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Autore: Bakagheiyama    31/05/2016    1 recensioni
'Il silenzio è il suo luogo preferito, la sua atmosfera prediletta, dove può erigere muri a non finire senza essere etichettato continuamente. Venendo giudicato ogni giorno della sua vita, ha sviluppato una sorta di autodifesa, con il suo personale motto- non giudicare se poi ti lamenti di essere giudicato.'
[O anche: Hans ascolta la sua vita da lontano e origlia i rumori che fanno le sue emozioni. Poi arriva la musica e Hans si accorge di vivere.]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ὠτακουστέω
A Giovanni
 
When you try your best but you don't succeed | When you get what you want but not what you need | When you feel so tired but you can't sleep | Stuck in reverse | And the tears come streaming down your face | When you lose something you can't replace | When you love someone but it goes to waste | Could it be worse? | Lights will guide you home | And ignite your bones | And I will try to fix you...
 (da Fix You, Coldplay)
 



Hans sa di essere nato in Italia, sa di avere origini e genitori italiani. Sa anche di avere un nome tedesco, perché suo nonno paterno proveniva dalla Germania e aveva insistito così tanto per trasmettere almeno un po’ della sua cultura al suo attesissimo nipote. Hans sa anche che il suo nome, in italiano, significa ‘figlio molto atteso’, ‘Dono di Dio’, è molto diffuso tra i cristiani come lui. L’ultima cosa che Hans sa è che non si trova bene con i suoi compagni, a scuola, o nella squadra di calcetto del suo quartiere. Lo chiamano nazista, quelli là, anche se lui la parola ‘nazista’ non sa neanche cosa significhi, alla fine. Ha solo quattordici anni, un nome tedesco e poca voglia di fare amicizia.
Ha imparato nel corso degli anni a stare zitto, ad esprimersi solo se necessario, lasciando che siano gli altri a parlare per lui. Non si reputa superiore né diverso, sa che la diversità non è una bella cosa, la maggior parte delle volte, ed è convinto che per stare bene con se stessi bisogna circondarsi del silenzio, magari con un buon libro tra le mani.
Il silenzio è il suo luogo preferito, la sua atmosfera prediletta, dove può erigere muri a non finire senza essere etichettato continuamente. Venendo giudicato ogni giorno della sua vita, ha sviluppato una sorta di autodifesa, con il suo personale motto- non giudicare se poi ti lamenti di essere giudicato. È quasi sempre da solo, a scuola, a casa –i suoi genitori lavorano ed è figlio unico- e non se ne lamenta, non sarebbe forse ipocrita da parte sua? Dire di amare il silenzio e poi cercare la compagnia dei ragazzi che lo deridono è chiaramente ipocrisia, pensa Hans, e se c’è una cosa che il ragazzo odia più del rumore è l’ipocrisia delle persone. No, Hans non si sente superiore al mondo, non pensa che il mondo ce l’abbia con lui, è solo molto realista, ama la coerenza e l’intelligenza nascosta dietro al non parlare. Forse è per l’aura che emana, forse per il suo nome strano, forse per i suoi occhi azzurrissimi ed i suoi capelli quasi bianchi, forse è per il suo naso schiacciato o per i suoi occhiali grandi e rotondi, forse perché i suoi coetanei lo vedono troppo pessimista, ma Hans non si deve neanche sforzare per essere solo. Lo è e basta, anche se si ripete più e più volte che la sua è una solitudine scelta ed affatto ipocrita, capisce di essere quello che la società chiama ‘rifiuto umano’. In Giappone esiste una parola per quelli come lui, lo sa, una parola che rappresenta le persone più inutili e chiuse e ossessionate e rifiutate: hikikomori.
Hans è realista e sa quasi tutto quello che c’è da sapere su di lui, guarda attentamente il mondo da dietro i suoi occhiali troppo grandi e non giudica nessuno, non presta attenzione a nessuno, non piange mai e non ride mai. Forse Hans è triste, forse no, forse non sa nemmeno cosa significhi essere triste. Triste, felice, arrabbiato, nazista, chi ha inventato questi aggettivi? Per lui sono tutti uguali, come tutti uguali sono i giorni che trascorre, tutti i minuti della sua vita che spreca senza sapere cosa significhi amare, odiare, divertirsi, arrabbiarsi.
La prima volta che trova la lettera sul suo banco è di venerdì 13, mentre tutti scalpitano e urlano per il giorno maledetto, lui si ritrova a fissare quel foglio bianco ripiegato vicino al suo posto. È un banchetto singolo, il suo, situato in fondo all’aula e quasi nascosto alla vista di chiunque: in un primo momento, si aspetta uno dei soliti scherzi dei suoi compagni di classe, prova quasi paura nell’aprire quella piccola lettera ripiegata con cura. Come fa Hans a conoscere la paura? Ha chiamato così quella sensazione strana perché non sapeva che altro nome darle: lo stomaco che si attorciglia, si chiude e stritola il suo intestino, la testa che gira e il mondo con la testa e le persone con il mondo. Ha paura quando i suoi compagni lo chiamano nazista, perché anche se per lui è un aggettivo qualunque, sa che per la società non è così, ha paura quando ritorna a casa da solo e ha paura quando si sveglia a casa da solo. Hans sa anche di avere paura e di non trovare il coraggio per non averne, giochi di parole che lo fanno impazzire mentre maledice quell’unica parola: paura.
È paura quella che prova nell’aprire quel foglio, o solo curiosità? Hans non sa cosa sia la curiosità, non l’ha mai provata, ma mentre legge il testo la sperimenta per la prima volta. Non è scritta in italiano, la lettera, ma in inglese: è una canzone, stabilisce dopo pochi secondi, e storce il naso. La musica non gli piace: è rumore, ed il rumore non è silenzio e se non è silenzio non è pace. Alla fine della canzone, di cui comprende solo poche parole sparse, c’è segnato il nome della band, deduce, che ha il pretestuoso nome di ‘Coldplay’, poi il titolo del brano: ‘Viva la Vida’. Il titolo della canzone lo comprende perfino Hans, che di spagnolo ne sa meno dell’inglese, e si incuriosisce di nuovo. Viva la vita è una strana frase, come si fa ad esaltare la vita se non si conosce la morte ed il dolore e la solitudine? Non si può, conclude Hans, mentre legge le note in fondo alla paginetta.
‘Viva la Vida è la mia canzone preferita’ c’è scritto, ‘prenditene cura per me, io amo i suoni, ma ormai posso sentire solo il silenzio. Vorrei che tu apprezzassi di più i rumori che ti circondano, così da amarli come li ho amati io. Xxxx’
Hans è confuso, sempre che sappia come essere confuso. Chi è il pazzo che preferisce la musica al silenzio? si chiede, mentre con lo sguardo perlustra la classe in cerca del misterioso mittente. Non lo trova, e visto che la curiosità in lui è germogliata da ben poco tempo, lascia perdere la ricerca impossibile per dedicarsi alla lettera. Rilegge il testo, decide che a casa cercherà la traduzione, e che passerà dal negozio di cellulari vicino il suo quartiere per comprare un paio di cuffiette. Pensa che tutto quello che sta facendo è veramente incoerente, idolatra così tanto il silenzio e poi si mette ad ascoltare musica consigliata da uno sconosciuto, però forse è davvero stanco di essere solo per scelta, di avere la paura come unica compagnia.
Sta di fatto che compra le cuffie e cerca il testo, come si è ripromesso, ignorando il fastidio che fa a lotte con la curiosità nel suo povero stomaco. Quando trova la traduzione di Viva la Vida, e contemporaneamente fa partire la canzone sul suo telefono-il tutto mentre armeggia con le sue nuove cuffie- non riesce ad esprimere a parole le sue sensazioni. La canzone ha già detto tutto quello che c’è da dire.

 
Ero solito governare il mondo
i mari si alzavano quando io davo l'ordine
ora al mattino io spazzo da solo
spazzo le strade che ero solito possedere

ero solito tirare i dadi
sentire la paura negli occhi dei miei nemici
ascoltare come la folla cantava:
"ora il vecchio re è morto, lunga vita al re!"

un minuto ho stretto forte la chiave
e quello seguente ero intrappolato dai muri
e ho scoperto che i miei castelli
stavano sopra cumuli di sabbia e pilastri

ho sentito le campane di Gerusalemme risuonare
i cori della cavalleria romana stanno cantando
che tu sia il mio specchio, la mia spada,il mio scudo
i miei missionari in un campo straniero
per qualche ragione che non riesco a spiegare
da quando tu sei andata via
non c'è stato più un mondo onesto
era così quando io governavo il mondo

era il vento forte e selvaggio
soffiava giù le porte per lasciarmi entrare
finestre frantumate e suoni di tamburi
la gente non riuscirebbe a credere
quello che sono diventato

i rivoluzionari aspettano
la mia testa su un piatto d argento
solamente un burattino su un solo filo
chi vorrebbe mai diventare un re?

ho sentito le campane di Gerusalemme risuonare
i cori della cavalleria romana stanno cantando
che tu sia il mio specchio, la mia spada,il mio scudo
i miei missionari in un campo straniero
per qualche ragione che non riesco a spiegare
da quando tu sei andata via
non c'è stato più un mondo onesto
era così quando io governavo il mondo

ho sentito le campane di Gerusalemme risuonare
i cori della cavalleria romana stanno cantando
che tu sia il mio specchio, la mia spada,il mio scudo
i miei missionari in un campo straniero
per qualche ragione che non riesco a spiegare
da quando tu sei andata via
non c'è stato più un mondo onesto
era così quando io governavo il mondo

 
I used to rule the world 
Seas would rise when I gave the word 
Now in the morning I sleep alone 
Sweep the streets that I used to own 

I used to roll the dice 
Feel the fear in my enemy's eyes 
Listen as the crowd would sing: 
"Now the old king is dead! 
Long live the king!" 

One minute I held the key 
Next the walls were closed on me 
And I discovered that my castles stand 
Upon pillars of salt and pillars of sand 

I hear Jerusalem bells are ringing 
Roman Cavalry choirs are singing 
Be my mirror my sword and shield 
My missionaries in a foreign field 
For some reason I can't explain 
Once you go there was never, never an honest word 
That was when I ruled the world 
(Ohhh) 

It was the wicked and wild wind 
Blew down the doors to let me in 
Shattered windows and the sound of drums 
People couldn't believe what I'd become 

Revolutionaries wait 
For my head on a silver plate 
Just a puppet on a lonely string 
Oh who would ever want to be king? 

I hear Jerusalem bells a ringing 
Roman Cavalry choirs are singing 
Be my mirror my sword and shield 
My missionaries in a foreign field 
For some reason I can't explain 
I know Saint Peter will call my name 
Never an honest word 
But that was when I ruled the world 
(Ohhhhh Ohhh Ohhh) 

I hear Jerusalem bells are ringing 
Roman Cavalry choirs are singing 
Be my mirror my sword and shield 
My missionaries in a foreign field 
For some reason I can't explain 
I know Saint Peter will call my name 
Never an honest word 
But that was when I ruled the world
 

Riascolta la canzone una, due, tre volte. È una specie di droga benigna scaccia pensieri, non fa pensare a cose come l’incoerenza o la paura, ti costringe ad ascoltare e a cantare mimando i suoni con la bocca, senza interrompere il ritmo degli strumenti perfettamente accordati tra loro. È magia! Pensa Hans, mentre ripete le parole della canzone come se fossero una preghiera, una nenia miracolosa. Il silenzio c’è, ma non è lo stesso che lui è solito ascoltare: è un silenzio che parla di libertà, di rivoluzioni, di re arroganti e re decaduti, di emozioni che Hans non sa provare –o forse no, forse Hans è molto più sensibile di quanto lui stesso pensi, perché si ritrova a piangere copiosamente senza sapere bene il motivo. È un nuovo silenzio, il suo, un silenzio che balla sulle note dei Coldplay, e Hans scopre di amarlo più del precedente.

*

Le lettere continuano per 60 giorni, Hans li può contare perché ogni canzone nella sua playlist equivale ad una lettera, ad una nuova giornata e ad una nuova canzone. Hans si ritrova ad aspettare con ansia, per più di due mesi, i fogli ripiegati con cura sopra al suo banco, immagina due mani femminili e delicate che scrivono i testi delle canzoni e la testa di una piccola ragazza che si muove al suono della musica, in contemporanea con lui. Non sa perché, però Hans si aspetta che il mittente della lettere sia una ragazza, dopotutto, un ragazzo non può essere così interessato e gentile e fragile. L’aggettivo fragile è quello giusto per descrivere la grafia della misteriosa scrittrice, fragile che per Hans è sinonimo di bello e di dolce. Dolce come le canzoni che la ragazza sceglie per lui ogni giorno, ogni settimana, e che continuano a far crescere la sua playlist musicale. Impara ad ascoltare altro, oltre ai Coldplay, anche se questi restano sempre la sua band preferita. Le canzoni che ama di più sono ‘Charlie Brown’, ‘Fix you’, ‘The scientist’, ‘Lovers in Japan’, poi vengono varie canzoni di Ligabue- Jovanotti, Tiziano Ferro, i Negramaro. E ancora James Blunt, Nickelback, Adele, i Placebo e gli Editors. Impara ad apprezzare anche gruppi pop, rock, indie-rock, insomma, la musica lo affascina come solo i libri avevano saputo fare prima di allora, e ringrazia ogni giorno di più l’autrice di quelle lettere, la stessa che non può più sentire i suoni e i rumori. Se l’è domandato, Hans, come abbia fatto a diventare sorda, ma semplicemente non trova il coraggio di chiederlo direttamente a lei. Ha preso l’abitudine di scrivere degli apprezzamenti, vicino le note delle lettere, sulle canzoni che di volta in volta la ragazza gli propone. Certe volte i fogli contengono anche piccoli inizi di un grande discorso, e Hans si sente in dovere di rispondere a quei monologhi, magari anche con l’intenzione di farsi conoscere un po’ di più. I loro scambi non sono equi, in effetti, lui ha imparato a scoprire a poco a poco il carattere del mittente, e non ha spazio per presentare il suo –non che sia fiero di com’è, chiaro, a nessuno farebbe piacere avere accanto un codardo realista e buonista. Hans lo sa.
Sa che la persona che si nasconde dietro le lettere non ha un cuor di leone, ma è coraggiosa a modo suo, pur schermandosi di un foglio e dell’anonimato riesce a trasmettere i suoi pensieri, le sue sensazioni, le sue emozioni. Emozioni che ha trasmesso ad Hans, volente o nolente: tristezza per la sua sordità, l’amore per la libertà di parola e l’odio per le ingiustizie inespresse, la paura della società e la volontà di seguire la massa per poi diversificarsi in piccole grandi azioni, come dire la propria opinione davanti a tante persone che la negano, o l’essere premurosa verso una persona bisognosa. Non la giudica, Hans, non l’ha mai fatto con nessuno e non lo fa con la prima persona al mondo a cui si sente legato.
Hans vorrebbe vederla, ringraziarla di persona, ma sa che è impossibile- a meno che lei stessa non voglia incontrarlo. Dopo due mesi ha perso le speranze, però, oppure non ne sente il bisogno, perché gli basta avere tra le mani quei preziosissimi fogli e lui può essere felice a modo suo.
Poi le lettere smettono di arrivare per uno, due, tre giorni. Il quarto giorno Hans è disperato, vaga per la prima volta nei corridoi in cerca della ragazza che si è immaginato e sa che non la troverà, sa che senza quelle lettere lui ritornerà ad essere l’Hans senza emozioni e senza musica e senza aggettivi per descrivere la sua vita.
Passa la prima settimana senza i soliti fogli sul banco e Hans non ha il coraggio di riprendere in mano le sue cuffie e la sua musica. Non ha neanche il coraggio di cercare la ragazza per i corridoi della scuola, semplicemente si è già arreso all’idea che l’autrice delle lettere si sia stancata di scriver per lui, per lui e per lui senza nessun profitto. La capisce, Hans, eccome se la capisce.
Così, passate due settimane, Hans non riesce ad ascoltare le sue canzoni senza piangere, e semplicemente smette di sentire la musica. Dopo tre settimane, i suoi genitori vengono avvertiti dalla scuola che Hans dovrà passare l’estate sui libri, se non recupera tutte le sue insufficienze.
Dopo un mese, Hans prende l’abitudine di svegliarsi presto ed arrivare a scuola in anticipo, per studiare e studiare e studiare. Il suo mondo è ritornato alla normalità e quasi non ricorda più le lettere della misteriosa ragazza, le archivia come un sogno molto vivido e reale e felice.
Dopo un mese, Hans non si aspetta di trovare una piccola figura china sul suo banco, mezz’ora prima dell’inizio delle lezioni, intenta a scribacchiare su un foglietto di carta. Quando la vede, Hans si zittisce improvvisamente, e ascolta con attenzione il suono della penna che scrive sulla lettera.
Frush, frush, frush, e intanto la ragazza si gira, un’espressione sorpresa sul viso alla vista del ragazzo.
C’è silenzio, tra di loro, un silenzio che sembra far più rumore di un’esplosione, quasi a volersi prendere gioco dei due ragazzi. Hans la guarda come si guarda l’arcobaleno dopo giorni incessanti di pioggia, ha i capelli corti, a elfo, un viso regolare e una figura snella. Dopo così tanti giorni passati a pensare a lei, non riesce a parlare, non riesce neanche a metabolizzare il fatto che non l’ha mai vista prima, né in classe, né a scuola. Ancora una volta Hans lascia che sia il silenzio a parlare per lui, si odia per questo, ma proprio non riesce a fiatare.
Poi la ragazza si porta una mano alla testa, picchiettando le dita sulle sue orecchie in un ritmo regolare che ricorda in qualche modo il ritornello di Viva la Vida. Si ferma, poi ricomincia, fino a quando Hans non prende il cellulare ed apre per la prima volta da settimane la sua playlist.
Lei lo guarda, e ad un certo punto sorride, indicando con entrambe le mani le sue orecchie.
‘Lo senti?’
-Viva la Vida, Coldplay-
Sorridono.
-Play-
‘Lo sento.’


Note: 
ὠτακουστέω, in greco antico, significa 'origliare, ascoltare di nascosto, spiare qualcuno'
Se non conoscete ancora i Coldplay, bhè, cosa state facendo qui? Sbrigatevi e andate ad ascoltare qualche loro canzone!
 
   
 
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