Capitolo XIII
Branco sotto scacco
Era di nuovo notte, e per l’ennesima volta, mi scoprivo intenta a sognare e ricordare il mio amato Scott. Guardandomi indietro, riesco ancora a ricordare il giorno in cui ci siamo incontrati. È corso in mio aiuto salvandomi da Scar, e sin da allora, ci siamo seppur lentamente innamorati. Il tempo aveva quindi continuato a scorrere, e in una soleggiata mattina, dopo una notte passata a piangere e lamentarmi per un dolore apparentemente inspiegabile accompagnato da un orribile senso di nausea, avevo scoperto di stare aspettando dei cuccioli ora adulti, principale e inesauribile fonte del mio orgoglio. Ora come ora, mi agito nel sonno, e chiamando il mio Scott per nome, mugolo. Improvvisamente, una sorta di voce nella mia testa iniziò a parlarmi, e non riuscendo a scacciarla, non potei che subirne gli effetti. “Fuggite verso nord, ora.” Diceva, suonando pericolosamente simile a quella appartenuta alla mia metà. Svegliandomi quindi di soprassalto, chiamai a raccolta i miei congiunti. “Ragazzi, svegliatevi, vi prego!” gridai, sperando di ridestarli dal torpore in cui erano caduti. Incredibilmente, mia nonna fu la prima a svegliarsi. “Runa, tesoro, va tutto bene?” chiese, guardandosi con aria seria e al contempo preoccupata. “Si tratta di Scott. Mi ha parlato, e mi ha implorato di fuggire dalla foresta.” Dissi, faticando a respirare a causa della moltitudine di emozioni che turbinava nel mio animo. “Stai scherzando? E dove andremo?” chiese mio fratello Rhydian, allarmato dalle mie urla. “Verso nord.” Dichiarai, fallendo nel tentativo di mantenere la calma. “Partiremo domani.” Aggiunsi, per poi tacere e sentire una sorta di nuova e mistica energia pervadere ogni cellula del mio esile corpo. Le ore notturne passarono, e con l’arrivo del giorno, il freddo iniziò a farsi sentire. Attorno a noi non c’era che il silenzio, rotto unicamente dal sibilare del vento. minaccioso, soffiava strappando le foglie agli alberi con inaudita prepotenza, e durante il nostro viaggio, qualcosa accadde. Voltandomi di scatto, mi accorsi che mia nonna sembrava scomparsa. Per pura fortuna continuava a seguirmi, sorretta dal marito in ogni momento. La stanchezza sembrava dominarla, e un’azione semplice quanto respirare era per lei quasi impossibile. Era ormai vecchia e stanca, e malgrado continuassi a negarlo, sapevo che presto mi avrebbe lasciata. Alcune ore scomparvero dalle nostre rispettive vite, e rifiutando di avanzare, mi chiamò a sé. Non volendo farla attendere mi avvicinai. “Non resisterò per molto, e dovrai farmi una promessa.” Disse, riuscendo con quelle parole a stimolare la mia curiosità. Muovendo un singolo passo verso di lei, mi mostrai disponibile a realizzare ogni sua volontà, ma nulla avrebbe potuto prepararmi a ciò che mi avrebbe detto nei secondi a venire. “Sei sempre stata una lupa forte, coraggiosa e piena di vita. Ami i tuoi simili, il tuo branco e perfino gli umani. Ti prego solo di non cambiare mai.” Continuò, strappandomi non poche lacrime, amare quanto frutti di bosco non ancora maturi. Rompendo quindi gli argini presenti nei miei occhi, piansi, e guardandola, pregai perché non mi lasciasse. “Te lo prometto.” Soffiai, per poi regalarle un sorriso e tornare a concentrarmi sul viaggio che ci avrebbe condotti in un luogo sicuro. Il tempo continuava a scorrere senza sosta, e un suono ormai conosciuto mi indusse a fermarmi. “Aspettate!” gridò una voce alle nostre spalle, facendoci sobbalzare. Spaventata, mi voltai istintivamente. Dietro di noi non c’era che Aura, che seguita da Silver, sembrava volerci parlare. Appariva seria, e posando il mio sguardo su di lei, la lasciai fare. “È un viaggio pericoloso, e non potete andare da soli.” Dichiarò, convinta delle sue stesse parole. “Non siamo soli, e non abbiamo certo bisogno di voi.” Ebbi la sola forza di rispondere, ringhiando sonoramente e avvicinandomi a lei con fare minaccioso. Per nulla intimorito dal mio comportamento, Silver tentò di riportarmi alla calma, e guardandomi negli occhi, pronunciò una singola e semplice frase, capace per qualche strana ragione di atterrirmi. “Non provare a sfiorarla, sai che ha ragione.” Sibilò acido, per poi voltarsi e portarsi in testa alla nostra marcia. Alle sue parole, non risposi, e sbuffando, ripresi il mio cammino. La sera stava calando, ed ero sicura che se non avessimo trovato un riparo saremmo certamente morti congelati. Camminando, spostai lo sguardo sulla mia ormai vetusta nonna, che pur respirando a fatica, si mostrava stoica e pronta ad andare avanti. Nel tentativo di infonderle coraggio, sorrisi, e tornando a concentrarmi sul sentiero da percorrere, lasciai che un singolo ma importante pensiero trovasse un posto nella mia mente. Il colle. In quel momento, quello era l’unico luogo sicuro al quale potessi pensare, e prendendo il posto di Silver, guidai i miei congiunti fino alla meta. Le zampe mi dolevano come non mai, ma sprezzante del dolore e del pericolo, camminavo, decisa a raggiungere il mio traguardo. Come c’era d’aspettarsi, raggiungere la sommità di quel colle non fu certo facile, ma una volta arrivati in cima, ci accasciammo, distrutti. Il sonno ci catturò dopo pochi minuti, e rinunciandovi, continuai a vegliare e vigilare sui miei congiunti addormentati. Il mio sguardo si posò su ognuno di loro, ma in particolar modo sulla mia saggia nonna Athena. La vecchiaia la stava letteralmente consumando, e data la sua debolezza, sapevo bene che qualunque fiera più forte e giovane avrebbe potuto facilmente ucciderla. Ne ero certa, ma non mi sarei arresa. “Ti salverò, nonna.” Le sussurrai, guardandola dormire, calma e ignara di tutto. Rimanendo sveglia, passai quella notte a pensare, imparando prima di tutti un’importante lezione che identificai come verità. In quel preciso istante, il nostro non era che un intero branco sotto scacco.