Quel 7
maggio profumava di nuovo per Jack. Nonostante avesse dormito poco più di sei
ore – dato che la sera precedente aveva fatto tardi per accertarsi che tutto
fosse perfetto per l’inaugurazione – quella mattina si svegliò presto e con una
tale energia da risultare sorprendente.
Scese
dal letto e si vestì in fretta, raggiungendo subito dopo la cucina così da
poter fare una buona colazione. Sul tavolo del soggiorno aveva lasciato gli
ultimi inviti per l’inaugurazione, ovvero quelli dedicati alla sua famiglia.
Connor, Amber, Nicole, Penelope e addirittura sua padre Benjamin – con cui Jack
non aveva avuto un rapporto semplice dal giorno del suo coming
out da adolescente. Tutti i loro inviti erano posati su quel tavolo, in buste
bianche con il loro nome scritto sopra.
Jack
fece colazione con calma, ripercorrendo con la mente tutto ciò che avrebbe
dovuto fare in preparazione della serata. Terminato di bere il caffè il ragazzo
andò a farsi una doccia, passando accanto a cinque grossi secchi neri pieni di
calle. Ne aveva ordinate trecento. Trecento calle bianche che, quella sera, avrebbe
distribuito a ogni ragazza che fosse entrata dalla porta del suo nuovissimo
night club. Sapendo di averne ordinate in abbondanza era intenzionato a usarne
una parte anche per decorare l’interno del locale, come i tavoli, i banconi del
bar e gli specchi.
Poco
dopo che fu uscito dalla doccia – sentendosi ancora più sveglio e fresco di
prima – qualcuno bussò alla porta. Stava aspettando Nathan, perciò andò ad
aprire mentre ancora doveva infilarsi la t-shirt, i capelli scuri spettinati e
bagnati sopra la testa.
Dietro
la porta d’ingresso, quando aprì, non vi trovò Nathan, ma Riley. Jack notò che
la ragazza sussultò appena quando lo vide, il suo sguardò sfrecciò rapido fino
alla vita del ragazzo e tornò subito sui suoi occhi. Gli sorrise, sollevando davanti
al naso una tazza, che Jack riconobbe come quella che le aveva lasciato tre
giorni prima.
«Sono
venuta a riportarti questa» esordì Riley, tendendo la tazza a Jack, che l’afferrò.
«Ti
ringrazio» le rispose.
«Come
vanno gli ultimi preparativi per la serata?» chiese poi la ragazza, rimanendo
concentrata sugli occhi di Jack e decidendo di fare un po’ di conversazione
prima di andare. Erano quasi le nove e aveva pensato di restituire la tazza
poco prima di dover uscire per andare nel suo luogo di lavoro.
Il
ragazzo si strinse nelle spalle, l’ennesimo sorriso perfetto e radioso che,
nell’ultimo periodo, aveva spesso caratterizzato il suo viso. «Quasi ultimati.
Manca davvero pochissimo e sono terribilmente eccitato» esclamò, non riuscendo
a trattenere un gesto di esultanza.
Riley
fu felice di vederlo così, ma non sorrise: c’era altro che doveva dirgli.
Quando Jack si fu calmato tornò a puntare lo sguardo sull’amica, che prese una
lunga boccata d’aria prima di aprire bocca: «A proposito di stasera» cominciò.
Jack si rese conto che c’era qualcosa che, in qualche modo, la turbava e rimase
in attesa, lievemente preoccupato. Riley fece vagare lo sguardo oltre il
ragazzo mentre ricominciava a parlare: «Mi ero completamente dimenticata di
aver già preso un impegno con Elizabeth. Quindi… beh, non so quando riuscirò a
passare. Non so neanche se riuscirò a
passare.»
La
voce le si era abbassata sul finire della frase. Jack rimase deluso dalle
parole di Riley, non avrebbe certo potuto negarlo. Sapeva che alla ragazza
luoghi come i night club non piacevano minimamente, ma dopo quello che lei gli
aveva detto tre giorni prima si era illuso di poterla avere ad assistere
all’inizio della sua nuova vita, anche se per una mezz’ora solamente.
Riley
notò che le braccia del ragazzo abbandonarsi lungo i fianchi. Temeva quella
reazione; temeva di ferire Jack ed era l’ultima cosa che voleva.
«Mi
dispiace, davvero» si affrettò a dire. «Posso parlarne con Elizabeth e
chiederle di salutarci un po’ prima, così posso passare al night.»
Jack
non rispose subito. Rimase a guardare per un lungo momento Riley che teneva lo
sguardo basso. Per quanto l’avrebbe voluta vicino quella sera, di certo non
poteva costringerla. Sarebbe andato certamente tutto per il meglio anche senza
di lei.
Le
sorrise. La ragazza sollevò gli occhi e parve sorprendersi dalla reazione di
Jack.
«Non
preoccuparti. Non c’è problema se non riesci a venire» le disse, sincero.
«No,
beh… io… io posso» riprese lei, ostinata, ma Jack la fermò con un gesto.
«Davvero,
Riley, non preoccuparti. Potrai venire quando vuoi. Sarai sempre una di quelle
sulla lista.»
Le
sorrise ancora una volta. «Aspetta solo un momento.»
Entrò
in casa, posò la tazza sul tavolo e ricomparve davanti a Riley, una calla
bianca stretta in mano. «Questa è per te» disse porgendole il fiore. «So che
sono i tuoi fiori preferiti.»
La
ragazza si sentì lievemente arrossire. «Perché questo?» domandò titubante.
«Avevo
in programma di darne uno a ogni ragazza presente stasera, inclusa tu. Ma se
non riesci a passare allora ti do subito il tuo fiore.»
Riley
guardò la calla, dolcemente sorpresa dall’aver constatato che Jack ricordasse
quello che era il suo fiore preferito.
«Hai
davvero pensato proprio a tutto» gli disse poi, indicando la calla.
Il
ragazzo sorrise, annuendo. Riley rimase a guardarlo per un lungo momento, prima
di ricordarsi che ore erano. Tornò in sé con un fremito e si sbrigò a dire:
«Devo proprio andare, scusami.»
«Ok,
allora, buona giornata» le rispose Jack.
Lei
lo guardò nuovamente per un po’. «Farò il possibile per venire stasera» disse
poi.
«Riley,
non preoccuparti» tentò di tranquillizzarla lui.
«Sai
come sono» tagliò corto lei e dopo un rapido gesto in segno di saluto si avviò lungo
il corridoio.
*
Quando
l’una del pomeriggio era da poco scoccata sugli orologi, Jack varcò la soglia
della casa dei suoi genitori, al centro di Washington, in cui era cresciuto e
dove aveva trascorso venticinque anni della propria vita. Il ragazzo salutò gli
addetti alla sicurezza perennemente vigili alla porta d’ingresso, dopodiché si
chiuse quest’ultima alle spalle e raggiunse a grandi passi la cucina. Come si
aspettava vi trovò la famiglia riunita al completo; probabilmente si erano da
poco alzati da tavola dato che Nicole aveva appena cominciato a lavare i piatti
e il bicchiere del drink che Penelope era solita bere a fine pasti era ancora colmo.
Connor e Amber erano seduti sugli alti sgabelli davanti alla penisola della
cucina, intenti a portare avanti una fitta conversazione, mentre suo padre,
Benjamin, misurava la stanza camminando avanti e indietro, il telefono premuto
sull’orecchio.
Appena
Jack si fermò si voltarono tutti verso di lui. Sorrise, spalancò le braccia,
gli inviti imbustati stretti in mano e disse: «Buongiorno a tutti.»
«Non
ti sei fatto vedere a pranzo, oggi» gli fece notare Nicole.
«Vi
avevo detto che non sarei venuto. Non avrete cucinato anche per me spero.»
La
possibile risposta fu scavalcata da un’imprecazione di Benjamin, che chiuse la
telefonata e raggiunse il resto della famiglia attorno al bancone della cucina.
«Quel
figlio di…» borbottò fra sé, ma venne zittito da un’occhiata storta da parte
della moglie.
Jack
rimase a guardarlo un momento, un mezzo sorriso dipinto in volto, dopodiché
prese una generosa boccata d’aria e fece in modo che tutti gli occhi si
puntassero su di lui. Sollevò le buste per far sì che si vedessero
perfettamente. «Vi ho portato i vostri inviti per stasera. Li lascio qui»
disse, posandoli sulla penisola che aveva davanti, proprio fra suo padre e sua
nonna. Benjamin osservò le buste dubbioso, il viso lievemente contratto.
«Inviti?»
chiese infine.
«Sì,
per l’inaugurazione del night. È oggi» rispose Jack. Notando l’incomprensibile
espressione del padre si ritrovò a sorridere, non capendo esattamente perché.
«Anche se si tratta di voi ho espressamente detto che chiunque sia senza invito
non deve entrare» precisò, credendo che i dubbi del padre fossero legati a ciò.
Tuttavia
l’espressione di Benjamin non mutò.
«Per
quanto mi riguarda, il mio puoi anche tenerlo» disse poi.
Il
sorriso di Jack si spense. Corrugò la fronte, schiudendo le labbra in silenzio
per un momento prima di dire: «In che senso?»
«Nel
senso, Jack, che non penso proprio passerò questa sera.»
Il
tono asciutto con cui Benjamin gli aveva risposto lasciò Jack di stucco, che
non capì il motivo della scelta del padre. Sapeva che non aveva nulla in
programma per quella sera, lui stesso glielo aveva detto. Intorno a loro l’aria
si fece tesa, gli sguardi allarmati di tutti si puntarono esclusivamente sui
due.
«Ma…
è l’inaugurazione. Ho lavorato duramente per arrivare a questo giorno, non puoi
mancare.»
Benjamin
sollevò le sopracciglia, come a dire che non era a conoscenza di quanto Jack
gli aveva appena detto e, soprattutto, che non credeva a niente di tutto ciò.
Un moto di sdegno pervase il ragazzo, che sentì i muscoli irrigidirsi.
«Pensi
che non sia vero? Ho passato gli ultimi cinque mesi su questo progetto. Sono
andato in ogni ufficio possibile per ricevere i permessi. Ho contattato non so
quante persone fra operai, arredatori, designer, fornitori, personale e barman»
esplose.
La
replica del padre non si fece attendere: «Sì, ma non lo hai fatto con i tuoi
soldi.»
Jack
si bloccò a quelle parole, gli occhi saettarono veloci sul fratello, che
distolse lo sguardo.
«Credi
che non sappia che hai ricevuto il finanziamento da Connor?» domandò
retoricamente Benjamin.
A
quelle parole Nicole si avvicinò ai due uomini. Intuendo la lite imminente
sperò di riuscire a interrompere la cosa sul nascere, ma venne ignorata da
entrambi.
«Lo
ha fatto per aiutarmi a portare a termine ciò su cui avevo speso tanto tempo»
replicò Jack, il tono sempre più nervoso.
«No.
Lo ha fatto solo perché gli facevi pena. Perché sapeva che se non ti avesse
aiutato lui non lo avrebbe fatto nessuno.»
L’affermazione
del padre ferì nel profondo Jack. Cominciò a sentirsi irritato come non gli
capitava da tempo e riuscì a stento a mantenere lo sguardo saldo su Benjamin
quando quest’ultimo riprese a parlare, dando un nuovo affondo: «E forse aveva
anche ragione. Quando mai hai portato a termine qualcosa di buono tu?»
«Forse
ci sarei anche riuscito se tu avessi creduto in me» rispose Jack, la voce gli tremò
leggermente.
Benjamin
gonfiò il petto, come offeso dall’affermazione del figlio.
«Oh
ma io l’ho fatto. E più di una volta. Io e tua madre ti abbiamo sempre dato
tutto ciò di cui avevi bisogno ma non ne hai mai fatto buon uso.
«Ogni
volta che sparivi dovevamo venire a recuperarti in qualche sobborgo squallido e
ti trovavamo completamente distrutto dalla droga. E come se non bastasse
dovevamo anche fare del nostro meglio perché la tua ennesima permanenza in
comunità di recupero passasse sotto silenzio» disse con il tono di chi
conviveva con tutto ciò da una vita e che provava più fastidio che compassione
per la cosa.
Il
silenzio intorno a loro si fece gelido. Tutti i presenti avevano tolto gli
occhi da loro, eccetto Nicole, il cui sguardo era profondamente rammaricato e
si alternava confuso fra il figlio e il marito.
Jack
deglutì la poca saliva che gli era rimasta in bocca, avvertendola
improvvisamente asciutta. Si sentì terribilmente teso per colpa della rabbia
che era montata in fretta mentre le parole del padre si erano fatte via via più
pesanti e insopportabili, per quanto vere.
«Nessuno
ve lo ha mai chiesto» disse infine.
«Beh
allora devi esserci grato che lo abbiamo fatto ugualmente. Altrimenti stasera
non inaugureresti un bel niente e con molta probabilità non saresti neanche qui.»
Le
ultime parole pronunciate dal padre furono in grado di far scomparire
completamente ogni sensazione positiva dal corpo di Jack. Ogni minimo residuo
di soddisfazione e felicità scivolò via dal giovane che venne totalmente
sovrastato dalla rabbia. Teneva lo sguardo fisso su Benjamin, la mascella
contratta. Le sue mani erano chiuse a pugno mentre con tono tremante per
l’irritazione ormai al culmine dava voce a qualcosa che non avrebbe mai pensato
di poter dire: «Io credo di odiarti.»
Il
silenzio già calato nella stanza e fattosi gelido divenne ancora più tetro e
serrato. Jack sentiva l’aria riempirsi del suo respiro pesante e gli occhi di
tutti, sconvolti, puntati improvvisamente su di lui. Senza aggiungere altro si
voltò e si avviò verso l’ingresso, il passo affrettato.
Benjamin
non distolse lo sguardo dal punto in cui prima si trovava suo figlio e dove ora
non vi era più niente. Le parole che gli aveva appena pronunciato iniziarono a
rimbalzargli nella testa, presentandosi come l’inizio di un doloroso tormento,
a meno che non vi avesse posto subito rimedio. Fu per tale motivo che lo sguardò
dell’uomo si abbassò sulla penisola, su cui gli inviti per l’inaugurazione
erano fermi immobili, in attesa.
*
Che
l’inaugurazione del night club sarebbe stata un successo Jack lo capì appena
mise piede giù dall’auto in compagnia di Nathan quella stessa sera. L’autista
fermò la berlina nera proprio in corrispondenza del tappeto rosso che era stato
srotolato dal marciapiede all’ingresso, permettendo ai due giovani di scendere.
Come Jack posò piede in terra uno scroscio di applausi si sollevò fra le
persone presenti, in attesa in fila dietro a transenne e i fotografi presero a
scattare foto di colui che era il protagonista di quella serata.
«È
pazzesco!» esclamò Nathan appena si rese conto di quello che stava succedendo,
voltandosi verso Jack.
«Sì,
lo è» rispose l’altro, con tono disinvolto. «Ora, tu entra e, per favore, dai
poco nell’occhio. Io sistemo un paio di cose e ti raggiungo.»
Superarono
insieme l’ingresso principale, scomparendo alla vista dei fotografi e delle
centinaia di persone in attesa. Fatta eccezione per il limitato numero di individui
a cui Jack aveva dedicato un VIP pass – differente e più importante rispetto al
normale invito – il club non aveva ancora effettivamente aperto. Dentro ci
saranno state si e no settanta persone, distribuite su diversi tavoli e intente
a consumare la cena inaugurale del nuovo night – e ristorante – di Jack. Il
ragazzo si fermò al bancone della reception, proprio accanto all’ingresso,
mentre Nathan scostava la tenda di velluto blu ed entrava nella sala
principale.
Sul
bancone i VIP pass erano tutti finiti, fatta eccezione per due. Il primo di
quelli rimasti era di Riley, ma Jack non fu sorpreso di vederlo lì, nonostante
ne fosse dispiaciuto. Si ritrovò a sperare che la ragazza cambiasse idea o
programmi e che facesse la sua apparizione al night club, anche se per soli
cinque minuti. La sua mattina era iniziata bene e il pomeriggio aveva, invece,
stravolto tutto quanto. Per quanto fosse soddisfatto della quantità di presenti
all’inaugurazione non poté fare a meno di sentire nuovamente la rabbia montare
al pensiero della lite con suo padre e avrebbe voluto potersi sfogare
parlandone con qualcuno, magari proprio con Riley. Tuttavia lei non c’era.
Fece
scorrere gli occhi sul nome scritto in bianco sul secondo dei pass non ritirati
e lesse quello di Louis Walker. Un sapore amaro gli
invase la bocca immediatamente. Si sentì improvvisamente uno stupido. Stupido
per aver creduto che Louis sarebbe veramente venuto dopo tutto quello che era
accaduto e stupido perché si era illuso che tutto ciò che di spiacevole era avvenuto
fra loro si potesse rimediare con un invito a cena a seguito di una conversazione
nata per caso e chiaramente imbarazzata.
Un
senso di inadeguatezza cominciò a pervaderlo. La rabbia e la frustrazione
sopraggiunsero più vivide che mai. Due sensazioni che non provava da settimane
si ripresentarono roventi e corrosive dentro di lui, chiudendogli lo stomaco e
serrandogli la gola. Doveva sovrastarle subito prima che potessero rovinargli
la sua serata.
Sentì
qualcuno arrivare verso di lui. Sollevò gli occhi dal nome di Louis e vide Tony
sbucare da dietro la tenda di velluto, sorridendo nella sua direzione. Tony era
un uomo con cui conveniva non scherzare; grande e grosso, l’espressione
benevola dei suoi occhi scuri poteva diventare la più spaventosa che si potesse
incrociare se qualcuno gli faceva un torto. Un tranquillo impiegato di giorno,
il più efficace pusher che Jack avesse mai incontrato di notte.
«Come
va, amico?» chiese Jack, cercando di ricomporsi il più in fretta possibile.
«Benone.
Si preannuncia una gran serata» rispose Tony. «Grazie per i VIP pass. Io e i
ragazzi li abbiamo molto apprezzati.»
Un
sorriso incurvò un angolo della bocca di Jack. «Figurati. Ve li siete
meritati.»
Ai
due bastò uno scambio di sguardi. Tony capì subito cosa il più giovane stava
cercando da lui e non gli servì fare altre domande o cercare altri cenni. Con
una disinvoltura che aveva dell’incredibile perfino per Jack si avvicinò e
diede la mano al ragazzo, trasformando il gesto in un abbraccio piuttosto
sbrigativo.
«Sei
rimasto fuori dal giro per un po’, vacci piano» disse infine con una strizzata
d’occhio.
Jack
gli sorrise e lo guardò rientrare nella sala. Infine abbassò distrattamente lo
sguardo sulla mano, una smorfia incomprensibile a increspargli il viso. Fra le
dita stringeva un piccolo sacchetto trasparente appallottolato stretto e pieno
di una finissima polvere bianca.