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Autore: SamuelCostaRica    30/05/2016    0 recensioni
Scappare da un pianeta per poi tornarci per cercare le proprie origini o costretti da dei sconosciuti per salvare se stessi e i propri segreti? Magia e tecnologia si incontrano, si scontrano e si amalgamano in uno scontro da popoli diversi
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le notizie di quanto avveniva sul pianeta arrivavano in continuazione sul pianeta dei maghi e dei cavalieri.

La necessità di sapere cosa succedeva là era vitale per i maghi come per i non maghi.

Le notizie venivano inviate in formato video da Joirk, il mago presente sulla nave ammiraglia, cercando, ovviamente, di non dare troppo particolari, che avrebbero reso sicuramente entusiasti i maghi, ma avrebbero preoccupato i non maghi.

Molte notizie, inoltre, venivano lette dalle Congregazioni in modo diverso.

Il pianeta si chiama Horker ed era il quarto di circa un quindicina di pianeti che circondavano una stella di colore bianco, che chiamavano Paike.

Il pianeta era ricoperto, per la metà, da acqua azzurra, in alcune zone molto profonda, in cui vivevano animali chiamati kala, di vari tipi e forme, alcuni addirittura facevano paura pure ai draghi, che odiavano profondamente l’acqua.

Per l’altra metà il pianeta, in alcune zone, era costituito da montagne brulle, alte tanto quanto era profondo il mare, vulcani, zone piane, alcune delle quali era verdeggianti, altre tenute a cultura di quanto necessitava alla vita degli uomini, con fattorie ove vi erano allevati animali ad uso degli umani e altri per i draghi: non sembrava, ma i draghi erano molto schizzinosi sul mangiare (forse per darsi più importanza di quanto già non ne avessero).

La struttura politica del pianeta, perché fin dalla loro venuta su quel pianeta si era deciso di non dividere il pianeta sotto governati, che avrebbero potuto in qualsiasi momento destabilizzare il potere principale, era di un re, un non mago, che comandava per un periodo di dieci anni, eletto tra le persone più importanti del pianeta per il loro impegno politico: la carica era più rappresentative che altro, anche se il re comandava l’alto consiglio, costituito da maghi, cavalieri e non maghi, composto per un quarto dai maghi, per un altro quarto dei cavalieri e i loro draghi e il restante dai non maghi.

Tale divisione consentiva ai non maghi di non sentirsi maltrattati dai maghi e dai cavalieri.

Ma il vero fulcro del potere erano le congregazioni e le tribù.

I maghi erano divisi in congregazioni: ognuna si interessava di una branchia della magia, alcune note ed altre meno.

Le congregazioni collaboravano con i non maghi, che avevano delle università, molto simili alle congregazioni, in cui si studiavano varie branchie della scienza, alcune al limite dell’illecito e che avevano preoccupato i maghi.

Ma anche i maghi, alle volte, non facevano un buon uso della magia.

Le tribù, invece, erano la fucina dei cavalieri e dei loro draghi.

Erano divise per colore e alcune, come quella nera e rossa, erano molto importanti, anche se, con l’andare del tempo, senza guerre, l’importanza era stata stabilita da duelli, che spesso si combattevano nelle zone desertiche del pianeta, tanto per tenere in allenamento i cavalieri e i loro draghi.

Per secoli le cose erano andate avanti così, tranquille, con alcune dispute risolte in breve, con piccole battaòglie, molto limitate, alcune volte, forse, un po’ troppe cruente, ma necessarie per l’equilibrio della vita sul pianeta.

In tutto questo si era mossa, per secoli, un congregazione che non era ufficialmente riconosciuta, come invece tutte le tribù dei cavalieri, congregazioni dei maghi e università dei non maghi.

Un manipolo di persone, non si sa di che provenienza (se maghi, cavalieri o non maghi) si era unita ed aveva deciso, segretamente, di far sì che la politica del pianeta spingesse, a seconda delle necessità, più verso una parte o l’altra di colore che facevano parte dell’alto consiglio.

Di certo di quella congregazione così segreta se ne era parlato per molto tempo, ma negli ultimi secoli se ne erano perse le tracce e così anche la sua memoria.

O almeno, così molti pensavano.

In realtà la congregazione aveva continuato ad esistere, ma gli avvenimenti degli ultimi tempi e il voler a tutti i costi scoprire il pianeta di origine di quel popolo, l’avevano costretta ad una maggiore cautela: non sapendo il risultato della ricerca del pianeta natale e cosa su esso ci fosse, il rischio di muovere pedini importanti e farle bruciare era alto e il non far scoprire i propri adepti era ancora più alto. 

Coloro che facevano parte della congregazione si conoscevano ad un o ad uno per nome, con tutti i rischi che un sì tale approccio tra di loro portava con sé: una delle loro sedi, sicuramente la più importante, era in un villaggio posto tra le montagne, non molto lontano dalla capitale: per loro era vitale essere il più vicino ai luoghi del potere principale, per poter meglio manipolare le loro pedine.

Il villaggio, chiamato Crula, era costituito da poco più di una decina di costruzioni, la più importante era quella del rappresentante dell’alto consiglio (ogni paese, anche se sperduto sulle montagne, su un’isola o in oasi in mezzo al deserto ne aveva uno), in cui le persone andavano a pagare le tasse e a farsi rilasciare documenti, licenze e quant’altro necessario alla vita civile di ogni singolo villaggio, paese o città del pianeta.

L’edifico, a differenza di quello di un villaggio simile posto oltre la montagna, era decisamente grande.

Nessuno lo aveva mai capito il perché fosse stato costruito così grande (si diceva per il fatto che un re provenisse da lì).

Nelle sue fondamenta era stato ricavato una enorme sala per le riunioni, con dei locali attigui, usati per secoli dalla congregazione: l’accesso, ovviamente, era celato e per accedervi ci voleva una chiave speciale, qualcosa tra il magico e il tecnologico.

L’uomo, che quella notte si stava avvicinando furtivamente all’edifico, non faceva molto caso né al freddo né alla neve che scendeva copiosa dal cielo: stranamente, al suo passaggio nessuna improntava appariva sul terreno.

L’uomo si avvicinò all’edificio, posto alla fine della via principale del villaggio, verso le montagne.

Si fermò un attimo, per controllare che nessun curioso fosse nelle vicinanze: la luce proveniente dai lampioni della strada, sotto quella violenta nevicata, non illumina molto.

Se lui non vedeva nessuno, nessuno avrebbe visto lui, pensò.

Girò dietro l’edifico e si avvicinò ad una scala che scendeva dietro l’edificio e che portava al locale macchine (i non maghi ci tenevano tanto al fatto che i locali di certi macchinari non fossero all’interno dello stabile, chissà il perché).

L’uomo arrivo in fondo alla scale e guardo il muro davanti a sé.

Era parecchio tempo che non veniva lì: estrasse una tessera, di color nero, di una certo spessore e l’avvicinò al muro.

In quel mentre, un ringhiò alle sue spalle attirò la sua attenzione.

In cima alle scale un paio di grossi hunt, con i denti affilati, in cerca di cibo, lo avevano prescelto per il loro banchetto.

L’uomo rimase immobile nella penombra, anche se sapeva che era inutile: il suo odore era stato sentito da quelle due bestie, che non gli avrebbero dato scampo tanto facilmente.

L’uomo rimise nella tasca sinistrala tessera e cercò qualcosa nella tasca destra: la estrasse con calma e la punto contro gli animali.

Le due bestie emisero il loro ultimo ringhio.

Caddero a terra, morte, e i loro compagni, nascosti lì vicino, saltarono addosso ai loro cadaveri, straziando i loro corpi per banchettare.

L’uomo riestrasse la tessera e l’avvicino al muro, che scomparve, dando l’accesso ad un piccolo corridoio.

L’uomo entrò ed attese che il muro tornasse al suo posto, guardando gli hunt che si spartivano il corpo dei loro compagni morti.

L’uomo, ancora incappucciato, percorse a tentone il piccolo corridoio.

Alla fine del corridoio appoggio la tessera ancora al muro, che si posto, illuminando, con una luce fioca, il corridoi e una piccola scala che scendeva.

L’uomo oltrepassò il varco e incominciò a scendere.

Il muro si richiuse e la luce aumentò, illuminando in modo soddisfacente la scala a chiocciola, scavata nella roccia, che scendeva dolcemente.

Fece solo un paio di giro e si ritrovò in un piccolo atrio, chiuso da altri muri.

L’uomo avvicinò la tessera al muro di fronte alla scala, che si mosse, lasciando intravedere un piccolo locale, non più grande di un metro per due.

L’uomo avvicinò la tessera al muro di fianco al varco lasciato dal muro: il muro di riposizionò e il locale incominciò a scendere velocemente.

L’uomo si aggiustò il cappuccio, in modo che il suo viso non si vedesse.

 Quando il locale si fermò, il muro alle spalle dell’uomo si posto e l’uomo, si girò, entrando in un’enorme stanzone, debolmente illuminato, di cui non si vedeva il soffitto.

In fondo vi erano altre due figure, incappucciate, che stavano parlando tra loro.

L’uomo si avvicinò a loro, inchinandosi con rispetto.

“Maestro.” Disse, salutando.

“Avete avuto problemi?” Chiese l’uomo alla sua destra.

“No. Solo un branco di hunt affamato, ma stanno allegramente banchettando…”

“Spero non con un essere umano?” Disse l’altro uomo.

“Oh, no no! Con i loro simili.” Disse l’ultimo arrivato.

“Bene.” Disse il Maestro. ”Togliamoci questi ridicolo vestiti.”

Il maestro era un uomo alto, biondo, capelli lunghi, barba e baffi ben tenuti, occhi azzurri, fisico atletico.

L’altro uomo era di media statura, di carnagione bianca ma con capelli marroni, occhi scuri e un fisico molto rotondo.

Il nuovo venuto era anche lui di media statura, di carnagione scura, capelli corpi e neri, fisico atletico.

“Solo noi, Maestro?” Disse l’uomo grasso.

Il Maestro si era, intanto, avvicinato ad un tavolo e incominciò a togliere dei pesanti drappi che coprivano dei macchinari.

“Oh, smettetela, Scimourg, di chiamarmi così!” Disse l’uomo, stizzito. “Piuttosto, datemi una mano a riattivare i macchinari e mette un po’ in ordine. Anche voi, Utilm, datemi da fare, non abbiamo tutta la notte!”

I due uomini si mossero subito, aiutando a scoprire i macchinari nascosti sotto gli impolverati drappi.

“Pensate che funzioneranno ancora, mio re?” Chiese Utilm.

“Fate più luce, Scimourg!” Fu la risposta dell’uomo.

Scimourg si avvicinò ad una parete e attivò parecchi pulsanti: un soffocato ronzio riempi il salone, che incominciò ad illuminarsi.

Il salone era veramente immenso, scavato nella roccia, alto almeno venti metri, lungo cento e largo quasi quaranta metri.

Un affresco riempiva tutto il soffitto e rappresentava un drago che lottava contro uno strano essere, che Utilm non aveva mai visto, ma che il padre gli aveva solo accennato a cosa fosse.

Il ronzio aumentò e i macchinari presero vita.

Su un video incominciarono ad apparire alcune scritte, che Utilm riconobbe e riuscì a leggere, grazie al fatto che suo padre aveva tanto insistito che lui studiasse anche quella lingua.

I tre uomini incominciarono a muovere leve, a battere tasti, mentre una infinità di dati apparivano sui monitor.

“Niente ancora di interessante, mio signore!” Disse Utilm.

“Quanto tempo ci vorrà per sapere qualcosa?” Chiese Scimourg.

Uno strano silenzio riempiva la stanza, anche se il ronzio dei macchinari era salito.

“Non ho tempo di aspettare qui notizie!” Disse il re “Torno a palazzo. Appena avete notizie, Scimourg, venite da me. Per la vostra mancanza, dirò che non siete stato bene e siete andato a curarvi alle terme di…”

“Turgisoun, Signore. Sono qui vicino.” Disse Utilm.

“Bene. Così sia.” Disse il re, dirigendosi verso una delle porte poste dall’altra parte della stanza.

Ma a metà strada si fermò.

“E voi Utilm…”

“Non c’è problema, Signore. Ho preso la scusa di studiare alcune animali che vivono qui vicino. Nessuno chiederà di me per parecchio tempo.”

L’uomo annuì e se ne andò.

“Come prima missione, Utilm, vi vedo preparato.” Disse Scimourg.

è una vita che mi preparo a questo.” Rispose Utilm.

Da dietro una porta, che dava sul salone, una silenziosa figura osservava gli uomini indaffarati sui macchinari.

   
 
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