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Autore: B_Lady    30/05/2016    0 recensioni
“Ti sei perso, ragazzo?” La sua voce lo scosse un pochino; non perché fosse roca o paurosa, ma non pensava di essere stato visto. “Hai paura o ti hanno tagliato la lingua?” continuò.
_Storia ispirata dalla canzone Lesnik dei Korol' I Shut. Nella mia mente doveva avere un altro genere, ma poi si è evoluta così. Commenti o critiche(purché costruttive) sono sempre graditi :) _
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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P.S questo è il link della canzone che mi  ha ispirato, se qualcuno ha voglia di ascoltarla.E' in russo ovviamente ;) : https://www.youtube.com/watch?v=dzk-oRi8um8
 

Lesnik
Era notte ormai, l’aria si era fatta più pesante e fredda e il giovane Anton, con il respiro affannoso, era stato costretto a rifugiarsi nel bosco. Stava diventando ogni giorno più difficile ma avrebbe dato la vita pur di vedere la sua bella. Sicuro ormai di aver seminato i suoi inseguitori si sedette sotto un albero a riprendere fiato prendendo la decisione di rimanere nascosto nel bosco per uno/due giorni, per far calmare gli animi. Sarebbe andato al villaggio giusto la sera, solo per vedere se la sua amata lo aspettava alla finestra. Si guardò intorno ma vide ben poco così decise di incidere un segno sull’albero. Cominciò a girovagare in cerca del fiumiciattolo che aveva visto una volta, passando di lì. Quando lo raccontava, tutti sbarravano gli occhi dicendo che era un pazzo e che prima o poi non gli sarebbe andata tanto bene. Quelli del villaggio avevano paura del bosco, dicevano che era maledetto, che ci vivevano creature mostruose e che coloro che si erano avventurati non erano mai più tornati. Per Anton erano tutte dicerie messe in giro da qualcuno a cui gli ingenui e gli ignoranti avevano subito abboccato. Lui ci era passato varie volte e una volta gli capitò pure di addormentarsi ma, tranne per alcune strane sensazioni che giustificò con uno sbrigativo “è perché non mangio da un giorno”, non gli accadde mai niente. Dopo una ventina di minuti che continuava a camminare scorse del fumo che si alzava sopra le fronde degli alberi. Lo seguì e capì che proveniva da una piccola casina di legno; non pensava potesse abitarci qualcuno da quelle parti. Avanzò di qualche passo quando la porta, all’improvviso, si aprì facendo emergere la figura di un anziano signore con la barba lunga.
“Ti sei perso, ragazzo?”  La sua voce lo scosse un pochino; non perché fosse roca o paurosa, ma non pensava di essere stato visto. “Hai paura o ti hanno tagliato la lingua?” continuò.

 “No” 

“Bene. Vuoi entrare? Una ciotola di zuppa non te la nego”. Anton titubante si avvicinò e notò che il suo corpo era esile, tutto avvolto da stoffe diverse unite tra loro da pezzi di corda.

 “Grazie”. Appena entrò socchiuse gli occhi, gustandosi il caldo del camino. La casa  aveva giusto un letto di paglia con sopra qualche coperta, un tavolo al centro e lo spazio per il fuoco con sopra una pentola appesa nella parete opposta.

“Siediti pure, ragazzo” lo incoraggiò l’anziano sorridendogli di sfuggita mentre si avvicinava al fuoco. Appena lo fece notò una cosa che era molto inusuale trovare nelle case, eccetto quelle di dottori, zar o forse musicisti. Una libreria, con più di una trentina di libri che occupava mezza parete e all’angolo una sedia un po’ imbottita con altri due libri sopra. Doveva essere colto, ma allora perché stava lì?
“Dimmi ragazzo, come mai ti trovi a vagare per il bosco a quest’ora?”

“Scappavo” rispose brevemente prima di ingurgitare grandi bocconi di quella zuppa con patate.

“Dal villaggio?”

“Sì”

“Qualunque cosa tu abbia fatto-“

“Io non ho fatto proprio un bel niente, vecchio. E questo non ti riguarda”

“Ragazzo” cominciò con aria paterna, come se non avesse sentito niente.

“Non serve essere insolenti, io non giudico nessuno. Se ti ho accolto così in casa mia e vivo qua da solo nel bosco, significa che non ho paura” finì  rivelando finalmente i piccoli occhi grigi che inquietarono Anton.

Bevve un sorso.
“E tu? Perché sei finito a vivere qui?”

L’uomo scrollò le spalle come se non fosse importante
“Ero stufo dell’ignoranza e ottusità della gente. Dicevano che ero pazzo”. Parlava scandendo molto bene le parole , mentre si accarezzava il mento barbuto.

Anton era sempre più convinto che fosse un uomo molto colto, ma allora perché lo consideravano pazzo?  Uno come lui era sempre rispettato e desiderato; ogni madre avrebbe fatto di tutto per far sposare la figlia con un uomo colto e ricco.
“E lo sei?” chiese poggiando la ciotola ora vuota

“Figliolo, io credo che solo gli dei della morte potranno decidere, quando sarà, se sono pazzo o no. Per ora continuo a credere che noi esseri umani siamo molto forti e intelligenti e in futuro lo saremo ancora di più con le dovute migliorie. Ma per arrivare a ciò ci servono prove su prove e non tutti, purtroppo, vedono di buon grado le novità” sospirò congiungendo le proprie mani sul grembo

“O il mezzo per arrivarci” finì guardando il giovane ragazzo con aria stanca.

Ad Anton sembrò un concetto logico dopotutto e questo gli fece abbassare, anche se di poco, la tensione che aveva. Comunque una domanda continuava a girargli intorno.
“Come hai fatto notare la mia presenza vecchio?” chiese infatti non riuscendo a trovare una soluzione, movendosi un po’ sulla sedia.

L’altro prese un grande respiro, girò la testa verso il fuoco e notò che si stava spegnendo.

“Risponderò alla tua domanda se mi aiuti a prendere la legna qui fuori, così potremo abbrustolire quel pezzo di pane duro” indicò con la mano ossuta dopo essersi alzato lentamente dalla sedia.
Anton scattò in piedi e aprì la porta della piccola casa uscendo, seguito dal vecchio.

Un ululato non troppo lontano ruppe il silenzio della notte, facendo gelare il sangue ad Anton.

“Vedi caro ragazzo, una ciotola di zuppa non te la nego. Ma anche i miei amici devono mangiare” disse sorridendo prima che un gruppo di lupi molto più grandi della norma squartassero vivo il giovane avventuriero.
  
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