Soul of Gold
-Cancer-
III
*
Maronna che mortorio che c’era!
Pochi clienti all’osteria voleva
dire poche partite a carte, e per quanto lui fosse un genio del gioco, gli era
difficile vincere qualcosa se non aveva nessuno a cui vincerla.
Anche il solito oste se ne era
andato e… bè, non era la stessa cosa.
Death Mask
si era ormai abituato a lui, a provocarlo, a inquietarlo con i suoi ghigni.
Non potevano fargli una cosa del
genere!
Il tizio che era al bancone al
posto dell’oste gli disse che il proprietario si era fatto ricoverare in un
ospedale dove le persone venivano visitate gratis.
“Seee…
certo… Visitati gratis! E chi ci crede?”
Nessuno fa niente per niente.
E poi quale cura miracolosa
potevano mai essersi inventati? Di sicuro non funzionava, altrimenti perché le
persone andavano all’ospedale ma nessuno era mai tornato?
Questo pensiero gli fece scattare
un campanello d’allarme.
Helena tossiva sempre
ultimamente. Il negozio di fiori quella mattina era chiuso.
Merda!
Scappò fuori dalla locanda e
corse fino a casa di Helena.
“Andiamo, dimmi che sei rimasta a
casa, stupida!”
Quando bussò vennero ad aprire i
suoi fratellini.
No, non era a casa sua. Uno dei
guerrieri di Asgard era venuto a prenderla per
portarla in ospedale.
Subito la mente di Death Mask corse a quello che aveva sentito da Aioria e ancora prima dal suo istinto.
Lui lo sentiva che c’era qualcosa
di marcio in quel posto, maledizione!
Non si pigliano se non si
somigliano, giusto? E lui aveva percepito qualcosa di troppo simile a sé, tanto
simile da disgustarlo.
Si era costretto ad ignorarlo,
aveva fatto finta di nulla… e minchia, bei risultati che aveva ottenuto! Metà
della popolazione della città era sparita! Alla faccia del comportarsi come gli
altri Saint di Athena! Quella era la prova: lui non
era come gli altri!
Non poteva combattere come loro.
Ma forse poteva fare qualcosa come sé stesso, per una volta.
Mentre correva verso l’ospedale
(che sicuramente non era un ospedale, chi volevano pigliare per il culo?) pensò
per un momento di fermarsi per prendere la cloth di Cancer. Ci rinunciò subito.
Tanto quella non lo voleva, e lui
non poteva combattere come Saint. Si doveva rompere le corna da solo. Senza
offesa per Capricorn, Aries
e Taurus, ovviamente.
Si spaccava i polmoni per correre
come un dannato e si malediceva mentalmente per non aver pensato prima ad
avvisare Helena.
Aveva parlato con lei tante volte
e aveva aperto bocca solo per dire cazzate.
Perché non aveva pensato a
metterla in guardia? E che cazzo, non ne sapeva insertare
una!
Gli sembrava che la sua vita
fosse un cumulo di macerie ma se non altro la polvere aveva cominciato a
posarsi… e adesso doveva andare di nuovo tutto all’aria?!
Eh, no!
Non era una questione personale
tra lui e la ragazza, era che… insomma, lui ci stava provando, no? Stava
provando a fare una cosa giusta, ad agire come i suoi compagni.
Essere buono, generoso, aiutare i
deboli… ci stava provando! Ora nessuno poteva permettersi di portargli via i
suoi tentativi.
Accanto a lui passò un lampo
dorato. Aphrodite. Lui non aveva rinunciato ad essere un
Saint di Athena, poteva ancora vestire la sua cloth e muoversi alla velocità della luce.
E lui, Death Mask,
ex Saint di Cancer, poteva solo arrancare penosamente
dietro di lui.
Malanòva, che vita di merda!
**
-Tu sei il più debole dei Saint
di Athena. Non hai nemmeno la tua armatura-
Minchia, che cuttigghio
che c’era ad Asgard! Pure lì doveva sentirsi
rinfacciare la storia infame di essere rimasto in mutande?!
Che ne poteva sapere quello
strambo che si vestiva con una tenda?
Essere definito debole era
troppo! Soprattutto perché sentiva che Andreas aveva ragione! Di tutti e dodici
i Gold Saints, chi era che aveva fatto solo casini?
Nel senso, consapevolmente, con scienza e coscienza? Ecco: lui.
Gli altri erano stati più o meno
ingannati, lui invece ci era andato a nozze con l’imbroglio di Saga.
Per la prima volta gli sembrò quasi
giusto che la cloth lo avesse abbandonato.
Forse forse
se lo era meritato di morire in quel modo schifoso, e di morire di nuovo… ma
comunque erano cazzacci suoi, non di un asgardiano
presuntuoso!
Quell’Andreas gli stava rovinando
l’unica cosa buona che fosse mai riuscito a fare in vita sua e in più gli aveva
tolto Aphrodite, l’unico che ma che gli era accanto sempre
e comunque anche se non lo capiva.
Aphrodite lo aveva sempre aiutato per
quanto lui non si facesse aiutare, e lui manco un grazie gli aveva mai detto.
E quando era stato il momento di
ricambiare il favore non era stato in grado di fare niente e Aphrodite era morto, divorato dalle radici dell’Yggdrasil.
Maledetto albero, maledetta Asgard, maledetto Andreas!
Se fino a quel momento era stato
molto confuso sulle definizioni di giusto e sbagliato, adesso gli sembrava
tutto perfettamente chiaro: giusto era non farsi pestare la faccia da Andreas,
giusto era affrontarlo, e se anche lui fosse stato davvero il più scarso dei
Saint di Athena adesso voleva battersi.
Non appena pensò che avrebbe
voluto con sé la sua Cloth per combattere meglio, la
sentì di nuovo, chiara e distinta come non mai: era la voce che lo chiamava e
che lo confortava, e che in quel momento era in perfetta sintonia con lui.
“Non era lei che non mi voleva…
ero io!”
Non sapeva se era lui a
richiamarla oppure il contrario e sinceramente neanche gli interessava.
Cancer!
Ogni pezzo della Cloth che si saldava al suo corpo lo proteggeva e gli dava
la forza che gli era mancata per troppo tempo. Ebbe un palpito di gioia
selvaggia quando la sentì di nuovo parte di sé, una compagna fedele in battaglia.
Si scagliò contro Andreas perché
era arrabbiato, e stavolta la sua rabbia era sacrosanta. L’armatura rimaneva
ben attaccata a lui, segno che era d’accordo.
Peccato che il bastardo fosse
veloce a scappare!
Il suo colpo aveva spazzato via
metà del finto ospedale ma Andreas era stato più veloce.
Malanòva! Ma prima o poi lo avrebbe avuto
di nuovo davanti, parola del di nuovo Saint di Cancer,
e allora…
Helena.
Corse da lei in tempo per capire
che lei aveva capito.
-Quel denaro. Era tuo, non è vero?-
-Non so di cosa tu stia parlando-
Bugia penosa. Lei lo sapeva. Era fimmina, loro le capivano sempre le cose.
La teneva sollevata con una
delicatezza che non aveva mai usato con nessuno.
-Grazie…-
Nei suoi occhi verdi per un
momento gli sembrò che sapesse tutto di lui e quello sguardo gli spaccò il
cuore. Forse in un altro posto, in un’altra vita…
Non riuscì a fare altro che
gridare mentre la teneva tra le braccia e la vita che sfuggiva da lei gli
ricordava tutte le vite che lui aveva tolto, e lo scaraventava di nuovo
nell’incubo della sua prima morte.
Maledizione, perché?! Allora
aveva ragione lui, aveva sempre avuto ragione lui: era meglio non avere
sentimenti! La pietà, la compassione, il senso di giustizia erano tutte cose fituse.
Era da quando si era svegliato ad
Asgard che si sentiva quelle cose che gli si
agitavano dentro come un ammasso di vermi, da quando aveva sentito che qualcuno
aveva pietà di lui.
Voleva solo strapparle via e non
sentirle più. Le odiava. Si odiava.
Campava tanto bene quando non
provava altro che rabbia verso tutti e soddisfazione quando scaricava quella
rabbia su qualcuno!
Voleva tornare ad essere quello
che chiamavano mostro. Meglio un mostro insensibile che ridursi in quel modo!
E nemmeno capiva perché stesse
soffrendo tanto. Non era solo per la ragazza.
Ci aveva provato in tutti i modi!
Lei rientrava nella categoria “persone deboli che i Saint dovrebbero
proteggere” e lui ci aveva provato. Ed era stato l’ennesimo fallimento.
Si comportava da Saint a modo suo
e falliva, si comportava da Saint cercando di imitare quelli che erano “buoni”
e falliva lo stesso…
E che cazzo di fregatura che era
stata tornare in vita!
***
-ORA BASTA!-
Si era dovuto
togliere la Cloth a mano, pezzo per pezzo, perché
quella non voleva saperne di lasciarlo.
E quando gli serviva
lo mollava, e quando non la voleva gli si appiccicava addosso, insomma, non
c’era una volta che andasse bene!
Era solo nella stanza
che fino a quella mattina divideva con Aphrodite.
Poteva piangere e
gridare adesso, tanto Aphrodite non c’era, l’oste al
piano di sotto non c’era, non c’era più nessuno!
Niente, dalla gola
non gli usciva nemmeno un lamento.
Era un dolore troppo lancinante.
Gli restava dentro, impigliato a soffocare ogni fibra del suo essere come la
pece.
Il dolore che lo trapassava
ad intervalli regolari era fisico, gli affondava nello stomaco e nel petto.
Avrebbe fatto di tutto per farlo smettere.
-Basta, lasciami
andare! Non vedi che non sono capace di fare niente! Lasciami morire… ti prego Athena!-
Non appena ebbe
pronunciato il suo nome un singhiozzo lo scosse.
Era stato liberatorio
rivolgersi direttamente a lei dopo tanto tempo che se lo era negato.
Chi voleva prendere
in giro? Lui lo sapeva benissimo che non era la Cloth
a parlargli.
Le armature hanno una
loro volontà, è vero, ma la loro deriva dalla volontà di Athena,
e lui in fondo lo aveva sempre saputo che era stata lei, sempre lei.
A farlo rialzare
dalla neve, a guidarlo verso la città, a spronarlo a combattere, a difenderlo
dagli incubi.
La sua Dea, a cui lui
aveva risposto tante volte non proprio gentilmente.
Non
temere, anima salva.
-Mi devi lasciare!-
No, lei non lo
lasciava. Maledizione, perché?! Perché non lo lasciava in pace una buona
volta?!
-Non sono quello che
vuoi tu!- gridò.
Sentiva la sua
presenza che lo avvolgeva, e più lei era gentile più lui lottava per
allontanarla. Non era cosa sua.
Non riusciva a
piangere. Desiderava potersi sfogare e allo stesso tempo odiava essere così
debole e patetico.
Avrebbe voluto non
provare niente, essere senza sentimenti come prima del maledetto incontro con
il Bronze Saint del Drago.
Ci aveva messo anni a
costruirsi le sue difese, come aveva osato quel muccùso
distruggergliele?!
Credeva di avere
superato tutto ciò che rende debole. Pietà, comprensione, compassione, lui le
aveva cancellate e stava benissimo. Era diventato un dio.
Ma da quando si era
trovato a vivere sulla sua pelle la rabbia ed il dolore che aveva provocato non
era più lui. Era tornato umano. Era debole. Soffriva, aveva paura, provava
pietà.
Che maledetta camurrìa che era essere buoni!
Se essere buoni era
quello allora era una cosa che faceva schifo!
E pure il perdono era
una cosa che faceva maledettamente schifo, detto senza offesa per Athena ma solo con tanta sincerità.
Voleva essere
malvagio e non poteva, doveva diventare buono e non voleva.
Che poi buono,
cattivo… tutto era relativo, no?
Chi lo definiva
malvagio era invidioso della sua forza probabilmente. Quanto avrebbe voluto
crederci ancora!
Era di nuovo in
ginocchio davanti allo scrigno della Cloth di Cancer.
Ormai quello era
diventato il suo altare. Lì si aggrappava in cerca di risposte e lì si
disperava quando non ne trovava oppure bestemmiava se non gli piacevano.
Non sapeva se
colpirlo per rabbia oppure sbatterci la testa contro per perdere i sensi e
smettere di farsi straziare.
La sentiva vicina
come non era mai stata, e bruciava come acciaio ghiacciato.
-Perché mi hai fatto
diventare così? Non ti bastava umiliarmi facendomi sconfiggere da un ragazzino?
Anche questo?! Era necessario farmi diventare così miserabile? Lo so che tu
vorresti un Saint senza macchia e senza paura. E non sono io, va bene?-
Non
voglio un Saint perfetto. Voglio te, come sei tu. E puoi scegliere liberamente
cosa essere.
-Non posso!-
Puoi
farlo. Tu sei forte. Scegli come vuoi usare la tua forza.
-Smettila! Io non
sono forte. Aioria è forte, Mu, Saga… non io!-
Tu
sei forte. Al mondo ci sarà sempre qualcuno più debole di te.
Ah. Certo. Non
l’aveva mai considerata da quel punto di vista.
Ricordati
come ti chiami. Ricordati chi sei.
-Io… io sono la
maschera della morte!-
No.
Prima di quello. Ricorda il tuo vero nome.
Lo colpì come un
pugno, come se il dolore non lo stesse già tagliando
in due.
So nonna quando lui
tornava a casa con le ginocchia sbucciate dopo una caduta, il parrino che lo rimproverava perché scappava a metà della
messa, il vicino di casa a cui rubava le nespole dall’orto, gli altri bambini
sul cortile della chiesa.
Salvatore.
Salvatore. Salvatore.
Salvo.
Non
temere, anima salva.
I singhiozzi
arrivarono allora. Tutto era semplicemente troppo per tenerselo dentro, e
allora o piangeva o impazziva.
Avrebbe potuto fare
l’orgoglioso e scegliere la pazzia piuttosto che piegarsi, ma la verità era che
lui l’orgoglio non aveva più dove appoggiarlo.
Però che schifo che
era piangere! Era peggio di come se lo ricordava.
Era una medicina
brutta, che gli faceva bene ma lo disgustava troppo; peggio dell’olio di pesce
che gli rifilava la nonna quando gli sembrava che fosse troppo magro.
Ecco, era la stessa
cosa: gli faceva bene e lei non voleva sentire ragioni: c’erano le vitamine, e
le vitamine facevano bene, pure se lei non sapeva manco cosa fossero.
E piuttosto che
fargli saltare una dose gli staccava il naso.
Per fargli aprire la
bocca gli tappava il naso e lui cercava di resistere, di trattenere il respiro
perché sapeva che appena apriva un minimo ecco che c’era il cucchiaio in agguato,
con quella brodaglia gialla e orribile che si appiccicava alla gola. Come si
appiccicava il pianto.
Prima o poi però
doveva cedere, non c’era verso.
Come in quel momento.
E meno male che non
c’era nessuno! Se qualcun altro lo avesse saputo sarebbe morto di vergogna.
Quando finalmente
riuscì a smettere era rannicchiato a terra e la tempia gli pulsava di un dolore
sordo perché si era appoggiato proprio lì contro il metallo dello scrigno.
Grande pensata,
complimenti!
Tentò un’ultima,
debole resistenza.
-Ma io non sono
quello che dice il mio nome. Io non ho mai protetto nessuno. Non so come si fa-
Prova.
-Sarà un fallimento
come è stato oggi-
Prova
ancora.
Certo, stare in pace
mai!
Però in fondo visto
che vivendo come aveva fatto fino ad allora i risultati erano stati pessimi,
forse era il momento di tentare un’altra strada.
Poteva affogarci,
nella sua sofferenza, oppure poteva farla diventare forza, una forza vera, che
non si sarebbe rivoltata contro di lui.
E poi, và… lui lo sapeva che avrebbe fatto come gli diceva lei
alla fine.
Si rialzò a fatica e
passò in bagno a sciacquarsi la faccia.
Non ebbe il coraggio
di guardarsi allo specchio perché no, all’umiliazione ci doveva essere un
limite e lui non aveva nessuna intenzione di provare pietà per sé stesso
vedendo come si era ridotto dopo aver pianto.
Bastava già che le
gambe non lo reggessero e che si sentisse stordito come nemmeno dopo la
peggiore sbronza della sua vita.
Tornò barcollando
fino allo scrigno e si buttò a terra a peso morto, con un braccio attorno allo
spigolo come un naufrago sulla spiaggia ancora attaccato alla zattera che gli
ha salvato la vita.
-E va bene- mormorò
prima di chiudere gli occhi -Facciamo a modo tuo-
Tanto sarebbe morto
comunque prima o poi, a voler essere prosaici, però poteva scegliere tra morire
male come l’ultima volta o fare in modo che la sua morte avesse un senso.
Era una sua scelta.
Forse meglio la
seconda ipotesi, altrimenti poi chi lo sentiva Aphrodite?
Tutta l’eternità
all’inferno a sentirsi rinfacciare dalla sua voce querula che il Saint di Pesci
aveva combattuto mentre il Saint del Cancro si era tirato indietro.
Per carità, no!
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Cantuccio dell’Autore
Sì, ecco, ci siamo arrivati.
Episodio numero 4 di Soul of Gold: come creare un mostro di OOC, guida pratica.
Mi è dispiaciuto quando è morta
Helena. Da un lato mi è dispiaciuto ma dall’altro ho pensato che era troppo un cliché letterario.
Invece mi è piaciuto quando la Cloth di Cancer è tornata da
Death Mask.
NON mi è piaciuto il patetico
discorso di Death. Ragazzi, no, per favore! Per essere buoni non bisogna per
forza diventare imbecilli e dire cose scontate! E poi dai, cominciare ad autocommiserarsi
davanti al nemico? Ma anche no!
Poi volevo rendere il senso di un
cambiamento radicale ma senza rendere Death Mask
patetico, non so se ci sono riuscita.
Importante! Volevo ringraziare Elfosnape, JCMA e Oktavia per aver messo la storia
tra le seguite.
1- Cuttìgghio: pettegolezzo
2- Muccùso: moccioso
3- “Ricordati chi sei” fa tanto “Il
re leone”, me lo perdonate, vero?
4- Qui si chiude il cerchio del vero
nome di Death Mask. Salvatore è un nome siciliano che
più siciliano non si può, e secondo me è esattamente l’opposto di quello che
Death Mask era quando faceva il sicario per Saga. Ho
creato la mia versione, spero che i fan del nome “Angelo” che gli viene spesso
attribuito non se ne abbiano a male.
5- “Anime salve” è uno degli album
di Fabrizio De Andrè.
6- L’olio di fegato di merluzzo
andava molto di moda negli anni cinquanta e sessanta come ricostituente, anche
se la scienza di oggi ha ridimenzionato i miracoli che prometteva. Comunque,
secondo i miei calcoli, Death Mask è nato più o meno
nel 1960, quindi in piena epoca da olio di pesce. E allora la nonnina glielo
propinava, perché io Death Mask da bambino me lo
immagino tutto pelle e ossa.
7- Perdonate la digressione.
8- Ci tengo a rivalutare un po' Yggdrasil. Nella mitologia norrena non è per niente
malvagio, è un albero che fa da pilastro al cosmo e che regge tra i suoi rami
tutti i regni. Ora non mi fate attaccare a parlare dei nove regni perché ve ne
pentireste.
Grazie per aver finito anche
questo capitolo.
Makoto