= orchidee bianche =
«non arrenderti, Galaxia ti
prego, Galaxia…»
La ferita che le aveva inferto Shu
Yin non le aveva lasciato
scampo, e gli occhi stellati di Galaxia erano fissi, rivolti a un cielo
crepuscolare che non potevano più vedere.
«Galaxia…»
Ljuba sapeva che le sue parole erano
inutili quanto le sue
carezze e i suoi tentativi di scuoterla, ma continuò lo
stesso per un lasso di
tempo di cui non era di grado di definire la durata, con la vista
appannata da
lacrime che ancora non cadevano e il corpo scosso dai singhiozzi a
stento
contenuti.
Era incredibile vederla anche solo in quelle condizioni
“trattenute”, proprio lei che di solito era
così controllata e pragmatica, ma
non era semplice assistere alla morte improvvisa di una persona che
conosceva e
amava da cinquecento anni. Ovviamente non era lo stesso tipo amore che
legava
Atticus e Cecilia, ma non per questo era meno profondo, ed era
comprensibile
che si sentisse svanire la terra da sotto i piedi, che si sentisse del
tutto persa.
Galaxia non avrebbe più
preso in giro “Atticus Bla Bla” per
il suo “blabblare”, Ljuba non l’avrebbe
più vista davanti al camino, né sentita
lamentarsi per la sua paura dell’altezza. Non le avrebbe
più potuto parlare,
non avrebbe più avuto il suo sostegno e conforto.
Non avrebbe più potuto contare sulla sua
affidabilità, tanto
completa da non aver rivelato a nessuno dov’era andata
Cecilia quattro secoli
prima, in quei tre giorni in cui era sparita.
Ljuba lo aveva capito lo stesso, e
immediatamente: se non
avesse avuto l’autorizzazione di Cecilia, Atticus non sarebbe
andato a uccidere
Pitch, sapendo quanto le avrebbe fatto male. Non aveva rivelato a Laxie
di
esserci arrivata soltanto perché non c’era stata
la necessità, perché era
storia vecchia, e ora anche volendo farlo non avrebbe più
potuto dirle niente.
“se proprio una di noi due
doveva morire sarebbe stato più
giusto che fossi io, tu eri una persona molto, molto migliore di me.
Ora non
posso più dirti nemmeno questo…”
Si sentiva colpevole quasi quanto
l’assassina stessa, anche
se tecnicamente non aveva colpa dell’accaduto. Se solo fosse
riuscita a
ferirla, a fermarla, se solo fosse stata più
rapida…ma come prevedere la
presenza di Shu Yin lì, come prevedere che potesse essere
diventata tanto
veloce -chissà come,
poi-? Non aveva
neppure capito con cosa, di preciso, avesse ucciso Galaxia. Era
successo tutto
troppo in fretta.
In tutto ciò, Sophie
Bennett dormiva tranquilla e beata
avvolta nel cappotto di Ljuba. Per fortuna non si era resa conto di
nulla, e
l’orribile ricordo dell’accaduto non avrebbe mai
potuto perseguitarla,
contrariamente all’Insorta che fino alla fine dei propri
giorni avrebbe visto e
rivisto quella scena ogni volta che avesse chiuso gli occhi.
Quando infine si decise a lasciare
che il corpo dell’amica
ricadesse a terra, capì che la parte più
difficile doveva ancora arrivare. Come
avrebbe potuto dirlo agli altri? Però doveva farlo, non
aveva scelta, e…
«njet,
non
provarci neppure. La mia amica ha perso la vita per questo, non
lascerò che sia
invano».
Nel vedersi scoperto, Monty emise un
flebile gridolino
acuto.
L’assassinio era avvenuto
proprio nel cielo sopra a casa
sua, ma fino a quel momento aveva pensato che la coniglia bianca e nera
fosse
solo stata ferita. Quindi era riuscito a farsi coraggio e, vedendo la
sorella
di Jamie -il quale aveva avvertito il gruppo dell’accaduto-
si era detto “la
prendo mentre la donna bionda guarda da un’altra
parte”. Che illuso! Eppure
avrebbe dovuto saperlo, ormai, di essere il più imbranato
della banda!
«i-io…c-cioè…morta?
Credevo
fosse…p-pensavo che Shu Yin l’avesse solo
f-ferita…»
Trasalì quando Ljuba si
voltò verso di lui. «tu hai
assistito a tutto, allora?»
«io…s-sì»
rispose balbettando.
La donna non disse niente per un
pezzo, poi tornò a guardare
le spoglie di Galaxia, e le chiuse le palpebre con un gesto delicato.
«come ti
chiami?» gli domandò poi, a sorpresa.
«eh?!
Ah…Monty.
M-mi chiamo Monty, ma-»
«Monty, tu saresti disposto
a raccontare a Calmoniglio per
filo e per segno quello che hai visto, se mai venisse a chiedertelo?
Teneva molto a
Galaxia, e può essere che non creda alle mie parole, quando
gli rivelerò chi
l’ha uccisa…ma alle tue sì»
disse Ljuba, con uno strano tono neutro «mi spiace
che tu abbia visto qualcuno commettere un omicidio. Tu e gli altri
bambini non avreste dovuto
essere coinvolti in tutto questo. Noi avremmo solo voluto uccidere
l’Uomo Nero,
ti sembra tanto sbagliato?»
«a-anche l’Uomo
nella Luna…»
«Manny è
morto» mentì lei, in previsione di un incontro tra
il ragazzino e il Pooka «i Guardiani, a parte Calmoniglio,
ora stanno
proteggendo l’Uomo Nero. Bezumiye! Follia,
pura follia, no?» aggiunse, rivolta più a se
stessa che a Monty «hanno
preferito far uccidere Galaxia, che in confronto a Pitch era una
santa».
«m-ma l’Uomo Nero
è pericoloso, ha anche ucciso Sandman!»
Sentendo ciò, a Ljuba
sfuggì una risata amara. «moj
bozhe, riesci a capirlo tu che sei
un bambino e non ci riescono quattro Guardiani su cinque!»
Ljuba fece nascere con un gesto dei
fiori sul corpo di
Galaxia, così da coprire la ferita. Una volta terminato,
sembrava quasi che Galaxia
si fosse addormentata indossando un vestito da sposa fatto di tante
piccole
orchidee bianche. Pensò di creare una bara di ghiaccio, ma
alla fine lasciò
stare. Lo avrebbe fatto dopo, insieme a tutti gli altri: non voleva
togliere
loro la possibilità di darle un ultimo abbraccio.
«ma Sophie cosa
c’entra? Perché siete venute a r-rapirla,
lei è piccola!»
Le motivazioni dietro quel gesto
erano troppo complicate da
spiegare a un ragazzino, ma se anche fossero state più
semplici lei non avrebbe
avuto voglia di mettersi a discuterne. Improvvisamente però
iniziò ad avere
qualche dubbio sul modo di procedere: considerando
l’accaduto, avrebbero agito
ugualmente secondo i piani stabiliti?
Subito dopo scrollò leggermente le spalle: se anche non
avessero usato la bambina come previsto, o in quel momento specifico,
avrebbe
potuto tornar loro utile in un’altra occasione.
Così come pochi giorni
prima Cecilia aveva sollevato
Atticus, lei fece fluttuare in aria le spoglie di Galaxia, alzandosi in
volo
con Sophie in braccio senza aggiungere una parola di più.
Per raggiungere la Fabbrica ci
sarebbe voluto esattamente lo
stesso tempo impiegato per raggiungere Burgess. Questo grazie a Laxie,
che nei suoi ultimi
momenti di vita
non aveva pensato ad altro che passare a lei i poteri rubati,
così che non
tornassero ai proprietari, e loro potessero continuare a combattere
senza
perdere potenza.
Pensando ciò le venne
nuovamente voglia di piangere, ma
riuscì a contenersi, non poteva permettersi di rallentare il
viaggio di
ritorno: ogni cosa a suo tempo.
In quell’occasione non ci
furono intoppi, se non il modo in
cui il suo cuore iniziò a pulsare fin troppo forte una volta
avvistata la
Fabbrica. Cecilia e Atticus sarebbero sicuramente riusciti ad accusare
il colpo
in maniera decente, ma come avrebbe fatto a dire a Sandelle
cos’era successo,
sapendola già così pericolosamente fragile? Come
dirlo a Calmoniglio? Già, c’era da
domandarsi come avrebbe reagito: la
parola “male” comprendeva un ampio spettro di
scenari possibili.
Superati i grifoni Incubo, che per
ovvi motivi non le
diedero alcun problema, restava soltanto da decidere dove atterrare.
Meglio
bussare direttamente alla finestra della stanza di Atticus, oppure no?
Alla fine scelse la prima opzione.
Dovevano essere gli altri
dei gruppo i primissimi a sapere.
Si avvicinò al vetro e li
vide, i suoi amici di una vita,
vide le loro espressioni relativamente serene ora che erano
l’uno accanto
all’altra sul grande letto a due piazze. Era bello che a loro
bastasse restare
vicini per trovare un minimo di sollievo da tutte le angosce e le
responsabilità, ed era triste pensare che con quel che era
accaduto non ci
sarebbero più riusciti per un bel pezzo.
Prese coraggio e bussò
contro il vetro.
Vide i loro volti inizialmente
sorpresi diventare più o meno
soddisfatti vedendole la bambina in braccio, poi perplessi quando la
guardarono
bene in faccia, e infine diventare esangui quando il loro sguardo cadde
sul
corpo che fluttuava accanto a lei.
Benché ferito, Atticus fu
quello che riuscì ad abbandonare
il letto per primo, quasi inciampando per la fretta di raggiungere la
finestra.
Una folata di vento gelido lo investì, ma al momento non
avrebbe potuto
importargli meno del caldo e del freddo: i suoi occhi erano fissi su
Galaxia,
sulla sua completa immobilità, sui suoi occhi chiusi, sui
fiori bianchi che la
ricoprivano, mentre il suo cervello gli gridava che ciò che
stava vedendo non poteva essere vero.
Così com’era
successo a Ljuba, anche lui sì sentì come se il
pavimento fosse svanito da sotto i suoi piedi. Era un modo di dire che
aveva trovato
milioni di volte nei libri, abusato al punto da sembrare banale, eppure
del
tutto vero.
Il primo pensiero lucido che
riuscì a formulare fu di una
stupidità unica: “non
sarà più qui a
lanciarmi in bocca terra, sabbia o neve”. Un
dettaglio che andò a sommarsi
ad un’infinità di altre piccole cose che non le
avrebbe più sentito dire, o non
le avrebbe più visto fare. Piccole cose, appunto, ma
più ci pensava più lo
spazio vuoto che avevano lasciato gli sembrava grande.
Con un gesto quasi meccanico accolse
tra le proprie
braccia la bambina, quando l'amica gliela porse. Probabilmente era la
prima volta, in
cinquecento anni di vita, in cui Atticus Del Sol non riusciva a dire
una
parola.
Ljuba entrò nella stanza,
e chiuse la finestra mentre faceva
sì che i resti di Galaxia planassero dolcemente sul letto,
ormai abbandonato
da Cecilia. Nessuno dei presenti, per un po’, fu in grado di
dire qualsiasi
cosa. Sembrava tutto così strano e spaventoso, neppure
fossero finiti in un
incubo di Pitch.
«Shu Yin ci ha riprovato, e
stavolta ci è riuscita» disse
Ljuba, dopo un po’«uno di quei ragazzini amici di
Jack Frost ha visto tutto».
Non ottenne la reazione di
sbigottimento generale che ci si
sarebbe potuti aspettare, ma riuscì soltanto ad incrinare
quell’atmosfera di
irrealtà in cui era piombata la stanza.
«como es
posibile que fosse lì proprio in
quel momento, y porque...porque ha ucciso...» Cecilia
non
riusciva a dirlo nonostante le conseguenze di quel che era accaduto
fossero
proprio davanti ai suoi occhi e, contrariamente al marito che aveva
lasciato
cadere la maschera da duro e piangeva in silenzio, era ancora troppo
sotto
shock per riuscire a imitarlo.
«quei corvi sono
lì a spiarci da giorni, se almeno un paio
di essi sono riusciti a sfuggire ai grifoni hanno riferito del nostro
spostamento a chi li ha mandati, e i nostri avversari hanno agito di
conseguenza» disse Ljuba. Sentiva il bisogno assoluto di
concentrarsi sui
perché e i percome di tutto l’accaduto: facendolo
sarebbe riuscita a ritardare
il momento in cui l’emotività avrebbe preso il
sopravvento. «è evidente che a
questo punto Manny, svoloch sukin syn,
ha autorizzato l’utilizzo di forza letale. Non capisco quale
logica possa aver
avuto far uccidere lei e non me, sono decisamente più
“pericolosa” di quanto
sia mai stata Galaxia, ma forse per loro non ha importanza: gli basta
farci
fuori. Peccato per loro che il suo ultimo gesto sia stato passarmi
tutto il suo
potere. La nostra potenza di fuoco non è stata
intaccata».
«la nostra amica
è morta»
disse Atticus improvvisamente, con un’espressione quasi
arrabbiata sul volto «è
qui, su questo letto, hai assistito alla sua uccisione…e tu
ci vieni a parlare
di potenza di fuoco non intaccata?!»
esclamò mentre appoggiava Sophie su una poltroncina «Ljuba, ma ti sei resa
veramente conto di quello che è successo
oppure no?! Galaxia è morta!»
«al momento non sei lucido,
ma ti chiedo di provare a
ragionare, sapendo che ne sei in grado» Ljuba gli si
avvicinò «è una guerra.
Quando siamo partiti sapevamo benissimo tutti quanti cosa poteva
succederci.
Con Cecilia c’è mancato poco, con te ancor meno
-proprio per mano di Shu Yin- e
non dimentichiamoci di Sandelle, la cui mutilazione non ha ancora
responsabili.
Non dico che avremmo dovuto aspettarcelo, specialmente adesso,
ma sta di fatto che i rischi ci sono sempre stati. Abbiamo
sperato di riuscire ad arrivare alla fine tutti quanti e tutti interi,
ma non
ne abbiamo mai avuto la certezza…e il fatto che Galaxia mi
abbia passato la sua
parte di potere rende molto chiare le
sue ultime volontà».
Riuscì giusto a terminare
la frase: all’improvviso il dolore
che aveva trattenuto fino a quel momento eruppe tutto insieme, sotto
forma di
un pianto dirotto e singhiozzi tanto forti da costringerla a sedersi su
un
angolo del letto.
Resosi conto di essere stato troppo
duro con la sua amica,
soprattutto conoscendo il suo carattere, Atticus le si
avvicinò e la strinse a
sé. Dopo qualche istante sollevò lo sguardo in
cerca della moglie, domandandosi
perché non si fosse accostata a sua volta. Non era solo
Ljuba ad aver bisogno
della sua vicinanza, ma anche lui, com’era normale che fosse.
Peccato che Cecilia non fosse
più lì.
Era scivolata fuori dalla stanza
appena Atticus e Ljuba si
erano distratti e si era allontanata lungo il corridoio, senza una meta
precisa
in mente. Non piangeva, né il suo volto mostrava dolore:
aveva semplicemente
un’aria assente al punto che, se qualcuno l’avesse
guardata, avrebbe dubitato
che sapesse anche solo chi fosse e perché si trovasse
lì.
Aprì una porta a caso: un
vecchio sgabuzzino polveroso,
buio, piccolo e pieno di cianfrusaglie. Ci si infilò dentro
con una rapidità
che non avrebbe usato nemmeno se l’avesse inseguita il
diavolo in persona, chiudendo
la porta dietro di sé per poi sedersi a terra, con la
schiena contro il muro e
la testa poggiata sulle ginocchia.
“Conca De El
Sol”, Cecilia “Del Sol”…aveva
vissuto quattro
secoli nella luce, avvertendo il calore del sole sulla pelle, in
compagnia
ventiquattro ore su ventiquattro, ed era stata bene. Ma cosa aveva
desiderato,
in quel momento di particolare fragilità? Buio
e solitudine. Odiava a morte il suo ex compagno, ma certe
cose non
sarebbero mai cambiate, per quanto potesse provarci.
Stava scoprendo di somigliare a Pitch
più di quanto avrebbe
mai potuto pensare: non riusciva mai a difendere chi le stava a cuore,
esattamente come lui. Prima Sandelle e Atticus, che se non altro erano
ancora
vivi, ora Galaxia…era stata lei ad appoggiare
l’idea del rapimento, avrebbe
dovuto partire lei insieme a Ljuba, e invece no! Era rimasta sdraiata
sul letto
accanto a suo marito, che era praticamente guarito. Sembrava essere in
grado di
commettere soltanto errori.
“lasciamo
tutto e
torniamo a casa prima que la guerre commence
vraiment…s’il te plaît! Allons-y,
torniamo a casa!”
Se soltanto avessero dato retta a
Sandelle quando avevano
visto la malaparata, se soltanto avessero deciso di lasciar perdere
tutto e
fossero tornati a Conca De El Sol, Galaxia sarebbe stata ancora viva. A
Cecilia
sarebbe bastato dire una parola, soltanto una, e per quanto riguardava
il loro
esercito gli incantesimi che permeavano Conca De El Sol avrebbero fatto
il
resto, calmando i bollenti spiriti di tutti quanti.
Rinchiusa lì per un lasso
di tempo indefinito che le pareva
già un’eternità, si disse che non era
stata in grado di prendere la decisione
giusta, e ne avevano pagato le conseguenze. Non c’era leader
peggiore di lei in
tutto il mondo -così pensava- e il solo fatto di essere
rannicchiata in uno
sgabuzzino lo dimostrava: avrebbe dovuto essere insieme agli altri,
pronta a
dar loro forza, ma sentiva di non averne neppure per sé
stessa, figurarsi per
il resto del gruppo.
Iniziava a convincersi che in fondo
al cuore era sempre la
debole donna che era stata creata per l’Uomo Nero, in grado
di essere forte solo
quando tutto andava bene. Forse c’era un motivo se Pitch,
prima di quel natale di quattro secoli prima,
l’aveva sempre trattata come se fosse stata fatta di
cristallo. Forse era
davvero fragile, delicata, incapace
di
fare scelte corrette da sola riguardanti sé e gli altri,
riguardanti Galaxia in
particolare, Galaxia che era morta…
Un momento.
Stava
veramente dando ragione a Pitch?!
“col
cazzo”.
Un pensiero molto incisivo che ebbe
il potere di farla
riscuotere dallo stato di depressione in cui era caduta, e di farla
rialzare
rapidamente da terra.
Non era stata colpa sua. Non doveva
attribuirsi tutte le
colpe del mondo, perché non le
aveva,
ed era perfettamente in grado di fare scelte corrette in generale.
Quattro
secoli prima aveva perso tutto, ma era stata in grado di rialzare la
testa e
ricostruirsi una vita: lo aveva fatto con l’aiuto degli
altri, vero, ma se
invece si fosse lasciata andare non ci sarebbe riuscita neppure con
l’appoggio
di diecimila Atticus.
Non era il momento di piangersi
addosso, quanto piuttosto di
darsi una mossa e far sì che tutti i responsabili -sia
l’esecutrice materiale
del delitto che il mandante, anzi i mandanti, perché gli
altri non l’avevano
impedito- pagassero molto, molto caro quel che avevano fatto a Laxie.
Glielo
doveva, era il minimo, e Ljuba aveva perfettamente ragione: aveva
palesato
molto chiaramente le sue ultime volontà, quindi andavano
rispettate ad ogni
costo.
Uscì dallo sgabuzzino e
andò quasi a sbattere contro Ljuba,
che era in procinto di aprire la porta. «como
sapevi-»
«ti conosco»
disse semplicemente Ljuba «Atticus voleva
cercarti, ma gli ho detto che io ci avrei impiegato di meno. Questa era
casa
mia».
«non c’era
bisogno que
vi muoveste per me» ribatté Cecilia,
vergognandosi non poco «…lo
siento».
«njet.
Non devi
scusarti, ognuno reagisce al lutto a modo suo, e dovevamo pur muoverci
per
qualcosa. Non potevamo presentarci così a
Sandelle…o a Calmoniglio» aggiunse «e
dovremo essere noi due a dirlo a quest’ultimo. Con Atticus
abbiamo deciso così:
noi Calmoniglio, lui Sandelle».
«ha senso, lui y
Calmoniglio non si sono mai piaciuti molto, no
es la persona mas
indicata per
dargli una notizia del genere».
Mentre loro iniziarono a girare per
la Fabbrica in cerca di
Calmoniglio, Atticus raggiunse la stanza di Sandelle. Si
meravigliò nel
trovarla da sola, quando loro non c’erano solitamente Spring
e/o Fall non la lasciavano
sola un secondo. «Sandelle…»
esordì, ma venne immediatamente interrotto.
«pourquoi
elle est
icì?!»
Sul momento, stupito, non
riuscì a rispondere. Aveva ancora
la bambina in braccio -non se l’era sentita di lasciarla sola
col cadavere-
intenta a dormire placidamente, e non avrebbe mai creduto che vederla
potesse
scatenare in Sandelle qualcosa che la facesse
“risvegliare” dallo stato in cui
era precipitata.
«ti ho chiesto pourquoi
est icì! Rispondimi!» esclamò
Sandelle, con le mani di oscurità che stringevano
le coperte in maniera quasi convulsa.
«scusami»
mormorò lui «mi sono soltanto sorpreso per il
fatto che avessi detto qualcosa dopo giorni. Ne sono
contento».
Sandelle stessa era sorpresa. Quando
aveva posato gli occhi
sulla bambina era stato come se qualcosa l’avesse strappata
via da un brutto
sogno fatto di ombre, voci, pianti e contorni sfumati, riportandola
bruscamente
alla realtà. Era ancora nella Fabbrica con gli altri, quindi
erano ancora in
guerra. Non ricordava praticamente nulla, incluso chi era stato a
mutilarla: la sola cosa che rammentasse distintamente era aver
supplicato Cecilia
di tornare a casa, suppliche che evidentemente non erano state accolte,
ma la bambina? Cosa
c’entrava in tutto
ciò?! Non riusciva a capire, e guardando bene Atticus si
rese conto che c’era
qualcosa che non andava. I suoi occhi erano strani, arrossati come se
avesse
pianto…
Era successo dell’altro?
Era accaduto qualcosa a qualcuno,
mentre lei era rimasta lì a commiserarsi, qualcosa che
magari avrebbe potuto
essere evitato con l’aiuto di un’altra persona
-ossia lei stessa-? Ma poi,
perché Atticus aveva il petto fasciato?!
«Sandelle…»
«que s’est il-passé?»
Lo vide esitare. Atticus Del Sol che esitava a parlare…Sandelle
sentiva un’enorme angoscia crescere
dentro di sé ad ogni istante che passava, perché
doveva trattarsi di qualcosa
di estremamente grave.
«in questi cinque giorni
non è successo nulla di
particolare. Manny è ancora vivo, i Guardiani e
l’Innominato non si trovano,
Calmoniglio è ancora qui e crede che Manny sia morto. Io
intanto mi sono quasi
ripreso dal colpo che mi ha dato Shu Yin, di cui tu non sai molto,
immagino» indicò le fasciature «e visto
che le cose non si
stavano muovendo abbiamo deciso di andare a prendere uno degli umani
amici dei
Guardiani e usarlo per scambiarlo con l’Innominato e Manny.
Avremmo fatto
finire la guerra prima di iniziarla davvero, o comunque questi erano i
piani,
perché poi…»
Doveva dirglielo. Non
c’erano più scuse, doveva farlo e
basta, anche se lui stesso non riusciva ancora ad accettarlo, anche se
temeva
di vedere Sandelle ripiombare nello stato semi catatonico dal quale era
appena
uscita.
«...perché poi,
quando Ljuba e Galaxia sono andate a Burgess
per mettere in atto il piano, è arrivata Shu Yin e ha ucciso
Galaxia. Ljuba è
tornata ora».
Vide Sandelle sbiancare e guardarlo
con gli occhi sbarrati e
confusi, ma continuò a parlare lo stesso, conscio che se si
fosse fermato non
sarebbe riuscito a riprendere il discorso.
«Shu Yin è
insieme ai Guardiani, all’Uomo nella Luna e al
resto dell’esercito, ci spiavano da giorni, quindi
è abbastanza logico dire che
lo abbia fatto seguendo ordini superiori.
Noi non volevamo uccidere i Guardiani, ma a quanto pare loro
hanno altre
intenzioni. Eccola, la vera
bontà di
quei bastardi figli di puttana…e poi i cattivi dovremmo
essere noi!»
Non era solo addolorato per la morte
della sua amica e
intristito per il fatto che prima Cecilia si fosse allontanata, era
anche nero
di rabbia verso Manny, verso i Guardiani e tutta la compagnia. Erano
perfettamente in grado di mandare al diavolo il buonismo, quando ne
avevano
voglia.
Sì, lui e le altre volevano uccidere Manny, e
c’era mancato
poco che uccidessero anche Nord, Dentolina e Frost…ma non
era forse vero che
Pitch Black aveva provato a fare cose analoghe trilioni di volte?
Perché,
allora, lui non poteva essere toccato e anzi, veniva protetto?!
Era assurdo, ridicolo!
«dovevamo tornare a
casa» sussurrò Sandelle «pourquoi
non siamo tornati a casa?»
«Sandelle,
non potevamo-»
«je l’avait dit!!!»
gridò la donna, con grosse lacrime a rigarle il
viso «ho pregato Cecilia de laisser
perdre tutto, perché non
l’avete
fatto?! È tutta colpa vostra!!!»
strillò e, senza riflettere, scagliò
contro Atticus un colpo ghiacciato che lui riuscì a evitare
per un soffio.
«tu
credi che io non
soffra per questo?!» urlò Atticus,
stringendo Sophie «certo che sto male, e
tanto! Noi ci siamo mossi per evitare che a qualcun altro accadesse
qualcosa di
peggio di quel che è successo a te, e abbiamo ottenuto
l’esatto opposto. Non
potevamo lasciar perdere, e tantomeno possiamo adesso. Devono pagarla,
fosse l’ultima
cosa che facciamo, ma devono pagarla
cara, Sandelle! Al diavolo cercare di evitare gli
spargimenti di sangue, AL DIAVOLO TUTTO! È
colpa loro! Non nostra! LORO!»
Pareva proprio che Atticus fosse
già passato dalla fase del
dolore a quella della rabbia, forse anche a causa
dell’oscurità che gli pulsava
nelle vene, e improvvisamente Sandelle scattò in avanti e
gli strappò Sophie
dalle braccia, stringendola a sé con fare protettivo.
«tu
me fais peur!...»
riuscì a dire Sandelle tra le lacrime «come puoi
parlare così…di
già? Nôtre
amie est mort, e tutto quel che sai fare è giurare
vendetta!»
«è quello che
voleva Galaxia, se appena prima di morire ha
passato a Ljuba i poteri rubati c’è un motivo.
Voleva che continuassimo, e
continueremo. Sei con noi oppure no? Lo devo sapere, Sandelle. Abbiamo
già perso
lei, non possiamo perdere anche te. Metaforicamente».
Sandelle era ancora troppo triste per
poter essere
arrabbiata. Non riusciva ancora a trovare in sé tutta quella
furia, tutto
quell’odio, e neppure la forza di farla pagare a chicchessia.
Era morta già una
persona di troppo, secondo la sua modesta opinione. Non avrebbe
ostacolato il
resto del gruppo, non ne aveva l’intenzione e neppure
sufficiente potere, ma
non se la sentiva neanche di scendere in battaglia. Nelle sue attuali
condizioni sarebbe stata solo un peso morto, lo sapeva fin troppo bene.
«non vi
impedirò de faire quello
che volete, mais io non mi
muoverò da qui. Quelqu’un
deve occuparsi dell’enfant
mentre voi combattete».
«sei sicura di essere
abbastanza stabile per riuscirci?
Prima cerchi di congelarmi, poi te ne esci col dire che ti faccio
paura!»
sbottò Atticus «non vorrei che il prossimo passo
fosse scappare per riportare
la bambina a casa e…» fece un sospiro
«scusa. Scusami. È che pensare che
Galaxia fino a poco fa era qui, in salute, e adesso non…mi
sembra tutto
talmente assurdo, Sandelle. Mi sento spaesato, non so dove sbattere la
testa,
la voglia di vendicarla è la sola sicurezza che mi sembra mi
avere, al
momento…anche se so che in realtà non
è così».
Ecco, quella era già una
reazione più accettabile. «non
scapperò avec l’enfant.
La morte di
Laxie non ha senso di suo, se lo facessi la renderei encore
plus inutile. Non me la sento di combattere, mais
onorerò la sua memoria facendo in
modo que l’enfant resti
qui tutto il
tempo che serve» affermò «a qualunque
costo».
Atticus annuì.
«e io ti credo».
Avrebbe voluto anche aggiungere
qualcosa su come si sentisse
riguardo il breve allontanamento di Millaray, ma alla fine
lasciò perdere: non
era il caso di gravare inutilmente Sandelle di un ulteriore peso, era
già tanto
che non fosse sprofondata di nuovo nella catatonia, limitandosi a un
pianto più
che comprensibile.
che comprensibile.
«je veux le voir».
Voleva vederla, ed comprensibile
anche questo. «seguimi».
«aspetta»
Sandelle posò la bambina addormentata sul letto «voilà. Allons-y…»
si avvicinò ad Atticus
con fare un po’esitante «m-mi terresti per
mano?»
Non c’era malizia, era solo
una richiesta un po’infantile e
molto tipica di Sandelle, ed Atticus lo sapeva. Aveva trovato qualcuno
da
consolare e da cui essere consolato.
L’atmosfera nella sala
munita di camino in cui Calmoniglio si
era rifugiato, invece, era ancora abbastanza tranquilla.
Non si era mosso da lì
da quando Galaxia era andata via, non aveva trovato alcun motivo valido
per
farlo, dal momento che era la sola con cui riuscisse a parlare
più o meno
normalmente.
Non che gli altri del suo gruppo lo avessero maltrattato, sia
Ljuba che Cecilia erano sempre state educate con lui, ma non era la
stessa
cosa.
«…Aster?»
Eccole lì, neanche a farlo
apposta. «ciao…avete per caso visto
Galaxia? Prima è andata via e non è ancora
tornata. Ehm...non che io pensi che
debba per forza stare con me, ma aveva detto “torno tra
poco”. Chiedo per
quello».
Le due donne si scambiarono
un’occhiata strana, e solo in
quel momento il Guardiano si rese conto delle loro espressioni funeree.
Una
morsa d’angoscia iniziò ad attanagliare il suo
stomaco, cominciando a intuire
che doveva essere successo qualcosa. Non
sapeva cosa, ma niente di bello. Forse riguardava Sandelle? Era
peggiorata? O
Atticus?...ne dubitava, in nessuno dei due casi avrebbero avuto motivo
di
venire a cercarlo, ma la sola alternativa che gli veniva in mente non
era
concepibile, per lui.
«te
sembrerà
banale, ma forse es meglio que tu ti sieda…»
«cosa succede? Galaxia
dov’è?! È successo qualcosa? Le è successo
qualcosa?!» incalzò, col
naso che fremeva nervosamente e il cuore che batteva sempre
più forte «siete
venute qui a cercarmi, parlate,
maledizione!»
Per qualche istante entrambe
continuarono a tacere, ma
infine fu Ljuba a farsi coraggio e parlare.
«Shu Yin ha ucciso
Galaxia»
No.
No, no,
no, NO.
Non poteva
essere.
Doveva aver capito male, o forse si
era addormentato davanti
al camino, e quello che stava vedendo e sentendo non era reale.
Sì, doveva per
forza essere così. Galaxia morta? Per mano di Shu Yin?! Impossibile.
«yo
tambien
all’inizio non ci credevo» disse Cecilia
«ma es asì, il suo corpo ora è nella
stanza di Atticus e-»
“stanza di
Atticus”, non gli serviva altro: senza vedere,
sentire o capire più nulla, Calmoniglio le superò
con un paio di balzi e una
volta lasciata la stanza corse via, lungo il corridoio. C’era
un solo e unico
pensiero nella sua testa, “Galaxia”, e mentre
pregava ogni divinità conosciuta
che lei stesse bene si sentiva come se il cuore fosse pronto a
esplodergli nel
petto.
Lui era rimasto con gli Insorti perché voleva la morte di
Pitch Black,
ma anche perché non si sarebbe perdonato se fosse successo
qualcosa a Galaxia.
Erano passati secoli e lui con la sua ex compagna aveva commesso degli
errori,
ma l’amava adesso come allora, ricambiato o meno, e non
c’era niente in tutto
l’universo che avrebbe potuto distruggere i sentimenti che
provava verso di
lei, nemmeno quella guerra…e nemmeno la morte, che lui ora
vedeva manifestarsi chiaramente
su Galaxia sotto forma di orchidee bianche.
Rimase fermo sulla soglia per istanti
che gli sembrarono eterni,
per poi avvicinarsi lentamente, con lo sguardo fisso su di lei.
Arrivato
accanto al letto, dopo aver esitato come se lei stesse dormendo e lui
temesse
di svegliarla, le fece una carezza sul viso. La tracce
dell’oscurità erano
scomparse dal suo corpo, e il suo pelo era tornato ad essere candido
come il
petalo di un giglio.
Poggiò la fronte contro
quella della sua ex compagna, si
strinse a lei in un mezzo abbraccio impacciato e pianse
silenziosamente, con
discrezione. Non perché la sua disperazione fosse poca, ma
perché era tanto
grande da non poterla esprimere a voce, o in altro modo.
La sua razza, quella dei Pooka,
solitamente tendeva a non
lasciar trasparire troppo le emozioni, ma lui viveva sulla Terra da
troppo
tempo perché questa “consuetudine”
potesse avere qualche valore, e comunque
amava troppo -amava, non
“aveva
amato”- Galaxia per riuscirci.
Quando lo aveva lasciato secoli prima aveva
sofferto, ma era riuscito a farsene una ragione pensando che insieme ai
suoi
amici doveva sicuramente stare bene, essere viva, in salute e felice;
adesso
però non avrebbe più potuto essere felice, triste
o nient’altro…e lui non
riusciva ancora a capire perché.
Una mano dal tocco gentile gli
accarezzò la schiena e lui si
voltò, pensando -assurdamente- che potesse essere il
fantasma di Galaxia
tornato a visitarlo. Non era così, ad avvicinarsi a lui era
stata nientemeno
che Cecilia, cosa che per ovvi motivi riuscì quasi a
stupirlo. Solo quasi: era
troppo addolorato per riuscire a provare anche stupore. Vicini a lei
c’erano
anche gli altri, Ljuba, Atticus e addirittura Sandelle, che non dissero
una
parola né lo toccarono, condividendo con lui il lutto in
perfetto silenzio.
Silenzio che venne rotto da lui
stesso quando, dopo qualche
minuto, riuscì finalmente a parlare.
«com’è successo?» chiese,
quasi
sussurrando.
«lei y
Ljuba erano
a Burgess. L’idea era de
prendere uno
dei niños vostri amici
per scambiarlo
con Pitch. Sì, era un
piano squallido» ammise Cecilia «ma non gli avremmo
fatto del male per davvero, non a un niño.
Se fosse andata bien sarebbe finita
molto presto…invece es
arrivata Shu
Yin. Ci spiavano da giorni y ne hanno approfittato. L’ha
uccisa y es
andata via».
Cecilia aveva detto bene, quella di
rapire un bambino era
un’idea squallida anche se con buoni fini, ma al momento a
Calmoniglio non
poteva importare di meno. «ma perché?!»
alzò gli occhi per guardarla «non ha senso!
Perché mandare Shu Yin a
ucciderla?! Perché Galaxia?! Io…io
non capisco…chi può aver avuto un’idea
del genere, perché gli altri» ossia i
suoi colleghi Guardiani «lo hanno permesso?!»
«non s-»
iniziò a dire Ljuba, ma venne interrotta.
«l’Hombre
en la Luna».
Sentendo Cecilia dire ciò,
Ljuba e Atticus si scambiarono
un’occhiata attonita. Non si era deciso di lasciargli credere
che fosse morto?
Perché Cecilia l’aveva tirato in ballo, era forse
impazzita? Che diavolo aveva
in mente di fare?!
«c-cosa…ma era
morto!» farfugliò Calmoniglio, guardando
Cecilia con gli occhi verde smeraldo completamente sbarrati.
«creímos
que estaba
muerto porque abbiamo dato per scontato que
non potesse essere sopravvissuto alle ferite que
dovevano avergli inferto, ma non sapevamo veramente que
fine avesse fatto…finora» disse Cecilia,
senza mai distogliere lo sguardo da quello del Pooka «a chi
altri il resto dei
Guardiani avrebbero permesso de hacer una cosa simile? De
usare Shu Yin como braccio armato asì que
loro restassero tecnicamente “puliti”?
A chi altri, se non lui?»
Forse era colpa del lutto e del
profondo shock subìto sia
per la morte di Galaxia che per quest’ultima rivelazione, ma
a Calmoniglio non
veniva in mente alcuna alternativa. Niente. Nessuna. Zero.
In un contesto più “normale” non ci
avrebbe creduto, ma
ultimamente erano venuti fuori in tutti quanti, lui stesso incluso,
lati
nascosti che non pensava esistessero.
«poi, “porque
Galaxia”? Purtroppo es simple. Noi
cinque -sei, contando Shu Yin-
siamo
stati concepiti da Manny como un
premio da dare a dei sottoposti meritevoli, y
tu, que non hai abbassato
la
testa y accettato que
Pitch andasse lasciato in vita, non
lo sei più».
Aster abbassò la testa e
tornò a guardare il volto di
Galaxia con aria quasi assente, mentre Cecilia continuava a parlare, e
ogni
frase andava a conficcarglisi profondamente nel cervello.
«tú
eres un
traditore, y te ha punito asì, riprendendosi il regalo que te aveva fatto. Se così
non fosse,
anche Ljuba sarebbe stata attaccata. Invece no: solo Galaxia, guarda
caso».
Socchiuse gli occhi, e le sue mani
strinsero convulsamente
le lenzuola mentre sentiva il suo battito cardiaco iniziare a
rimbombargli
nelle orecchie, nella testa, persino nelle mani che tremavano
leggermente a
ogni pulsazione, tanto erano potenti.
Oltre al dolore adesso provava anche
rabbia, una rabbia
sepolta tanto profondamente dentro lui da essere rimasta celata fino a
quel
momento. Aveva creduto di essere arrivato al limite cinque giorni
prima, ma si
era sbagliato completamente: si era trattato soltanto della prima
grossa crepa.
Aveva perso tutto per colpa
dell’Uomo Nero, aveva passato
secoli e secoli in solitudine fin quando erano spuntati fuori Manny,
Nightlight
e gli altri Guardiani, ai quali aveva finito per unirsi. Aveva giurato
di
difendere la speranza e i bambini della Terra, di dedicare tutta la
propria
vita a tale compito, ed era stato esattamente quello che aveva fatto
giorno
dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo…per cosa? Perché al suo primo
“no” gli venisse tolto quello che aveva
di più caro al mondo, di nuovo,
mentre persone come Pitch Black e anche Shu Yin, che sembrava non
essere migliore
di lui nonostante le apparenze, venivano protette sempre e comunque?!
«i tuoi colleghi hanno
fatto juramento a l’Hombre
en la
Luna de proteggere i bambini, ma lo que
vedo io no es proteggere bambini.
Manny…gli
altri Guardiani…yo li
vedo proteggere
assassini».
Calmoniglio si alzò
lentamente in piedi, con l’immagine di
Galaxia negli occhi e quelle orribili -ma veritiere- parole nelle
orecchie.
“protettori
di assassini”. Tutta la verità, solo la
verità, nient’altro
che la verità.
L’essere che aveva fedelmente servito per secoli era
esattamente
questo, un protettore di assassini e a sua volta un assassino, del
tutto
indegno del suo retaggio, e i suoi compagni si erano ridotti a essere solo quattro schiavi in grado di fare nient’altro se non dire
“sissignore”.
Se lui
avesse contato qualcosa -almeno per loro- avrebbero impedito
quell’omicidio in
ogni modo, ma non era così: lui, per i suoi colleghi e
cosiddetti “amici”, contava
meno di niente, ancor meno che per Manny.
Era giunto il momento che raccogliessero quello che avevano seminato.
Fino a quel momento aveva accampato
la scusa della debolezza, ma
ormai non c’era più motivo di farlo. Non
c’era motivo di rimandare il
conflitto, ora che non aveva più nessuno da proteggere.
“protettori
di
assassini”.
Mai più.
«voglio che tutti coloro
che le volevano bene possano dare a
Galaxia l’ultimo saluto» disse Calmoniglio, con
voce fredda come non era mai
stata «poi vi porterò dai Protettori di Assassini
con le mie gallerie. Lascerei
qui solo un certo numero di immortali, in modo che la Fabbrica non
resti “scoperta”»
aggiunse, guardando tutti gli Insorti «arriveremo in un
attimo. Volevate la
guerra? Benissimo. Si va in guerra…e che gli Dei abbiano
pietà di loro, perché io
non l’avrò senz’altro».
Che cos’è il
genio?
Fantasia, intuizione, decisione, e velocità di esecuzione*.
Poco prima Cecilia aveva tanto
denigrato le sue stesse doti,
ma non c’erano molte persone che, come lei, nei momenti
più critici riuscissero
a sfruttare al meglio le poche carte che avevano in mano.
«non l’avremo
nemmeno noi. Esto es seguro».
:: Irlanda
::
«ora che hai fatto allo
spiedo un coniglio su due sarai
contenta, immagino».
Tanith continuò a
fluttuare pigramente in aria, mentre i “fili”
luminescenti del dolore che stava assorbendo illuminavano buona parte
della sua
lunga coda nera. «abbastanza. Quando il coniglio vivo si
deciderà a usare
quelle sue belle gallerie per portare qui i suoi nuovi amici e dare
inizio alla
battaglia, allora sì che potrò definirmi
soddisfatta» disse, avvicinandosi all’Uomo
Falena senza avvolgerlo con le sue spire come spesso soleva fare
«almeno per un
po’».
Detto ciò Tanith si
aspettava la puntuale battuta su peso,
diete e serpenti grassi in genere, ma questa non arrivò:
Mothman rimase in
silenzio, intento a osservare un punto indefinito nel cielo con i suoi
enormi
occhi rossi, come se fosse in grado di vedere qualcosa che lei non
riusciva a
scorgere, o piuttosto ne cogliesse le avvisaglie.
L’Ephemeride non era sicura che quel silenzio le piacesse, per cui decise di interpellarlo in proposito. «vedi qualcosa d’interessante?»
«a seconda dei punti di
vista» rispose lui «senz’altro metterai
su peso, ma è certo che i chili di troppo non fanno molto
comodo, quando si
devono evitare oggetti taglienti…e
tante
appendici».
Dopo millecinquecento anni Tanith si
era abituata ai suoi
discorsi criptici, e di solito riusciva anche a interpretarli
abbastanza
facilmente, ma non in quel caso.
Aveva capito che secondo Mothman c’era qualcosa a cui
avrebbe dovuto stare attenta, ma non riusciva a immaginare di cosa -o
chi- si
trattasse. Non c’erano molte cose che potessero far paura a
un’Ephemeride, se
non un’altra sua simile più vecchia,
più sveglia e più potente, ma era
un’opzione
che Tanith si sentiva di escludere a prescindere, dal momento che lei
stessa
era l’Ephemeride più vecchia che conoscesse.
«presumo che le appendici di cui
parli non appartengano a te».
«non
c’è motivo per cui le mie appendici debbano darti
noia,
se mai avrebbero potuto darti piacere…se avessi avuto altri
interessi oltre al
cibo. Finirai per non entrare più in quei tuoi top ben poco
elasticizzati, mia
adorabile parassita».
«passerò da una
extra small a una small, che problema c’è? Tanto
me li cucio da sola» aveva risposto a tono, ma non si sentiva
ancora del tutto
tranquilla. «nessun’altra notizia dal servizio
previsioni futuro?...già, chissà
cosa te lo domando a fare» sospirò «so
benissimo che non dirai altro».
«appunto»
confermò Mothman con la sua voce profonda.
«solo una cosa: non avevi
detto al folletto barbuto che il
suo bel parcheggio non sarebbe stato ruspato via?»
Chissà dove si era
nascosta Tanith in quel frangente, se tra
le pareti della locanda, in qualche colonna o nel pavimento. Non che
lui non
fosse stato consapevole della sua presenza, ma sinceramente non
l’aveva proprio
vista.
«esatto. Il
parcheggio!»
Nonostante la spada di Damocle che
forse le incombeva sulla
testa, Tanith si concesse una risatina. «penso che gli umani
ti definirebbero
un “infame trollone”».
Anche l’Uomo Falena fece
una bassa risata. «un’altra cosa
che dipende dai punti di vista…in fin dei conti io non ho
fatto altro che dire
la verità. Buon appetito, cara. Vedi di non farti venire
un’indigestione, mi
raccomando».
Ormai non perdo neppure tempo a cercare di giustificare i miei ritardi, anche perché di giustificazioni particolari non ce ne sono :'D
So che è un capitolo piuttosto introspettivo, ma non credo che potesse venire fuori altrimenti, considerando i personaggi mostrati e quel che è successo. Probabilmente alcuni di voi si aspettavano che Calmoniglio mostrasse la propria rabbia in maniera diversa, e all'inizio sinceramente me lo aspettavo anche io, ma alla fine le cose hanno preso un'altra piega...e non mi dispiace lo stesso :'D questo ovviamente non lo rende meno furioso, a modo suo è schizzatissimo, adesso come adesso.
Visto l'orario improbabile non mi ricordo tutto quello che volevo dire, se non "occhio alle parole dell'Uomo Falena".
Grazie a tutti coloro che hanno letto, aggiunto la storia alle "seguite" e alle "preferite", e soprattutto a coloro che mi hanno fatto conoscere la loro opinione su questo bizzarro accrocco di parole e personaggi :)
Buonanotte e alla prossima,
_Dracarys_