i cap
n/a:
prima che intraprendiate la lettura è mio obbligo avvertirvi.
Non si
tratta di una delle mie solite sherlolly. Innanzitutto è una AU,
per di più
appartenente a un genere particolare, a cui mi affaccio con timore e
trepidazione per la prima volta: il realismo magico. I personaggi sono
come li
conosciamo, con background ragionevolmente differenti (licenza del
poeta), ma
tali da permettere loro di avere le stesse caratteristiche peculiari e
qualità
che ci hanno spinti ad ammirarli e amarli. Non vi anticipo nulla, per
non
rovinarvi il gusto della lettura, tuttavia vi accorgerete che
all’inizio la
storia scorre a rilento. La mia è stata una scelta
consapevole e sofferta. Da lettrice avrei preferito io per prima
catapultare il tutto nell’occhio
del ciclone, ma una storia raccontata così sarebbe stata solo
metà della storia
che intendevo raccontare e avevo tanti momenti significativi che
prima di
quel momento volevo mostrarvi, perciò ho dovuto spostare il
tutto ad un paio di
anni prima, per poi fare un salto temporale in avanti e trovare
l’escamotage di
inserire all’inizio di ogni capitolo un flashback (in corsivo
saranno sempre
ricordi o sogni, tenetelo presente). E’ una scelta azzardata, ma
la vita è fatta
di rischi e punto tutto sulla speranza che il risultato finale vi
piaccia
almeno un poco-ino-etto. Non vi trattengo oltre. Buona lettura (spero!).
Ruta
CAPITOLO I
IL PRESENTE CHE CI SFUGGE
L'uomo che nell'ombra cammina
e che in essa resta,
è l'uomo che più di qualsiasi altro
ammira orizzonti eterni e immortali.
E sogna di una donna fatta di luce e calore,
che solca i confini del tempo
e attraversa le trincee dello spazio in guerra,
dimentica di tutto ciò che non sia la ricerca (...) destino.
(Fonte Anonima), iscrizione incisa su una Stele ritrovata nel cerchio di monoliti sul pianeta di H.H., risalente al 315 B.F.*
*Before The Fall: la Caduta del Triumvirato per opera del Qohlet
-
-
La strada per il 221B era disseminata
di ombre.
L’onnipresente e onirico luccichio dei fuochi fatui era
un’assenza insolita, che John riempì prendendo dal taschino della giacca militare
l’acciarino. Gli sprazzi di scintille che scaturirono incendiarono le tenebre e
là rimasero, guizzi di fuoco che galleggiarono nel vuoto e gli spianarono il
cammino.
L’odore di zolfo sarebbe stato intollerabile, ma, dopo
tanti anni, John non ci faceva più caso. Lasciò che i suoi pensieri divagassero,
rivolti a una Casa nel Bosco, a un letto caldo e all’abbraccio di sua moglie. Solo
il Cielo sapeva se l’inopportunità di Sherlock fosse frutto del caso e non una
scelta voluta.
Nel silenzio gelido e immoto del Limbo, ogni respiro o
gesto diventavano carichi di significato. In un luogo come quello, era facile notare
il cambiamento, di fatto sarebbe stato impossibile evitarlo. Quella notte
assunse la forma di una figura in grigio. La persona era di spalle, non molto
alta, indossava un mantello e avanzava con determinazione e speditezza, come se
avesse il diavolo alle calcagna. Quando il cappuccio, nella fretta, le cadde
sulle spalle, rivelò un viso pallido e affaticato e lisci capelli castani
legati in una coda di cavallo che frustava l’aria. Molly.
Provò a chiamarla, ma evidentemente lei era già fuori
portata d’orecchio perché non diede mostra di averlo sentito.
Sherlock era dove si aspettava di trovarlo, tra le pareti
dipinte di acquamarina e i vapori delle fiamme alchemiche, impegnato in uno dei
suoi esperimenti per combattere l’ozio, la noia che lui definiva “il veleno
della mente”.
- Era Molly che ho incrociato venendo qui? -
Sherlock non si diede pena di salutarlo e l’unica
attestazione che si fosse accorto della sua presenza fu il corrugamento della
fronte. La sua voce, mentre centellinava col contagocce un liquido color
lapislazzulo in una minuscola fiala, era severa e pedantesca. – A meno che le
tue capacità visive abbiano subito danni di cui non sono al corrente, posso confermarti
che sì, quella che hai intravisto fosse inconfutabilmente Molly Hooper. –
- Molly – ripeté John, prima di riuscire a trattenersi.
Sherlock fece uno dei suoi micromovimenti quasi
impossibili da rilevare e batté rapidamente le palpebre. - Non capisco. –
Ovvio che no. – La conosci da dieci anni – gli fece notare John. – Non serve che ti
riferisca a lei con il suo nome completo. Oh, lascia stare – aggiunse con
rabbia. Avrebbe potuto cercare di fargli capire quanto eccentrico suonasse il
modo in cui ostentava il nome completo di Molly, come una specie di formula
matematica o di scacciapensieri, ma sarebbe stata un’impresa impossibile.
– Novità? – chiese invece.
- In merito a cosa? –
- A qualunque sia la questione urgente che ti ha spinto a
farmi venire qui nel cuore della notte. –
Quello, finalmente, sembrò catturare la sua attenzione.
Sherlock poggiò fiala e contagocce in un angolo del
tavolo e si passò una mano sulla faccia stravolta, come se intendesse
disperdere i solchi che la sregolatezza nella nutrizione e l’assenza di sonno
gli avevano provocato. – Che giorno è? –
Si comportava come se la sua fosse una domanda del tutto
lecita e a modo suo lo era, ciononostante John avrebbe voluto tirargli lo
stesso un pugno per il poco riguardo che dimostrava nel prendersi cura di se
stesso.
- Lunedì. –
Sherlock annuì, probabilmente prendendo nota dello
scorrere del tempo e si diresse in bagno per una delle sue interminabili docce.
Aspettandolo, John si preparò del caffè, concedendosi di
allungarlo con un goccio di brandy invecchiato.
Quando Sherlock riemerse dalla sua camera da letto, era vestito
di tutto punto e assomigliava alla versione migliore di sé. Ricacciò con un
gesto stizzito la tazza che John gli stava porgendo e affacciò la testa nella
ghiacciaia, alla ricerca di qualcosa di solido da mettere sotto i denti.
Imprecò nel trovarvi il nulla cosmico.
John nascose poco e male un sogghigno. Nello stesso
momento, qualcuno bussò alla porta d’ingresso e la voce acuta e familiare di
Mrs. Hudson li avvertì che era arrivato Wiggins.
La smorfia adirata di Sherlock lo ripagò all’istante della
levataccia a cui lo aveva costretto. – Perché nessuno rispetta gli orari
programmati? –
- Ha solo sbagliato ingresso. –
- Rischierà di svegliarla – ribatté Sherlock, profondamente
seccato.
Svegliare chi?, pensò John. Non riuscì ad impedirselo. Si precipitò in salotto
ed eccola lì, in tutto lo splendore dell’incomprensione che generava.
Raggomitolata su stessa sul divano Chesterfield, coperta da un cappotto
indubitabilmente maschile, dormiva Molly Hooper, epitome del mistero che custodiva.
Ricalcò i suoi passi per tornare in cucina, sconcertato.
- Nel tuo salotto c’è Molly – annunciò ottusamente e Sherlock reagì con un
grugnito irritato.
- Non è imbarazzante ribadire l’ovvio? –
- Com’è possibile che Molly sia qui? –
Sherlock si strinse nelle spalle con noncuranza. – Hai
detto che oggi è lunedì. – Siccome dal suo silenzio era evidente che quella
spiegazione non fosse bastata a disperdere la sua confusione, roteò gli occhi e
aggiunse a scanso di equivoci: - Quella che sta riposando è Molly Hooper tra due
settimane a partire da oggi. –
Non di nuovo. Sentiva premergli contro le tempie un’emicrania incipiente. – Sai che
odio quando crei Zone Temporali all’interno dell’appartamento. –
- Non credo che tu abbia ancora potere di veto – disse
Sherlock freddamente – dal momento che non abiti più qui. –
Per evitare discussioni, John strinse i pugni e cercò di
distrarsi. Lasciò vagare lo sguardo per la cucina, fissando tutto e niente
dell’ambiente ingombro. Le mensole con i barattoli e gli essiccatori, l’acquaio
stipato di stoviglie e vasellame sporchi, il dominio di alambicchi e ampolle,
diverse beute, l’immancabile becco di bunsen, il mortaio e gli altri strumenti
di distillazione che costituivano il laboratorio chimico di Sherlock. Il tutto
coperto da uno spesso strato di sudicio, un pollice almeno.
Eppure il salotto, a parte lo scompiglio generato da una
caterva di oggetti troppo differenti per amalgamarsi, era immacolato. Ogni scaffalatura e ripiano era stato spolverato con
cura. I libri erano stati collocati nelle librerie a muro, i cuscini delle
poltrone sprimacciati. Sulla mensola sopra il camino, Billy il Teschio esibiva
un sorriso scintillante come se qualcuno lo avesse ripulito con del lucido per
scarpe. Perfino la scrivania era stata liberata dalle cianfrusaglie e dai gingilli
che solitamente la invadevano. Era come se qualcuno avesse gettato un incantesimo del
pulito nella stanza. Solo la magia avrebbe potuto operare un miracolo del
genere e dal momento che era impossibile agire entro le mura del 221B senza il
benestare dell’uomo insoffribile che gli stava davanti, in completo da becchino
e nere scarpe a punta in cui avrebbe potuto specchiarsi, era ragionevole
ritenere che non solo Sherlock ne fosse al corrente, ma che addirittura ne fosse
lui stesso fautore.
A fronte di queste considerazioni, la ragione di quel
riassetto non poteva che essere la giovane donna che occupava abusivamente il
divano, coperta nientemeno che dal cappotto tanto caro a Sherlock.
Se fosse stato meno arrabbiato, John avrebbe sorriso per
l’arguzia delle proprie deduzioni. – Sembra davvero esausta – constatò in tono
vago.
Sherlock era chino su un orologio da taschino e ne stava
studiando gli ingranaggi interni con una lente di quarzo incastonata
nell’argento e dalla squisita cornice di filigrana. – E’ appena tornata da
Skranks. –
John s’incupì. - Molly odia quel posto. –
Sherlock si infilò un paio di guanti e da un cassetto
alle sue spalle prese una custodia in pelle da cui estrasse un paio di pinzette
grandi quanto il mignolo della sua mano. – Qualunque persona dotata di
buonsenso ha ottimi motivi per farlo. Se si è medici qualificati, i motivi non possono che raddoppiare. –
Skranks. Era un mondo dalla fama orribile, preda di degrado e in piena rivoluzione
industriale. L’inquinamento da fabbrica aveva reso i cieli perennemente grigi e
l’aria era malsana e irrespirabile. La scarsa igiene, la povertà dilagante e
l’alto tasso di nascite che cresceva di pari passo con le morti premature
avevano fatto sì che imperversasse un’epidemia su vasta scala. Il Governo, su
disposizione del Ministero della Salute, aveva dato direttive precise, ma era
difficile che venissero seguite alla lettera. Il protocollo era qualcosa che la
gente dei bassifondi non riusciva a comprendere e che si dovesse rinunciare a
seppellire i propri cari in virtù della normativa sanitaria vigente perché
quest’ultima prevedeva il prelevamento dei corpi per portarli alle fornaci
affinché venissero bruciati, ebbene tutto ciò era per loro inconcepibile nonché
un sacrilegio.
Da persona gentile e di animo sensibile quale era, per
Molly doveva essere stato penoso assistere ad una desolazione di quel tipo; in
qualità di medico, come Sherlock aveva giustamente osservato, la pena
naufragava inevitabilmente in senso di colpa per l’impossibilità di prestare l’aiuto
e il soccorso previsti dal giuramento fatto.
In virtù di questo, John rivalutò con maggiore
apprensione lo stato di prostrazione in cui sembrava versare Molly e il viso di
lei che nel Limbo aveva giudicato pallido, stanco e pensieroso, ora gli apparve
anche divorato dal dubbio e da un’inquietudine interiore. L’assillo di una
coscienza sotto tortura.
- Perché Mycroft l’ha mandata lì? –
Sherlock adoperava le pinze con la maneggevolezza
delicata di un orafo. – Non l’ha fatto. Sono stato io. Non avrei potuto mandare
nessun altro. Nessuno è più leale di Molly. –
E quello, John lo sapeva bene, era il più alto
complimento che potesse rivolgerle e allo stesso tempo la più crudele delle
condanne.
***
Non sa come
descriverlo. Si sente lacerata. E’ un dolore fisico che la squarcia
dall’interno, vibra dentro di lei con un’intensità e una violenza inconcepibili.
Non sa dove si
trovi né perché sia lì. Qualunque sia il motivo, qualunque cosa stia
succedendo, le sta spezzando il cuore.
Per chi sta
soffrendo in quel modo atroce? Per chi sta piangendo, tanto da darle
l’impressione di annegare in un mare di dolore? Chi, a cento passi da lei,
allunga un braccio e pronuncia il suo nome con un’angoscia e un desiderio strazianti?
Chi è capace di un sentimento tanto intenso e totalizzante? Chi la ama a tal
punto?
Con dita tremanti
si asciuga le lacrime e il panorama che le si offre è da incubo della
mezzanotte. Una cinta di mura alte quanto il cielo e una distesa di terra nera
e paludosa.
Aldilà delle mura
possenti deve trovarsi una città divorata dall’oblio dell’eternità e della
storia, antica quanto ogni città straordinaria delle leggende, che sia stata
reale oppure frutto delle ambizioni degli uomini antichi: Atlantide, Babilonia,
Camelot, Troia.
In questa città non
c’è una porta di accesso monumentale su cui siano stati innalzati a guardiani
enormi statue di leoni né una coppia di porte sacre e indistruttibili erette da
divinità al momento della creazione della cittadella.
Un’infinità di
porte, invece, troppe per contarle, una costellazione di simboli crudeli e
privi di significato, scalfiscono la corazza di pietra come ferite violente e
smorfie sbilenche.
Sulla soglia di una,
in particolare, l’unica aperta e spalancata su una voragine che porta dritto
agli Inferi dei maestri poeti e degli aedi e cantori, proprio là si erge la
figura di un uomo.
La vista di lui,
che dovrebbe essere alto e fiero e invece è piegato da un dolore che sembra
insanabile ed è gemello del suo, le fa di nuovo salire le lacrime agli occhi.
Non riesce a
vedergli il viso. Nota che è pallido come sabbia di luna, carta di riso e ha i
capelli neri e ricci. Vorrebbe vederlo in faccia, scoprire di che colore abbia
gli occhi. Saranno di un marrone caldo e rassicurante o verdi e irriverenti?
Grigi e insondabili o di un azzurro impareggiabile? Non fa in tempo a
scoprirlo.
La porta inizia a
chiudersi davanti a lui, lenta, inesorabile. Lo sente urlare qualcosa. Non dimenticarmi.
La sconvolge ed è
con una sorpresa ancora maggiore che si ritrova a gridargli di rimando un’unica
parola. Mai. Mai.
La sua promessa
viene trasportata alle stelle che quella notte non brillano, si unisce all’eco
del vento che ora strepita più che mai e le sferza i capelli sulle guance.
Viene ripetuta all’infinito, salvezza e dannazione. Mai. Mai. Mai. Non ti dimenticherò mai.
Molly si svegliò con l’immediata consapevolezza che
sarebbe stato preferibile se non l’avesse fatto. Una voce remota, residuo di un
ricordo o di un sogno, la invitava teneramente ad alzarsi. Madre?
Sbatté le palpebre. Ogni articolazione, muscolo e
terminazione nervosa del corpo le doleva e aveva la bocca impastata. Più che
mai sentiva l’età schiacciarla con il suo peso, sintomo dell’approssimarsi
della scadenza del contratto. Si tirò su a fatica, portandosi una mano alla
fronte. Odiava pensare al contratto e ancora di più rimuginare sui termini che
vi erano scritti, con la sua firma apposta in calce. Che giovane sciocca era
stata, infatuata della libertà e soprattutto dell’idea che rappresentava.
Tastò attorno a sé alla ricerca di qualcosa che
illuminasse il buio che la circondava. Subito le ombre si dissolsero nella luce
di un lume a petrolio e dell’amico che lo aveva acceso per lei. Gli indirizzò un
sorriso radioso. – Wiggins! –
Lui la salutò con il solito ghigno volpino. – Ehilà,
Molly. –
Ora riusciva ad avere una visuale completa dell’ambiente
intorno a lei e annusò la caratteristica scia di bruciato che
contraddistingueva il disfacimento dell’incantesimo che doveva aver protetto il
suo riposo. Si trovava in un salotto arredato in uno stile vittoriano e
bohémien: costosa carta da parati stilizzata, librerie rientranti le pareti,
uno scrittoio a ribalta, un tappeto persiano che ricopriva buona parte del
pavimento in legno e una quantità esorbitante di quadri a sostituire il
soffitto. L’ultima stranezza le costrinse la gola in una bolla timbrata e il
torpore scomparve del tutto.
Anche se per un breve periodo, un periodo di
grande felicità e di grande sconforto, aveva considerato quell’appartamento
casa sua e il fatto che per pochi istanti avesse faticato a riconoscerlo era
l’esatta conferma delle sue più infime paure e fragili speranze: in qualche
modo, chissà come, era riuscita a dimenticare e voltare pagina.
- Sembri sconvolta – commentò Wiggins.
Molly gli rivolse un altro sorriso, questa volta piccolo
e triste, sentendosi fuoriposto e patetica nello struggimento di un sentimento
a cui preferiva non trovare nome. – Sono soltanto stanca. –
Lo vide annuire e accettare per buona la sua scusa. –
Sembri anche quello, in effetti – convenne flemmaticamente e le porse una delle
sigarette che aveva appena trafugato da una delle riserve segrete di Sherlock.
Molly fece un cenno di diniego mentre lui la accendeva e
aspirava a fondo.
Anche Wiggins, similmente a lei, doveva essere stato sotto
copertura. Il tabarro che aveva gettato sul bracciolo della poltrona che
occupava era lucido di pioggia ed aveva un’aria affaticata e un colorito
malsano. O meglio, più malsano del
solito. D’altronde Bill Wiggins mostrava la stessa pericolosa propensione di
Sherlock a dimenticarsi di svolgere azioni basilari come il semplice dormire o
mangiare agli orari più consoni, tuttavia, mentre nel caso di Sherlock
l’inclinazione era causata da un’apatia quasi ascetica e da una negazione agnostica
dei meriti di una sana e robusta costituzione, nel caso di Wiggins era dovuto
principalmente a cattive abitudini alimentari acquisite nell’infanzia e non per
sua volontà.
Molly cercò una sistemazione più comoda. Aveva la schiena
e le spalle indolenzite, naturale risultato dell’essersi addormentata in una
posizione scorretta, e avrebbe barattato di buon grado il braccio destro per
una tazza di caffè. Nel movimento il cappotto cadde su un lato e lei si
affrettò a prenderlo meccanicamente. Oh, pensò
con un sussulto interiore. Le dita scivolarono sulla stoffa come aria
sull’acqua e le sembrò di poter sentire fisicamente la presenza del
proprietario.
- Qualcosa non va, Molls? – domandò Wiggins e gli occhi
infossati seguirono il centro focale della sua attenzione. – Quello non è il
cappotto di Shezza? Deve avertelo messo addosso mentre dormivi. Deve essere
stato sempre lui a lanciare quella fascinazione per convincere il buio ad
avvolgerti fino a quando non ti fossi svegliata. Ora che me lo fai notare –
continuò, esaminando il salotto con espressione critica – non vedevo questo
posto così pulito da eoni. Avrei
dovuto capirlo che c’entrava con te. Non credo che abbia più riordinato da
quando tu… – dovette intuire il suo turbamento perché si bloccò e con tatto
lasciò cadere l’argomento – be’, tu sai da quando. Un unico consiglio: non
avvicinarti al bagno. Dico sul serio – proseguì, atteggiando la bocca in una
smorfia di disgusto talmente esagerata da essere ridicola – c’è una macchia di muffa mutante sopra
lo scaldabagno. Mi piace chiamarla Phil. –
A quel punto Molly stava ridendo così forte e così di
gusto che anche Wiggins la seguì, contagiato dal buonumore che aveva innescato.
Quando quell’attacco di ilarità sfumò, lui si ricompose, soltanto lo sguardo e
la leggera increspatura delle labbra arricciate lasciavano intuire il suo
divertimento.
- Dal momento che nell’ultimo periodo avevo cominciato a
darti per dispersa – disse non appena lei smise di ridere – ti comunico che ho in
arretrato parecchi messaggi di rimostranze da consegnarti. Davvero numerosi e
provenienti da quasi tutti i tuoi amici e conoscenti. –
Fattorino e factotum, pensò Molly con una punta di
mestizia. Se si fosse trattato di chiunque altro, si sarebbe sentita affranta e
colpevole, ma Wiggins sapeva prenderla dal lato giusto e arricchire ogni parola
con una combinazione bilanciata di ironia, sfacciataggine e melodramma, il che
rendeva impossibile prenderlo troppo sul serio. Fece un lungo sospiro, tirò
indietro le spalle e poggiò le mani in grembo. L’occhiata di lui suggerì che quell’atteggiarsi
a martire non lo avesse impressionato.
– Procedi pure – lo invitò.
Lui non se lo fece ripetere una seconda volta e iniziò a snocciolare in
rapida successione: - La signora Hudson si professa angustiata e molto, molto
addolorata dal tuo prolungato silenzio. Spera che la sua afflizione ti trovi in
salute e non troppo smagrita e ti invita ad un appuntamento per il tè,
promettendo che ci saranno i pasticcini che ti piacciono tanto. Janine dice che
sei una pessima amica e ovunque tu sia si augura che ti venga un crampo a uno
stinco o anche a entrambi, ma fortuna vuole che ti voglia bene, perciò nella
sua infinità bontà ti perdona per essere un’egoista e promette che quando vi
vedrete ti strapazzerà solo quanto basta a renderti sorda da un orecchio.
Lestrade ti manda i suoi più cordiali saluti e ti prega di renderti nuovamente
rintracciabile in obitorio perché senza di te quel posto gli ricorda terribilmente
una camera mortuaria. – A questo punto Wiggins fece una pausa e rifletté su
quanto appena detto. – Viene spontaneo chiedersi se il buon ispettore conosca la
differenza tra i due ambienti. Probabilmente no, altrimenti saprebbe che non ve
n’è alcuna e che quello che intendeva essere un sincero complimento alle tue
grazie diventa un apprezzamento di cortesia e nient’altro. Meena ti chiama
scellerata e ti promette atroci sofferenze se non andrai quanto prima a
ritirare il tuo cucciolo di tigre perché le ha rovinato la tappezzeria già due
volte. Sally vorrebbe che ricominciassi a partecipare agli incontri del giovedì
sera al pub e ti chiede se medicalmente parlando ci sono fondamenti scientifici
sulla cui base si possa ritenere che un ambiente di soli uomini contribuisca a
una decrescita del raziocinio; che questo sia il caso o meno, fino a prova
contraria e con nulla a confutarla, ti invita caldamente a farle compagnia. Mary
–
- Non voglio nessun messaggio di Mary – lo interruppe
Molly. Al solo sentirla nominare, ciascun atrio del cuore si era trasformato in
un bongo che qualcuno stava percuotendo con colpi di collera sorda e rammarico.
- Mary – proseguì Wiggins, come se nulla fosse.
Molly fece una smorfia e si accorse di tremare, tanto era
infuriata. – Sul serio, Wiggins, non forzare la mano. –
- Sette mesi – la freddò lui. – Sono sette mesi che sei
scomparsa dalla faccia della terra. Ti sei resa irreperibile e non credere che
non ne conosciamo il motivo. Hai dedicato ogni giorno degli ultimi mesi alla
ricerca, ti ci sei consacrata anima e corpo, fino al punto di stremarti. Non
hai risposto alle telefonate, hai rimandato indietro i famigli e i dispacci.
Hai respinto ogni contatto, hai negato alla tua famiglia la possibilità di
starti accanto nel momento del bisogno. Sei la persona più forte e risoluta e
coraggiosa che conosco, ma arriva un momento in cui a ciascuna di queste
qualità va posto un freno. Non puoi sottrarti in eterno all’affetto di chi ti ama. Concedici di riaverti nelle
nostre vite. Ho commesso un errore e me ne assumo tutta la colpa. A questo proposito ho solo una cosa da
dirti: mi dispiace. –
A testa bassa, Molly si morse il labbro e si vietò di
singhiozzare come la bambina che sentiva di essere. Immatura nel suo rancore,
ferita nel suo orgoglio di donna, tradita nella fiducia. Tutti questo le era
pesato dentro come la peggiore delle maledizioni e probabilmente avrebbe
continuato a farlo ancora a lungo, più di quanto le piacesse ammettere.
- Per Mary era importante che tu lo ascoltassi – disse Wiggins,
contrito.
- E per me lo è stato ascoltarlo – riconobbe Molly. Non
poteva perdonare a Mary il suo silenzio, non ancora, ma poteva accettare la
verità delle parole che lei aveva affidato a Wiggins perché gliele recapitasse
e accogliere l’affetto che trasudavano, la richiesta di assoluzione che prima o
poi, conoscendosi, le avrebbe sicuramente accordato.
Wiggins le concesse una pausa per riprendere il controllo
di sé. Molly lo vide alzarsi e sgranchirsi, battere un colpetto cameratesco sulla
testa di Billy il Teschio, “Così è questa
la fine che mi aspetta. Non posso dirmi sorpreso”, aprire il mappamondo e
approfittare della riserva di liquori con la stessa disinvolta libertà che
aveva dimostrato servendosi della scorta di tabacco.
Perché no?, pensò tra sé. Perché no, dal momento che
Sherlock sembrava troppo impegnato nei suoi affari
per presentarsi agli appuntamenti? Anche due settimane prima l’aveva lasciata
ad aspettare per ore, finché lei, stufa, non se n’era andata. Questa seconda
volta, però, il divano era stato troppo comodo, il silenzio dell’appartamento
troppo invitante per non concedersi pochi istanti per riposare gli occhi.
- Vuoi che ti versi qualcosa? – domandò Wiggins. - C’è
del vino rosso. Credo che risalga a una delle sommosse nelle Fiandre. -
- No, ti ringrazio. –
Wiggins si spostò con passo dondolante da una zona
all’altra del salotto, agguantando libri, leggendone brani a caso e poi rimettendoli
per soddisfazione personale in un punto diverso, solo per il piacere da
canaglia di scombinare la catalogazione certosina di Sherlock. – Oh, guarda un
po’. “The Hollow Men” – lesse il titolo sulla copertina del libricino nel tono
di chi viene colto alla sprovvista. – Cosa ci fa Sherlock con un libro di
poesia? –
- Gliel’ho regalato io anni fa. Guarda il frontespizio.
Dovrebbe esserci una dedica. –
Molly si avvicinò alla finestra e scostò le tende. Poco
dopo sentì che Wiggins chiudeva il libro con uno scatto secco e lo riposava,
senza fare commenti. Gliene fu grata.
- Su cosa devi fare rapporto? – Si costrinse a voltare le
spalle al bovindo e a richiudere le tende. Il chiarore delle stelle e
dell’aurora che brillava nel paesaggio artico era suggestivo, tuttavia una
distrazione. Con la coda dell’occhio, seguì il mutamento dello scenario: un
tramonto desertico, dune sui cui venivano proiettati riflessi di azzurro e
viola dalle lune in ascesa.
Wiggins fece una faccia imbarazzata e gettò un’occhiata
nervosa al corridoio. Le si portò di fronte e le fece cenno di allungarsi. La
loro era una posizione da cospiratori e lei avrebbe riso della sua paranoia se
non avesse saputo che il frangente era dei più seri. – I Reclutatori
pattugliano giorno e notte i non-luoghi. Infoltiscono i ranghi. Il numero di
minori scomparsi aumenta a vista d’occhio in ogni sistema stellare. –
Non ne fu sorpresa. Ora che Jim aveva assunto il comando
della rete, non c’era da aspettarsi nulla di meno. – Hai visto Jim? –
- Si mantiene nelle retrovie, preferisce aggirare
l’attenzione diretta e mandare in prima linea il suo braccio destro. La
situazione è grave esattamente quanto sembra. Si sta parlando di una riunione
dei Tre. –
Dunque si era arrivati a quel punto. Un incontro del
Triumvirato. Molly si voltò ad osservare con preoccupazione le porte accostate
della cucina e notò che Wiggins la imitava.