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Autore: Smeralda Elesar    28/05/2016    3 recensioni
Cazzo, che freddo!
Doveva essere finito di nuovo nel Cocito. Solo lì c’era un freddo così maledetto che mordeva la carne e bruciava più del fuoco.
Ma insomma! Combatteva per sé stesso e non andava bene, combatteva per Athena (anche se in incognito spacciandosi per traditore) e non andava bene nemmeno, si metteva a disposizione per aiutare a fare un buco in quel maledetto muro e neanche quello andava bene, finiva di nuovo all’inferno a gelare… porca miseria, che qualcuno gli dicesse una buona volta cosa diavolo doveva fare per avere un poco di pace!
...
No, forse non era il Cocito.
Qualcosa accanto a lui lo stava scaldando; il freddo non mordeva più forte come prima.
O forse sì, era il Cocito, ma qualcuno lo stava richiamando ancora una volta.
Il cosmo di Athena era stato in grado di richiamarli dal mondo dei morti prima del muro del pianto, e la sensazione che provava era molto simile.
Non smetteva. Era qualcosa che lo richiamava, scacciava il freddo, gli dava tregua e conforto.
“Eh, no, eh! Adesso non ricominciamo! Sono morto e voglio restare morto questa volta”
Pensò seccato.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cancer DeathMask
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Soul of Gold

-Cancer-

 

III

 

*

 

Maronna che mortorio che c’era!

Pochi clienti all’osteria voleva dire poche partite a carte, e per quanto lui fosse un genio del gioco, gli era difficile vincere qualcosa se non aveva nessuno a cui vincerla.

Anche il solito oste se ne era andato e… bè, non era la stessa cosa.

Death Mask si era ormai abituato a lui, a provocarlo, a inquietarlo con i suoi ghigni.

Non potevano fargli una cosa del genere!

Il tizio che era al bancone al posto dell’oste gli disse che il proprietario si era fatto ricoverare in un ospedale dove le persone venivano visitate gratis.

Seee… certo… Visitati gratis! E chi ci crede?”

Nessuno fa niente per niente.

E poi quale cura miracolosa potevano mai essersi inventati? Di sicuro non funzionava, altrimenti perché le persone andavano all’ospedale ma nessuno era mai tornato?

Questo pensiero gli fece scattare un campanello d’allarme.

Helena tossiva sempre ultimamente. Il negozio di fiori quella mattina era chiuso.

Merda!

Scappò fuori dalla locanda e corse fino a casa di Helena.

“Andiamo, dimmi che sei rimasta a casa, stupida!”

Quando bussò vennero ad aprire i suoi fratellini.

No, non era a casa sua. Uno dei guerrieri di Asgard era venuto a prenderla per portarla in ospedale.

Subito la mente di Death Mask corse a quello che aveva sentito da Aioria e ancora prima dal suo istinto.

Lui lo sentiva che c’era qualcosa di marcio in quel posto, maledizione!

Non si pigliano se non si somigliano, giusto? E lui aveva percepito qualcosa di troppo simile a sé, tanto simile da disgustarlo.

Si era costretto ad ignorarlo, aveva fatto finta di nulla… e minchia, bei risultati che aveva ottenuto! Metà della popolazione della città era sparita! Alla faccia del comportarsi come gli altri Saint di Athena! Quella era la prova: lui non era come gli altri!

Non poteva combattere come loro. Ma forse poteva fare qualcosa come sé stesso, per una volta.

Mentre correva verso l’ospedale (che sicuramente non era un ospedale, chi volevano pigliare per il culo?) pensò per un momento di fermarsi per prendere la cloth di Cancer. Ci rinunciò subito.

Tanto quella non lo voleva, e lui non poteva combattere come Saint. Si doveva rompere le corna da solo. Senza offesa per Capricorn, Aries e Taurus, ovviamente.

Si spaccava i polmoni per correre come un dannato e si malediceva mentalmente per non aver pensato prima ad avvisare Helena.

Aveva parlato con lei tante volte e aveva aperto bocca solo per dire cazzate.

Perché non aveva pensato a metterla in guardia? E che cazzo, non ne sapeva insertare una!

Gli sembrava che la sua vita fosse un cumulo di macerie ma se non altro la polvere aveva cominciato a posarsi… e adesso doveva andare di nuovo tutto all’aria?!

Eh, no!

Non era una questione personale tra lui e la ragazza, era che… insomma, lui ci stava provando, no? Stava provando a fare una cosa giusta, ad agire come i suoi compagni.

Essere buono, generoso, aiutare i deboli… ci stava provando! Ora nessuno poteva permettersi di portargli via i suoi tentativi.

Accanto a lui passò un lampo dorato. Aphrodite. Lui non aveva rinunciato ad essere un Saint di Athena, poteva ancora vestire la sua cloth e muoversi alla velocità della luce.

E lui, Death Mask, ex Saint di Cancer, poteva solo arrancare penosamente dietro di lui.

Malanòva, che vita di merda!

 

**

 

-Tu sei il più debole dei Saint di Athena. Non hai nemmeno la tua armatura-

Minchia, che cuttigghio che c’era ad Asgard! Pure lì doveva sentirsi rinfacciare la storia infame di essere rimasto in mutande?!

Che ne poteva sapere quello strambo che si vestiva con una tenda?

Essere definito debole era troppo! Soprattutto perché sentiva che Andreas aveva ragione! Di tutti e dodici i Gold Saints, chi era che aveva fatto solo casini? Nel senso, consapevolmente, con scienza e coscienza? Ecco: lui.

Gli altri erano stati più o meno ingannati, lui invece ci era andato a nozze con l’imbroglio di Saga.

Per la prima volta gli sembrò quasi giusto che la cloth lo avesse abbandonato.

Forse forse se lo era meritato di morire in quel modo schifoso, e di morire di nuovo… ma comunque erano cazzacci suoi, non di un asgardiano presuntuoso!

Quell’Andreas gli stava rovinando l’unica cosa buona che fosse mai riuscito a fare in vita sua e in più gli aveva tolto Aphrodite, l’unico che ma che gli era accanto sempre e comunque anche se non lo capiva.

Aphrodite lo aveva sempre aiutato per quanto lui non si facesse aiutare, e lui manco un grazie gli aveva mai detto.

E quando era stato il momento di ricambiare il favore non era stato in grado di fare niente e Aphrodite era morto, divorato dalle radici dell’Yggdrasil.

Maledetto albero, maledetta Asgard, maledetto Andreas!

Se fino a quel momento era stato molto confuso sulle definizioni di giusto e sbagliato, adesso gli sembrava tutto perfettamente chiaro: giusto era non farsi pestare la faccia da Andreas, giusto era affrontarlo, e se anche lui fosse stato davvero il più scarso dei Saint di Athena adesso voleva battersi.

Non appena pensò che avrebbe voluto con sé la sua Cloth per combattere meglio, la sentì di nuovo, chiara e distinta come non mai: era la voce che lo chiamava e che lo confortava, e che in quel momento era in perfetta sintonia con lui.

“Non era lei che non mi voleva… ero io!”

Non sapeva se era lui a richiamarla oppure il contrario e sinceramente neanche gli interessava.

Cancer!

Ogni pezzo della Cloth che si saldava al suo corpo lo proteggeva e gli dava la forza che gli era mancata per troppo tempo. Ebbe un palpito di gioia selvaggia quando la sentì di nuovo parte di sé, una compagna fedele in battaglia.

Si scagliò contro Andreas perché era arrabbiato, e stavolta la sua rabbia era sacrosanta. L’armatura rimaneva ben attaccata a lui, segno che era d’accordo.

Peccato che il bastardo fosse veloce a scappare!

Il suo colpo aveva spazzato via metà del finto ospedale ma Andreas era stato più veloce.

Malanòva! Ma prima o poi lo avrebbe avuto di nuovo davanti, parola del di nuovo Saint di Cancer, e allora…

Helena.

Corse da lei in tempo per capire che lei aveva capito.

-Quel denaro. Era tuo, non è vero?-

-Non so di cosa tu stia parlando-

Bugia penosa. Lei lo sapeva. Era fimmina, loro le capivano sempre le cose.

La teneva sollevata con una delicatezza che non aveva mai usato con nessuno.

-Grazie…-

Nei suoi occhi verdi per un momento gli sembrò che sapesse tutto di lui e quello sguardo gli spaccò il cuore. Forse in un altro posto, in un’altra vita…

Non riuscì a fare altro che gridare mentre la teneva tra le braccia e la vita che sfuggiva da lei gli ricordava tutte le vite che lui aveva tolto, e lo scaraventava di nuovo nell’incubo della sua prima morte.

Maledizione, perché?! Allora aveva ragione lui, aveva sempre avuto ragione lui: era meglio non avere sentimenti! La pietà, la compassione, il senso di giustizia erano tutte cose fituse.

Era da quando si era svegliato ad Asgard che si sentiva quelle cose che gli si agitavano dentro come un ammasso di vermi, da quando aveva sentito che qualcuno aveva pietà di lui.

Voleva solo strapparle via e non sentirle più. Le odiava. Si odiava.

Campava tanto bene quando non provava altro che rabbia verso tutti e soddisfazione quando scaricava quella rabbia su qualcuno!

Voleva tornare ad essere quello che chiamavano mostro. Meglio un mostro insensibile che ridursi in quel modo!

E nemmeno capiva perché stesse soffrendo tanto. Non era solo per la ragazza.

Ci aveva provato in tutti i modi! Lei rientrava nella categoria “persone deboli che i Saint dovrebbero proteggere” e lui ci aveva provato. Ed era stato l’ennesimo fallimento.

Si comportava da Saint a modo suo e falliva, si comportava da Saint cercando di imitare quelli che erano “buoni” e falliva lo stesso…

E che cazzo di fregatura che era stata tornare in vita!

 

***

 

-ORA BASTA!-

Si era dovuto togliere la Cloth a mano, pezzo per pezzo, perché quella non voleva saperne di lasciarlo.

E quando gli serviva lo mollava, e quando non la voleva gli si appiccicava addosso, insomma, non c’era una volta che andasse bene!

Era solo nella stanza che fino a quella mattina divideva con Aphrodite.

Poteva piangere e gridare adesso, tanto Aphrodite non c’era, l’oste al piano di sotto non c’era, non c’era più nessuno!

Niente, dalla gola non gli usciva nemmeno un lamento.

Era un dolore troppo lancinante. Gli restava dentro, impigliato a soffocare ogni fibra del suo essere come la pece.

Il dolore che lo trapassava ad intervalli regolari era fisico, gli affondava nello stomaco e nel petto. Avrebbe fatto di tutto per farlo smettere.

-Basta, lasciami andare! Non vedi che non sono capace di fare niente! Lasciami morire… ti prego Athena!-

Non appena ebbe pronunciato il suo nome un singhiozzo lo scosse.

Era stato liberatorio rivolgersi direttamente a lei dopo tanto tempo che se lo era negato.

Chi voleva prendere in giro? Lui lo sapeva benissimo che non era la Cloth a parlargli.

Le armature hanno una loro volontà, è vero, ma la loro deriva dalla volontà di Athena, e lui in fondo lo aveva sempre saputo che era stata lei, sempre lei.

A farlo rialzare dalla neve, a guidarlo verso la città, a spronarlo a combattere, a difenderlo dagli incubi.

La sua Dea, a cui lui aveva risposto tante volte non proprio gentilmente.

Non temere, anima salva.

-Mi devi lasciare!-

No, lei non lo lasciava. Maledizione, perché?! Perché non lo lasciava in pace una buona volta?!

-Non sono quello che vuoi tu!- gridò.

Sentiva la sua presenza che lo avvolgeva, e più lei era gentile più lui lottava per allontanarla. Non era cosa sua.

Non riusciva a piangere. Desiderava potersi sfogare e allo stesso tempo odiava essere così debole e patetico.

Avrebbe voluto non provare niente, essere senza sentimenti come prima del maledetto incontro con il Bronze Saint del Drago.

Ci aveva messo anni a costruirsi le sue difese, come aveva osato quel muccùso distruggergliele?!

Credeva di avere superato tutto ciò che rende debole. Pietà, comprensione, compassione, lui le aveva cancellate e stava benissimo. Era diventato un dio.

Ma da quando si era trovato a vivere sulla sua pelle la rabbia ed il dolore che aveva provocato non era più lui. Era tornato umano. Era debole. Soffriva, aveva paura, provava pietà.

Che maledetta camurrìa che era essere buoni!

Se essere buoni era quello allora era una cosa che faceva schifo!

E pure il perdono era una cosa che faceva maledettamente schifo, detto senza offesa per Athena ma solo con tanta sincerità.

Voleva essere malvagio e non poteva, doveva diventare buono e non voleva.

Che poi buono, cattivo… tutto era relativo, no?

Chi lo definiva malvagio era invidioso della sua forza probabilmente. Quanto avrebbe voluto crederci ancora!

Era di nuovo in ginocchio davanti allo scrigno della Cloth di Cancer.

Ormai quello era diventato il suo altare. Lì si aggrappava in cerca di risposte e lì si disperava quando non ne trovava oppure bestemmiava se non gli piacevano.

Non sapeva se colpirlo per rabbia oppure sbatterci la testa contro per perdere i sensi e smettere di farsi straziare.

La sentiva vicina come non era mai stata, e bruciava come acciaio ghiacciato.

-Perché mi hai fatto diventare così? Non ti bastava umiliarmi facendomi sconfiggere da un ragazzino? Anche questo?! Era necessario farmi diventare così miserabile? Lo so che tu vorresti un Saint senza macchia e senza paura. E non sono io, va bene?-

Non voglio un Saint perfetto. Voglio te, come sei tu. E puoi scegliere liberamente cosa essere.

-Non posso!-

Puoi farlo. Tu sei forte. Scegli come vuoi usare la tua forza.

-Smettila! Io non sono forte. Aioria è forte, Mu, Saga… non io!-

Tu sei forte. Al mondo ci sarà sempre qualcuno più debole di te.

Ah. Certo. Non l’aveva mai considerata da quel punto di vista.

Ricordati come ti chiami. Ricordati chi sei.

-Io… io sono la maschera della morte!-

No. Prima di quello. Ricorda il tuo vero nome.

Lo colpì come un pugno, come se il dolore non lo stesse già tagliando in due.

So nonna quando lui tornava a casa con le ginocchia sbucciate dopo una caduta, il parrino che lo rimproverava perché scappava a metà della messa, il vicino di casa a cui rubava le nespole dall’orto, gli altri bambini sul cortile della chiesa.

Salvatore. Salvatore. Salvatore.

Salvo.

Non temere, anima salva.

I singhiozzi arrivarono allora. Tutto era semplicemente troppo per tenerselo dentro, e allora o piangeva o impazziva.

Avrebbe potuto fare l’orgoglioso e scegliere la pazzia piuttosto che piegarsi, ma la verità era che lui l’orgoglio non aveva più dove appoggiarlo.

Però che schifo che era piangere! Era peggio di come se lo ricordava.

Era una medicina brutta, che gli faceva bene ma lo disgustava troppo; peggio dell’olio di pesce che gli rifilava la nonna quando gli sembrava che fosse troppo magro.

Ecco, era la stessa cosa: gli faceva bene e lei non voleva sentire ragioni: c’erano le vitamine, e le vitamine facevano bene, pure se lei non sapeva manco cosa fossero.

E piuttosto che fargli saltare una dose gli staccava il naso.

Per fargli aprire la bocca gli tappava il naso e lui cercava di resistere, di trattenere il respiro perché sapeva che appena apriva un minimo ecco che c’era il cucchiaio in agguato, con quella brodaglia gialla e orribile che si appiccicava alla gola. Come si appiccicava il pianto.

Prima o poi però doveva cedere, non c’era verso.

Come in quel momento.

E meno male che non c’era nessuno! Se qualcun altro lo avesse saputo sarebbe morto di vergogna.

Quando finalmente riuscì a smettere era rannicchiato a terra e la tempia gli pulsava di un dolore sordo perché si era appoggiato proprio lì contro il metallo dello scrigno.

Grande pensata, complimenti!

Tentò un’ultima, debole resistenza.

-Ma io non sono quello che dice il mio nome. Io non ho mai protetto nessuno. Non so come si fa-

Prova.

-Sarà un fallimento come è stato oggi-

Prova ancora.

Certo, stare in pace mai!

Però in fondo visto che vivendo come aveva fatto fino ad allora i risultati erano stati pessimi, forse era il momento di tentare un’altra strada.

Poteva affogarci, nella sua sofferenza, oppure poteva farla diventare forza, una forza vera, che non si sarebbe rivoltata contro di lui.

E poi, … lui lo sapeva che avrebbe fatto come gli diceva lei alla fine.

Si rialzò a fatica e passò in bagno a sciacquarsi la faccia.

Non ebbe il coraggio di guardarsi allo specchio perché no, all’umiliazione ci doveva essere un limite e lui non aveva nessuna intenzione di provare pietà per sé stesso vedendo come si era ridotto dopo aver pianto.

Bastava già che le gambe non lo reggessero e che si sentisse stordito come nemmeno dopo la peggiore sbronza della sua vita.

Tornò barcollando fino allo scrigno e si buttò a terra a peso morto, con un braccio attorno allo spigolo come un naufrago sulla spiaggia ancora attaccato alla zattera che gli ha salvato la vita.

-E va bene- mormorò prima di chiudere gli occhi -Facciamo a modo tuo-

Tanto sarebbe morto comunque prima o poi, a voler essere prosaici, però poteva scegliere tra morire male come l’ultima volta o fare in modo che la sua morte avesse un senso.

Era una sua scelta.

Forse meglio la seconda ipotesi, altrimenti poi chi lo sentiva Aphrodite?

Tutta l’eternità all’inferno a sentirsi rinfacciare dalla sua voce querula che il Saint di Pesci aveva combattuto mentre il Saint del Cancro si era tirato indietro.

Per carità, no!

 

 

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Cantuccio dell’Autore

 

Sì, ecco, ci siamo arrivati. Episodio numero 4 di Soul of Gold: come creare un mostro di OOC, guida pratica.

Mi è dispiaciuto quando è morta Helena. Da un lato mi è dispiaciuto ma dall’altro ho pensato che era troppo un cliché letterario.

Invece mi è piaciuto quando la Cloth di Cancer è tornata da Death Mask.

NON mi è piaciuto il patetico discorso di Death. Ragazzi, no, per favore! Per essere buoni non bisogna per forza diventare imbecilli e dire cose scontate! E poi dai, cominciare ad autocommiserarsi davanti al nemico? Ma anche no!

Poi volevo rendere il senso di un cambiamento radicale ma senza rendere Death Mask patetico, non so se ci sono riuscita.

 

Importante! Volevo ringraziare Elfosnape, JCMA e Oktavia per aver messo la storia tra le seguite.

 

1-   Cuttìgghio: pettegolezzo

2-   Muccùso: moccioso

3-   “Ricordati chi sei” fa tanto “Il re leone”, me lo perdonate, vero?

4-   Qui si chiude il cerchio del vero nome di Death Mask. Salvatore è un nome siciliano che più siciliano non si può, e secondo me è esattamente l’opposto di quello che Death Mask era quando faceva il sicario per Saga. Ho creato la mia versione, spero che i fan del nome “Angelo” che gli viene spesso attribuito non se ne abbiano a male.

5-   “Anime salve” è uno degli album di Fabrizio De Andrè.

6-   L’olio di fegato di merluzzo andava molto di moda negli anni cinquanta e sessanta come ricostituente, anche se la scienza di oggi ha ridimenzionato i miracoli che prometteva. Comunque, secondo i miei calcoli, Death Mask è nato più o meno nel 1960, quindi in piena epoca da olio di pesce. E allora la nonnina glielo propinava, perché io Death Mask da bambino me lo immagino tutto pelle e ossa.

7-   Perdonate la digressione.

8-   Ci tengo a rivalutare un po' Yggdrasil. Nella mitologia norrena non è per niente malvagio, è un albero che fa da pilastro al cosmo e che regge tra i suoi rami tutti i regni. Ora non mi fate attaccare a parlare dei nove regni perché ve ne pentireste.

 

Grazie per aver finito anche questo capitolo.

 

                                          Makoto

 

   
 
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