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Autore: TheSlavicShadow    30/05/2016    1 recensioni
Aveva fatto un errore. Un errore che aveva portato a diverse conseguenze, tra cui il suo allontanamento da Manhattan e dalla vita che aveva condotto fino a quel momento. Un errore che lo aveva portato in una fattoria dimenticata da Dio e dagli uomini nel bel mezzo del North Carolina.
{Superfamily!AU no powers! - Steve/Tony+Peter}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Safe in my hands'
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Anche non volendo scendere per fare colazione alle sei e mezza del mattino, sarebbe stato impossibile dormire più a lungo. Avevano bussato alla sua porta in modo leggero, in modo tale che se avesse davvero dormito non si sarebbe neppure accorto, ma visto che era sveglio da un po’ aveva risposto.

Peter aveva sbirciato dopo aver aperto la porta. Il ragazzo gli aveva subito sorriso e Tony si chiedeva come fosse possibile che qualcuno che non era Pepper - no, Pepper non gli sorrideva più - potesse guardarlo così.

“Buongiorno, signor Stark! Dormito bene? Steve mi ha detto di dirle che la colazione è pronta.” Aveva aperto di più la porta, e non aveva smesso di sorridere neppure per un secondo.

“Chiamami “signor Stark” un’altra volta e ti smonto il pc mentre sei a scuola e ne nascondo i pezzi in giro per il giardino.” Aveva scostato le coperte e si era messo seduto sul letto. Non si ricordava l’ultima volta in cui aveva abbandonato il letto ad un orario simile. Forse quando era in collegio. Perché all’università non lo faceva di certo. E una volta finiti gli studi era più probabile che quello fosse l’orario in cui andasse a dormire. “Tony. Chiamami Tony. Dammi del tu. E non trattarmi come se dovessi chiedermi un autografo da un momento all’altro.”

“Davvero posso chiederglielo?”

Tony lo aveva guardato e stava quasi per rispondergli male. Non aveva ancora assunto una dose appropriata di caffeina per avere a che fare con le persone, ma il sorriso sul viso assonnato del ragazzino lo aveva bloccato. Sembrava davvero entusiasta di averlo tra quelle mura.

“Ti smonto anche la Playstation.” Aveva mormorato e Peter aveva riso mentre si passava una mano tra i capelli per cercare di dargli una forma che non fosse quella di qualcuno che si era appena alzato dal letto. “Coraggio, scendiamo. Ho bisogno di caffè tipo subito. E anche di una buona dose.”

“Steve ha preparato caffè, tè, succo d’arancia e pancake. I pancake di Steve sono la fine del mondo. Io li affogo nello sciroppo d’acero, ma sono ottimi anche senza niente. O con solo una spolverata di zucchero a velo sopra.”

“Se prepara una colazione simile ogni mattina, allora è da sposare subito un uomo così.”

Peter aveva riso ancora e Tony si chiedeva come fosse possibile avere tutta quella voglia di vivere addosso ad un orario tanto disumano. Lui in quel momento faceva fatica anche solo a stare in piedi.

“Non ci credo. Come hai fatto?” Natasha aveva guardato prima lui e poi Peter che si sedeva al tavolo di fronte a lei e faceva solo un’alzata di spalle.

“Mi ha promesso di farmi conoscere qualche ragazza.” Tony si era seduto accanto al ragazzo e aveva notato che la colazione era già pronta anche per lui. Pancake e caffè. Molto caffè.

“Le ragazze che conosce lui sono tutte al liceo. Non far scoppiare uno scandalo anche qui, ti prego. Non sarebbe facile tirarti fuori dal carcere con un’accusa simile.”

Steve Rogers si era seduto allora e lo aveva guardato male. Quella convivenza era iniziata male e sembrava continuare in modo peggiore. Se il Capitano sembrava essere gentile e solare con tutti, a lui riservava soltanto sguardi di ghiaccio. Avrebbe davvero cercato un altro alloggio non appena fosse rimasto da solo. Avrebbe anche cambiato città e Stato e avrebbe avvertito Natasha solo una volta arrivato sul luogo. Avrebbe sul serio fatto perdere le proprie tracce per qualche tempo. Magari avrebbe comprato qualche documento falso e se ne sarebbe andato in Messico per qualche settimana. Una meritata vacanza dopo tanti anni che non aveva fatto altro che lavorare.

“Signor Stark, mi sta ascoltando?”

Aveva voltato di scatto la testa verso Steve che lo osservava con le sopracciglia corrugate.

“No, in realtà non ho sentito neppure mezza parola.”

“E’ proprio come la descrivono i giornali. Arrogante già di prima mattina.”

“Eddai, Stevie, lascialo in pace almeno oggi. Ha avuto delle giornataccie.”

Tony aveva guardato l’uomo che gli sedeva di fronte. James Barnes parlava con la bocca piena di cibo, i capelli legati in una corta coda che probabilmente era opera di Natasha ed era a petto nudo. Ma chi mangiava a petto nudo?

“Che sono solo causa sua.”

“Steve, possiamo litigare dopo?” Peter aveva guardato l’uomo che gli sedeva accanto a capotavola. “Perché se iniziamo adesso arriveremo in ritardo a scuola e non voglio arrivare in ritardo perché ho compito di algebra alla prima ora. E sai che quel prof mi odia, quindi vorrei evitare che mi abbassasse il voto per una cosa simile. Quindi adesso mangiamo e ci prepariamo, e quando torni dal lavoro litighi con il signor Stark quanto vuoi.”

“Ma io non voglio litigare. Se devo litigare torno a Manhattan. Lì ho con chi litigare in continuazione. Nat. Pepper. Anche il qui presente Barnes quando continua a dire che il film degli Ewoks era inutile!”

“Perché lo era. E non iniziamo con questo discorso già di prima mattina. C’erano dei nani in quei cosi, Stark. Dei nani. Mini umani vestiti da orsi. E’ una cosa da malati.”

“A me quel film è piaciuto.” Peter aveva infilato un’altra forchettata di pancakes pieni di sciroppo d’acero in bocca e guardava James fin troppo seriamente.

“Tasha, posso adottarlo? Gli piacciono gli Ewoks!”

“E poi vivrei con lei alla Stark Tower? Davvero ha una piscina lì dentro? E come sono i laboratori? Li potrei visitare?”

“Peter, finisci di mangiare e va a vestirti.”

“Ma Steve! E’ Tony Stark! E’ seduto qui vicino a me in pigiama e fa colazione!”

Il ragazzo gesticolava e guardava Steve, e Tony non poteva fare a meno di sorridere. Erano pochissime le persone che sembravano davvero entusiaste di averlo accanto. Era abituato a sorrisi di cortesia e complimenti falsi. E anche se non era per nulla bravo a capire le persone, Peter non gli sembrava falso.

“Quando tornerai da scuola sarà ancora qui e potrai chiedergli ciò che vorrai. Non hai detto tu che hai compito alla prima ora?”

Peter aveva sbuffato. Aveva finito di ingozzarsi come se non avesse mangiato per giorni. Aveva bevuto il proprio latte e si era alzato. Aveva guardato male Steve ed era uscito dalla sala da pranzo mormorando qualcosa.

“Adolescenti.” James aveva sospirato, alzandosi subito dopo per prendere altro caffè. “Stevie, come fai a resistere con un adolescente per casa?”

“Se sono sopravvissuto crescendo con te, posso tranquillamente badare a lui.” Il biondo aveva finito di mangiare e non aveva smesso di guardare Tony, che faceva finta di nulla osservando ogni mobile e utensile della cucina. Rustica. Sembrava la cucina della dependance in cui avevano vissuto Jarvis e Anna. Ecco cosa gli ricordava quella casa; il luogo in cui da bambino andava a nascondersi quando Howard era stronzo e sua madre non aveva tempo per lui. “Signor Stark, Peter ed io saremo di ritorno verso le 15. Può tranquillamente pranzare senza di noi e si comporti come se fosse a casa sua.”

“Oh no, Rogers, non dirgli così. Tornerai qui e non riconoscerai più questo luogo.” Natasha aveva fatto uno dei suoi sorrisi strani, inarcando solo mezza bocca e alzando un sopracciglio.

“Al massimo gli miglioro l’impianto elettrico se proprio mi annoio. Ma devo lavorare anch’io. C’è un’azienda che porta il mio nome e non li posso lasciare senza nuove cose da sviluppare.”

“Se le serve qualcosa, in garage ho qualche attrezzo. Anche se dubito le possano essere utili. Non ho nulla di high tech e di certo non ho laboratori nascosti.” Steve si era alzato, portando il proprio piatto e bicchiere fino al lavandino. Tony aveva notato James e Natasha roteare gli occhi in modo disperato, ma non avevano detto nulla. “In frigo le ho lasciato il pranzo, basta che lo riscaldi. E la prego, niente alcol e donne. Questa è l’unica regola che le chiedo di rispettare.”

Steve lo aveva guardato negli occhi occhi e Tony era sul serio dispiaciuto che quell’uomo non riuscisse a guardarlo diversamente. Era di nuovo serio, le sopracciglia corrugate.

“Sì, Capitano.” Era l’unica cosa che era riuscito a rispondergli. Aveva visto l’uomo annuire e poi uscire dalla cucina e sparire nel corridoio. Tony aveva abbassato lo sguardo sul proprio caffè e si era sentito di nuovo un bambino. In quel momento, lo sguardo del Capitano Rogers gli era sembrato quello che Howard gli rivolgeva nella maggior parte delle situazioni.

“Steve deve darsi una calmata e smetterla di dare ordini a destra e sinistra.” James Barnes si era seduto nuovamente al proprio posto.

“E tu potevi metterti una maglia. E’ arrabbiato anche per questo.” Natasha gli aveva tirato una guancia e poi si era allungata sul tavolo per poter prendere una mano di Tony. “Guardami.” La donna aveva atteso che gli occhi di Tony incontrassero i suoi e poi aveva parlato. “Questo è il posto migliore per te in questo momento. Fidati di me, ti prego.”

Questa volta era stato Tony ad inarcare un sopracciglio e poi aveva ridacchiato. Una risata nervosa, forzata, che gli feriva le corde vocali.

“A volte non mi fido di te neppure mentre dormi, Nat.” Aveva girato la mano in modo da poterla stringere a sua volta. “Se ti chiedo di spedirmi delle cose da New York lo farai?”

“Tutto quello che vuoi, basta che non te ne vai da qui. Oh, non guardarmi così. So benissimo cosa ti passa per la testa. Stai già pensando a come andartene da qui una volta che sarai da solo. Ti conosco, Tony.” La donna era seria. Aveva stretto di più la sua mano. “Ti prego, Tony. Resta qui e non fare altre cazzate.”

“Rogers mi odia.”

“No, Stevie fa solo l’uomo melodrammatico in tutte le situazioni. Ora la sua morale è ferita perché ti sei portato a letto la moglie del sindaco.” James aveva finito anche la seconda tazza di caffè e si stava stiracchiando. “Ma è una brava persona, uno di cui ci si può fidare. Per questo ti ho portato qui. Lui non farà parola con nessuno sul fatto che sei qui.”

“Mi ucciderà e seppellirà da qualche parte nel bosco e nessuno sospetterà di lui e del suo sorriso da boy-scout.”

“Sempre il solito melodrammatico. Andrete d’accordo da questo punto di vista.” Natasha si era alzata. “James, dobbiamo andare a preparaci anche noi. Devo tornare a New York il prima possibile.” Dal soggiorno si sentiva un cellulare che suonava e Tony riconosceva la suoneria.

Pepper.

Pepper stava telefonando a Natasha. Per parlare di lui, di lavoro e del nuovo scandalo che lo vedeva coinvolto.

“Stark.” James aveva aspettato che Natasha se ne andasse e lo aveva guardato seriamente anche lui. “Questo è un posto sicuro. Steve non è cattivo, gli sono solo successe delle cose brutte. E si sente in colpa per questo.” James aveva portato la mano destra sulla propria spalla sinistra. L’aveva appoggiata sul punto in cui iniziava la sua protesi meccanica.

“Oh, fantastico. Era con te? Faceva parte anche lui della missione che doveva trovare Tony Stark in mezzo al deserto?” In quel momento voleva uscire di casa e urlare con quanto fiato avesse in gola. Quella storia non lo avrebbe mai abbandonato. Era sempre attaccata alla sua schiena e non vedeva l’ora di rifarsi viva. “E’ un altro di quelli che mi vorrebbe morto per il solo fatto che io sia sopravvissuto?”

“No, questo no. Ha solo rancore perché crede che tu ne sia uscito illeso. Forse dovresti farvi una bella chiacchierata di fronte al fuoco del camino con un bicchiere di whisky in mano.”

“La regola del niente alcol?”

“Ha un bottiglia di whisky nascosta in soggiorno. La sera ne beve un po’, come fai tu. Ma non sbronzarti. Ti chiedo solo questo.”

Si era passato una mano sul viso e aveva sospirato. Poteva farcela. Poteva rimanere lì e fare finta che andasse tutto bene. Poteva convivere con quelle persone. E anche col cane.

“E se puoi, dai un’occhiata all’impianto elettrico. Sono serio, fa schifo e anche Steve fa schifo nei lavori di ristrutturazione.” Si era alzato anche lui, lasciandolo da solo in cucina. Lo sentiva parlare in soggiorno con Natasha. Lei aveva riso. Lui la faceva sempre ridere ed era una cosa che gli piaceva e che gli invidiava.

Pepper aveva telefonato a Natasha. Non aveva telefonato a lui. Non lo aveva chiamato neppure una volta. Neanche un messaggio. Solo Natasha.

In sei anni tutto quello che di buono avevano costruito era andato a farsi benedire. Ed era colpa sua. Solo colpa sua. Per la prima volta in vita sua aveva una relazione seria e aveva rovinato anche quella. Ed erano stati seriamente insieme solo un paio d’anni prima che tutto iniziasse ad andare storto.

“Signor Stark, ma se le chiedessi qualche spiegazione di fisica mi aiuterebbe, vero?” Peter era entrato in cucina correndo. Steve era subito dietro di lui e scuoteva lievemente la testa. “Ieri ho chiesto a Steve, ma proprio non ne siamo usciti. Quindi stasera mi potrebbe aiutare?”

“Solo se inizi a chiamarmi Tony. Lo stesso vale per lei, Capitano. Se dobbiamo vivere tutti e tre sotto lo stesso tetto almeno lasciamo perdere tutti questi onorifici.”

“E se proprio vuoi dargli fastidio chiamalo Anthony.” James era comparso dal nulla, mettendo un braccio attorno alle spalle di Steve.

“E perché dovrei volergli dare fastidio?” Il biondo aveva guardato male il moro, che almeno ora era vestito.

“Perché è davvero molto divertente.”

“Barnes, la prossima volta che vieni da me per fare manutenzione ti metto un braccio di legno.” Anche Tony aveva guardato male il moro che stava ora ridacchiando, mentre il ragazzino in parte a lui lo guardava e sorrideva. “Che succede, ragazzo?”

“Davvero posso chiamarla--- chiamarti Tony?”

“E’ quello che ho detto.”

Peter gli aveva fatto un sorriso ancora più grande di quello precedente e Tony non sapeva sinceramente come rispondere a tutto quell’entusiasmo. Non era qualcosa a cui era abituato. Non in un mondo in cui tutti quelli che gli rivolgevano la parola volevano qualcosa da lui.

“Pete, saluta Nat e Bucky, sennò arriviamo in ritardo.”

In un attimo il ragazzo ero uscito dalla cucina ed era andato da Natasha. Li sentiva parlare e ridere. Solo allora si era alzato e si era fermato accanto a Steve e James che guardavano la donna ed il ragazzo. Li vedeva abbracciarsi e si rendeva conto che quei abbracci gli sarebbero mancati durante la sua permanenza in quel luogo sperduto. Natasha si era staccata dal ragazzo avvicinandosi poi a Steve e abbracciandolo. La vedeva in punta di piedi e l’uomo si era dovuto abbassare un po’ per poterla stringere.

“Torneremo a trovarvi il prima possibile, magari anche liberandovi della presenza molesta di questo qui, ma fino ad allora fate i bravi tutte e tre. Niente festini, niente droga, niente donne. Siate dei bravi bambini e magari vi porto un regalino da New York.”

Steve aveva riso per poi baciare una guancia della rossa. Era rimasto per un istante stupito del suono della sua risata. Era bellissima.

“Io sarò bravissimo se mi porterete qualche gioco nuovo!” Peter era stato allora abbracciato da James che gli prometteva di portargli videogiochi e fumetti, e successivamente Peter si allontanava e comunicava a Steve che lo avrebbe aspettato in macchina.

“Buck, guida piano e avvertimi non appena sarete a casa.”

“Sì, mamma. Sta tranquillo. Guido piano, ci fermiamo a mangiare e poi ti telefono appena siamo a casa.” I due uomini si erano abbracciati, e per un attimo gli era sembrato che Steve non volesse lasciar andare il moro. E probabilmente era davvero così visto come James lo aveva guardato. “Steve, sto solo tornando a New York. Torneremo presto e magari staremo più a lungo la prossima volta.”

La mascella del biondo era serrata rigidamente e aveva annuito prima di uscire di casa. Si sentiva subito dopo il rumore di una macchina che veniva messa in moto e poi si allontanava. James aveva sospirato, passandosi una mano tra i capelli.

“Ok, ora dobbiamo andare anche noi.” Natasha lo aveva abbracciato, stringendolo con forza, e lui non aveva potuto fare altro che stringerla a sua volta. “Ti prego, Tony. Resta qui e non fare nulla di stupido.”

Aveva annuito nascondendo il viso contro il suo collo. Voleva che almeno Natasha rimanesse accanto a lui. Almeno in quel momento. Ma non poteva chiederglielo. Non poteva farlo sapendo che stava tornando a New York per salvare lui.

“Ti telefono appena arrivo a casa, e poi domani mattina mi devo vedere con Pepper. Ti avverto appena so qualcosa.”

Aveva annuito ancora una volta, anche se aveva sciolto l’abbraccio. “Ti devo sul serio un aumento dopo questo. Posso anche capire se vorrai licenziarti.”

“E poi chi ti farebbe da baby-sitter? Non che io abbia fatto un buon lavoro stavolta.” La donna gli aveva sorriso e accarezzato una guancia. “Non fargli solo saltare la casa in aria, ok?”

Aveva sorriso come unica risposta e subito dopo aveva sentito la forte mano di James sulla sua spalla. L’aveva stretta un po’ e aveva sorriso.

Li aveva guardati prepararsi e uscire neppure dieci minuti dopo. Erano saliti sul furgone di James e lui era rimasto sul portico ad osservare la macchina che si allontanava. Aveva osservato per qualche minuto ciò che lo circondava e si rendeva conto di aver visto troppi horror per poter essere tranquillo.

Non si vedevano altre case nelle vicinanze. Poteva solo vedere alberi. Un laghetto. La strada sterrata che avevano percorso la notte precedente. E il giardino o cortile o non sapeva come definirlo, era enorme. Il granaio era enorme, e si era chiesto per cosa potesse servirgli visto che non c’era nessun orto coltivato.

Sospirando si era seduto su una delle poltrone in legno ricoperte di cuscini e aveva continuato a guardare tutto ciò che gli stava attorno. Doveva farci l’abitudine. Non era per nulla abituato a tutto quel verde. L’ultima volta che aveva passato del tempo tra i boschi era nella casa di montagna di suo padre e aveva avuto forse 13 anni. Non si ricordava molto in realtà. Aveva passato la maggior parte del proprio tempo in camera sua a leggere e programmare, con sommo disappunto dei suoi genitori. Non era uscito neppure per una passeggiata tra gli alberi o per una nuotata nel lago. Era rimasto chiuso in casa mentre sentiva la voce infuriata di suo padre dal piano di sotto. Si erano nascosti anche quella volta agli occhi della stampa. Perché Tony si era fatto cacciare da una delle migliori scuole degli Stati Uniti e Howard non aveva avuto abbastanza coraggio per bollarla come una bravata da ragazzini.

Era stata una settimana infernale e si era conclusa con Howard che spalancava la porta della sua stanza per comunicargli che in autunno sarebbe andato all’università, volente o meno. Che non aveva tempo per le sue cazzate e che era tempo che anche lui si rendesse utile invece di continuare ad infangare il buon nome di famiglia.

Avrebbe continuato a farlo anche una volta andato all’università, aveva ricordato con un sorriso.

“Krypto!” Si era stupito quando il cane era arrivato vicino a lui scodinzolando felice. Non aveva mai avuto un animale domestico in vita sua. E non aveva mai forse neppure toccato un cane prima. Che vita triste aveva avuto se a 46 anni non aveva mai perso un po’ di tempo con un animale.

Il cane continuava a guardarlo e lui non sapeva esattamente cosa fare. Doveva accarezzarlo? Doveva lanciargli una palla? Doveva semplicemente ignorarlo e tornarsene in casa?

“Credo che sarai la mia unica compagnia qui. Quei due sono molto impegnati, vero? Ti trascurano?” Si sentiva molto stupido, e non erano molte le circostanze in cui si sentiva tale. Ma parlare con qualcuno che non poteva risponderti… No, si era corretto, lo faceva anche nella sua officina con i propri robot. “Barnes diceva qualcosa riguardante l’impianto elettrico, no? Tanto vale che allora faccia qualcosa mentre sono qui.” Aveva accarezzato la testa del cane che per tutta risposta aveva iniziato a fargli le feste. Si era alzato ricordando che Steve gli aveva detto che gli attrezzi erano in garage, e poi si sarebbe messo all’opera.

 

♡♡❤♡♡

 

Era seduto in cima alla scala che aveva posizionato accanto al muro per finire di sistemare alcuni fili. La musica era stata altissima fino a quel momento e gli AC/DC venivano sparati a palla dal suo portatile che aveva lasciato in cucina.

Quando si era voltato, Steve Rogers era appoggiato allo stipite della porta nel ripostiglio e lo osservava. Era bello. Davvero bello. Come una statua greca che prendeva vita e si materializzava di fronte a lui. E Tony amava le cose belle.

“Capitano, non vi ho sentiti rientrare.”

“Era alquanto impossibile visto il volume della musica.” Non si era spostato dalla porta, le braccia incrociate al petto e il cipiglio sempre stampato sul volto. “Cosa stai facendo?”

“Ho dato una sistemata all’impianto elettrico, anche se sarebbero da rifare ancora alcune cose e da cambiare un paio di fili, ma per ora può andare bene così. Mi sono arrangiato con quello che avevi in garage e sono riuscito a fare un buon lavoro. Se mi lasci finire ci metto solo un paio di minuti e poi potete accendere le luci e tutto quello che vi serve.”

“Non hai pranzato.” Steve si era spostato dalla porta e Tony aveva osservato ogni suo movimento con molta attenzione. La camicia a quadri era così vintage, ma doveva ammettere che gli donava molto.

“Mi sono dimenticato, non è la prima volta che succede e non sarà l’ultima.”

“Sì, Natasha mi ha avvertito di questo tuo difetto.” Aveva scosso la testa sospirando e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. “Quando finisci, torna in cucina che ti preparo uno spuntino. Anche se potevi almeno lavare i piatti prima di metterti a lavorare.”

“Mi farò perdonare in qualche modo!” Aveva sorriso tornando ad occuparsi dell’impianto. Non era andata tanto male, per una volta. Forse Steve semplicemente non era una persona mattutina, come del resto non lo era lui, e il suo comportamento sarebbe stato diverso durante la giornata. O forse più semplicemente sarà stato minacciato anche lui da Natasha e James.

Era entrato in cucina una decina di minuti dopo. Steve stava lavando i piatti sporchi della colazione e Peter aveva occupato il tavolo con i propri testi scolastici. Era una scena così casalinga che lui non ci era proprio abituato. E lo metteva a disagio perché non sapeva cosa poteva o non poteva fare in quel momento.

“Tony!” Peter aveva subito sorriso non appena lo aveva visto e lui aveva risposto al sorriso per riflesso. “Steve si chiedeva cosa potesse prepararci per cena. Io gli ho detto che volevo ordinare la pizza, ma non vuole.”

Prima di rispondergli si era avvicinato all’interruttore. Lo aveva premuto e aveva esultato quando la lampadina non era esplosa. Aveva per un attimo temuto di aver fatto dei danni su un impianto tanto vecchio, ma era dopotutto Tony Stark. Un genio. Non poteva sbagliare una cosa tanto semplice.

“Fanno la pizza anche qui da voi? Credevo che nella Terra di Mezzo si mangiasse solo Pan di Via regalato dagli elfi.”

Peter aveva ridacchiato, mentre Steve lo aveva solo guardato finendo di asciugarsi le mani in uno straccio.

“Parlerete sempre per citazioni, vero?”

“Probabile.” Peter aveva sorriso al biondo. “Così magari ti viene voglia di vedere tutti quei film che sto cercando di convincerti a guardare.” Si era poi voltato verso Tony. “Quando si annoia guarda “Via col Vento”, bel film quanto vuoi, ma che palle.”

“Peter, linguaggio.”

Peter aveva alzato gli occhi al cielo, e Tony aveva ridacchiato.

“Linguaggio? Sul serio?”

“Sì, sul serio. E anche a te non è permesso dirne.” Li aveva guardati entrambi. “Se dite le parolacce non vi do il dolce.”

“Sei peggio della zia May, Steve. Seriamente. Oggigiorno anche i bambini all’asilo dicono le parolacce. Molte più di quante tu non ti immagini. E poi vuoi farmi credere che la squadra di football non dice le parolacce?”

“Da quando li ho puniti non facendoli giocare mi danno retta.” Steve aveva appoggiato sul tavolo un piatto con dei panini e Peter ne aveva subito preso uno. “Alleno la squadra di football.” Aveva semplicemente detto notando che Tony lo fissava senza capire.

“Oh, avrei dovuto capirlo visti tutti quei muscoli.” Si era seduto di fronte a Peter prendendo un panino a sua volta e addentandolo subito. Il ragazzo aveva ridacchiato e Tony lo aveva soltanto guardato. Aveva poi spostato lo sguardo su Steve che aveva scosso la testa.

“Bucky non ti ha detto che lavoro fa?”

“Né Barnes né Romanoff sono stati così gentili da fornirmi qualche informazione prima di schiaffarmi in macchina e portarmi fin qui.” Aveva fatto una smorfia continuando a mangiare. Ora si rendeva conto che effettivamente aveva fame. Che solo il caffè non poteva considerarsi sostentamento.

“Il Capitano Steve Rogers insegna arte al liceo!” Peter aveva guardato entrambi gli adulti, non riuscendo a nascondere il divertimento dai propri occhi. “Ed è tipo il professore preferito di tutte le studentesse. Sai che alcune gli hanno regalato dei cioccolatini a San Valentino?”

Tony guardava il biondo che era arrossito e guardava male il ragazzo.

“Non dovevi fare i compiti, tu?”

“Li sto facendo, non vedi?”

“Stark, tu finisci di mangiare e poi rimetti gli attrezzi al loro posto.”

“Devo proprio?” Aveva finito il panino, prendendone subito un altro. Gli mancava già Natasha che gli portava qualcosa da mangiare mentre lui era rinchiuso nella propria officina cercando di non far saltare in aria l’intero palazzo e tentando di inventare qualcosa.

“Non so come tu sia abituato a New York, ma qui ognuno deve fare la propria parte. Le pulizie non si fanno da sole.”

“Credevo ti aiutassero gli animaletti della foresta mentre tu gli canti.” Steve lo aveva guardato male e lui aveva solo sorriso. Poteva quasi abituarsi al modo in cui il biondo lo guardava. “Dunque. Le pulizie. Non ne ho mai fatta mezza in vita mia.”

“Imparerai.” Steve aveva sorriso, uscendo subito dopo dalla cucina. Si sentivano i suoi passi sulle scale che portavano al piano di sopra.

“Ma è sempre così?” Tony aveva osservato il ragazzo che aveva ripreso a scrivere su un quaderno.

“E’ un ex soldato, cosa pretendi? Ma non è male. Sul serio.” Peter gli aveva sorriso e in quel momento Tony avrebbe avuto tante domande da porgli. Perché era lì? Cos’era Steve per lui? Perché lui era scappato da New York per ritrovarsi in quel posto? I suoi genitori? Ma non poteva farlo.

“Non ho rifatto il letto stamattina, secondo te mi sculaccia?”

Il ragazzo aveva ridacchiato, riprendendo con i compiti. Tony era rimasto seduto ancora al tavolo della cucina. Aveva guardato Peter. Non avrebbe mai pensato di passare del tempo con un ragazzino. Si era sempre ben guardato dal mettere su famiglia. Non sarebbe mai stato un bravo padre. Sarebbe stato Howard 2, la vendetta. E non avrebbe mai voluto fare quel torto ad un bambino.

E ora era bloccato a tempo indeterminato in una casa - una vera casa - con un ragazzo che avrebbe potuto essere suo figlio.

“Cosa vuoi fare dopo le superiori?”

“Non lo so in realtà.” Aveva morso un labbro e si era passato una mano tra i capelli. “Dipende se riesco ad avere o no la borsa di studio.”

“Cosa vuoi fare? Non pensare ora in base alla disponibilità economica. Cosa vuoi fare?” Aveva appoggiato i gomiti al tavolo e si era sporto verso Peter. Il ragazzo aveva guardato prima lui e poi il quaderno.

“Chimica. Magari al MIT.” Aveva sbuffato e buttato la penna sul quaderno. “Ma è già tanto se riuscirò a finire le superiori e ad iscrivermi ad un’università qui.”

L’uomo lo aveva osservato ancora. C’era qualcosa sotto se il ragazzo reagiva così e, nonostante lui fosse curioso di natura e gli piacesse ficcare il naso dove non era il suo posto, aveva capito che era meglio non indagare troppo al momento.

“Il MIT è un’ottima scelta. Se ti serve una lettera di raccomandazione te la scrivo più che volentieri. Del resto mi sono laureato summa cum lauda in quel postaccio. E ci ho fatto tutti i dottorati, quindi il mio nome dovrebbe valere qualcosa, anche se ho fatto saltare in aria uno dei laboratori una volta. Ma era più che altro colpa di Dum-E. Quel robot è proprio stupido ma non riesco a liberarmene perché è il primo che ho costruito. Anche se oramai lo uso solo come cameriere quando sono nella mia bella officina high tech.”

“Parli sempre così tanto?”

Peter lo aveva guardato con un piccolo sorriso sulle labbra e in quel momento Tony era stato felice di averlo fatto distrarre in qualche modo.

“Sempre. Prova a chiedere a Natasha. Minaccia di uccidermi a volte.” Aveva allontanato la sedia dal tavolo, alzandosi lentamente ed in modo melodrammatico. “Vado a mettere a posto gli attrezzi, perché ho paura dei posti in cui potrei ritrovarli se lo faccio arrabbiare. Se hai bisogno di una mano, non sarà difficile trovarmi.”

Peter aveva ridacchiato e lui si era allontanato per riprendere gli attrezzi che aveva abbandonato un po’ ovunque nella stanza adiacente. Mettere a posto non erano parole che spesso venivano usate in sua presenza. Lui non metteva mai a posto nulla. C’era chi puliva la sua casa, chi gli lavava e stirava i vestiti. E la sua officina non era mai in ordine. Anche quando si sforzava di dare una parvenza di ordine alla fine non lo faceva mai e finiva soltanto col creare più caos attorno a sé.

Se gli avesse messo troppo in disordine il garage, poteva già immaginare l’ira divina che si abbatteva su di lui.
   
 
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