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Autore: iloveryuga    28/05/2016    4 recensioni
Prendete una ragazza povera e con un passato difficile alle spalle, catapultatela a New York e fatela incontrare con l'uomo più ricco e avvenente della città. I due avranno un bizzarro colloquio di lavoro, che farà rendere conto entrambi di quanto siano in realtà vicini e lontani allo stesso tempo...
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Gliel’aveva domandato davvero. Le aveva testè richiesto di poterla scortare a casa. 

Non poteva crederci assolutamente, le pareva impossibile. L’imbarazzo e l’esaltazione si davano strenua battaglia dentro di lei, capitolando in tortuose spire che le stringevano il petto in una morsa d’acciaio, accelerando i battiti cardiaci in maniera esponenziale. Cosa sarebbe accaduto quella sera? Quando il sole sarebbe calato, quale comportamento il suo animo le avrebbe suggerito? SI portò le mani al petto, auscultando il suo cuore cavalcare imbizzarrito lungo le vie della perdizione, sporgendosi verso un oscuro baratro di desiderio e… No, non dirlo.

In vero, Lila temeva moltissimo il sentimento che la scuoteva nel profondo, ne era atterrita; la voglia martellante di avere risposte, il continuo e incessante sospirare, lo stomaco in subbuglio… Questo insieme di sensazioni stordivano come il sì dolce aroma dei biscotti al cioccolato appena infornati e lasciava sospesi in uno stato catatonico. In effetti non si era mai trovata in una simile situazione, non aveva la benchè minima idea di cosa fosse e come si gestisse il parapiglia che aveva nel cervello e nel petto. La cosa certa, però, era che doveva darsi un contegno, soprattutto considerando che, da circa due minuti buoni, era immobile come una statua davanti a lui, con un sorrisetto sognante stampato in volto e i muscoli tesi come corde di violino.

Ryuga, dal canto suo, continuava a fissarla negli occhi, con espressione inebetita. La realtà dei fatti era che lui non conosceva minimamente gli affanni che lo confondevano, perciò non immaginava come avrebbe potuto agire una volta arrivato a casa della sua segretaria personale. Sicuramente non avrebbe perpetrato azioni perverse o maliziose, no, non erano questi i suoi intenti, anche se, con quel fondoschiena… Ma cosa andava a pensare?! Lei era una sua dipendente, ed era di molto più piccola! Rimproverarsi servì a ben poco, il solo pensiero di Lila esibita in pose assai poco caste, bastò a procurargli un’erezione considerevole, che iniziò a spingere sul cavallo dei suoi pantaloni gessati, firmati Dolce & Gabbana. Si maledisse mille volte mentalmente e si voltò immediatamente, schiarendosi la voce.

Anche parlare risultò un’ardua impresa, date le condizioni psicofisiche, ma si sforzò di mascherare la voce roca e ingolata:”Allora a dopo, buon lavoro” Senza aggiungere altro, prese il passo e si avviò verso il suo ufficio, lasciandola alquanto confusa e spaesata. Fantastico, ora ti eccitano le ragazzine, pervertito! La sua vocina interiore, tanto saggia quanto impietosa, continuava ad insultarlo con fervore, probabilmente se fosse stata reale l’avrebbe anche preso a calci. In fondo, non aveva tutti i torti, certi tipi di fantasie non avrebbero dovuto minimamente sfiorare la sua sfera sentimentale, e invece addirittura gli procurava eccitazione! Era terribilmente attratto da quella ragazzina dannatamente sensibile ed innocente, ma proprio per questo non poteva permettersi di sciupare quella bellezza quasi eterea, evanescente perfino. Autocontrollo, Ryuga, autocontrollo, devi soltanto accompagnarla a casa, reprimi gli istinti! Solo quando si fu definitivamente chiuso la porta dell’ufficio alle spalle si sentì al sicuro, protetto dall’incantesimo di quella piccola streghetta imbranata.

Lila era ancora bloccata nella stessa posizione. L’aveva davvero lasciata così, senza dire una parola?! Un secondo prima era stato gentile e conciliante, ed ora se ne andava senza far gesti, oltretutto dopo aver avuto l’ardire di farle una richiesta come quella di pochi attimi prima?! Gettò gli occhi al cielo, sospirando pesantemente, chi lo capiva era davvero bravo, chissà cosa diamine gli passava per la mente! A volte desiderava ardentemente essere un neurone appartenente al suo albino capo, solo per viaggiare liberamente nella sua testa e, magari, mettere anche un po’ d’ordine. Chissà quanta polvere, là dentro. A non usarlo mai il cervello si formano un sacco di ragnatele. Tentò di scacciare questi pensieri con movimenti repentini delle mani, frattanto che tornava alla sua fidata scrivania, evitando di interrogarsi ulteriormente sul contenuto della scatola cranica di Ryuga. Prese l’agenda rossa, sistemata aperta proprio davanti a lei, per poi alzare lo sguardo sull’orologio da muro nero con quadrante argentato appeso alla parete di rimpetto. Ogni singolo ticchettare di quel compagno freddo e incurante le procurava una piccola tachicardia, costringendola a mordersi il labbro per non contorcersi sulla sedia. Ogni battito mancato era un’agonia tremenda, un tonfo sordo nel profondo del suo esile petto. Per lei fu impossibile non cominciare a contare i secondi che la separavano dalla fine del turno lavorativo. Si prospettava una lunga ed estenuante giornata…

 

Quando, finalmente, l’orologio rintoccò le sei precise, Lila trasalì, e il suo povero cuoricino, ormai esausto, ebbe l’ennesimo sussulto, balzandole nel petto come una molla. Ormai era avvezza a questi movimenti inconsulti del principale muscolo involontario, si era comportato in modo analogo allo scoccare di ogni ora precedente questa, non c’era da stupirsi. Dopo alcuni istanti, che a Lila sembrarono un’eternità, finalmente la ragazza tirò il fiato e riprese a respirare regolarmente, con l’organo cardiaco che pompava diligentemente sangue alle gote, frattanto che il cervello si sbizzarriva, ancora una volta, in curiosi voli pindarici, figurandosi tutte le possibilità esistenti riguardo a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Fissò la porta dell’ufficio del suo capo, con occhi che tradivano ansia e anche una considerevole dose di aspettativa. Perché ancora non esce?

Strinse fra i denti il labbro inferiore, torturandolo con gli incisivi, mentre la folle paura che lui si fosse dimenticato serpeggiava crudele nella sua mente. Per non spellarsi le mani, riempiendole ancora una volta delle pellicine che aveva gettato circa due ore prima nel tentativo di rassettare la sua postazione, prese ad impilare ordinatamente i fogli compilati, cercando di far combaciare alla perfezione sia i bordi che gli angoli delle pagine, estraniandosi così da ciò che le accadeva intorno. Aveva lavorato duramente per tutta la giornata, senza concedersi neppure un minuto di riposo (aveva perfino saltato la pausa pranzo, rifocillandosi con un solo pacchetto di Oreo che aveva portato da casa), solo per vedere Ryuga soddisfatto, quel giorno più che mai.

Finalmente la porta si spalancò, e ne uscì l’albino, ostentando una certa fretta. Prese subito la giacca dall’attaccapanni, senza voltarsi e senza considerare che Lila si apprestò immediatamente per aiutarlo ad infilarla. Erano entrambi imbarazzati e tesi, si percepiva nell’aria attorno a loro, l’elettricità statica era quasi palpabile. Ma lui sapeva bene di avere sulle spalle l’incombenza della prima mossa. Chissà, magari non si è fatta strane idee, mantieni la calma. In ogni caso, bisognava smuovere la situazione, di per sé congelata; si girò lentamente, per ritardare l’inevitabile, e sforzò i lineamenti del viso per assumere un’espressione gaudente, con tanto di sorriso simil-rassicurante a incurvargli le labbra:”Se lei è pronta, possiamo andare”  Eccola lì l’espressione galeotta, quella in grado di scioglierla come burro al sole: se lui si fosse sempre mostrato in quel modo, di sicuro lei avrebbe obbedito a qualunque suo comando, senza porsi nemmeno un quesito. Con le guance imporporate che tendevano al viola, alzò gli occhi e li posò su di lui, incerta sulla risposta:”D’accordo… Prendo la giacca e sono da lei” Serrò gli incisivi su una piccola ed innocente pellicina appartenente al labbro inferiore, era chiaro che si stava prodigando in un imbarazzato tentativo di prendere tempo, e questo all’occhio di sparviero dell’albino non sfuggì. Ok, è carica di aspettative, cazzo. Doveva rassicurarla, ovviamente, tra i due era lui l’uomo, doveva appartenere a lui la capacità di fornire sicurezze, appigli fermi ai quali fare riferimento. Come se fosse facile. Si grattò freneticamente la testa, pervasa di un prurito anomalo, e la raggiunse, aiutandola a sua volta ad indossare il giacchino, evitando accuratamente di toccarla per non peggiorare la situazione. Sì, ce la posso fare.

Le stava lasciando tempo, era evidente, e per questo gli era estremamente grata. In effetti ne aveva proprio bisogno, non essendo avvezza a simili questioni, necessitava anche lei di ambientarsi, di imparare ad orientarsi nel nuovo mondo che si stendeva immenso davanti a lei. Sorrise nell’avvertire sulla pelle il tocco leggero e sfuggevole delle sue mani, era una sensazione così piacevole da desiderare che non finisse mai. Si voltò e lo guardò in viso:”Andiamo” Vedendola più serena e distesa, anche lui si rilassò, e ricambiò il sorriso gentile che gli stava rivolgendo:”Prego, dopo di lei” Aprì un braccio in direzione dell’ascensore, invitandola a precederlo, come un vero gentleman dovrebbe fare. Subito lei accolse il suggerimento, e si avviò, per poi premere il bottone di richiamo dell’ascensore, aspettandone l’arrivo con lui al fianco. Anche la discesa verso l’uscita fu un momento di altissima tensione per i due, i quali si rivolsero saltuari e fugaci sguardi, ma nulla di più, forse per timore di dissipare il buon umore che ormai li aveva avvolti, oppure, semplicemente perché a nessuno dei due veniva in mente un argomento abbastanza valido da intavolarci una conversazione che durasse più di tre secondi. Non appena le porte si spalancarono sull’atrio, entrambi avvertirono un grande senso di sollievo, per non parlare poi di quando furono finalmente fuori dall’edificio, le cui pareti parevano diventate quasi opprimenti.   Lila non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere la vettura del suo capo, poiché era l’unica Lamborghini Gallardo, rigorosamente bianca, parcheggiata nel raggio di isolati, con tanto di lacchè pronto ad aprire le portiere per far entrare entrambi. La diciottenne accettò quel gesto rivoltole con gentilezza e rispose con un cenno di ringraziamento. Perfino mettere piede in quella rappresentazione pura del lusso le risultò faticoso, e i suoi movimenti furono impacciati e sbrigativi. Non aveva mai visto una Lamborghini da vicino, e nemmeno immaginava che avrebbe avuto l’incredibile fortuna di potercisi sedere un giorno. Ma ora, la morbidezza sopraffina dei sedili in pelle la rendevano consapevole di non trovarsi in un sogno: era davvero accomodata nella splendida auto del suo altrettanto degno di nota capo. Beh, è nel suo stile, non gli si addicono le cose semplici. A quel pensiero le scappò un sorriso divertito, è proprio vero che la natura delle persone si rispecchia in ogni singola cosa che appartiene a quelle persone stesse.

Queste remunerazioni degne di nota vennero bruscamente interrotte dal posizionarsi deciso di Ryuga nel sedile del guidatore. In quel momento, Lila non riuscì a trattenere una risatina, che subito confuse l’albino. La fissò con aria indagatrice, inarcando un sopracciglio:”Che c’è da ridere?” Le domandò, accompagnando quella richiesta con una smorfia, alla quale lei rispose con un sorriso innocente e due occhi grandi come pozzanghere:”Niente, è che… Vedendo tutto questo, ho pensato lei avesse l’autista” Strinse le labbra per trattenere una nuova risata nascente, ma non smise di guardarlo con aria divertita e sbarazzina, ottenendo in cambio un mezzo sorriso sghembo:”No, mi fido soltanto della mia guida, non metterei mai la mia vita in mano d’altri. Tsk, e poi, se avessi l’autista, sarei costretto a licenziarne uno ogni giorno per i graffi. Ha idea di quanto sia difficile fare un parcheggio decente a New York, senza portare la macchina dal carrozziere un giorno sì e uno anche per rifare le fiancate?” Mentre sciorinava questa lunghissima carrellata di buone e valide ragioni per non assumere un guidatore, accese il motore e fece manovra, uscendo dal budello nel quale era costretta l’autovettura, schiacciata fra una Range Rover e una Kia Sorrento, e si infilò abilmente nel fitto traffico della Grande Mela, non senza proferire qualche colorita imprecazione rivolta ora a questo ora a quello.

Il viaggio fu veramente piacevole, chiacchierarono del più e del meno con animo leggero, fluttuante, lasciandosi andare a risate e scherzi vivaci, piccole ma dolci cose che, sul lavoro, raramente si concedevano. L’ultimo dibattito riguardava quei tipi di guidatori imbranati, il più delle volte neopatentati, che, per imparare a gestire un’automobile, cominciavano dall’autostrada, ricevendo dagli altri bestemmie di vario genere. Lila rise:”Sa che non ci avevo mai fatto caso? Io non ho mai guidato, l’ha sempre fatto mio padre, per accompagnarmi ovunque. Ma forse dovrei prenderla anch’io la patente… Ma non avrei comunque i soldi per una vettura decente” Sospirò a quel pensiero, e scrollò le spalle. Ryuga la guardò mentre inseriva la terza:”Sono convinto che riuscirà a mettere via i soldi per comprarsene una. Che auto le piacerebbe?” Le chiese innocentemente, ottenendo una risposta piuttosto sprovveduta:”Mah, non saprei… Non sono molto ferrata, quello esperto era mio zio, il padre di mia cugina. Lui sì che se ne intende, lui e mio padre discutevano sempre su quale marca fosse la migliore, ma io e Julie non ci capivamo mai nulla” Quel ricordo la fece sorridere teneramente, evocando immagini tanto piacevoli quanto lontane. Ryuga la fissò con aria afflitta, notando nella sua espressione un non so che di nostalgico e malinconico:”Com’è la sua famiglia? Le manca?” A quella domanda, Lila trasalì, non aveva nessuna intenzione di rivangare un passato che da tempo la tormentava e dal quale era riuscita a fuggire per miracolo. Abbassò lo sguardo sulle dita, intrecciate in grembo, e cercò di essere quanto più evasiva potesse, nella speranza che lui avrebbe compreso:”Non c’è molto da dire sulla mia famiglia…” Immediatamente Ryuga capì, e la sua espressione mutò in cupa e greve, frattanto che soppesava attentamente le sue parole. Era palese che quello non era uno degli argomenti prediletti dalla ragazza, per non dire che odiava battere quel chiodo. Probabilmente il dolore nel raccontare era tanto da farla piangere, si disse l’albino, la sua doveva essere una situazione davvero grave e opprimente. Ecco un’altra cosa che li accomunava e li avvicinava. Senza dubbio avrebbe voluto domandarle per quale motivo avesse vergogna o remore nel parlare di lei e dei suoi parenti, ma preferì tacere e non punzecchiarla oltre, non era giusto invadere la sua privacy, sopratutto in ambiti così delicati, in più non erano certo abbastanza intimi da affrontare discorsi così personali. Da quando sei così sensibile? 

Già, da quando? Da quando, in vero, aveva iniziato a conoscerla meglio, ad assimilare i suoi comportamenti e intenderli, abbastanza da sapere cosa dire in quasi ogni situazione. Non sapeva se questo fosse un bene o un male, ma di sicuro instaurare una sorta di rapporto con lei, lo stava aiutando a comprendere meglio anche sè stesso, parti di lui che non rimembrava stavano cominciando a tornare a galla, come piccoli isolotti che affiorano nell’oceano. Alcune emozioni, da tempo dimenticate, come la tensione dell’attesa e la gioia, spuntavano qua e là, saltuariamente, e colmavano il vuoto della logorante monotonia giornaliera che Ryuga soleva conoscere molto bene. Dopo lunghi istanti, annuì mollemente, valutando con cura la risposta da darle:”Capisco. Anche sulla mia non saprei che dirle” Calò un silenzio di roccia fra di loro, eppure Lila, dopo quell’affermazione che risultò stranamente rassicurante alle sue orecchie, lo sentì più vicino che mai. Da quella frase, traspariva una realtà affine, se non peggiore, a quella che lei stessa aveva vissuto. Quel pensiero, per certo, non la confortava, neppure la rallegrava, ma sapere di condividere una parte così privata di sè con il suo unico punto di riferimento in quella città che pareva sconfinata, le poneva nel cuore un senso di sollievo. Lo guardò, un velo di tristezza ad adombrarle gli occhi color nocciola, e mise la mano sinistra su quella con la quale lui stringeva la leva delle marce. Con quel gesto, la ragazza sperava di riuscire a smorzare un po’ la tensione che si stava facendo opprimente nell’abitacolo, e per fortuna Ryuga accolse la sua richiesta, sorridendole nel suo modo sghembo:”Da qui in poi mi deve indicare la strada, io non la so”                                                                                                                                              

Non era esattamente una frase rincuorante, ma almeno era riuscito a virare il discorso, indirizzandolo su un altro argomento. Intuendo la sua volontà di ignorare la conversazione precedente, la diciottenne ricambiò il sorriso ed assentì col capo:”D’accordo, ma mi deve promettere che non farà commenti…” L’albino scrollò le spalle con noncuranza, per tranquillizzarla e non caricarla di aspettative:”Stia tranquilla, ho visto di tutto nella mia vita”

Quando ormai erano quasi arrivati, il cellulare di Lila vibrò nella sua borsetta, provocandole un sussulto. Dannato coso, non puoi avvisare prima di giocare ad impersonare un vibratore?! Quello era più un pensiero da Julie, che da Lila, ma quando ci vuole ci vuole! Frugò nel borsello alla ricerca spasmodica dell’oggetto costosissimo, regalatole da Ryuga il giorno prima, esultando mentalmente quando finalmente riuscì ad estrarlo. Sullo schermo bloccato apparve l’icona di un messaggio, era sua cugina. Entrò nella home e lo lesse con ansia:

“Ho trovato un hotel che mi fa un buon prezzo, stanotte dormirò lì. Tu intanto parla con la vecchia befana per l’appartamento. Baci ;D”

Giunta all’ultima parola, Lila sorrise sollevata, felice nel sapere sistemata anche la sua adorata cuginetta. Ryuga voltò il viso per capire quale fosse la fonte delle vibrazioni appena udite, e vedendola con l’Iphone in mano rimase piacevolmente stupito, aveva accettato il suo regalo e senza avanzare rimostranze o proteste! Non era certo cosa da trascurare, mmh, facciamo progressi. Nonostante tutto, però, gli fece strano non sentire come la pensasse su quel dono così opulento nella sua sottigliezza, così pensò di attaccare una nuova dissertazione:”Le piace?” Solo dopo qualche istante, e dopo aver risposto a Julie, Lila realizzò che le stava domandando a proposito del telefono, e sorrise:”Bellissimo, io non me lo sarei mai comprata un oggetto così costoso” Lo rigirò per qualche secondo fra le mani, per poi alzare il viso per osservare la strada. Puntò il dito davanti a sè, indicando la fiancata del palazzo grigio e incrostato in fondo all’isolato. Gli fece segno di parcheggiare:”Ecco, si fermi qua, accanto al condominio. Siamo arrivati” Ryuga si sporse dal finestrino, per contemplare, con aria a metà tra lo sconcertato e il deluso, lo squallore che trasudava da ogni marciapiede di quel quartiere così povero e malfamato. Il ciarpame era ovunque, occupava ogni vicolo, così come i barboni che si riscaldavano al fuoco scoppiettante acceso in un bidone. L’albino trattenne un sospiro, poiché le aveva testè  promesso di non commentare quanto avrebbe visto, e lui era un uomo di parola. Tuttavia non si capacitava di come potessero ancora esistere e perdurare zone della città così sudicie e abbandonate, dove gli sciagurati derelitti che le abitavano, probabilmente, non avevano nemmeno il sostentamento giornaliero. Senza rimuginare oltre, o si sarebbe depresso, accostò l’auto dove gli era stato indicato, attirando sulla Lamborghini gli sguardi curiosi ed inquisitori della gente là attorno. Si sforzò di non fissarli e, per riuscirci, puntò le iridi color dell’oro su Lila:”Eccoci qua” 

Entrambi tacquero, chiudendosi in un mutismo solenne. Ora si trattava di compiere o non compiere il passo successivo, quello finale, decisivo. Di certo Ryuga non avrebbe proferito parola, era lei la padrona di casa, non poteva autoinvitarsi di sopra, lo avrebbe preso per un maniaco! Ed era l’ultima cosa che voleva, in quel momento. Lila, dal canto suo, nella sua mente, stava maturando l’idea di aprire la portiera e scappare a gambe levate, seguendo il ritmo imbizzarrito del suo muscolo cardiaco, che martellava nel petto e pompava sangue alle gote, rendendole di un color porpora acceso, e bollenti come carboni ardenti. Tuttavia, ragionò, quella sarebbe stata quasi certamente la sua unica occasione per avere un contatto più intimo e privato col suo avvenente capo. Si schiarì la voce e prese una decisione definitiva: o la andava o la spaccava. Senza guardarlo, ma fissando a terra per la troppa vergogna, sussurrò con voce tremolante:”Se viene un attimo di sopra le faccio un caffè, per ringraziarla del passaggio… E del telefono” Prese a spellarsi furiosamente le mani, in attesa della fatidica risposta. Il momento della verità era ormai giunto. Ryuga rimase attonito, fissandola con espressione enigmatica, valutando attentamente ogni sua movenza. La risposta era talmente palese che chiunque avrebbe potuto dedurla senza alcuna difficoltà, credeva davvero che le avrebbe mai detto di no? E’ così carina quando è imbarazzata.  Doveva decisamente dare un taglio a quei suoi vaneggiamenti erotici, ma a seguito di quella richiesta era quasi inevitabile che il suo subconscio volteggiasse in vezzosi e oziosi voli pindarici. Fortunatamente riuscì ad imbrigliare sapientemente la sua eccitazione, ricacciando indietro una poderosa erezione, che sarebbe stata ben visibile agli occhi di tutti. E di Lila. Anche lui provò a darsi un tono:”Accetto volentieri, ci vuole dopo una giornata come questa” Il cuore di Lila per poco non balzò fuori dal petto, non ci poteva credere. Fa un caldo, qui dentro! Si precipitò immediatante fuori dalla vettura, per prendere una boccata d’aria e prevenire un mancamento. Ryuga la seguì a ruota, chiudendo a chiave l’auto, e la fissò preoccupato:”Tutto bene?” Subito la ragazza si riscosse, oddio che figura! Riprenditi, forza! Gli sorrise, sforzandosi oltre ogni dire di essere rassicurante:”Benissimo, grazie”

Clack, pock, clack, pock. Fu questo a destare definitivamente Lila dal suo stato catatonico. Sapeva benissimo che cosa fosse quell’alternarsi di tonfi e ticchettii, e ne ebbe la conferma quando si voltò in direzione dei fastidiosissimi rumori. La signora Svetlana, coi soliti capelli grigi buttati alla rinfusa su quel tappeto di rughe, la schiena piegata in avanti e la mano che stringeva saldamente il bastone, veniva avanti verso il condominio di sua proprietà, e in cui Lila era affittuaria. Come già detto, tra le due non correva buon sangue, sia perché Lila era indietro con i pagamenti, sia per il rifiuto netto rifilato dalla ragazza al nipote della vegliarda. Era incredibile come quella cariatide potesse avere un piglio degno di una zitella trentenne, pettegola e acida, insopportabile e sempre con la risposta pronta. Il solo fatto di doverle chiedere un favore stava procurando conati di vomito alla povera Lila, già in preda ad un panico esistenziale. Prese un respiro profondo e diede fondo a tutta la sua concentrazione, per sfoggiare il suo miglior sorriso di circostanza. Si voltò verso Ryuga e gli disse:”Aspetti un minuto” E si lanciò in una corsetta affannosa, nel tentativo di raggiungere la vecchia prima che questa entrasse nel palazzo, cosicché la portiera, altrettanto zabetta, avrebbe udito tutta la discussione.                                                                   

Ryuga ammutolì, senza capire cosa stava accadendo, ma rimase a fissare la scena per cercare di scoprirne di più. Lila chiamò la signora quando ancora era in fondo alla strada, per arrestare il suo incedere irritante e pericolosamente spedito:”Signora Svetlana!” Ovviamente questa la ignorò totalmente, facendo finta di niente, e Lila fu costretta ad accelerare per raggiungerla:”Signora Svetlana, buonasera” Soffiò, piegata sulle ginocchia, col fiatone. Svetlana posò su di lei il solito sguardo schifato e contrariato:”Come ti sei conciata? Lo dicevo io, che per vivere avresti fatto la battona, era l’unica strada adatta a te” In tutti quegli anni di vissuto negli Stati Uniti, l’accento tipicamente russo si era smorzato di parecchio, ma ve ne erano ancora alcune tracce nella cadenza. Lila fece appello a tutta la sua pazienza per ignorare l’insulto bello e buono appena rivoltole, e contò fino a diecimila, prima di controbattere:”No, signora, ora sono segretaria in un’azienda molto famosa. Ma non sono qui per parlare di questo, avrei bisogno di un fav…” La vecchia non le lasciò nemmeno il tempo di terminare il periodo fraseologico, che riprese a muoversi in direzione della costruzione:”Scordatelo, non avrai alcuno sconto da me! Se non ti sta bene il prezzo, cambia alloggio!” Le strillò addosso con voce rauca, e Lila fu costretta a seguirla come un cane, sconsolata:”Signora, aspetti, non sa cosa voglio chiederle!”    In tutto questo, Ryuga non era riuscito a sentire una sola parola di quella discussione, ma aveva compreso diverse cose, la prima: Lila era in posizione di svantaggio rispetto a quell’ammasso indefinito di rughe. La seconda: a Lila serviva qualcosa che quella tizia, tutt’altro che amichevole, non voleva concederle. La terza: quel personaggio, che già gli stava potentemente sulle palle, stava insultando la sua Lila. La sua Lila. Poteva permetterlo? Ma no, di certo! Da bravo cavaliere senza macchia e senza paura, doveva accorrere in aiuto della sua gentil donzella, per salvarla dai felloni che le arrecavano fastidi. O qualcosa del genere. Con passo sicuro e spedito si avviò all’entrata del condominio, dove pochi istanti prima erano sparite le due litiganti.  Lila chiamò ancora, piagnucolando, la sua padrona di casa, nel vano tentativo di ottenere udienza da vostra altezza illustrissima:”Signora, la prego, almeno mi faccia finire la frase!” Con uno scatto felino, Svetlana si voltò, puntandole contro il bastone d’acero:”Tu sei solo una piantagrane, non ti farei un favore anche se tu fossi l’ultima persona sulla terra!” Ryuga varcò la soglia proprio in quell’istante, corrucciandosi e aggrottando le sopracciglia canute:”Che succede qui?” Domandò a voce alta, sovrastando le grida della vecchia, che lo squadrò con sufficienza:”E tu chi saresti, bellimbusto?” Lila lo guardò confusa, non sapendo cosa lui avesse intenzione di fare, e l’albino assunse l’espressione più spavalda del suo repertorio:”Io sono Ryuga Kishatu, proprietario della Kishatu Holdings Inc. Ne ha mai sentito parlare? Sa, stavo giusto constatando, che questo edificio non è a norma! Sarò costretto a chiamare il mio avvocato ed a consigliargli di demolirlo. Potrei farci un bel centro commerciale” Estrasse il cellulare dal taschino della giacca, firmata Dolce & Gabbana, e fece per comporre un numero. Immediatamente la vecchia compì una virata di opinione incredibile, agitando le mani davanti al viso:”No, no, no no, la prego, non lo faccia!” Ryuga alzò un sopracciglio e la guardò di sbieco, le dita ancora sul telefono, e rispose:”Non lo  farò SE lei concede a Lila quello di cui lei ha bisogno” Furiosa ma messa alle strette, la vegliarda si vide costretta ad accettare le condizioni, dato che l’affitto di questo e degli altri palazzi di sua proprietà erano la sua principale fonte di reddito, dopo la pensione. Guardò Lila, i due occhietti ancora vispi che la incenerivano:”Cosa vuoi?” La ragazza, nonostante avesse trionfato su quella serpe dai capelli grigi, non se la sentì di ostentare lo stesso atteggiamento di Ryuga, perciò preferì mantenere un profilo basso e rispettoso:”Mi servirebbe che lei affittasse il bilocale accanto al mio appartamento, quello in cui prima abitava Joshua, a mia cugina” Vedendo l’espressione fumantina e sull’orlo di una crisi di nervi della vecchia, si affrettò a specificare:”Non per sempre, naturalmente, solo finché non riuscirà a comprare un locale tutto suo. La prego” Chiusa all’angolo dallo sguardo dorato di Ryuga che minacciava morte, Svetlana assentì con un grugnito, ottenendo dalla diciottenne ringraziamenti profusi.                                        Senza rimanere un secondo di più, la padrona di casa si ritirò nella prima abitazione al pian terreno, sbattendo la porta. Non trattenendosi più, e non riuscendo a controllare la gioia, Lila si voltò e gettò le braccia al collo del suo principe azzurro, ottenendo in risposta una risata bassa e gutturale:”Grazie, grazie, grazie!” Trillò, stringendosi forte a lui, mentre l’albino si godeva nuovamente la sensazione dei loro corpi intrecciati in un abbraccio di fuoco:”Di nulla, è stato un piacere” Dopo poco la ragazza si allontanò e lo prese per mano, portandolo su per le scale fino alla porta di casa sua. Rovistò nella borsetta, come sempre, alla febbrile ricerca delle chiavi, ancora non si capacitava di come riuscisse a perdere gli oggetti in un contenitore di spazio così esiguo, ma questa era una delle domande alla quale non avrebbe mai trovato risposta. Quando trovò, finalmente, il tesoro perduto, si affrettò ad aprire la serratura ed a lasciarlo entrare:”Prego, non faccia caso al disordine, non aspettavo visite” Ridacchiò, come sempre quando era nervosa.

Diamine, è davvero piccolo. Ryuga si levò le scarpe per non sporcarle il pavimento, e posò lo sguardo ovunque, sopratutto sugli angoli delle pareti tutti appiccicosi di muffa e umido. L’arredamento era davvero spoglio, constatò, solo il minimo indispensabile per vivere, e nemmeno.  Lila, intanto, lo aveva preceduto in tutta fretta, mettendosi ai fornelli per preparargli il caffè che gli aveva proposto poco prima. Sperò vivamente di non combinare pasticci, come suo solito, non poteva permettersi di rovinare una serata così per la sua solita sbadataggine. Vedendola nervosa e sul chi va là, l’albino le pose una mano sulla spalla:”Faccia con calma, non c’è fretta” Disse con voce dolce e quasi melliflua, ottenendo in cambio un sorriso altrettanto zuccheroso:”Non si preoccupi, si accomodi pure al tavolo, io faccio in un attimo” A quel punto, Ryuga annuì una volta col capo e andò a posizionarsi dove gli era stato suggerito.              Dopo altri sguardi indagatori, finalmente il trentacinquenne si decise a dire qualche cosa a proposito della casa:”E’ carina, l’ha sistemata bene” Fu il primo complimento che gli venne alla mente, in realtà era pessima, ma non poteva certo dirle la verità, già tanto che era riuscita a trovare una cosa del genere data la sua situazione. La ragazza continuò ad armeggiare ai fornelli finché approntò la bevanda alla caffeina, e riuscì a rispondergli mentre la versava accuratamente nella tazzina:”Oh, beh, grazie. Non è granché, lo so, ma è il migliore che ho trovato, ed è abbastanza economico” Dal suo tono e dall’inflessione della sua voce traspariva un certo imbarazzo, come se si sentisse in difetto per averlo ospitato in un ambiente così modesto. Gli posò davanti il liquido color marrone scuro, bollente e fumante, e si sedette di fronte a lui. Ryuga ne prese un paio di sorsi, per poi sorriderle nel modo più dolce che conosceva:”Grazie, è buono” Lila sorrise di rimando, e lo fissò, colma di riconoscenza:”Dovrei essere io a ringraziare lei, sta facendo tantissimo per me, nonostante ci conosciamo da poco” Verso le ultime parole, abbassò lo sguardo con aria sottomessa, come sempre quando parlava con lui. Addirittura, lei credeva che non sarebbe mai riuscita a reggere per tutta la durata di una dissertazione gli occhi di lui, erano penetranti, sembravano scavarti nel profondo, rapivano tutte le emozioni che non venivano espresse a voce, e questo era un fattore micidiale, che la poneva in netto svantaggio rispetto a lui, sempre così distaccato e celato dietro una barriera alta kilometri, niente di lui era percepibile in modo cristallino, perfino le sue iridi ambrate occultavano sapientemente qualcosa di inarrivabile, concetti e sensazioni ai quali Lila non sarebbe mai arrivata, senza il suo aiuto.                                   

Ryuga la fissò a lungo, senza capire il motivo di tutta quella incertezza improvvisa, per poi risponderle con fare sicuro:”Perchè non dovrei? Lei ha bisogno di aiuto, di un punto di riferimento, non vedo per quale motivo non posso essere io” Quella frase arrivò come una stoccata al cervello di Lila, che andò in totale parapiglia. Vedendola tentennare ed esitare, l’ego di Ryuga prese a saltellare dentro di lui, in preda all’esaltazione, ah! Per una volta non ha la risposta pronta. Per non fargli avere la soddisfazione di vederla tacere e ostentare così il possesso dell’ultima parola, la ragazza si sforzò in modo disumano per trovare qualcosa da ribattere:”Perchè, ecco, perché lei è…” Niente, vuoto completo, non le veniva nulla in mente. Convinto del fatto che, per una volta, fosse riuscito a chiuderla in un angolo, l’albino si sporse in avanti, con un ghigno beffardo ad increspargli le labbra:”Io sono…?” Non posso lasciarlo vincere, dannato, guardalo, si diverte come un bambino a natale. Lila, presa dal fastidio di star inevitabilmente perdendo uno a zero, alzò lo sguardo, riempie le guance e incrociò le braccia al petto:”Perchè lei è arrogante e borioso, ecco!” Esclamò con voce stridula. Tutto rimase immobile per qualche istante, e il trentacinquenne sbatté alcune volte le palpebre, incredulo. Tuttavia, la visione di lei, imbronciata come una bimba, prese il sopravvento sulla leggera seccatura provocata dagli “insulti” appena rivoltogli, e scoppiò in una fragorosa risata, un riso profondo e gutturale, sempre piuttosto controllato ma liberatorio. La visione di lui così bastò per farle passare immediatamente il malumore, e si unì a lui nel giubilo, mentre quell’appartamento, freddo e immobile, assumeva contorni più rassicuranti e allegri.

 

Chiacchierarono tutta la sera, del più e del meno, con cuore e anima leggeri e fluttuanti. Nessuno dei due pensò ai rispettivi problemi per tutta la serata, cercando piuttosto di rimanere sereni per il maggior tempo possibile. D’un tratto, dopo l’ennesima discussione su un argomento futile quale la politica, Ryuga si fece serio e posato, le sopracciglia aggrottate:”Lila, a parte tutto, io ci sono sempre per lei. Di qualunque cosa abbia bisogno, le basterà chiedere” Rimasero per qualche istante in silenzio, mentre entrambi valutarono come proseguire il discorso appena intavolato, ma l’albino fu più lesto, e intercettò i pensieri di lei:”Non si preoccupi, non sta approfittando della mia gentilezza, se io gliela offro significa che voglio farlo” La rassicurò con tono più leggero e benevolo, frattanto che un sorriso tenero e imbarazzato arricciava le labbra di Lila, la quale rispose un “grazie” appena sussurrato, timido. In quel preciso momento, un pensiero attraversò la mente di Lila: non aveva nulla di materiale da richiedergli, dato tutto quello che lui le aveva regalato e lo stipendio considerevole che le forniva giornalmente, ma una cosa per sua cugina avrebbe potuto farla. Vediamo se poi rifiuta questo piccolo aiuto. Alzò lo sguardo e lo posò su di lui:”In effetti una cosa ci sarebbe…” Ryuga sorrise alla sua maniera, ma fu felice che lei avesse accolto di buon grado la sua richiesta, sta diventando tutto fin troppo facile. Non sapeva perché, ma aiutare quella ragazzina lo faceva sentire terribilmente bene, appagato, in pace con sè stesso. Era una cosa che gli veniva spontanea, non appena lei aveva bisogno, non riusciva a fare a meno di correre in suo soccorso. Non gli era mai accaduta una cosa simile, con alcuno, eppure adesso avvertiva come una sorta di dovere morale, un compito da assolvere. Forse si stava sbagliando a fidarsi a quel modo, viste tutte le batoste che aveva incassato nel corso della sua vita, nonostante ciò la voglia di prodigarsi per lei non si affievoliva, l’anelito di vederla sorridere era sempre più ossessionante nella sua testa. L’unica cosa che gli premeva, nell’ultimo periodo, era la sua felicità e la sua soltanto, un tarlo fisso che non lo aveva più abbandonato da quando lei aveva messo piede nel suo ufficio, vestita con i primi stracci trovati nell’armadio e i capelli arruffati dalla corsa. Annuì velocemente, attendendo con ansia che lei continuasse la frase:”Mi dica, la ascolto” La incitò, aiutandosi anche con un gesto esortativo della mano. Lei sperò con tutto il cuore che avrebbe potuto aiutarla anche in quello che andava domandandogli, e fu incerta nel parlare:”Ci sarebbe… Una persona, che lavora da lei, ne sono sicura. Se vuole gliela descrivo. Avrei bisogno che mi dicesse in che reparto è situato e il suo nome” Assunse un’espressione da cane bastonato, con tanto di occhioni da cerbiatta correlati:”Per favore” L’albino soppesò la sua richiesta, sì, posso farlo, ma perché me lo chiede? Storse il naso, credendo che lei avesse conosciuto un ragazzo e volesse saperne di più sul suo conto. Che, adesso ti metti a fare il geloso? Cerca di darti un contegno. Da quando, poi, saltava a conclusioni così dirette ed affrettate? Magari aveva solo incontrato una nuova amica e le sarebbe piaciuto rivederla, che diamine! Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, scopri di più. Fingendo di mantenere un certo distacco, assentì col capo:”Si può fare” Immediatamente Lila si fece prendere dall’eccitazione e fece per saltargli addosso e abbracciarlo, ma lui la fermò, portando una mano in avanti:”Solo, visto che dovrò invadere la privacy di un mio dipendente, vorrei sapere il motivo per il quale lei cerca questa persona” Affermò con tono sospettoso, e subito la ragazza si affrettò a rispondere:”E’ per mia cugina. Quest’oggi ha avuto un incontro con un tipo… E mi sembrava le piacesse, ecco. Sa, lei appartiene a quel genere di donne che non credono alle favole e al vero amore, vorrei dimostrarle che si sbaglia” Ryuga parve non capire, ma almeno fu sollevato nel sapere che la ricerca non riguardava lei direttamente:”Lei come sa che quei due sono fatti per stare insieme? Scusi se mi permetto” Lila scrollò velocemente le mani davanti al viso:”Oh, no, no, non si preoccupi. Comunque l’ho visto da come si sono fissati, sembrava si stessero mangiando con gli occhi” Raccontò, con aria sognante. Il trentacinquenne continuava a non comprendere i suoi discorsi melensi, e probabilmente non ci sarebbe mai riuscito. Non era abituato a simili fantasie amorose, tantomeno capiva come funzionassero certe cose e, sopratutto, come ragionasse la testolina di Lila, sempre stracolma di idee bizzarre o a lui sconosciute. Tuttavia si mostrò condiscendente e comprensivo:”Mh, d’accordo. Mi può descrivere questo individuo, per favore?” La diciottenne fece di sì col capo, e incominciò a sciorinare un elenco di caratteristiche del ragazzo misterioso, cercando di essere più dettagliata possibile. Nonostante gli avesse fornito tutte le informazioni delle quali disponeva però, Ryuga non riuscì comunque ad identificare il ricercato:”Ho tanti dipendenti che rispondono a questa descrizione, non so chi potrebbe essere” Questa affermazione fece chinare il capo a Lila, che assunse un’aria sconsolata. Vederla così gli fece piangere il cuore, e provò subito a rettificare:”Ma posso fare una ricerca più accurata domani mattina nel mio ufficio” Il morale della ragazza si risollevò immediatamente, gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte, pronunciando molti più “grazie” di quanti, probabilmente, ne avesse mai detti in vita sua. L’albino ricambiò dolcemente, avviluppandola con le sue braccia possenti e muscolose, mentre le sue mani callose e ruvide andavano a tracciare solchi immaginari sulla sua schiena minuta. Erano sistemati in una posizione assai sconveniente per entrambi, lei seduta a cavalcioni su di lui, e nessuno dei due accennava a volersi spostare o, quantomeno, a cambiare disposizione, ma anzi, si stringevano sempre di più, quasi a voler fondere i loro corpi. Il respiro di Ryuga era bollente e insistente sul collo di Lila, le provocava brividi incontrollati lungo tutta la spina dorsale. Affondò gli incisivi nel labbro inferiore per trattenere un sospiro, che premeva prepotente per fuoriuscire e liberarsi nel condotto uditivo dell’albino, il quale non era affatto indifferente alla situazione, infatti lottava con tutte le sue forze per ricacciare indietro un’erezione degna di nota, e oggi siamo a due, record. Considerato tutto, però, non poteva lasciarsi scappare un’occasione simile, e lasciò la mano libera dalle briglie, permettendole di infilarsi fra i suoi capelli castani e di tirarli leggermente, massaggiandoli con la giusta energia. A quel punto, ogni autocontrollo andò a farsi allegramente benedire, e la ragazza chiuse gli occhi, senza ostacolare più la fuoriuscita dell’aria.          

Il trentacinquenne proseguì la sua opera, e avvicinò pericolosamente le labbra all’orecchio di lei, sussurrandovi all’interno con voce arrochita:”Mi piacciono i suoi capelli, sono così morbidi” In realtà mi piace tutto di te, ti scoperei all’istante. Il chiodo fisso di lei sdraiata in un letto, con quella chioma bruna e informe sparpagliata su un morbido cuscino, la schiena inarcata sotto i suoi baci e la pelle bianca arrossata dai suoi denti lo mandò in visibilio, ma dovette contenersi e mantenere i piedi a terra.                                                                             

Le sorrise prima che lei avesse il tempo di compiere qualunque azione e, come se stesse sollevando una piuma, la mise a sedere sul tavolo, alzandosi:”Si è fatto tardi, meglio che vada” Fu la sua spiegazione lapidaria e concisa, non aveva minimamente voglia di esplicare le proprie ragioni, finendo molto probabilmente in polemica e rovinando così quella serata meravigliosa. La ragazza rimase delusa da quell’ennesima virata improvvisa, ma cercò per una volta di mettersi nei suoi panni e di comprendere per quale motivo non si spingesse mai oltre certi limiti, inoltre, pensò, un giorno avrebbero anche potuto parlarne con calma, se lui avesse voluto. Magari quando si sarebbero conosciuti meglio sarebbe stato tutto più semplice, e chissà che lui non avrebbe aperto uno spiraglio del suo cuore per lasciarla passare e capirlo maggiormente.  Sospirò, ormai rassegnata, ma allo stesso tempo sollevata di vederlo tanto interessato a lei e al suo benessere, fisico e psicologico, nemmeno mio padre si è mai preoccupato tanto. Storse il naso a questa elucubrazione, non era sicura che fosse esattamente un dato positivo quello, ma meglio considerarlo tale o le sarebbero saliti subito i cinque minuti, e non era il caso di sciupare una sì tanto piacevole serata per colpa di un troglodita maschilista che pensava solo a…:”Lila, io vado, viene a chiudere la porta?” La voce incalzante di Ryuga la riscosse dai suoi movimenti mentali ben poco cortesi, e subito la ragazza raggiunse il suo capo sull’uscio. Gli sorrise:”Ci vediamo domani, se per lei non è un problema vengo un po’ prima, così facciamo quella ricerca, di modo che, per quando arriverà mia cugina, avremo già concluso” L’albino annuì un paio di volte:”Nessun problema, la aspetto con qualche minuto d’anticipo” Ricambiò il sorriso e le fece una affettuosa carezza sul capo, scompigliandole i capelli:”Buonanotte, faccia sogni d’oro” Lila ridacchiò e gli rivolse un’espressione dolcissima, quasi da diabete:”Sogni d’oro anche a lei” Con la voce fu altrettanto melliflua, ma le venne spontaneo, quasi inevitabile data la situazione. Quando chiuse la porta a chiave, facendo scattare tre volte la serratura, emise un sospiro trasognato e si portò entrambe le mani al petto, dove il cuore cavalcava imbizzarrito ad un ritmo forsennato, quasi volesse balzare fuori dalla gabbia toracica e raggiungere Ryuga ad ampie falcate. Di sicuro, quella era stata la serata più bella della sua vita.

 

Il giorno dopo, come paventato, Lila si presentò in ufficio da Ryuga per le sette e quarantacinque minuti. L’albino aveva avviato una ricerca localizzata sul computer, spulciando per intero il database dei dipendenti, e immettendo come motore “capelli neri, occhi verdi”. Teneva una guancia poggiata sulla mano mentre, con aria annoiata, muoveva la rotellina    del mouse per scorrere tutti i risultati proposti dalla macchina. La ragazza era seduta accanto a lui che esaminava con occhio meticoloso ogni singolo ragazzo, per poi rispondere “no” a tutti. Finalmente, quando ormai tutte le speranze andavano perdendosi, la diciottenne riconobbe il soggetto incriminato. Puntò il dito contro lo schermo, indicandolo:”E’ lui!” Ryuga era talmente stufo che, per un momento, non capì di chi si trattasse; poi, però, ad un esame più attento, si riscosse:”Lui? Ma è Vito Rambed!” Lo disse come se avesse appena rivisto un vecchio amico di lunga data dopo anni di lontananza. Lila lo guardò confusa:”Sì… E allora?” L’albino la fissò con fare concitato:”E’ il figlio del mio avvocato di fiducia. Suo nonno è italiano, ma la famiglia si è spostata negli USA quando lui era molto piccolo. Io e suo padre ci conosciamo da tantissimo tempo, eh, abbiamo fatto l’università assieme, anche se lui ha cinque anni più di me e ha figliato prestissimo, a vent’anni, pensa” La ragazza lo ascoltò, incuriosita e famelica di conoscere, sul suo conto, quanto più potesse, dopo poco Ryuga riprese:”E’ stato proprio il caro vecchio Roberto a chiederei di assumere suo figlio per fargli un favore. Non potevo mica dirgli di no, ma siccome Vito non ha pressoché voglia di fare nulla, l’ho sistemato nel reparto contabilità, dove non può far danni… Spero” Scrollò le spalle, come a dire che di più non ne sapeva, perciò Lila si sarebbe fatta bastare le poche informazioni  che era riuscita a racimolare. Gli scoccò un bacio sulla guancia per ringraziarlo del lavoro fatto, ma lui la mise in guardia:”Se io ho un brutto carattere, Vito è proprio intrattabile. Credo abbia dell’astio nei confronti di suo padre, ma io in queste beghe familiari non entro mai. Sai com’è, prima di finire in mezzo…” Lila annuì:”Me ne ricorderò”                                                                                   

In quel preciso momento, fece capolino Julie, vestita in modo affine a Lila e con un sorriso stampato in faccia:”Buondì” Anche la diciottenne si prodigò in un’espressione allegra che, tuttavia, non esprimeva a pieno la gioia che provava. Aveva il capo più bello e gentile del mondo, o quasi, un lavoro fantastico e gratificante, non ti sbilanciare, una cugina perfetta, ti stai sbilanciando, e ora le aveva sicuramente anche trovato un ragazzo fatto apposta per lei! Ecco, ti sei sbilanciata. Cosa poteva desiderare di più? Non cantare vittoria, ragazza, ne hai ancora tanta di strada da fare. Era vero, verissimo, ma con le persone che amava di più al suo fianco, sentiva che avrebbe potuto fronteggiare tutto e tutti a mento alto. Proprio tutto?

   
 
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