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Autore: Follow The Sun    31/05/2016    1 recensioni
Sono sopraffatta... Il corpo ridotto al limite, la mente vuota e le mie emozioni sparse al vento. Allunga una mano dietro di sé, toglie l'umido lenzuolo dal fondo del letto e me lo avvolge intorno al corpo. 
La stoffa fredda ed estranea mi fa rabbrividire.
Lui mi circonda con le braccia, tenendomi stretta, cullandomi possessivamente avanti ed indietro.
«Perdonami» mormora vicino al mio orecchio, la voce sciolta e desolata.
Mi bacia i capelli, un bacio, e un altro.
«Scusa, davvero»
Gli affondo la faccia nel collo e continuo a piangere, uno sfogo liberatorio.
Uso un angolo del lenzuolo per asciugarmi la punta del naso e a poco a poco mi rendo conto che quella visione non è poi tanto male.
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Questo è il remake della storia "she's a good girl", quella vecchia è stata cancellata, dati gli scarsi progressi.
Spero che questa versione sia meglio di quella vecchia :)
Se vi va fatemi sapere come vi sembra.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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"She's a good girl." 
Capitolo 22.
 
Vidi Michael sbuffare, scompigliandosi i capelli e assumendo un'espressione dispiaciuta.
 
Incuriosita, aumentai il volume del portatile per poter sentire ancora meglio. Stavo letteralmente morendo dalla curiosità.
 
-Beh, ti ricordi della volta in cui ci siamo conosciuti?- chiese. 
Annuii, ricordando di quanto allora fossi confusa e inesperta sulla mia nuova vita a Sidney e di come mi sarei dovuta relazionare con le altre persone.
-Quei bulletti mi hanno ancora preso di mira, ora che non ci sei tu ad accompagnarmi a casa dopo le prove-.
Rimasi allibita da ciò che avevo appena sentito. Michael era di nuovo stato preso di mira dai bulli, i quali sembravano essersi arresi, ormai.
Mi sentivo impotente, inutile, avrei preferito essere con Michael, a Sidney, per dargli sicurezza e non farlo stare male. Volevo tornare a casa, volevo stare in pace con me stessa. 
In quell'istante ricevetti una chiamata dai miei genitori, così liquidai Mike con un "ci sentiamo più tardi" e risposi al telefono.
 
-Pronto?-.
-Emma, ciao, come stai?- chiese mia madre, entusiasta come non mai.
-Bene, grazie. Voi come state?- domandai, mentre con la mano libera dal telefono mi cimentavo nello spegnere il computer.
-Bene!- esclamò sempre lei. Avevo intuito dal suo tono emozionato, ma controllato, che aveva qualcosa da dirmi.
Sembrava che quel giorno chiunque avesse delle notizie sconvolgenti, e giurai a me stessa di non sorprendermi più del necessario.
Aleggiò per alcuni secondi un silenzio imbarazzante, poi mio padre prese in mano la conversazione.
-Io e tua madre abbiamo una grande notizia, ma la vedrai quando tornerai- disse, pacato.
Mia madre, nel frattempo, non aveva fatto altro che ridacchiare; e non mi piaceva affatto.
-La mamma aspetta un bambino?!- sputai, non avendo altre idee da proporre.
-Cosa?! No, sono troppo vecchia per accudire un neonato!-.
-Eleonora, hai solo quarantadue anni!-.
-Solo!-.
-Mamma, papà, vi prego, non dovete nascondermi nulla- intervenni, imbarazzata dalla conversazione.
-Non vogliamo nasconderti una cosa così importante, ma dobbiamo!- affermò lei, e il tono infantile che mantenne mi mise in testa così tante idee che non prestai più troppa attenzione al resto della chiamata.
-Ci sentiamo più tardi, va bene?- conclusi, non prima di aver ricevuto una risposta affermativa da parte dei miei genitori.
 
Sospirai, buttandomi sul letto, e mi distesi per bene a pancia in su. Osservai per un po' il soffitto, poi chiusi gli occhi, beandomi del vento crepuscolare che si stava intrufolando silenziosamente nella stanza.
La maniglia della porta cigolò, così capii che qualcuno stava entrando, ma non ci diedi molto peso.
Dopo molte ore, finalmente, mi stavo ripassando per davvero e non volevo per nessuno motivo al mondo che quel momento terminasse.
 
-Hey, Emma, la cena sarà servita a momenti. Qui mangiano abbastanza presto-.
Ashton si sdraiò al mio fianco, supino, e sentii che una delle sue mani mi stava accarezzando i capelli, ma lo lasciai fare.
-Non ti stai divertendo qui, vero?-.
Scossi la testa, sempre con gli occhi chiusi, e probabilmente in altre situazioni sarei scoppiata a piangere per essere stata colta così profondamente nell'animo; ma, si trattava di Ashton, non gli avrei mai permesso di vedermi piangere per una cosa così di poca importanza.
-Beh, non so se serve a farti stare meglio ma, mancano ancora dodici giorni al ritorno a casa. Pensi di farcela?-.
Respirai a fondo, ragionando sulle sue parole. Aveva fatto centro.
Ce l'avrei fatta. Ce l'avrei messa tutta.
 
 
[…]
 
 
-Grazie per la cena- dissi, alzandomi dalla sedia e mettendo sul tavolo il tovagliolo che avevo precedentemente adagiato sul mio grembo.
-È un piacere. Gradireste uscire in giardino per fare due chiacchiere?- propose Lucas.
Ashton annuì, radioso, afferrando la mia mano e trascinandomi verso di lui.
-Verremo, magari dopo essere saliti in camera per metterci qualcosa di più comodo-.
-Perfetto. Allora ci vediamo in giardino tra trenta minuti?- domandò, alzando il polso di una mano e controllando con l'altra l'ora sul suo orologio, a mio parere, costosissimo.
Annuimmo, e lo feci non perché fossi d'accordo, ma la mano di Ashton, stretta con la mia, mi aveva fatta completamente andare fuori di testa.
 
Quindi, come promesso, salimmo di sopra e andammo nella nostra camera per prepararci.
Per quella mezz'ora in cui eravamo in camera, io ed Ashton, mi passò per la testa più volte la stessa domanda: "Perché mi ha afferrato la mano?".
Avrei tanto voluto chiedergli spiegazioni, ma non ne avevo il coraggio, non mi sentivo abbastanza forte nel fare una domanda del genere; la mia paura più grande era di rovinare tutto.
 
-Sembra che ora, Lucas, sia più che benestante. Quel Rolex potrebbe valere circa mille dollari- esordì, guardandosi intorno circospetto e indicando teatralmente il suo polso.
Annuii e accennai un sorriso, mentre mi chiudevo in bagno per mettermi un paio di pantaloncini larghi e una maglia leggera.
 
-Credi che domani ci sarà molta gente al ricevimento?- chiesi, soprappensiero, uscendo dal bagno, ormai vestita, e buttandomi sul letto.
Ashton si stava sistemando il ciuffo di capelli allo specchio, così ne approfittai per rilassarmi un po'.
-Non ne ho idea- fece una pausa e si legò una bandana nera in testa. -Nera o blu?-.
Girai la testa verso di lui e arricciai il naso, indecisa.
-Blu?-.
Annuì, togliendosi la bandana nera dalla testa e afferrando l'altra da uno zainetto sul pavimento.
Mi sentivo più a mio agio sapendo che non ero la sola a sentirmi a disagio e a voler sempre apparire al meglio. Anche Ashton, come me, emanava nervosismo da tutti i pori, ma non lo dava affatto a vedere.
 
Venti minuti dopo, quando Ashton ebbe finito di prepararsi, scendemmo in giardino, dove Lucas ci stava già aspettando.
-Eccovi! In perfetto orario- ammiccò, dicendo il tutto come se fosse una barzelletta.
Nessuno dei due rise, anzi, Ashton mi rivolse un'occhiata quasi preoccupata; lo imitai.
Lucas, entusiasta, ci fece accomodare a bordo piscina, sulle sdraio, mentre una cameriera ci serviva dei drink.
Non ero solita a essere servita in quel modo, perciò ringraziai più volte la giovane donna: per aver messo il bicchiere sul tavolo in legno, per averlo riempito e per avermi aiutata ad alzare la mia sedia. Ero imbarazzata.
 
Alzai lo sguardo verso il cielo, ma non riuscii a vedere molte stelle a causa della troppa illuminazione della villa. 
Slegai i capelli dalla coda di cavallo precedentemente fatta in camera e lasciai cadere la testa sullo schienale, esausta.
Le voci dei due ragazzi mi tenevano compagnia, mentre cercavo di sonnecchiare sotto la luce della luna proprio sopra di me.
 
-Emma, ti va di entrare in piscina?- Lucas si abbassò alla mia altezza, appoggiando le mani su uno dei braccioli della sdraio.
Mi sorrise e mi porse una mano. -Forza-.
Gli mostrai un sorriso forzato e stanco, ma scossi la testa. Dopo cena, se mi sdraiavo, finivo sempre per diventare troppo stanca; e come se non bastasse, la cena era durata ben due ore.
-Ti ringrazio, ma non mi va, scusami-.
Mi alzai e mi infilai le ciabatte infradito, mi congedai salutando i due ragazzi ormai in piscina ed entrai in casa.
Non potei fare a meno di lanciare un'occhiata veloce sul fisico scolpito di Ashton, ovviamente.
 
Il giorno dopo, quando mi svegliai, non feci tempo ad alzarmi dal letto che sentii diversi suoni e rumori provenire dal giardino. 
Degli operai stavano sistemando tavoli, sedie e un piccolo palco proprio davanti a casa, davanti alla mia finestra, alle otto del mattino.
Mi sporsi per controllare meglio, ma non ne ero veramente interessata, così mi lasciai andare e sprofondai nel letto, accanto ad Ashton, il quale, addormentato, aveva ancora la sua gamba intrecciata con una delle mie.
-Ash- lo chiamai.
-Ash!- ripetei, più forte.
-Mmh- mugugnò, prima di rigirarsi nel letto e strapparmi le coperte.
Rabbrividii perché, nonostante le giornate fossero calde e accoglienti, di notte l'atmosfera cambiava radicalmente e tutto diventava più freddo.
-Coraggio, dormiglione, dobbiamo scendere a fare colazione, oppure Lucas non potrà fare a meno di controllare ossessivamente in suo costoso Rolex pensando che siamo in ritardo- scherzai.
Gli circondai il busto con le braccia e affondai il viso tra il cuscino e i suoi capelli, in attesa del suo risveglio.
Nonostante la sera prima fossi confusa su come interpretare i gesti inusuali del castano, quella mattina non mi sentivo affatto a disagio, anzi.
 
 
[…]
 
 
-Vorrei brindare a questi giovani, quasi, sposi!-.
Alzai, per l'ennesima volta, il braccio all'aria ed esultai all'ennesimo e inutile brindisi. 
Un gruppo di signori di mezza età stava discutendo, dietro di me, di alcuni appezzamenti di terreno in vendita in periferia del paese, i quali avevano un buon prezzo, e non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo per più di una volta.
Ogni argomento di conversazione all'interno di quella festa era noioso e, come se non bastasse, ognuno degli invitati sembrava vantarsi dei propri beni e poteri, parlandone a gran voce con i compagni.
Mi sentivo stupida e inutile in mezzo a quella folla di persone che non faceva altro che parlare e parlare, mentre io non facevo altro che alternare minuti seduta al tavolo ad altri passati a passeggiare per il giardino immenso.
Ashton si era, circa dieci minuti prima, alzato dal tavolo per fare alcune foto con Lucas e alcuni amici, ma sarebbe stato gentile se mi avesse coinvolta.
 
-Ciao! Ti stai annoiando?-.
La mia attenzione venne richiamata da una ragazzina più o meno della mia età, abbastanza alta e dalle forme ben definite, con la pelle ambrata, che mi si piazzò accanto.
Mi strinsi nelle spalle, in imbarazzo.
 
"Colta in flagrante."
 
-Non è proprio il mio ambiente- mi giustificai.
La ragazza rise, sedendosi accanto a me, sul posto di Ashton.
Fece un ultimo risolino e sospirò.
-Ti capisco più di quanto tu possa credere. Questo è probabilmente la cosa più elegante che io abbia mai indossato nella mia intera vita- ridemmo, insieme.
-Sono Emma, piacere di conoscerti- le allungai la mano, e lei rispose al gesto stringendola con forza.
-Lauren, piacere mio!-.
 
Io e Lauren parlammo per un po', era una ragazza davvero simpatica, semplice e interessante.
Scoprii che era un'amica di Candice, e che, da quel giorno, sarebbe rimasta in quella casa fino alla celebrazione del matrimonio; ne rimasi sollevata.
 
 
[…]
 
 
Mi svegliai nel bel mezzo della notte a causa del mio telefono che vibrava sul comodino.
Accettai la chiamata e risposi, non prima di essermi schiarita per bene la voce.
 
-Sì? Con chi parlo?- chiesi con un tono assonnato.
Accesi la luce al lato del letto e mi misi seduta per essere più concentrata.
-Emma, sono Ashton. Devi aiutarmi-.
Strabuzzai, ma le sue parole mi incuriosirono molto, così lo lasciai parlare.
-Mi hanno arrestato-.
-Cosa? Sei serio?!- quasi urlai. Quando me ne resi conto, mi coprii subito la bocca con la mano libera.
-Sì, sono serio- sospirò. -Ti prego, vieni a pagare la cauzione, sono cinquecento dollari-.
Passarono alcuni secondi, prima che reagii alla sua implorazione.
-Okay, senti. Dove li predo i soldi e… Magari mi stai solo prendendo in giro. Scommetto che se apro la finestra ti vedo in giardino, con i tuoi amici, mentre ridete a questo stupido scherzo-.
Mi misi in piedi e aprii la finestra, tirando in parte le tende, ma quando trovai il giardino completamente vuoto mi ricredetti sulle parole del mio amico.
-Emma, per favore, non voglio passare otto mesi chiuso in carcere- mi pregò, di nuovo.
 
Quelle ultime sue parole fecero scattare in me qualcosa: capii che, nonostante tutto, aveva chiamato me, e non Lucas o chi altro; e ciò mi rendeva, in parte, felice.
 
Mi feci dare l'indirizzo, chiusi la chiamata promettendogli che sarei arrivata il più presto possibile e corsi fuori dalla mia stanza. 
Non indossavo il pigiama, ma una semplice tuta, e poi, dopotutto, chi mi avrebbe potuta vedere nel bel mezzo della notte?
 
Scesi le scale con l'intento di uscire di casa, ma subito mi ricordai che non avevo abbastanza soldi per pagare la cauzione da sola, e che avrei dovuto chiedere aiuto a Lucas o, distruggendo la mia reputazione, a Candice.
Così, con il cuore in gola, salii al primo piano per cercare Lucas, ma non sapevo affatto dove fosse la sua stanza, così urlai il suo nome, in preda alla disperazione.
-Lucas!- ripetei, camminando velocemente attraverso il corridoio.
La porta che avevo appena sorpassato si aprì, mostrandomi Lucas avvolto da una vestaglia e con i capelli scompigliati.
 
-Non urlare, per favore, o sveglierai tutti-.
Chiuse la porta alle sue spalle e si sistemò al mio fianco. 
-Che succede?- chiese, stropicciandosi gli occhi ancora assonnati.
-Hanno arrestato Ashton. Mi…- feci una pausa con un lungo respiro. -Mi servono dei soldi per pagare la cauzione-.
Lucas scattò improvvisamente e spalancò totalmente gli occhi; lo avevo risvegliato del tutto con quella rivelazione.
-Io… Certo. Scendiamo in soggiorno. Il portafoglio dovrebbe essere lì- disse, incerto.
Si tolse la vestaglia, l'appese all'appendi abiti sulla porta della sua stanza e rimase, così, in canottiera. 
 
"Imbarazzante."
 
Arrivati al piano di sotto, Lucas mi diede cinquecento venticinque dollari, non uno di più, non uno di meno. Quei venticinque sarebbero serviti per il taxi.
Mi raccomandò di stare attenta e di non dare troppa confidenza agli uomini per strada. Gli dissi che non c'era da preoccuparsi, anche se in realtà amavo ricevere attenzioni come quelle.
 
Uscii di casa correndo, diretta verso la strada. Fortunatamente un taxi stava passando in quel preciso istante, così alzai la mano, imbarazzata. Non avevo mai fatto una cosa del genere; non avevo mai preso un taxi da sola.
 
-Hey, dove devi andare?-.
Una donna sulla, probabilmente, cinquantina abbassò il finestrino e mi sorrise in modo gentile.
-Uh, ehm, alla centrale di polizia qui vicina, dovrebbero essere un paio di chilometri- balbettai. Avevo paura e non mi sentivo per niente a mio agio. 
Volevo sparire, ma il mio cuore diceva che dovevo andare da Ashton, tirarlo fuori e, forse, dargli una bella lezione per aver fatto l'irresponsabile.
-Certo, sali pure- mi incoraggiò, sbloccando la serratura della portiera al posto del passeggero.
Feci il giro della macchina ed entrai, titubante.
-La tariffa notturna compromette cinque dollari, Stellina. Quindi sono venti in tutto-.
Annuii, porgendole i soldi.
 
In quel momento mi accorsi che Lucas mi aveva dato dei soldi in più del necessario, ma non gli diedi molta importanza, e continuai a guardare fuori dal finestrino.
Per un po' rimasi con lo sguardo puntato fuori, scorrendo sul paesaggio notturno, finché l'auto non si fermò davanti alla stazione di polizia e mi riscossi dalla mia trance momentanea.
-Grazie mille-.
-Grazie, e buona fortuna-.
Ringraziai con lo sguardo quella donna per non aver fatto domande durante il tragitto. Non me la sarei sentita di dare spiegazioni o di parlare in generale.
 
La macchina sfrecciò via, e in un attimo mi sentii stanca, debole. Non mi sentivo più le gambe e avevo tanto, troppo freddo.
Mi voltai e osservai con freddezza l'insegna al di fuori della stazione di polizia.
Feci un respiro profondo, sentendo improvvisamente il cuore accelerare il suo battito ed entrai.
Subito mi diressi al bancone, il quale era ben protetto da una lastra di vetro, ma non ci trovai nessuno, se non un mucchio di scartoffie e una sedia girevole blu.
 
-Signorina, posso esserle utile?- udii alle mie spalle.
Quando mi girai vidi un uomo alto, robusto e con una barba nera non molto lunga squadrarmi da capo a piedi, mentre si sistemava il suo berretto da poliziotto.
-Io, sì, in realtà, dovrei tirare fuori da qui un mio, come dire, amico. Sì ecco, è così, insomma-.
L'agente sembrò pensarci un attimo, poi mi invitò a sedere su una delle sedie in sala d'aspetto.
-Quanti anni hai?-.
-Diciassette-.
-Sicura?-.
-Certo-.
L'uomo mi passò delle carte, poi gli consegnai i cinquecento dollari.
-Non sono propriamente la persona addetta a ritirare i soldi, ma li consegnerò io, quindi puoi stare tranquilla-.
-E Ashton? Dov'è?- domandai quando mi sentii più a mio agio.
-Ora lo vado a prendere, tu resta qui. Devo solo fare una telefonata-.
 
Aspettai interminabili minuti che mi sembravano ore. Lunghe e strazianti.
Finii le unghie da mordere, e mi sorpresi a strappare alcune delle foglioline di una pianta rinsecchita alla mia destra.
Avevo finito di compilare le carte consegnatemi dall'agente tempo prima, e stavo letteralmente morendo dall'ansia.
Mi presi la testa tra le mani, appoggiando i gomiti sulle cosce, e per poco non piansi. 
La situazione in cui mi ero cacciata era veramente assurda, da non crederci.
-Hey-.
Sentii picchiettarmi sulla spalla, così alzai di scatto la testa, e lo vidi.
Come se non lo vedessi da tanto tempo, lo abbracciai, allacciandogli le braccia attorno al collo e stringendolo forte.
Piansi sulla sua spalla e gli diedi alcuni colpetti sulla schiena.
-Sei uno stupido-.
-Cosa?-.
Tirai su con il naso e alzai il volto per guardarlo negli occhi.
-Sei uno stupido! Si può sapere che cosa hai combinato?-.
Gli afferrai le mani e le strinsi con le mie senza staccare lo sguardo dal suo, impenetrabile.
-Ho fumato dell'erba-.
-Sei uno stupido-.
 
Uscimmo finalmente dalla stazione di polizia, ringraziando l'agente, e camminammo per un po', finché mi accorsi di essere troppo stanca per poter camminare ancora per un chilometro.
-Non ho molti soldi. Non possiamo chiamare un taxi- ammisi.
Ashton annuì e si guardò attorno alla ricerca di qualcosa, poi, sconfitto, tornò a camminare.
-Non possiamo farci niente; anche io sono stanco morto-.
Come se non bastasse iniziò a piovere a dirotto, ed io vestivo con un misero paio di pantaloncini e una felpa, senza cappuccio per giunta.
-Sembra che il mondo oggi non ci sorrida per niente- ridacchiò sarcastico.
Mi fermai e lui fece lo stesso, ci guardammo negli occhi e mi venne da ridere.
Ashton era bagnato fradicio, con i capelli a coprirgli la fronte, mentre la sua maglietta nera gli si era aderita completamente al corpo. Era bellissimo, da mozzare il fiato.
E senza rendermene conto avevo già appoggiato le mie labbra sulle sue, non facendo caso al terribile odore di asfalto bagnato.






Hey!
Eccomi qui, finalmente, con un altro capitolo che, se devo essere sincera, non mi convince molto.
Ero partita con l'idea di farlo abbastanza corto, ma l'ho concluso con ben più di 3300 parole. E non è poco.
Passando al capitolo, boh, non è molto sostanzioso, ma l'ultima parte credo che possa abbastanza soddisfare, credo.
Mancano sempre meno capitoli alla fine della storia, e credo che mi mancherà scriverla, quando sarà finita. :( già mi vien da piangere.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima,
-Follow The Sun xx
  
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