»

«Okay.»

«Non con te.» precisò.

«Oh, bene. Stavo cominciando a preoccuparmi.»

La risatina nervosa lo irritò. Perché era convinto di aver commesso un qualche errore? Una persona poteva benissimo essere di cattivo umore per i cazzi suoi. Porca Andraste, se avesse potuto strangolare l'insicurezza altrui a quest'ora il mondo sarebbe stato un posto migliore, a sua immagine e somiglianza. Modestia non a parte.

«Alistair, non- Ah, sei impossibile.» sbottò.

«Cosa? Hai appena-»

«Non significa che ho torto.»

«Aspetta. Mi sono perso. Per favore, non aggiungere un commento sarcastico.» lo fermò con i palmi in vista. «Indosso un'armatura robusta ma dentro sono soffice.»

«Seriamente?» rise incredulo. «Questa è la battuta migliore che ti abbia mai sentito dire.»

«Grazie. Ogni tanto ho anche io i miei momenti.»

«Di nuovo! Perché ti sminuisci così? Tu...» Lo indicò a gesti, quasi le dita volessero davvero stringersi attorno alla gola dell'imbecille.

«Andraste, perché ce l'hai così tanto con me?» esclamò tristemente il bambinone.

«Non ce l'ho con te! È che... questo tuo atteggiamento da vittima mi ricorda tantissimo una persona.»

«Mi spiace?»

Certo che Alistair non capiva, non ne sapeva nulla, e il cipiglio aggressivo sulla faccia di Elmer non lo aiutava a comprendere lo sbalzo d'umore.

Magari spiegarsi, mettendo controvoglia in luce gli affari suoi, avrebbe aiutato il biondino a flagellarsi di meno e il moro a liberarsi di un peso. D'altronde erano tutti sicuri al cento per cento che condividere i propri demoni interiori a voce alta facilitasse il loro esorcismo. Elmer non si era esattamente sfogato sulla questione, se non con sogni a occhi aperti in cui Jowan le prendeva di santa ragione. A quanto pareva non era abbastanza.

«Non dispiacerti. Siamo cresciuti assieme nella Torre del Circolo. Mi fidavo di lui, era la mia famiglia, lo chiamavo fratello. Finché mi ha mentito e usato per i suoi scopi.» disse come se stesse chiarendo i punti per la preparazione di una pozione.

«Oh. E io ti ricordo lui?» si allarmò il Custode.

«Di una parte di lui.»

In realtà erano due: quell'innocenza un tempo era appartenuta anche a un paio di occhi blu, come aveva notato quel giorno nella tenda dei Custodi a Ostagar, prima di frizzare il sentimentale idiota.

«Quella che non ho mai sopportato e che ho sempre cercato di sradicare. Era un mago ordinario, senza talento, come la maggioranza di noi. Se si fosse impegnato si sarebbe riscattato nella teoria, ma... Non ha mai voluto davvero mettersi in gioco. Se sembrava troppo difficile rinunciava in partenza, e per avvalorare la tesi secondo cui lui non era abbastanza bravo, si paragonava a me.» Sentì la sacrosanta indignazione bruciargli nel petto, per anni di sopportazione, anni di sgobbare per due, anni di infiniti sacrifici. Aveva messo a repentaglio la sua stessa vita, porca di quella trota! «Ho sudato per spingerlo nella giusta direzione, che gli piacesse o no. Non gliene ho mai fatta passare una liscia, per il suo bene, ma non ho mai permesso a nessuno di fargli del male. Non sono un tipo esattamente dolce, ma neanche uno da nascondere i miei sentimenti: gli ho sempre detto che gli volevo bene e gliel'ho sempre dimostrato.»

Era come sputare veleno. Più ne parlava, più il rancore saliva e la voglia di denunciare le ingiustizie che aveva subito cresceva.

«Avresti dovuto vederlo.» fece sarcastico, gesticolando. «Credeva che mettere al tappeto il Comandante Templare e il Primo Incantatore con la magia proibita avrebbe risolto tutto. Dopo aver giurato e spergiurato di non averne mai fatto uso, che le accuse erano false. La faccia che ha fatto quando l'amore della sua vita ha preferito Aeonar alla fuga romantica con un mago del sangue. Ah! Cosa si aspettava? Ha mentito a lei, che professava di amare più di ogni altra cosa, con cui sognava una famiglia in un cazzo di paesino di pescatori dopo tre, quattro, cinque fottuti mesi che la conosceva; e ha mentito a me, A ME!» urlò picchiando i palmi sul petto, con un Alistair stupito dalla repentina ascesa dello sfogo. «Quel pusillanime ingrato. Chi gli ha donato metà della sua razione di cibo quando i templari hanno punito la Torre con la fame? Io! Chi si è preso la colpa della rottura del fottuto vaso tevinter, sapendo che non avrebbe potuto scrivere dieci saggi in una notte o beccarsi una pena più grave da Greagoir? Io! Chi gli ha creduto ciecamente e si è fatto in quattro per distruggere il suo filatterio prima che lo trasformassero in un Adepto della Calma? IO!»

Le candele avvamparono alla sua sfuriata e i due sobbalzarono. Le fissarono trattenendo il fiato finché tornarono ad una condizione naturale, come il mana nel corpo del mago. Al limite del suo campo visivo, Elmer vide Alistair voltarsi verso di lui, ma, per una volta, il mago era troppo imbarazzato per fronteggiarlo. Cosa avrebbe letto sul suo viso? La compassione andava bene, nonostante fosse la conferma del fallimento del suo autocontrollo. La paura sarebbe stata un vero smacco. La cautela tipica degli uomini di Chiesa... avrebbe spaventato lui. Non voleva vedere Alistair come un templare, sentire il suo sguardo freddo addosso ogni giorno, ogni minuto, pronto a colpirlo a morte al minimo errore. Desiderò che le Vie Profonde fossero dietro l'angolo.

Un peso sulla spalla lo fece girare di scatto.

«Stai bene?»

«Sì.» esalò con sollievo: compassione. Grazie al Creatore. «Mi sono lasciato prendere dall'ira. Mi dispiace.»

Era sincero. Alla torre ti facevano una testa così sul governo dei tuoi poteri, ed Elmer si era sempre pavoneggiato del dominio che esercitava su di essi, lo studente disciplinato e prudente, troppo bravo per cadere preda di demoni, o se stesso. Oggi era stato un brutto colpo alla sua autostima.

«Come...?»

«Come è successo? Hmph.» Esibì un sorriso privo di piacere. «Te l'ho detto: se veniamo sopraffatti dalle emozioni, per noi maghi è la fine.»

«Cioè non puoi mai arrabbiarti?»

«No.» scosse la testa, dandogli mentalmente dell'idiota. In senso buono. Più o meno. «I maghi provano emozioni, come tutti. Possiamo essere arrabbiati, allegri, tristi, felici. Se proviamo queste emozioni con consapevolezza, tutto va bene. Se queste emozioni superano la soglia del nostro autocontrollo, siamo fottuti.» Il biondo non era soddisfatto, perciò Elmer provò con un esempio. «È la differenza tra l'essere in collera, e l'essere accecati dalla collera. Posso essere arrabbiato e rimanere in possesso delle mie facoltà mentali, o posso essere arrabbiato e perdere il nume della ragione.»

«Ora è più chiaro.»

«Non c'è di che.»

Andava da sé che chi non aveva le palle per gestire i propri sentimenti sceglieva la via della Calma, tuttavia quel discorso minacciava di tirare in ballo Jowan nella sua testa, di conseguenza tacque e si godette qualche attimo di calma con il Custode, prima di ripartire verso Orzammar.

Comunque, la perdita di controllo, sebbene trascurabile, non sarebbe stata ignorata, né sottovalutata. 






Ma sai, Elmer, se ti spieghi forse qualcuno ci capisce qualcosa. Forse, eh u_ù
Capitolo di Elmer postato prima della ficci autoconclusiva su Borderlands, a cui fatico a trovare un finale con la giusta vaghezza o non vaghezza. In qualche modo ce la farò.
Ovviamente il tutto è rallentato dai neuroni del mio cervello che sfornano bozze su bozze di possibili ficci o storie originali, e che io diligentemente scrivo per poi in futuro rivedere o gettare direttamente nel cestino. Non guardatemi così, mi rifiuto di credere di essere l'unica è_é

Spero che questo capitolo di intermezzo un po' sul sentimentaluccio (altrimenti come diventano amici, 'sti qua? XD) vi sia piaciuto, e perdonatemi se i prossimi cercherò di renderli più veloci negli spostamenti, ma dopo ventisei capitoli essere appena fuori dalla battaglia di Ostagar... mi sono resa conto che non solo io sono pigra, ma anche la mia ficci! Questo non significa che ne sfornerò presto di nuovi, mi spiace.
Mi dicono sia una bella soluzione decidere prima il numero dei capitoli e poi scrivere. Ci proverò.

Emiliano, ce l'ho messa tutta nelle poche descrizioni che mi servivano! Se ancora mi leggi, fammi sapere come sono andata ^^ E chiedo a tutti un consiglio sulla statua: "aveva giaciuto" o "era giaciuta"? Ho letto che sono usati più o meno entrambi ma nessuno dei due mi piace XD
Grazie e alla prossima! ;)
  
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