La riunione
Il tempo scorre,
imperterrito,
inconsapevole, inutile: passa veloce o lento, misurato, indifferente
degli
eventi che lo compongono. Il rapimento della principessa Noemi fece il
giro
della galassia lentamente, irrefrenabile.
Quando tutta la
galassia lo seppe, era
ormai passato un mese, e nulla si muoveva.
O almeno, nessuno
voleva che niente si
movesse.
L’Imperatore
e l’Imperatrice
continuavano la loro vita, come se niente fosse accaduto.
I burocrati,
più o meno fedeli
all’Imperatore, non ne parlavano. Ma ne erano preoccupati. Un
capo divisione
per l’immigrazione e uno addetto al controllo della navi
spaziali private
furono trovati morti nei loro appartamenti, apparentemente suicidi.
Ma i servizi
segreti non se ne curarono,
non investigarono.
L’Imperatrice
lo seppe per caso,
confabulando con le sue amiche.
Quando ne
parlò con il marito, lui fece
finta di niente, non era importante: o almeno, per lui era importante
che la
moglie non si innervosisse più del necessario. Era ovvio,
ormai, che qualcuno
stava movendosi verso una direzione ben precisa, ma ancora da capire.
Dal pianeta su cui
erano stati mandati,
Louk e Rachel partirono nello stesso modo in cui erano arrivati, con
più
interrogativi che risposte. Tornarono al pianeta
dell’Imperatore e riferirono ognuno
al suo mandate.
Freddy, invece, se
ne guardò bene di
tornare dall’Imperatrice.
Non ebbe il
coraggio di fare ciò che
Louk gli aveva chiesto: non era un killer.
Partita dal
pianeta, usando vari navi
spaziali, che trasportavano materiali vari per la galassia, si fece
portare
alla tana delle tigri.
Riferì
direttamente a Doc.
Alla tana delle
tigri, intanto, erano
arrivati anche il Conte Black e Giulia, che Freddy fu ben felice di
vedere sana
e salva.
Doc decise di
indire una riunione, per
discutere degli avvenimenti dell’ultimo mese, alla presenza
di tutti i
protagonisti.
“E’
davvero il caso di indire una
riunione con tutti?” chiese il Conte Black a Doc.
“Di
più mio caro. Siamo obbligati a fare
una riunione. Devo chiarirmi le idee. E’ tutto ancora
così… fumoso…
incontrollabile… Vedremo.” Disse Doc, calmo come
sempre.
Samuel
incrociò Black in uno dei
corridoi della tana.
“Cosa
vuole fare Doc? Perché vuole
indire una riunione generale?” chiese Samuel a Black.
“E che ne
so? La vuole fare per capire.
Vallo a capire!”
Samuel fece
spallucce e si diresse verso
una della stanze della tana.
Nella stanza trovo
Angel, sdraiata su un
divano, che stava leggendo, su un video di ridotte dimensioni, un libro.
“Cosa
leggi?” chiese Samuel
“O,
niente di interessante… uno strano
libro… La storia di Don Chisciotte della Mancha.. che tipo
strano. Divertente…
che c’è, Samuel, qualcosa che non va?”
Chiese Angel, girandosi a guardare
Samuel.
“Black ha
detto che Doc vuole fare una
riunione con tutti. Strano. Vuole capire… quando mai Doc ha
fatto una riunione
per capire? A lui non serve…”
“Capire?”
concluse Angel
“Sì.
Capire. Se sa già tutto, cosa deve
capire?” Samuel sembrava angosciato.
“Non
è che vuole prendere tempo? Sai,
magari… no, non è possibile.”
“Cosa non
è possibile, Angel?” chiese
Samuel, sedendosi di fianco ad Angel.
“La
storia della giara. Dopotutto, se è
vero che solo il diretto discendente può guardare dentro la
giara, chi è il
diretto discendente?”
“Noemi!”
Rispose Samuel, ma si accorse
di averne detta una troppo grossa.
“Giulia.
E’ lei la primogenita. Che
scioccone!” Disse Angel, ridendo forte. Samuel era rimasto
imbambolato, quasi
non capendo. Angel smise di ridere e lo guardò.
Anche Samuel,
ancora sbigottito, guardò
Angel.
“ E
allora, perché hanno rapito Noemi?”
dissero insieme.
***
La riunione fu
organizzata in meno di
una settimana.
La grotta della
tana era piena di
personaggi provenienti da tutta la galassia. O anche da oltre.
Evane
entrò nella sala con tutti gli
altri: Samuel, Angel, Black e Giulia e si accomodarono su alcune
scranni
scavati nella roccia posti in fondo alla sala. Roson, l’orso,
ed Elsa, la
tigre, si accucciarono ai loro piedi.
In faccia a loro
c’erano gli scranni
degli anziani della tana: Doc sedeva nel mezzo, negli altri undici
posti vi
erano personaggi provenienti da tutte le parti della galassia. Ma Evane
noto
che la metà degli anziani non era di quella galassia.
Dietro agli
anziani, nei palchi posti ai
vari livelli all’interno dalla grotta, vi erano i saggi.
Gli altri palchi si
stavano rapidamente
riempiendo di vari personaggi, in modo rumoroso: sembrava che fosse
parecchio
che non si incontravano e, qualcuno, in modo decisamente gioviale,
salutava
persone presenti sui palchi dall’altra parte della sala.
Doc, in piedi, richiamò tutti
all’ordine.
“Signori…
signori… prego…
incominciamo…”
la sua voce rimbombò all’interno della grotta.
Il vociare
terminò.
“Siete
stati chiamati per capire cosa
sta in questo momento capitando nella nostra galassia. Capisco che per
molti di
voi ciò può risultare insignificante, ma
nell’ordine delle cose, può essere che
le aspettative di molti di coloro che abitano questa galassia non siano
esattamente ciò che in pochi vogliono per se stessi.
E’ necessario verificare i
fatti, confrontarli, capire ed infine intervenire per contrastare chi
vuole
modificare a suo solo vantaggio le cose.”
Doc si fermo,
volgendo lo sguardo a
tutti i settori della sala, cercando segni di consenso o di diniego da
parte
dei partecipanti. Nessuno fiatò.
“I fatti
sono semplice. La principessa
Noemi, figlia dell’Imperatore di questa galassia, ma non sua
erede al trono, è
stata rapita. Da chi non ci è dato ancora di
saperlo… (un improvviso brusio
percorse tutta la sala e Doc si fermò) Sì, lo
so… (continuò Doc, movendo le
mani per far tacere il brusio) che voi credete che… quella
persona.. (il brusio
diventò insopportabile e Doc si fermò)”
“Basta!”
urlò una voce in uno dei palchi
dietro a Doc.”Fate silenzio… (Il brusio
terminò) Continui, Doc!” disse infine
l’interlocutore.
“Come
dicevo, so che voi credete che
quella persona sia implicata, e di certo non posso darvi torto. Ma noi
sappiamo
che non è così. Notizie certe ci dicono che
alcuni burocrati dell’Impero di
questa galassia e di quella a noi vicina, nemica da tempi immemorabili,
sono in
combutta. La giara è in viaggio e se il successore non
potrà riceverla al
momento previsto, non si potrà avere la successione.
E’ necessario che il
successore ci sia a ricevere la giara.”
Tutti guardarono
Giulia.
“Peccato
che non sia lei!” Disse Doc e
il brusio della sala fu incontrollabile. “Peccato che non sia
lei, che non sia
sua sorella Noemi, che non sia Evane, sorella
dell’Imperatore. Peccato che
Makarre con l’Imperatore Touk stia tentando di prendere il
potere, senza
ragione. Per fortuna. No! Il successore dell’Imperatore
presto sarà raggiunto
dalla giara della verità. (Nella grotta le voci di protesta
e di stupore si
alzarono alte) Vi prego… vi prego…
signori… silenzio… “ La tigre Elsa
alzò il
muso interrogatorio verso Doc, mentre l’orso Roson si era
messo seduto.
“Silenzio!”
urlò la voce dietro a Doc e
il silenzio calò come un mannaia nella grotta, un silenzio
inspiegabile e
preoccupante.
“Vi
prego. Capisco.” Continuò Doc
“Capisco che la cosa vi preoccupa. Capisco anche te, Elsa. E
anche la tua
meraviglia, Roson. Ma d’altronde era necessario. Ormai la
casa Kioun ha finito
il suo ciclo. E’ necessario che altri proseguano, dopo
l’Imperatore Federikson,
a comandare questa galassia. Necessario. L’Imperatore Touk
sta tentando, di
fronte all’impossibilità dell’attuale
Imperatore di opporsi ai burocrati, di
prendere il comando tramite Makarre. Ma noi non possiamo permetterlo.
Makarre
non può prendere il comando di questa galassia. Sarebbe
troppo pericoloso.
Comunque, non vi preoccupate. La giara ha ancora molto da viaggiare per
essere
consegnata. Per il momento, è necessario liberare Noemi,
bloccare Makarre e
l’Imperatore Touk nel loro tentativo di prendere il comando
della galassia. Per
questo, a Makarre ci penserà il Conte Black. A liberare la
principessa ci
penseranno la principessa Evane, il Duca Samuel Costa Rica e Angel
Costa Brava.
In ogni caso, dobbiamo fare in modo che quando vi sarà la
successione, la
galassia rimanga comunque unità, per questo è
necessario che Invicible sia noto
a tutti che può arrivare a bloccare qualsiasi rivolta che
potesse esplodere
nella galassia. Capisco che la decisione è dura, ma
necessaria. Ben sapete il
perché, e gli anziani sono tutti
d’accordo.” Il vociare dei presenti costrinse
Doc a fermarsi, perché il rimbombo nella grotta era
diventato insopportabile.
Il solito
personaggio nascosto nel palco
alle spalle di Doc intervenne.
“Silenzio!
E’ necessario! La decisione è
stata presa!”
Il brusio
terminò. Evane si guardò
intorno.La sua dinastia era arrivata alla fine, dopo così
tanto tempo. Ma
perché Doc era stato così duro? Perché
era necessario? Avrebbe voluto chiederlo
a Doc, ma la riunione era finita e molti si allontanarono dalla grotta.
Doc
sparì agli occhi di Evane dietro a numerose toghe
incappucciate.
La tigre Elsa
guardò Gloria, che aveva
gli occhi piani di lacrime. Gli appoggiò il muso sulle
gambe, ma Gloria la
respinse in modo brusco. Elsa non capì. Dopo tutto le era
stata fedele, la
aveva difesa da qualsiasi malintenzionato, perché la
trattava così?
L’orso
Roson guardò il Conte Black, che
stava parlando con Samuel ed Angel. Black non sembrava poi
così molto sconvolto
dalla notizia.
Evane con capiva.
Tutto sembrava
inutile. Seduta nel suo scranno, guardava i vari mantelli passare, il
cappuccio
calato sul viso dei vari personaggi, che tra di loro si riconoscevano ,
ma non
volevano farsi riconoscere.Si sentì male. Dopo qualche
attimo, Angel le si
avvicinò, scotendola dal suo torpore con la mano appoggiata
sulla spalla.
“Perché?”
Chiese Evane a Angel.
“Lo so
che non ti è stato spiegato. Ma
ti devi fidare. La tana lo fa per il bene della galassia. Il potere,
Evane, il
potere di un solo uomo non serve alla galassia. Non serve a nessuno. La
gente
che la abita, che ogni giorno si alza in tutti i mondi che la
compongono e
lavorano, piangono, gioiscono, solo quello è importante. Le
nostre stesse vite
non sono così importanti. Per il bene del futuro della
nostra galassia, è
necessario cambiare, affinché nella cambi. Per gli altri,
ovviamente.” Le disse
Angel, sorridendole, per tranquillizzarla.
Evane
annuì, silenziosa, ed abbassò il
volto. Né lei, né suo fratello Imperatore erano
così importanti come coloro che
vivevano nella galassia. Senza quei miliardi di persone che vi
vivevano, l’Imperatore
non avrebbe avuto ragione di esistere. E pure senza il consenso di quei
miliardi di persone.
Angel
andò a consolare Gloria. Ma ormai
Gloria era in preda ad una crisi di nervi. Il Conte Black prese Gloria
in
braccio, quasi svenuta, e la portò via.
Mentre Evane si
alzava dal suo scranno,
riconobbe Freddy che usciva con un gruppo di toghe da una uscita
secondaria.
“Strano.” Pensò ”Anche lei
qui. Non sembrava preoccupata.”
Evane
scrollò le spalle e si avviò a
seguire Angel. Se era tempo di cambiare conveniva stare almeno dalla
parte
giusta. Forse.
L’altra
riunione
La luce
entrò nella stanza da una tenda
scostata dalla finestra, andando a colpire il volto di Louk. Ma lui era
sveglio
già da un po’. Si girò e vide il volto
di Rachel. Stava ancor dormendo, beata,
come se nulla potesse darle fastidio. Louk, però,
notò un lieve spostamento
della palpebra destra di Rachel. Lei aprì
l’occhio, guardò Louk e scoppio a
ridere.
Louk e Rachel erano
in un letto a
baldacchino, nudi, sotto un copriletto bianco, lavorato a mano.
Louk si infilo
sotto alle lenzuola,
abbracciando forte Rachel e trascinandola sotto anche lei.
La lotta sotto le
lenzuola durò poco: un
calcio di Rachel colpì Louk, che saltò fuori dal
letto nudo e dolorante,
tenendosi il linguine e rotolando per terra.
Rachel lo
seguì, nuda, cercando di
calmarlo: in quel mentre qualcuno entro nella stanza senza bussare.
“Buongio…”
iniziò la ragazza, che come
ogni mattina svegliava la coppia, spostando le tende e facendo entrare
la luce
nella stanza.
“Sì…
sì… adesso fuori!” Le disse Rachel,
per niente imbarazzata della situazione.
La ragazza
girò sui tacchi e usci,
chiudendo dietro di sé la porta.
La stanza ritorno
nella penombra, mentre
Rachel aiutava Louk ad alzarsi e a tornare nel letto. Il fiato di Louk
era
pesante, ansimante, e Rachel cercava di calmarlo, mentre lui la
guardava con un
sguardo che urlava vendetta.
Rachel indosso la
sua vestaglia blu
cobalto, si avvicinò ai pesanti tendaggi e li apri, facendo
entrare la luce del
mattino nella stanza.
A Louk
passò in fretta il danno
provocato dal colpo, ma rimase nel letto.
Rachel lo
guardò divertita, poi si
avvicinò ad un video appeso al muro, lo toccò con
le dita e un menù apparve sul
video. Rachel con l’indice toccò
“servitù” e sul video apparve il volto
della
ragazza che era entrata nella stanza.
“Dica,
signora… ha bisogno?” chiese la
ragazza.
“Sì,
Ramona. Potresti portarci la
colazione? Grazie.” Le disse Rachel
“Sì…
signora.” Rispose la ragazza.
Il video divenne
trasparente. Rachel si
girò verso Louk, che si era alzato ed aveva indossato una
vestaglia nera.
Rachel
cercò di avvicinarsi, ma Louk gli
fece un cenno che non ammetteva repliche: stai lontana.
Rachel sorrise, ma
capì; a Louk non
piaceva molto essere maltrattato.
Ramona
bussò prima di entrare: Rachel si
avvicinò alla porta e la aprì.
“Posso
entrare?” chiese Ramona “Il
signore è vestito?”
“Entra,
entra Ramona.” Disse Louk.
Ramona spinse
dentro il carrello pieno
di cibo e se ne andò subito, con aria indifferente.
Rachel chiuse la
porta dietro a lei, ridendo.
“Tra poco
lo saprà anche l’Imperatore!”
disse Rachel ridendo.
“Bello.
Oh, bello davvero. A casa
dell’Imperatore doveva succedere. E’
l’ultima volta che ti do retta. Dovevamo
già essere a casa nostra. Ma no, scherzi, lei deve parlare
con l’Imperatrice.
E’ ormai più di un mese che siamo qui! Ora
basta!” Urlò Louk, infuriato.
“E’
inutile stare qui. Mangiamo e poi partiamo.”
“Louk,
non posso!” Disse Rachel
“Io
parto.” Disse Louk. “Tu se vuoi
rimani. Ho da fare.”
Louk prese una
focaccia dal carrello, se
la infilò in bocca e se ne andò in bagno.
Rachel si era
appena servita da mangiare
e si era seduta al tavolo circolare presente nella camera, quando il
video si
accese e apparve l’Imperatrice.
“Buongiorno,
Rachel. Come va
stamattina?”
“Non
bene.” Disse Rachel, alzandosi dal
tavolo e facendo una riverenza all’Imperatrice.
“Sì,
capisco. Louk vuole andarsene.
D’accordo.” Disse “Parti con lui. Forse
sarai più utile a casa che non qui.”
Rachel
annuì e il video si spense. Si
risedette al tavolo per finire la colazione.
Louk rimase
più di un’ora nel bagno.
Quando
uscì trovo la moglie vestita con
lo stesso vestito che aveva usato per andare sul pianeta Neerg.
“Hai
cambiato idea?” le chiese Louk.
“Sì.
Ti dispiace?” lo rimbeccò Rachel.
“No.
Andiamo.”
Presero le valige
che Rachel aveva
preparato ed uscirono dalla stanza.
Louk si
voltò a guardare la stanza. Sul
carrello del cibo gettò una parallelepipedo lucente.
L’oggetto
tintinnò cadendo sul carrello.
Rachel
sentì il rumore e si giro verso
il marito.
“Cos’era
quel rumore?” Chiese Rachel.
“Oh,
niente. Le solite orecchie
indiscrete.” Rispose calmo Louk.
Rachel si
rigirò e prosegui per il lungo
corridoio su cui si affacciava la stanza che avevano lasciato.
Louk dovette
correre per stargli dietro.
Louk e Rachel
presero la loro nave,
posteggiata da ormai alcuni mesi nell’astroporto privato
dell’Imperatore: un
onore dato solo ai più alti ranghi dell’Impero.
Il responsabile
dell’astroporto segno
sul suo computer la partenza della nave.
L’Imperatore
era nel suo ufficio, quando
la segnalazione della partenza della nave di Louk arrivò sul
suo computer, nel
suo ufficio privato.
Si alzò
dalla scrivania e guardò fuori.
La nave di Louk, una nave da battaglia del tipo Jiok, nera, si stava
alzando in
volo.
L’Imperatore
si strofinò il mento,
pensieroso.
***
“Allora.
Cosa facciamo?”
“E’
inutile insistere. Non ne vuole
sapere. Non vuole sostituire le persone che d’ora in poi
verranno per qualsiasi
motivo uccise o trovate uccise. Dice che i posti verranno presi dai
loro
diretti subalterni. Che fregatura!”
“Calmati.
Adesso dobbiamo fare in modo
che accetti necessariamente che la sostituzione avvenga per nomina e
non per
successione. Ci deve essere il sistema di farglielo
accettare.”
“Non
esiste qualcosa nei meandri delle
leggi?”
“No. Non
esiste.”
“Oh…
esiste. Uccidiamo i subalterni più
diretti. Li sostituiamo. Uccidiamo i capi…”
“E il
subalterno diventa il capo. Bella
idea. Ma ci vorrà tempo.”
“Troppo.
Ma è l’unico sistema. Ci
conviene muoverci. I consigliere dell’Imperatore e
dell’Imperatrice se ne sono
andati oggi. Non torneranno per almeno sei mesi. Conviene intervenire
intanto
che non sono qui.”
“Bene.
Pensi che Ma…”
“Niente
nomi. Idiota! Andiamo via di
qui.”
***
L’Imperatore
indisse una riunione tra i
capi dei servizi segreti nella sala nel sotterraneo.
A tre mesi dal
rapimento della ragazza,
niente si era mosso ancora. O, almeno, l’Imperatore non aveva
voluto che niente
si movesse.
Il Generale Koisuom
e il Signor Houiol
sedevano uno a destra ed uno a sinistra dell’Imperatore,
mentre tutti i loro
dirigenti dei vari settori sedevano, ognuno per le sue competenze,
dalla parte
del loro superiore.
L’Imperatore
guardò sia a destra che a
sinistra, prima di iniziare la riunione. Alcune facce erano nuove: due
o tre,
pensò l’Imperatore. Il nemico si stava movendo in
fretta.
“Bene,
signori, notizie?” chiese
guardando il generale alla sua destra, ma la voce che gli rispose
giunse da
sinistra.
“Siamo in
attesa di vostri ordini, mio
Imperatore.” Disse il signor Houiol.
“Esatto.”
Disse il Generale, che l’Imperatore
stava ancora guardando.
“Interessante.
Peccato che ho detto di
non muoversi e di trovare mia figlia. L’avete
trovata?” chiese l’Imperatore.
“Sì.”
Disse il Generale. “Sappiamo dov’è
e con chi é. Non si sono mossi. Attendono ancora
ordini.”
“Bene.
Nessuno si muova. Controllateli.
Che una formazione di attacco si piazzi nella zona e nel caso di una
loro fuga…
catturateli! In caso di resistenza, portatemi solo mia figlia.
Viva!”
L’Imperatore serrò forte le mani, guardando i
presenti nella stanza.
“E per
Makarre e l’Imperatore Touk?”
chiese il signor Houiol.
“Dopo.”
Disse l’Imperatore dopo una
breve pausa. “Dopo. Adesso serve che voi fermiate la morte
inutile dei
burocrati. Vedo tra di voi facce nuove. Spero che siate fedeli al
vostro
Imperatore… Sarà meglio Generale che tutte le
persone nuove in questa sala
siano controllate. Anzi, meglio, niente più facce nuove, in
questa stanza.
D’ora in poi le riunioni verranno fatte solo con persone che
hanno già iniziato
questo lavoro. Agli altri non sarà ammesso accedere a queste
riunioni.”
L’Imperatore
si alzò ed uscì dalla
stanza.
Il generale e il
suo dirimpettaio
guardarono le facce dei loro collaboratori. Tre delle persone presenti
furono
invitati dal Generale a seguirlo.
“Vi
conviene trasferirvi tutti al centro
comando fino alla fine della crisi. Siamo tutti in pericolo di
morte.” Disse il
signor Houiol a coloro che erano rimasti nella stanza.
Ci fu un vociare di
proteste, che si
interruppe quando il viso del signor Houiol divenne scuro.
“Anche i
vostri cari. Per sicurezza,
ovviamente.” Concluse.
La riunione fu
sciolta e i funzionari
uscirono dalla sala. Tranne il signor Houiol. Si accese un sigaro, che
aveva
tolto da una tasca interna della sua giacca, e l’accese con
un accendino enorme
e nero.
Il fumo della prima
boccata invase la
stanza.
Rimase
lì, pensieroso, in quella enorme
sala, a pensare al da farsi.
Anche uno dei suoi
diretti funzionari
era morto. E lui aveva deciso di non sostituirlo. Ormai il disegno del
nemico
era chiaro, e lui era intervenuto, drasticamente. Nessun successore.
Nessuna
possibilità di sostituirlo se non uccidendolo. E
l’Imperatore non lo avrebbe
sostituito.
Meglio
così, pensò.
Si alzo dalla sedia
ed uscì, fermandosi
sull’uscio. Si voltò, e vide
l’Imperatrice entrare.
Si guardarono un
attimo.
Quanto sapeva il
club delle… amiche o
sceme, come piaceva chiamarle all’Imperatore, di quello che
stava succedendo?
pensò Houiol. Troppo, sicuramente. Ma erano talmente fedeli
all’Imperatrice e,
quindi, all’Imperatore, che qualsiasi cosa avessero fatto,
era il benvenuto.
Qualsiasi aiuto.
Hoiuol saluto
l’Imperatrice con un
inchino ed usci.
L’Imperatrice
sentì l’odore del sigaro
del signor Houiol. Si sfregò il naso. Quel puzzo
insopportabile. Ma non poteva
smettere? L’Imperatrice controllò che non ci fosse
nessuno. Si inchinò e cerco
sotto il tavolo.
“Sei la
solita ficcanaso!” L’Imperatore
le giunse alle spalle senza farsi sentire.
“Oh caro,
sai com’é. Sto cercando un
orecchino che ho perso, ma non mi ricordo dove. Che ci vuoi fare. Lo
cercherò
altrove.” Così dicendo porse la mano destra
all’Imperatore perché la aiutasse
ad alzarsi, ma l’Imperatore la lasciò li
dov’era e si sedette sulla poltrona,
che l’Imperatrice aveva scostato per cercare sotto il tavolo,
guardandola con
fare circospetto.
L’Imperatrice
si sedette sul pavimento
di marmo, alzando le vesti e mostrando le lunghe game affusolate.
“Ha
ragione, Louk. Tu e Rachel, ogni
volta che siete in difficoltà, mostrate le vostre grazie.
Allora, dimmi, cosa
cerchi, questo?” disse l’Imperatore, mostrando alla
moglie un parallelepipedo
lucente.
L’Imperatrice
parve imbarazzata, ma si
trattenne: il suo autocontrollo era insuperabile e molte volte aveva
avuto modo
di dimostrare che gli insegnamenti ricevuti avevano fatto il loro
dovere.
“Ma cosa
dici, caro? Io cercare
quell’aggeggio? Non so neanche cosa sia.” Disse la
donna, sorridendo al marito.
L’Imperatore
non era molto contento
della risposta della moglie e decise di passare all’attacco.
Si sedette sul
pavimento vicino a lei, e
gli passo le mani sulle gambe.
“Caro…
ti prego… qui no…”
“E
perché no. E’ l’unico posto dove non
l’abbiamo ancora fatto.”
L’Imperatore
passo all’attacco e
all’Imperatrice non poté far altro che arrendersi.
Era sempre così focoso
quando voleva.
Nessuno dei due
fece caso al tempo che
trascorreva lento, inesorabile.
Quando la foga
dell’Imperatore finì e le
voglie dell’Imperatrice cessarono, i due erano nudi sul
pavimento di marmo,
freddo come una lastra di ghiaccio.
“Cosa
vuoi, caro?” Disse l’Imperatrice,
mentre si alzava dal freddo pavimento e si sedava su di una sedia,
certamente
più comoda e più calda.
L’Imperatore
era di schiena sul
pavimento e guardava il soffitto.
“Cosa
sai, tu e il tuo club delle..”
“Sceme?”
L’Imperatrice non gli fece
concludere la frase “Sai, so che la giara della
verità è in viaggio per il tuo
successore, (fece un sospiro) peccato che non sia una delle tue
figlie.”
L’Imperatore
si alzo, gettando alla
moglie i suoi vestiti e incominciando ad indossare i propri.
“Caro.”
Disse l’Imperatrice “Queste sono
tue.” Lanciandogli un paio di slip, che gli finirono sulla
testa, provocando
l’ilarità dell’Imperatrice.
L’uomo,
con un gesto di stizza, se li
tolse dal capo e li indosso.
“Così
il tempo è venuto. La nostra
dinastia si ferma qui. A chi toccherà
sostituirmi?” disse l’Imperatore.
“Non si
sa. Lo sai che non è concesso a
nessuno di saperlo.”
“Tranne
alla tana delle tigri, o meglio,
a Doc. E’ lui che decide a chi va la giara, no?!”
disse l’uomo, finendo di
vestirsi.
La donna
finì di vestirsi e si diresse
verso l’uscita.
“Non ti
serve?” Le chiese il marito,
tenendo il mano il parallelepipedo.
“No. Ho
saputo quello che mi serviva.
Vogliamo andare?” disse la moglie, facendo segno al marito di
seguirlo.
“Già.
Ma io non sono lo scemo del
villaggio. Spera che non venga mai a sapere cosa state combinando. Non
vorrei
venire a sapere che qualcuno ha deciso per me.”
“Non ti
preoccupare, caro. Prima il bene
della galassia, te lo ricordi. Sempre prima il bene della
galassia.” Disse la
donna in modo amorevole, rimarcando le ultime parole.
L’Imperatore
offrì il braccio
all’Imperatrice ed uscirono dalla sala.
A terra rimase, non
vista, un collant.
Qualcuno, subito
dopo l’uscita della
coppia, lo raccolse.
E il viaggio non si
ferma
“Allora…
ti muovi…siamo in ritardo…”
“Sì…
lo so… in ritardo e lontano… ma chi
se ne frega… a chi vuoi che interessi?”
“A
me… pesa…”
“Ma
va… davvero… poverina…”
“Un
cavolo… muoviti…”
“Senti…
siamo gia passati per un
deserto… viaggiato in modo indecente su astronavi cariche di
tutto, tranne di
essere pensanti… mi fai attraversare boschi…
senza parlare degli animali che ci
vogliono magiare… smettila…”
“Sei
insopportabile… lo sai che il
nostro lavoro è importante… “
“Già…
importante… l’unico interessato a
questo lavoro é… “
“Niente
nomi… quante volte te lo devo
dire che qualcuno potrebbe sentirci e vedere…”
“Dove?
Qui?! Ti sei bevuta non solo il
cervello, ma tutto la massa cervicale che ti
ritrovi…”
“Basta…
cammina.. ci fermeremo quando
finiscono gli alberi… ormai è
sera…”
“Come sei
buona…”
I burocrati
Per comandare un
Impero, o meglio, per
dirigere un Impero come se fosse una orchestra, oltre a chi si vede
(Imperatore, Duchi, Baroni, Conti), servono i burocrati, coloro che
controllano
le carte, le vagliano, verifichino che siano fatte come le leggi
scritte o le
usanze del posto prevedono, rilasciano documenti, incassano le tasse.
Senza di
loro l’Impero si fermerebbe.
Purtroppo, qualcuno
dei burocrati, alle
volte, forse per troppo zelo, dice ai suoi capi come sarebbe meglio
mandare
avanti le cose, modificare leggi o usanze, se non addirittura come
comandare.
Alle volte alcuni
vengono perdonati,
altri esclusi dal sistemi o, alla peggio, licenziati.
Ma i più
subdoli, sapendo quanto gli
spetta per il loro ardire, spesso mandano avanti gli altri a parlare
con i
capi, dandogli indicazioni su come fare o suoi modi di agire e dire le
cose,
negando l’evidenza dei fatti in caso di insuccesso, non
rimettendoci niente. In
caso di successo, si fanno avanti schiacciando in modo ignobile chi
hanno
convinto a portare il loro pensiero ai capi.
In qualunque caso,
fanno sempre bella
figura.
Di certo quelli che
avevano deciso che
la casa dell’attuale Imperatore non doveva più
regnare, aveva deciso un modo un
po’ troppo ambizioso di sistemare la cosa.
L’idea
era venuta ad un burocrate, un
certo Dinours Jiolu, assistente del Barone Makarre, che ben conosceva
l’avversione del Barone verso l’Imperatore.
Dinours era, per il
Barone, molto di più
del suo braccio destro: era colui che, in qualunque momento, poteva
sostituire
il Barone in qualsiasi funzione. Tanta fiducia era dovuta al fatto che
Dinours
aveva aiutato il Barone quando fu combattuta la guerra con la galassia
vicina.
Ma a Dinours,
quella guerra aveva fatto
comodo. Aveva trattato con i burocrati dell’altra galassia,
esponendo a loro
l’idea: unire le due galassie sotto un solo Impero, per poter
poi meglio
comandare a loro piacere. Di certo un Impero così esteso e
difficile da controllare,
avrebbe messo in difficoltà il nuovo Imperatore, che avrebbe
dovuto affidare
zone più grandi delle galassie a singoli individui fidati:
questi individui
avrebbero usato burocrati fidati. Ciò significava per i
burocrati avere un
certo potere, anche se illegittimo, ma sempre potere di fare quello che
volevano. Più o meno.
L’idea
era piaciuta sia ai burocrati
della sua galassia che agli avversari, e Dinours si era messo al lavoro.
La fiducia del
Barone era necessaria: in
una zona così lontana dall’Impero centrale,
nessuno avrebbe controllato le sue
mosse. Il Barone era libero di fare quello che voleva, ma veniva
controllato.
L’Impero controllava la testa, non aveva tempo per i
passacarte.
Fu così
che la liberazione del Barone,
dopo la morte di tutto il parentato, passo come un atto di totale
devozione e
Dinours fu premiato: braccio destro del Barone.
Il più
era fatto.
I burocrati che
Dinours contatto, amici
fidati, furono della sua stessa idea, come i burocrati della galassia
dell’Imperatore Touk.
Ma riuscire a
muovere le pedine giuste
nei posti giusti fu difficile, come fu difficile scegliere quale
Imperatore
scegliere.
A Dinours parve che
Touk fosse il più
adatto.
Vanitoso, anzi
vanesio, capace solo di
sentire la sua voce, faceva sue le idee degli altri come se niente
fosse:
ovviamente, non capiva le idee degli altri, ma li usava a suo
piacimento.
Quando uno dei suoi
burocrati gli disse
che vi era una possibilità, corrompendo alcuni burocrati, di
impossessarsi
della galassia dell’Imperato Federickson, fece subito sua
l’idea, ordinando la
ricerca di questi burocrati e la loro immediata corruzione.
I burocrati
dell’Imperatore Touk, quel
giorno, si ubriacarono in una taverna malfamata della capitale
Tornounte: ciò
che non aveva potuto la guerra, lo avrebbe fatto la corruzione. Unico
neo della
cosa era che per i burocrati dell’Imperatore Federickson non
vi era posto nei
loro piani. Ma era una cosa insignificante: bastava non farlo capire.
Ma Dinours non era
così stupido da non
averci pensato: la cosa era possibile solo mettendo burocrati fidati
nei posti
chiavi, e se qualcuno li avesse deposti dal loro incarico, i
subentranti non
avrebbero trovato niente: il nulla avrebbe causato il cos nella
galassia,
rendendola ingestibile e costringendo il nuovo Imperatore e rimettere
al loro
posto i burocrati destituiti.
Sembrava un piano
perfetto.
A Dinours ci
vollero cinque anni per
perfezionarlo, per convincere i burocrati, per sostituire i
più intransigenti
nei punti chiavi, per convincere il Barone Makarre che il tempo di
prendere il
posto dell’Imperatore Federickson era giunto.
Ma il Barone era
testardo, voleva fare
le cose a modo suo.
Riavvicinarlo
all’Imperatore Touk fu
dura, ma alla fine cedette. O almeno, la sua ingordigia per il potere
lo fece
cedere.
Il primo incontro
con l’Imperatore Touk
avvenne su un pianeta che ruotava intorno ad un gruppo di stelle posto
nelle
vicinanze della galassia dell’Imperatore Federickson. Strani
nomi aveva dato
gli scopritori a quelle galassie.
Una, quella
dell’Imperatore Federickson
la chiamavano Milkstreet, quella dell’Imperatore Touk la
galassia di Androina.
Dinours
partecipò all’incontro tra Touk
e Makarre, per meglio definire meglio gli accordi che erano
già stati presi tra
i burocrati.
L’Imperatore
Touk era un tipo di alta statura,
di circa cinquant’anni standard galattici, con un corpo
atletico e sempre in
forma. Ci teneva Touk alla sua forma e tutto di lui era in forma: la
sua faccia
squadrata, le mascelle voluminose, occhi blu, capelli tagliati corti,
un collo
grosso, enorme.
Di certo questo suo
essere così in
forma, lo faceva amare da tutte le donne della sua galassia, che
impazzivo per
lui. Anzi, più che impazzire, quelle che potevano gli si
offrivano in tutti i
modi possibili e pensabili, o impensabili.
Spesso le sue
guardie erano costrette a
controllare le sue camere private più volte al giorno, per
evitare che nel suo
letto alla sera l’Imperatore trovasse quattro o cinque donne.
Essere belli ,
d’accordo, ma dover trovarsi sempre donne nel letto, no.
Ovviamente,
l’Imperatore si era ben
guardato da sposarsi, di trovare moglie.
Aveva deciso di
avere concubine, amanti,
di fare un certo numeri di figli, ma il suo successore avrebbe dovuto
superare
prove infernali prima di occupare il suo posto. Al tempo debito,
ovviamente.
E
l’Imperatore Touk aveva intenzione di
rimane al comando per parecchio tempo.
L’Imperatore
e il Barone si incontrarono
sotto una tenda, di uno strano colore, un rosso cupo. Intorno il
deserto la
faceva da padrone. Come il vento che soffiava, a raffiche, facendo
sbattere la
tenda rumorosamente.
Touk e Makarre si
guardarono, torvi in
viso. Makarre ricordava ancora come Touk lo aveva torturato e
ritrovarsi
davanti il nemico, che lo voleva aiutare a diventare Imperatore, non lo
rallegrava. Non sapeva se odiare di più
l’Imperatore che aveva da davanti o
l’Imperatore di cui voleva prendere il posto. I due uomini si
sedettero su
delle sedie da campo davanti al tavolo.
Sul tavolo vi erano
due libri, in cui vi
erano scritti tutti gli accordi che i burocrati avevano definito,
limato,
aggiustato, sistemato, cucito e stralciato. Vi era il presente di Touk,
il
futuro di Makarre, il potere che Dinours era riuscito a conquistare
negli anni.
Senza parlare, uno
uomo aprì il libro
davanti a Touk.
Un altro lo
aprì davanti a Makarre.
I due estrassero
dalle loro vesti due
fili rigidi e firmarono i libri di fronte a loro.
Poi, i due aiutanti
presero i libri, se
li scambiarono e Touk e Makarre li rifirmarono.
Alla fine, i due
uomini si alzarono,
presero i libri e se li scambiarono, stringendosi la mano.
La stretta di mano
di Touk fu forte,
tanto che Makarre fece una smorfia con il viso.
Si scambiarono i
libri, senza dire una
parola.
I presenti
guardarono quello che
succedeva in modo distaccato.
Touk si
girò ed uscì con i suoi uomini.
Makarre, quando
l’ultimo degli uomini di
Touk fu uscito, si lascio andare sulla sedia davanti al tavolo,
sospirando e
guardando fisso negli occhi Dinours.
“Cosa
abbiamo fatto?” Gli disse.
Gli altri suoi
dignitari, capendo il
momento, lasciarono la tenda.
I due uomini si
guardarono in silenzio.
Dinours si sedette
sulla sedia che prima
era occupata da Touk.
“Era
l’unica cosa da fare!” disse
Dinours.
“Per
chi?” Gli ribatté Makarre “Per chi?
Per me, per te… o per chi altro, Dinours
Per chi altro?”
Makarre non attese
la risposta di
Dinours. Si alzò e uscì dalla tenda, mentre il
vento diminuiva di intensità.
Dinours rimase solo
nella tenda a
meditare.
Sapeva che aveva
tradito il Barone
Makarre, l’Imperatore Federickson e non si sa quante altri
miliardi di persone
che abitavano la galassia.
Ma era
l’unico modo.
L’unica
cosa che temeva realmente era la
tana delle tigri. Ma non lo avrebbe mai saputo. Forse.
***
Dinours aveva
indetto la riunione tra i
burocrati che avevano deciso di tradire l’Imperatore.
Non erano molti,
una cinquantina in
tutto, a capo di diverse divisioni su vari pianeti, compreso il pianeta
dell’Imperatore.
Uno dei burocrati
presenti era il sig.
Huoil, dei servizi segreti civili.
Gli altri erano a
capo di settori
dedicati al trasporto, alla logistica, ai passaporti, alla
distribuzione delle
materia prime sui pianeti e agli armamenti.
I pianeti che erano
interessati, tra i
più importanti, oltre a quello dell’Imperatore, vi
era Neerg, Tracktan e
Outnot.
Erano tutti in un
enorme salone, posto
in mezzo al deserto del pianeta del Barone Makarre, ove vi era la sede
dei
servizi segreti.
Ad un capo della
tavola vi era Gloria,
con un abitino aderente con una gonna cortissima (troppo) e con il suo
seno
messo in bel risalto. I capelli li aveva raccolti dietro alla luca.
Dall’altro
capo vi era il Barone.
“Bene.”
Iniziò Gloria. “Siamo pronti.
Noemi è ormai saldamente nelle nostre mani.
L’Imperatore, come al solito, non
si muove. Sono passati ormai sei mesi, ma lui non fa niente. E questo
gioca a
nostro vantaggio. Più lui aspetta, più noi
possiamo muoverci liberamente. Ora,
l’importante è che l’Imperatore lasci il
suo pianeta. La trappola è ovviamente
Noemi: per liberarla interverrà di persona, quando
saprà dov’é. Non dobbiamo
far altro che tirare i fili e chiuderlo nel sacco. Sul tavolo ci sono
le vostre
istruzioni. Seguitele alla lettera, nei tempi e modi previsti, e il
successo
non tarderà.”
Tutti guardarono il
Barone, in attesa di
un suo cenno.
Il Barone si stava
massaggiando il
mento, silenzioso. Ad un tratto con la testa fece un cenno, si
alzò e uscì
dalla stanza, seguito da Gloria che lo raggiunse correndo, mentre tutti
la
guardarono passare. Un vero spettacolo, pensarono tutti.
Dinours
guardò i vari burocrati e prese
la parola.
“E’
necessario che nessuno sappia.
Nessuno.” Disse in modo molto convincente.
I burocrati si
alzarono ed uscirono
dalla stanza.
Huoil rimase
seduto, accendendosi uno
dei suoi pestilenziali sigari.
Dinours lo
guardò.
“Non
vai?” gli disse
“Troppa
fretta.” Disse Huoil “Hai troppa
fretta. Pensi davvero di riuscire?”
“Non ti
preoccupare. Tu fai il tuo.” Gli
disse Dinours, avvicinandosi a Huoil con fare non troppo
benevolo.” Fai il tuo
dovere e nessuno si farà male, se non
l’Imperatore. Hai capito?” gli disse
Dinours marcando il finale della frase.
Huoil emise dalla
sua bocca una volata
di fumo di sigaro che fece tossire Dinours.
“Stai
attento. Tutti sanno. Una mossa
sbagliata e io ti abbandono. Non sei indispensabile, dopo tutto, e
anche il tuo
Barone non serve a molto. Specialmente morto.” Gli
rimbrottò Huoil.
L’uomo si
allontanò dalla stanza, mentre
Dinours lo guardava torvo.
Dinours
meditò di eliminarlo, così su
due piedi, me era inutile.
Dinours se ne
andò dall’altra uscita.
Gloria lo
guardò uscire dalla sala. Non
capiva. Perché dire quelle cose dopo la riunione? Non
capiva. Era inutile.
Qualcosa non stava andando per il verso giusto. Non sapeva se avvisare
o no il
Barone. Ma a cosa sarebbe servito? No. I burocrati non servivano
più. Non
servivano per il fine che si era prefisso. Abbandonare la nave? No.
Troppo
pericoloso. L’Imperatore non lo avrebbe destituito. E allora,
che fare?
Gloria si guardo il
vestito: la gonna
del vestito si era alzata, mostrando un po’ troppo le sue
gambe.
Gloria
guardò in basso. Con la coda
dell’occhio vide Huoil che la guardava, con un sorrisetto che
diceva molto di
più di quello che pensava.
Gloria non abbasso
la gonna: aveva
risolto il suo problema. Ricambiò il sorriso e si
avviò verso Huoil.
L’Imperatore
Touk
L’Imperatore
Touk non si fidava di
nessuno.
Non che fosse un
maniaco dell’ordine,
della pulizia, non aveva fobie che non fossero curabili, ma non si
fidava di
nessuno.
Non si fidava di
quelli che mettevano
sempre in ordine qualunque cosa, dalla scrivania al letto.
Non si fidava di
chi puliva in continuazione
qualsiasi cosa, pur di farsi vedere occupato.
Lui non si fidava e
basta.
Ormai era lontano
da più di un anno
dalla sua galassia, e non si fidava dei suoi burocrati e dei suoi
vassalli.
Visto che le cose
con il Barone Makarre
non si muovevano, decise di ritornare a casa. Era un viaggio di un
mese, ma
controllare cosa succedeva in casa propria era meglio che aspettare che
qualcuno facesse una mossa.
Lasciò a
dirigere le operazione contro
l’Imperatore Federickson il suo vice, un certo Uiopyt, un
tipo poco energico,
anzi tutt’altro.
Era alto la meta di
Touk, magro, grossi
occhiali, parlata difficili, capelli neri, bocca e labbra piccole. Alle
volte
dava l’idea di essere malaticcio, così magro
com’era.
Ma Touk sapeva che
era fidato.
Proprio
perché era così brutto, nessuno
lo considerava: anche lui stesso, spesso, non si considerava.
Touk parti con la
sua nave, diversa da
quelle dell’Impero di Federickson: le
astronavi delle
sua galassia
erano ovali, piatte, con i motori e le tolda di comando da una sola
parte.
Per armamento non
erano certe inferiori
a nessuno, ma Touk non se ne preoccupava. Ogni nave aveva montata la
sua arma
segreta, e questo a lui bastava.
Touk e la flotta
partirono, e Uiopyt
rimase sul pianeta del Barone, in compagnia di Dinours, con cui
condivideva
l’ufficio: era meglio controllare tutte e due, pensava il
Barone, quando ai
due affidò
l’ufficio.
Touk
tornò a casa, giusto il tempo per
sedare qualche rivolta, cambiare qualche vassallo non troppo ligio ai
suoi
doveri e non troppo fedele a lui.
Ritorno dal Barone
dopo circa quattro
mesi.
Era passato ormai
un anno dal rapimento
di Noemi.
Touk
trovò tutto come prima. Quasi
tutto.
I burocrati
continuavano a morire e
l’Imperatore Federickson si rifiutava di sostituirli,
lasciando che il loro
posto fosse preso dei subalterni.
Touk ebbe un
sospetto, che espresse a
Uiopyt in una calda sera d’estate, su un pianeta semi
abitato, concesso in uso
dal Barone, fuori dalle rotte commerciali.
“Qualcosa
non quadra, Uiopyt. Il Barone
Makarre non ce la racconta giusta.” Iniziò
l’Imperatore, seduto su di una
poltrona sulla veranda di una vecchia casa colonica, mezza diroccata.
Uiopyt stava
sorseggiando un liquido
rosso da un grosso bicchiere di pietra.
“Credo
che non si muova, perché molto
probabilmente la contromossa dell’Imperatore l’ha
preso di sorpresa e né lui né
Dinours sanno cosa fare.” Rispose Uiopyt, con una voce
flebile.
“E allora
cosa facciamo? Continuiamo
nell’impresa o ce ne andiamo, lasciando il Barone alla
mercé di Federickson?”
Chiese Touk, mentre anche lui sorseggiava un liquido nero da un vecchio
bicchiere di cristallo.
“Se
l’Imperato Federickson sa, siamo nei
guai. E se lo sa lui, si immagini la tana delle tigri.”
Rispose Uiopyt
“Ancora
quei dannati… Ma è possibile che
non possiamo liberarcene? Cosa ci vuole a far fuori Doc e quella banda
di
venditori di fumo?” Disse Touk, sbattendo sul tavolo il
bicchiere.
Uiopyt
sorseggiò ancora dal bicchiere,
tenendolo con tutte e due le mani, mentre l’Imperatore si
guardava intorno, con
fare sospetto.
Videro il sole
tramontare, mentre due
lune già illuminavano la notte.
Touk, dopo un lungo
silenzio, disse:
“Facciamo finta di niente. Lasciamo che il Barone si esponga
fino al punto che
non possa più tornare indietro. Se avrà successo,
ne approfitteremo. Se no, lo
lasceremo in balia dei suoi nemici.”
Riprese il suo
bicchiere e il bevve il
resto del liquido in un sol sorso.
Si alzò
dalla sedie, fece un cenno ad
Uiopyt e se ne andò.
Uiopyt rimase
ancora fuori a vedere le
lune sorgere fino allo zenit. Pensava a tutto quel tempo sprecato e al
fatto
che i burocrati della sua galassia non sarebbero stati molto contenti.
Era inutile
pensarci adesso. Se davvero
Touk doveva diventare imperato di quella galassia, nulla lo avrebbe
fermato.
Forse.
Ma la tana delle
tigri… se si fossero
messi in mezzo, nulla li avrebbe fermati. Uiopyt come Touk lo sapeva.
Erano
troppo forti, organizzati, sapevano quello che altri non capivano.
Questa loro
forza era controllata da alcuni uomini saggi, che mai
l’avrebbe usata in una
guerra. No, troppo furbi. E il Barone e Dinours stavano provando ad
invertire
questa tendenza.
No, era
impossibile. Meglio fare come
diceva Touk. Aspettare. Ma quanto? Quanto tempo ci voleva? Erano troppo
lontani
da casa, le loro navi non avrebbero fatto in tempo ad aiutarli in caso
di
guerra.
Aspettare. Sperando
che nessuno
guardasse, vedesse, sapesse. Aspettare. Uiopyt guardò ancora
le lune. Finì il
suo liquido, lasciò il bicchiere sul tavolo e se ne
andò a dormire.
Touk lo
guardò dalla sua camera
allontanarsi. Guardò le lune nel cielo. Illuminavano
stancamente la notte. Touk
vide, con al coda dell’occhio, ombre che si muovevano,
veloci, silenziose.
Chiuse la finestra
e se ne andò a letto.
Aspettare. Non
poteva fare altro. Ma
quanto tempo?
Si addormento,
mentre ombre silenziose e
veloci si allontanarono dalla casa.
I servizi segreti
“Mi fa
piacere vederti, Generale.”
“Anche a
me, Huoil. Come stai?”
“Bene.
Grazie.”
“Fumi
sempre quei puzzolenti sigari?”
“Ti
dispiace? Sono la cosa migliore
della vita.”
Il Generale e Huoil
stavano discutendo
nella sala delle riunione dell’Imperatore Federickson, nei
sotterranei del
palazzo Imperiale.
“Lo sai
che all’Imperatrice non gli
piacciono.” Continuò il Generale, strofinandosi il
naso.
“Lo so.
Per questo li fumo.” Rispose in
modo sarcastico Huoil.
I due erano seduti
al tavolo, uno di
fronte all’altro, in attesa degli altri per la riunione.
“Strano.
Sono tutti in ritardo.” Disse
Houil, mentre una voluta di fumo usciva dalla sua bocca e si disperdeva
nell’ambiente.
“Già.
In ritardo. “ Gli fece eco il
Generale, guardandosi intorno. “Un po’ troppo in
ritardo.”
L’Imperatore
apparve all’improvviso.
I due fecero per
alzarsi, ma
l’Imperatore fece cenno di stare dov’erano.
“Adesso
basta. Mettete fine a tutto.
Liberate mia figlia e portatemi la testa del Barone. Ora!”
L’Imperatore
si girò ed uscì dalla
stanza.
Il Generale
guardò Huoil.
Dall’altre
parte della stanza entrò
l’Imperatrice.
“Huoil.
Generale. Che piacere vedervi.
Notizie?” Disse l’Imperatrice avvicinandosi a loro.
“Vostro
marito ha appena detto di
liberare vostra figlia, mia signora.” Disse il Generale
Huoil stava ancora
fumando il suo
sigaro. L’Imperatrice lo guardò, strofinandosi il
naso.
Huoil sorrise e
così pure l’Imperatrice.
Il Generale rimase
sorpreso.
“Gloria
dov’é, Huoil?” Gli chiese
l’Imperatrice.
“Al
sicuro, mia Imperatrice.” Disse
Huoil, facendo un inchino.
“Bene. Un
problema di meno. Generale… mi
raccomando. Non faccia una strage inutile. Liberi solo mia figlia. Il
resto lo
lasci fare a Black.”
“Sarà
fatto come lei desidera, mia
Imperatrice.” Rispose il Generale.
“Bene.”
Disse l’Imperatrice,
allontanandosi poi dalla stanza.
Il Generale
guardò Huoil.
“Che ne
hai fatto di Gloria?” Gli chiese.
“Oh…
ha fatto un giro… sai com’é…
ci
teneva tanto… “
“A
salvare la pelle!” Finì il Generale.
Huoil
aspirò a lungo il sigaro.
“Già.
Ci teneva tanto.” Disse, dopo aver
espirato il fumo del suo sigaro.
“Macellaio!”
disse il Generale,
alzandosi dalla sedia.
“E’
viva. Non ti preoccupare. Lo sai che
le cose belle non le sciupo.”
“Sì.
Però ti piace giocarci.” Disse il
Generale allontanandosi.
Huoil continuo a
fumare il sigaro. Dopo
tutto, un premio spettava anche a lui. Tradire Dinours e il Barone
Makarre gli
poteva costare caro, se avessero vinto.
Ma gli ordini
dell’Imperatore erano
chiari.
E il Generale
avrebbe fatto il suo
dovere.
Fino in fondo.
Si alzò
e se ne andò dalla sala. Gloria
aveva ancora tante cose da raccontare.
L’Imperatore
e l’Imperatrice, dalla
stanza segreta, videro Houil lasciare la stanza.
“Sei la
solita impicciona. Era il caso
di andare a dire certe cose?” Disse l’Imperatore,
decisamente alterato.
“Caro,
sai benissimo che dovevo dirle.
Non vorrai mica che i tuoi Generali si sporchino le mani. Certi lavori
lasciali
fare agli specialisti.”
“Sì,
sì. Va bene. Ma di certo Black non
è uno specialista. Solo perché Invicible ha armi
di fuoco maggiore di quelle
della navi di Touk, non vuol dire che si più
bravo.”
“Ma
più comodo. Non sarai tu a fare il
disastro. Capisci? Non daranno la colpa a te.”
”Sai che differenza. Non l’Impero ma la tana delle
tigri sistemerà la cosa.”
“Su
adesso basta, caro. Andiamo.”
L’Imperatrice
si diresse verso la porta,
dove vi si fermò in attesa del marito che gliela aprisse.
Attese un attimo,
poi si girò a guardare
che cosa stava facendo il marito. Era ancora davanti al vetro,
pensieroso,
massaggiandosi la mascella.
“Bisogna
togliere Gloria dalle mani di
Houil. Non vorrei che esagerasse.” Disse
l’Imperatore.
“Ci
penserò io, caro.”
L’Imperatore
si girò, fece un leggero
sorriso alla moglie e si diresse verso la porta.
La aprì
e la moglie usci.
L’Imperatrice
sentì chiudersi dietro di
lei la porta, ma quando si voltò porgendo il braccio, il
marito non c’era.
Rimase alquanto
stupefatta
dell’accaduto: non si era mai comportato cosi.
All’interno
l’Imperatore rimase ancora
più pensieroso.
No. Black non
doveva intervenire. Non
doveva. Sarebbe stato un disastro. Qualcuno poteva scoprire i giochi,
pensò.
Rimase nella
stanza, con la mano sulla
porta per parecchio tempo.
L’Imperatrice
all’esterno rimase lì,
ammutolita, sotto gli sguardi della guardie del palazzo.
Arrivò
una sua ancella che la cercava:
non l’aveva mai vista con quella espressione sul volto. Era
sorpresa, ma anche
spaventata. L’ancella le tocco le vesti e
l’Imperatrice trasalì.
L’Imperatrice
incominciò a camminare
lungo il corridoi, dalla parte opposta da cui era venuta
l’ancella, che la
chiamò alcune volte. Niente.
L’ancella
fece spallucce, si voltò e se
ne andò.
Una delle guardie
che erano presenti al
fatto non capì, ma evitò di parlarne al suo
comandante nelle riunione serale
della guardie. Meglio evitare inutili pettegolezzi, pensò.
L’Imperatore
da quella stanza usci solo
a notte fonda.