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Autore: weirdo_soul    29/05/2016    0 recensioni
Disturbo di dismorfismo corporeo: i soggetti affetti da questo disturbo manifestano un'eccessiva preoccupazione nei confronti di un difetto fisico immaginario o, se presente, di lieve entità. Alcuni trascorrono una porzione non esigua della loro vita quotidiana ad esaminare allo specchio il supposto difetto, mentre altri evitano di confrontarsi con l'immagine riflessa dallo specchio, arrivando anche a nascondere o coprire tutti gli specchi nella loro abitazione. In ogni caso, questo disturbo comporta una compromissione importante del funzionamento lavorativo, sociale, o di altre aree esistenziali.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si guardava allo specchio.

Guardava i suoi difetti, li studiava minuziosamente. Non aveva mai guardato niente come guardava se stessa. Fissava a lungo la sua immagine riflessa. Lo faceva spesso, ogni volta che poteva e il più a lungo possibile. Nello specchio del bagno, in quello dei camerini, nelle vetrine dei negozi mentre camminava. "Camminava"... beh no, lei non camminava. Lei sfrecciava e si insinuava tra la folla per passare velocemente. Più a lungo stava fuori, più l'avrebbero notata. Sfrecciava di fretta, a testa bassa tra la gente e con le cuffie nelle orecchie per distrarsi.

"Se dovessi incontrare qualche mio conoscente?"

No, no. Più veloce ancora.

"Se sentissi addosso lo sguardo di qualcuno?"

Ancora più veloce, senza neanche guardare.

Voleva scomparire tra la gente, essere invisibile. Andava sempre di fretta. Più velocemente si muoveva, meno tempo sarebbe dovuta stare fuori, meno gente si sarebbe accorta di lei.

Non riusciva a stare fuori in mezzo agli altri, era una tortura. Si sentiva oggetto del mondo degli altri, vulnerabile, sottoposta a critiche e giudizi. Non poteva sopportarlo, non ci riusciva.

Si chiedeva sempre come la vedessero gli altri, se i suoi occhi vedessero la stessa immagine. E chissà che giudizi ne davano di quel suo corpo. Al solo pensiero si sentiva rabbrividire, e allora ancora più veloce.

Tuttavia non poteva farne a meno: doveva sapere cosa pensassero gli altri a guardarla.

Si metteva davanti allo specchio e d'improvviso non era più lei. Era un altro, era un'altra, era dieci altri, era mille altri e ancora centomila altri. Aveva i loro occhi. In testa le risuonavano quelle assordanti voci che le erano rimaste impresse dall'infanzia.

Gli altri erano un pericolo, una minaccia. Gli altri avevano occhi, occhi violenti. Avevano occhi che lei, passando tutti quei minuti di fronte allo specchio, aveva imparato a conoscere, a possedere. Occhi gelidi, vedevano solo imperfezioni. Sapevano di dolore, di morte.

Ed ecco che si scrutava con occhio giudice, attento, crudele, spietato. Era intransigente, non tollerava neanche la benché minima imperfezione. Vedeva oltre ogni cosa. Vedeva tutte quelle cose a cui gli altri dicevano di non aver neanche fatto caso, ma lei sapeva che non era così. Se le vedeva lei, allora erano sotto l'occhio di tutti. Non adava bene.

Studiava ogni minima cosa, dall'alto in basso e ancora una, due, tre, cento volte. Continuava ad osservare ogni parte del suo corpo.

Guardava tutto, ma non il volto, quello no. Non poteva tollerare che quel corpo fosse proprio il suo, non poteva riconoscersi, non poteva accettarlo.

Così si allontanava rapidamente e fuggiva lontana da quell'immagine. Si soffermava a guardare gli altri, ma non troppo per evitare di essere vista o, ancora peggio, guardata. Confrontava i corpi degli altri con il suo, e niente andava bene. Nessuno era paragonabile al suo. Cresceva un senso di invida e questa alimentava l'odio, il dolore, lo strazio. Non andava bene.

Lei era diversa, nel modo peggiore in cui lo si può essere. Ma ciò che è diverso si nota, risalta tra gli altri.

Allora via, ancora una volta, più veloce e più veloce ancora. Basta. Doveva scappare di nuovo. Come un treno, non si fermava mai, correva il più velocemente possibile a casa.

Si nascondeva lì. Nessuno avrebbe potuto vederla, notarla, guardarla.

C'erano solo lei e i suoi occhi.

Nessuno che avrebbe potuto farle male.

Nessuno se non se stessa.
 

zip!
Beh, non voglio spendere troppe parole su questa storia, lascio a voi i commenti (o qui o su twitter @louvstruck). Un bacio, grazie di tutto
il vostro gnometto

  
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