Le notizie di quanto avveniva sul
pianeta arrivavano in continuazione sul pianeta dei maghi e dei
cavalieri.
La necessità di sapere
cosa succedeva
là era vitale per i maghi come per i non maghi.
Le notizie venivano inviate in
formato
video da Joirk, il mago presente sulla nave ammiraglia, cercando,
ovviamente,
di non dare troppo particolari, che avrebbero reso sicuramente
entusiasti i
maghi, ma avrebbero preoccupato i non maghi.
Molte notizie, inoltre, venivano
lette
dalle Congregazioni in modo diverso.
Il pianeta si chiama Horker ed era
il
quarto di circa un quindicina di pianeti che circondavano una stella di
colore
bianco, che chiamavano Paike.
Il pianeta era ricoperto, per la
metà,
da acqua azzurra, in alcune zone molto profonda, in cui vivevano
animali
chiamati kala, di vari tipi e forme, alcuni addirittura facevano paura
pure ai
draghi, che odiavano profondamente l’acqua.
Per l’altra
metà il pianeta, in alcune
zone, era costituito da montagne brulle, alte tanto quanto era profondo
il
mare, vulcani, zone piane, alcune delle quali era verdeggianti, altre
tenute a
cultura di quanto necessitava alla vita degli uomini, con fattorie ove
vi erano
allevati animali ad uso degli umani e altri per i draghi: non sembrava,
ma i
draghi erano molto schizzinosi sul mangiare (forse per darsi
più importanza di
quanto già non ne avessero).
La struttura politica del pianeta,
perché fin dalla loro venuta su quel pianeta si era deciso
di non dividere il
pianeta sotto governati, che avrebbero potuto in qualsiasi momento
destabilizzare il potere principale, era di un re, un non mago, che
comandava
per un periodo di dieci anni, eletto tra le persone più
importanti del pianeta
per il loro impegno politico: la carica era più
rappresentative che altro,
anche se il re comandava l’alto consiglio, costituito da
maghi, cavalieri e non
maghi, composto per un quarto dai maghi, per un altro quarto dei
cavalieri e i
loro draghi e il restante dai non maghi.
Tale divisione consentiva ai non
maghi
di non sentirsi maltrattati dai maghi e dai cavalieri.
Ma il vero fulcro del potere erano
le
congregazioni e le tribù.
I maghi erano divisi in
congregazioni:
ognuna si interessava di una branchia della magia, alcune note ed altre
meno.
Le congregazioni collaboravano con
i
non maghi, che avevano delle università, molto simili alle
congregazioni, in
cui si studiavano varie branchie della scienza, alcune al limite
dell’illecito
e che avevano preoccupato i maghi.
Ma anche i maghi, alle volte, non
facevano un buon uso della magia.
Le tribù, invece, erano
la fucina dei
cavalieri e dei loro draghi.
Erano divise per colore e alcune,
come
quella nera e rossa, erano molto importanti, anche se, con
l’andare del tempo,
senza guerre, l’importanza era stata stabilita da duelli, che
spesso si
combattevano nelle zone desertiche del pianeta, tanto per tenere in
allenamento
i cavalieri e i loro draghi.
Per secoli le cose erano andate
avanti
così, tranquille, con alcune dispute risolte in breve, con
piccole battaòglie,
molto limitate, alcune volte, forse, un po’ troppe cruente,
ma necessarie per
l’equilibrio della vita sul pianeta.
In tutto questo si era mossa, per
secoli, un congregazione che non era ufficialmente riconosciuta, come
invece
tutte le tribù dei cavalieri, congregazioni dei maghi e
università dei non
maghi.
Un manipolo di persone, non si sa
di
che provenienza (se maghi, cavalieri o non maghi) si era unita ed aveva
deciso,
segretamente, di far sì che la politica del pianeta
spingesse, a seconda delle
necessità, più verso una parte o
l’altra di colore che facevano parte dell’alto
consiglio.
Di certo di quella congregazione
così
segreta se ne era parlato per molto tempo, ma negli ultimi secoli se ne
erano
perse le tracce e così anche la sua memoria.
O almeno, così molti
pensavano.
In realtà la
congregazione aveva
continuato ad esistere, ma gli avvenimenti degli ultimi tempi e il
voler a
tutti i costi scoprire il pianeta di origine di quel popolo,
l’avevano
costretta ad una maggiore cautela: non sapendo il risultato della
ricerca del pianeta
natale e cosa su esso ci fosse, il rischio di muovere pedini importanti
e farle
bruciare era alto e il non far scoprire i propri adepti era ancora
più alto.
Coloro che facevano parte della
congregazione si conoscevano ad un o ad uno per nome, con tutti i
rischi che un
sì tale approccio tra di loro portava con sé: una
delle loro sedi, sicuramente
la più importante, era in un villaggio posto tra le
montagne, non molto lontano
dalla capitale: per loro era vitale essere il più vicino ai
luoghi del potere
principale, per poter meglio manipolare le loro pedine.
Il villaggio, chiamato Crula, era
costituito da poco più di una decina di costruzioni, la
più importante era
quella del rappresentante dell’alto consiglio (ogni paese,
anche se sperduto
sulle montagne, su un’isola o in oasi in mezzo al deserto ne
aveva uno), in cui
le persone andavano a pagare le tasse e a farsi rilasciare documenti,
licenze e
quant’altro necessario alla vita civile di ogni singolo
villaggio, paese o
città del pianeta.
L’edifico, a differenza
di quello di un
villaggio simile posto oltre la montagna, era decisamente grande.
Nessuno lo aveva mai capito il
perché
fosse stato costruito così grande (si diceva per il fatto
che un re provenisse
da lì).
Nelle sue fondamenta era stato
ricavato
una enorme sala per le riunioni, con dei locali attigui, usati per
secoli dalla
congregazione: l’accesso, ovviamente, era celato e per
accedervi ci voleva una
chiave speciale, qualcosa tra il magico e il tecnologico.
L’uomo, che quella notte
si stava
avvicinando furtivamente all’edifico, non faceva molto caso
né al freddo né
alla neve che scendeva copiosa dal cielo: stranamente, al suo passaggio
nessuna
improntava appariva sul terreno.
L’uomo si
avvicinò all’edificio, posto
alla fine della via principale del villaggio, verso le montagne.
Si fermò un attimo, per
controllare che
nessun curioso fosse nelle vicinanze: la luce proveniente dai lampioni
della
strada, sotto quella violenta nevicata, non illumina molto.
Se lui non vedeva nessuno, nessuno
avrebbe visto lui, pensò.
Girò dietro
l’edifico e si avvicinò ad
una scala che scendeva dietro l’edificio e che portava al
locale macchine (i
non maghi ci tenevano tanto al fatto che i locali di certi macchinari
non fossero
all’interno dello stabile, chissà il
perché).
L’uomo arrivo in fondo
alla scale e
guardo il muro davanti a sé.
Era parecchio tempo che non veniva
lì:
estrasse una tessera, di color nero, di una certo spessore e
l’avvicinò al
muro.
In quel mentre, un
ringhiò alle sue
spalle attirò la sua attenzione.
In cima alle scale un paio di
grossi
hunt, con i denti affilati, in cerca di cibo, lo avevano prescelto per
il loro
banchetto.
L’uomo rimase immobile
nella penombra,
anche se sapeva che era inutile: il suo odore era stato sentito da
quelle due
bestie, che non gli avrebbero dato scampo tanto facilmente.
L’uomo rimise nella tasca
sinistrala
tessera e cercò qualcosa nella tasca destra: la estrasse con
calma e la punto
contro gli animali.
Le due bestie emisero il loro
ultimo
ringhio.
Caddero a terra, morte, e i loro
compagni, nascosti lì vicino, saltarono addosso ai loro
cadaveri, straziando i
loro corpi per banchettare.
L’uomo riestrasse la
tessera e
l’avvicino al muro, che scomparve, dando l’accesso
ad un piccolo corridoio.
L’uomo entrò
ed attese che il muro
tornasse al suo posto, guardando gli hunt che si spartivano il corpo
dei loro
compagni morti.
L’uomo, ancora
incappucciato, percorse
a tentone il piccolo corridoio.
Alla fine del corridoio appoggio la
tessera ancora al muro, che si posto, illuminando, con una luce fioca,
il
corridoi e una piccola scala che scendeva.
L’uomo
oltrepassò il varco e incominciò
a scendere.
Il muro si richiuse e la luce
aumentò,
illuminando in modo soddisfacente la scala a chiocciola, scavata nella
roccia,
che scendeva dolcemente.
Fece solo un paio di giro e si
ritrovò
in un piccolo atrio, chiuso da altri muri.
L’uomo
avvicinò la tessera al muro di
fronte alla scala, che si mosse, lasciando intravedere un piccolo
locale, non
più grande di un metro per due.
L’uomo
avvicinò la tessera al muro di
fianco al varco lasciato dal muro: il muro di riposizionò e
il locale
incominciò a scendere velocemente.
L’uomo si
aggiustò il cappuccio, in
modo che il suo viso non si vedesse.
Quando
il locale si fermò, il muro alle spalle
dell’uomo si posto e l’uomo, si girò,
entrando in un’enorme stanzone,
debolmente illuminato, di cui non si vedeva il soffitto.
In fondo vi erano altre due figure,
incappucciate, che stavano parlando tra loro.
L’uomo si
avvicinò a loro, inchinandosi
con rispetto.
“Maestro.”
Disse, salutando.
“Avete avuto
problemi?” Chiese l’uomo
alla sua destra.
“No. Solo un branco di
hunt affamato,
ma stanno allegramente banchettando…”
“Spero non con un essere
umano?” Disse
l’altro uomo.
“Oh, no no! Con i loro
simili.” Disse
l’ultimo arrivato.
“Bene.” Disse
il Maestro. ”Togliamoci
questi ridicolo vestiti.”
Il maestro era un uomo alto,
biondo,
capelli lunghi, barba e baffi ben tenuti, occhi azzurri, fisico
atletico.
L’altro uomo era di media
statura, di
carnagione bianca ma con capelli marroni, occhi scuri e un fisico molto
rotondo.
Il nuovo venuto era anche lui di
media
statura, di carnagione scura, capelli corpi e neri, fisico atletico.
“Solo noi,
Maestro?” Disse l’uomo
grasso.
Il Maestro si era, intanto,
avvicinato
ad un tavolo e incominciò a togliere dei pesanti drappi che
coprivano dei
macchinari.
“Oh, smettetela,
Scimourg, di chiamarmi
così!” Disse l’uomo, stizzito.
“Piuttosto, datemi una mano a riattivare i
macchinari e mette un po’ in ordine. Anche voi, Utilm, datemi
da fare, non
abbiamo tutta la notte!”
I due uomini si mossero subito,
aiutando a scoprire i macchinari nascosti sotto gli impolverati drappi.
“Pensate che
funzioneranno ancora, mio
re?” Chiese Utilm.
“Fate più
luce, Scimourg!” Fu la
risposta dell’uomo.
Scimourg si avvicinò ad
una parete e
attivò parecchi pulsanti: un soffocato ronzio riempi il
salone, che incominciò
ad illuminarsi.
Il salone era veramente immenso,
scavato nella roccia, alto almeno venti metri, lungo cento e largo
quasi
quaranta metri.
Un affresco riempiva tutto il
soffitto
e rappresentava un drago che lottava contro uno strano essere, che
Utilm non
aveva mai visto, ma che il padre gli aveva solo accennato a cosa fosse.
Il ronzio aumentò e i
macchinari
presero vita.
Su un video incominciarono ad
apparire
alcune scritte, che Utilm riconobbe e riuscì a leggere,
grazie al fatto che suo
padre aveva tanto insistito che lui studiasse anche quella lingua.
I tre uomini incominciarono a
muovere
leve, a battere tasti, mentre una infinità di dati
apparivano sui monitor.
“Niente ancora di
interessante, mio
signore!” Disse Utilm.
“Quanto tempo ci
vorrà per sapere
qualcosa?” Chiese Scimourg.
Uno strano silenzio riempiva la
stanza,
anche se il ronzio dei macchinari era salito.
“Non ho tempo di
aspettare qui notizie!”
Disse il re “Torno a palazzo. Appena avete notizie, Scimourg,
venite da me. Per
la vostra mancanza, dirò che non siete stato bene e siete
andato a curarvi alle
terme di…”
“Turgisoun, Signore. Sono
qui vicino.”
Disse Utilm.
“Bene. Così
sia.” Disse il re,
dirigendosi verso una delle porte poste dall’altra parte
della stanza.
Ma a metà strada si
fermò.
“E voi
Utilm…”
“Non
c’è problema, Signore. Ho preso la
scusa di studiare alcune animali che vivono qui vicino. Nessuno
chiederà di me
per parecchio tempo.”
L’uomo annuì e
se ne andò.
“Come prima missione,
Utilm, vi vedo
preparato.” Disse Scimourg.
“è
una vita che mi preparo a questo.” Rispose Utilm.
Da dietro una porta, che dava sul
salone, una silenziosa figura osservava gli uomini indaffarati sui
macchinari.