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Autore: Ruta    31/05/2016    2 recensioni
Molly conosce Sherlock da quando era una ragazzina e lo ama silenziosamente da allora, con la consapevolezza che non verrà mai ricambiata.
L’ombra di una donna si erge tra loro, bella come un’eclissi e impossibile come i sogni al momento del risveglio.
Quando firma un contratto magico e si impegna a trovare qualcuno per lui, tutto cambia. Molly si troverà costretta a fare i conti con il passato dei suoi amici più cari e con i segreti che custodiscono e con cui convivono. Il segreto più grande di tutti, però, riguarda l’uomo che vive nell’ombra e che da lì osserva il tempo, aspettando che venga rispettata un’antica promessa che lo vincola al silenzio. Ma a quale prezzo?
Genere: Angst, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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i cap

n/a: prima che intraprendiate la lettura è mio obbligo avvertirvi. Non si tratta di una delle mie solite sherlolly. Innanzitutto è una AU, per di più appartenente a un genere particolare, a cui mi affaccio con timore e trepidazione per la prima volta: il realismo magico. I personaggi sono come li conosciamo, con background ragionevolmente differenti (licenza del poeta), ma tali da permettere loro di avere le stesse caratteristiche peculiari e qualità che ci hanno spinti ad ammirarli e amarli. Non vi anticipo nulla, per non rovinarvi il gusto della lettura, tuttavia vi accorgerete che all’inizio la storia scorre a rilento. La mia è stata una scelta consapevole e sofferta. Da lettrice avrei preferito io per prima catapultare il tutto nell’occhio del ciclone, ma una storia raccontata così sarebbe stata solo metà della storia che intendevo raccontare e avevo tanti momenti significativi che prima di quel momento volevo mostrarvi, perciò ho dovuto spostare il tutto ad un paio di anni prima, per poi fare un salto temporale in avanti e trovare l’escamotage di inserire all’inizio di ogni capitolo un flashback (in corsivo saranno sempre ricordi o sogni, tenetelo presente). E’ una scelta azzardata, ma la vita è fatta di rischi e punto tutto sulla speranza che il risultato finale vi piaccia almeno un poco-ino-etto. Non vi trattengo oltre. Buona lettura (spero!). 

Ruta    




CAPITOLO I

IL PRESENTE CHE CI SFUGGE

 

L'uomo che nell'ombra cammina
e che in essa resta,
è l'uomo che più di qualsiasi altro 
ammira orizzonti eterni e immortali.
E sogna di una donna fatta di luce e calore,
che solca i confini del tempo
e attraversa le trincee dello spazio in guerra,
dimentica di tutto ciò che non sia la ricerca (...) destino.
(Fonte Anonima), iscrizione incisa su una Stele ritrovata nel cerchio di monoliti sul pianeta di H.H., risalente al 315 B.F.*

*Before The Fall: la Caduta del Triumvirato per opera del Qohlet

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La strada per il 221B era disseminata di ombre.
L’onnipresente e onirico luccichio dei fuochi fatui era un’assenza insolita, che John riempì prendendo dal taschino della giacca militare l’acciarino. Gli sprazzi di scintille che scaturirono incendiarono le tenebre e là rimasero, guizzi di fuoco che galleggiarono nel vuoto e gli spianarono il cammino.
L’odore di zolfo sarebbe stato intollerabile, ma, dopo tanti anni, John non ci faceva più caso. Lasciò che i suoi pensieri divagassero, rivolti a una Casa nel Bosco, a un letto caldo e all’abbraccio di sua moglie. Solo il Cielo sapeva se l’inopportunità di Sherlock fosse frutto del caso e non una scelta voluta.
Nel silenzio gelido e immoto del Limbo, ogni respiro o gesto diventavano carichi di significato. In un luogo come quello, era facile notare il cambiamento, di fatto sarebbe stato impossibile evitarlo. Quella notte assunse la forma di una figura in grigio. La persona era di spalle, non molto alta, indossava un mantello e avanzava con determinazione e speditezza, come se avesse il diavolo alle calcagna. Quando il cappuccio, nella fretta, le cadde sulle spalle, rivelò un viso pallido e affaticato e lisci capelli castani legati in una coda di cavallo che frustava l’aria. Molly. 
Provò a chiamarla, ma evidentemente lei era già fuori portata d’orecchio perché non diede mostra di averlo sentito.
Sherlock era dove si aspettava di trovarlo, tra le pareti dipinte di acquamarina e i vapori delle fiamme alchemiche, impegnato in uno dei suoi esperimenti per combattere l’ozio, la noia che lui definiva “il veleno della mente”.
- Era Molly che ho incrociato venendo qui? -
Sherlock non si diede pena di salutarlo e l’unica attestazione che si fosse accorto della sua presenza fu il corrugamento della fronte. La sua voce, mentre centellinava col contagocce un liquido color lapislazzulo in una minuscola fiala, era severa e pedantesca. – A meno che le tue capacità visive abbiano subito danni di cui non sono al corrente, posso confermarti che sì, quella che hai intravisto fosse inconfutabilmente Molly Hooper. –
- Molly – ripeté John, prima di riuscire a trattenersi.
Sherlock fece uno dei suoi micromovimenti quasi impossibili da rilevare e batté rapidamente le palpebre. - Non capisco. –
Ovvio che no. – La conosci da dieci anni – gli fece notare John. – Non serve che ti riferisca a lei con il suo nome completo. Oh, lascia stare – aggiunse con rabbia. Avrebbe potuto cercare di fargli capire quanto eccentrico suonasse il modo in cui ostentava il nome completo di Molly, come una specie di formula matematica o di scacciapensieri, ma sarebbe stata un’impresa impossibile.
– Novità? – chiese invece.
- In merito a cosa? –
- A qualunque sia la questione urgente che ti ha spinto a farmi venire qui nel cuore della notte. –
Quello, finalmente, sembrò catturare la sua attenzione.
Sherlock poggiò fiala e contagocce in un angolo del tavolo e si passò una mano sulla faccia stravolta, come se intendesse disperdere i solchi che la sregolatezza nella nutrizione e l’assenza di sonno gli avevano provocato. – Che giorno è? –
Si comportava come se la sua fosse una domanda del tutto lecita e a modo suo lo era, ciononostante John avrebbe voluto tirargli lo stesso un pugno per il poco riguardo che dimostrava nel prendersi cura di se stesso.
- Lunedì. –
Sherlock annuì, probabilmente prendendo nota dello scorrere del tempo e si diresse in bagno per una delle sue interminabili docce.
Aspettandolo, John si preparò del caffè, concedendosi di allungarlo con un goccio di brandy invecchiato.
Quando Sherlock riemerse dalla sua camera da letto, era vestito di tutto punto e assomigliava alla versione migliore di sé. Ricacciò con un gesto stizzito la tazza che John gli stava porgendo e affacciò la testa nella ghiacciaia, alla ricerca di qualcosa di solido da mettere sotto i denti. Imprecò nel trovarvi il nulla cosmico.
John nascose poco e male un sogghigno. Nello stesso momento, qualcuno bussò alla porta d’ingresso e la voce acuta e familiare di Mrs. Hudson li avvertì che era arrivato Wiggins.
La smorfia adirata di Sherlock lo ripagò all’istante della levataccia a cui lo aveva costretto. – Perché nessuno rispetta gli orari programmati? –
- Ha solo sbagliato ingresso. –
- Rischierà di svegliarla – ribatté Sherlock, profondamente seccato.
Svegliare chi?, pensò John. Non riuscì ad impedirselo. Si precipitò in salotto ed eccola lì, in tutto lo splendore dell’incomprensione che generava. Raggomitolata su stessa sul divano Chesterfield, coperta da un cappotto indubitabilmente maschile, dormiva Molly Hooper, epitome del mistero che custodiva.
Ricalcò i suoi passi per tornare in cucina, sconcertato. - Nel tuo salotto c’è Molly – annunciò ottusamente e Sherlock reagì con un grugnito irritato.
- Non è imbarazzante ribadire l’ovvio? –
- Com’è possibile che Molly sia qui? –
Sherlock si strinse nelle spalle con noncuranza. – Hai detto che oggi è lunedì. – Siccome dal suo silenzio era evidente che quella spiegazione non fosse bastata a disperdere la sua confusione, roteò gli occhi e aggiunse a scanso di equivoci: - Quella che sta riposando è Molly Hooper tra due settimane a partire da oggi. –
Non di nuovo. Sentiva premergli contro le tempie un’emicrania incipiente. – Sai che odio quando crei Zone Temporali all’interno dell’appartamento. –
- Non credo che tu abbia ancora potere di veto – disse Sherlock freddamente – dal momento che non abiti più qui. –
Per evitare discussioni, John strinse i pugni e cercò di distrarsi. Lasciò vagare lo sguardo per la cucina, fissando tutto e niente dell’ambiente ingombro. Le mensole con i barattoli e gli essiccatori, l’acquaio stipato di stoviglie e vasellame sporchi, il dominio di alambicchi e ampolle, diverse beute, l’immancabile becco di bunsen, il mortaio e gli altri strumenti di distillazione che costituivano il laboratorio chimico di Sherlock. Il tutto coperto da uno spesso strato di sudicio, un pollice almeno.
Eppure il salotto, a parte lo scompiglio generato da una caterva di oggetti troppo differenti per amalgamarsi, era immacolato. Ogni scaffalatura e ripiano era stato spolverato con cura. I libri erano stati collocati nelle librerie a muro, i cuscini delle poltrone sprimacciati. Sulla mensola sopra il camino, Billy il Teschio esibiva un sorriso scintillante come se qualcuno lo avesse ripulito con del lucido per scarpe. Perfino la scrivania era stata liberata dalle cianfrusaglie e dai gingilli che solitamente la invadevano. Era come se qualcuno avesse gettato un incantesimo del pulito nella stanza. Solo la magia avrebbe potuto operare un miracolo del genere e dal momento che era impossibile agire entro le mura del 221B senza il benestare dell’uomo insoffribile che gli stava davanti, in completo da becchino e nere scarpe a punta in cui avrebbe potuto specchiarsi, era ragionevole ritenere che non solo Sherlock ne fosse al corrente, ma che addirittura ne fosse lui stesso fautore.
A fronte di queste considerazioni, la ragione di quel riassetto non poteva che essere la giovane donna che occupava abusivamente il divano, coperta nientemeno che dal cappotto tanto caro a Sherlock.
Se fosse stato meno arrabbiato, John avrebbe sorriso per l’arguzia delle proprie deduzioni. – Sembra davvero esausta – constatò in tono vago.
Sherlock era chino su un orologio da taschino e ne stava studiando gli ingranaggi interni con una lente di quarzo incastonata nell’argento e dalla squisita cornice di filigrana. – E’ appena tornata da Skranks. –
John s’incupì. - Molly odia quel posto. –
Sherlock si infilò un paio di guanti e da un cassetto alle sue spalle prese una custodia in pelle da cui estrasse un paio di pinzette grandi quanto il mignolo della sua mano. – Qualunque persona dotata di buonsenso ha ottimi motivi per farlo. Se si è medici qualificati, i motivi non possono che raddoppiare. –
Skranks. Era un mondo dalla fama orribile, preda di degrado e in piena rivoluzione industriale. L’inquinamento da fabbrica aveva reso i cieli perennemente grigi e l’aria era malsana e irrespirabile. La scarsa igiene, la povertà dilagante e l’alto tasso di nascite che cresceva di pari passo con le morti premature avevano fatto sì che imperversasse un’epidemia su vasta scala. Il Governo, su disposizione del Ministero della Salute, aveva dato direttive precise, ma era difficile che venissero seguite alla lettera. Il protocollo era qualcosa che la gente dei bassifondi non riusciva a comprendere e che si dovesse rinunciare a seppellire i propri cari in virtù della normativa sanitaria vigente perché quest’ultima prevedeva il prelevamento dei corpi per portarli alle fornaci affinché venissero bruciati, ebbene tutto ciò era per loro inconcepibile nonché un sacrilegio.
Da persona gentile e di animo sensibile quale era, per Molly doveva essere stato penoso assistere ad una desolazione di quel tipo; in qualità di medico, come Sherlock aveva giustamente osservato, la pena naufragava inevitabilmente in senso di colpa per l’impossibilità di prestare l’aiuto e il soccorso previsti dal giuramento fatto.
In virtù di questo, John rivalutò con maggiore apprensione lo stato di prostrazione in cui sembrava versare Molly e il viso di lei che nel Limbo aveva giudicato pallido, stanco e pensieroso, ora gli apparve anche divorato dal dubbio e da un’inquietudine interiore. L’assillo di una coscienza sotto tortura.
- Perché Mycroft l’ha mandata lì? –
Sherlock adoperava le pinze con la maneggevolezza delicata di un orafo. – Non l’ha fatto. Sono stato io. Non avrei potuto mandare nessun altro. Nessuno è più leale di Molly. –
E quello, John lo sapeva bene, era il più alto complimento che potesse rivolgerle e allo stesso tempo la più crudele delle condanne.  

 *** 

Non sa come descriverlo. Si sente lacerata. E’ un dolore fisico che la squarcia dall’interno, vibra dentro di lei con un’intensità e una violenza inconcepibili.

Non sa dove si trovi né perché sia lì. Qualunque sia il motivo, qualunque cosa stia succedendo, le sta spezzando il cuore.
Per chi sta soffrendo in quel modo atroce? Per chi sta piangendo, tanto da darle l’impressione di annegare in un mare di dolore? Chi, a cento passi da lei, allunga un braccio e pronuncia il suo nome con un’angoscia e un desiderio strazianti? Chi è capace di un sentimento tanto intenso e totalizzante? Chi la ama a tal punto?
Con dita tremanti si asciuga le lacrime e il panorama che le si offre è da incubo della mezzanotte. Una cinta di mura alte quanto il cielo e una distesa di terra nera e paludosa.
Aldilà delle mura possenti deve trovarsi una città divorata dall’oblio dell’eternità e della storia, antica quanto ogni città straordinaria delle leggende, che sia stata reale oppure frutto delle ambizioni degli uomini antichi: Atlantide, Babilonia, Camelot, Troia.
In questa città non c’è una porta di accesso monumentale su cui siano stati innalzati a guardiani enormi statue di leoni né una coppia di porte sacre e indistruttibili erette da divinità al momento della creazione della cittadella.
Un’infinità di porte, invece, troppe per contarle, una costellazione di simboli crudeli e privi di significato, scalfiscono la corazza di pietra come ferite violente e smorfie sbilenche.
Sulla soglia di una, in particolare, l’unica aperta e spalancata su una voragine che porta dritto agli Inferi dei maestri poeti e degli aedi e cantori, proprio là si erge la figura di un uomo.
La vista di lui, che dovrebbe essere alto e fiero e invece è piegato da un dolore che sembra insanabile ed è gemello del suo, le fa di nuovo salire le lacrime agli occhi.
Non riesce a vedergli il viso. Nota che è pallido come sabbia di luna, carta di riso e ha i capelli neri e ricci. Vorrebbe vederlo in faccia, scoprire di che colore abbia gli occhi. Saranno di un marrone caldo e rassicurante o verdi e irriverenti? Grigi e insondabili o di un azzurro impareggiabile? Non fa in tempo a scoprirlo.
La porta inizia a chiudersi davanti a lui, lenta, inesorabile. Lo sente urlare qualcosa. Non dimenticarmi.
La sconvolge ed è con una sorpresa ancora maggiore che si ritrova a gridargli di rimando un’unica parola. Mai. Mai.
La sua promessa viene trasportata alle stelle che quella notte non brillano, si unisce all’eco del vento che ora strepita più che mai e le sferza i capelli sulle guance. Viene ripetuta all’infinito, salvezza e dannazione. Mai. Mai. Mai. Non ti dimenticherò mai.

***

Molly si svegliò con l’immediata consapevolezza che sarebbe stato preferibile se non l’avesse fatto. Una voce remota, residuo di un ricordo o di un sogno, la invitava teneramente ad alzarsi. Madre?

Sbatté le palpebre. Ogni articolazione, muscolo e terminazione nervosa del corpo le doleva e aveva la bocca impastata. Più che mai sentiva l’età schiacciarla con il suo peso, sintomo dell’approssimarsi della scadenza del contratto. Si tirò su a fatica, portandosi una mano alla fronte. Odiava pensare al contratto e ancora di più rimuginare sui termini che vi erano scritti, con la sua firma apposta in calce. Che giovane sciocca era stata, infatuata della libertà e soprattutto dell’idea che rappresentava.
Tastò attorno a sé alla ricerca di qualcosa che illuminasse il buio che la circondava. Subito le ombre si dissolsero nella luce di un lume a petrolio e dell’amico che lo aveva acceso per lei. Gli indirizzò un sorriso radioso. – Wiggins! –
Lui la salutò con il solito ghigno volpino. – Ehilà, Molly. –
Ora riusciva ad avere una visuale completa dell’ambiente intorno a lei e annusò la caratteristica scia di bruciato che contraddistingueva il disfacimento dell’incantesimo che doveva aver protetto il suo riposo. Si trovava in un salotto arredato in uno stile vittoriano e bohémien: costosa carta da parati stilizzata, librerie rientranti le pareti, uno scrittoio a ribalta, un tappeto persiano che ricopriva buona parte del pavimento in legno e una quantità esorbitante di quadri a sostituire il soffitto. L’ultima stranezza le costrinse la gola in una bolla timbrata e il torpore scomparve del tutto.
Anche se per un breve periodo, un periodo di grande felicità e di grande sconforto, aveva considerato quell’appartamento casa sua e il fatto che per pochi istanti avesse faticato a riconoscerlo era l’esatta conferma delle sue più infime paure e fragili speranze: in qualche modo, chissà come, era riuscita a dimenticare e voltare pagina.
- Sembri sconvolta – commentò Wiggins.
Molly gli rivolse un altro sorriso, questa volta piccolo e triste, sentendosi fuoriposto e patetica nello struggimento di un sentimento a cui preferiva non trovare nome. – Sono soltanto stanca. –
Lo vide annuire e accettare per buona la sua scusa. – Sembri anche quello, in effetti – convenne flemmaticamente e le porse una delle sigarette che aveva appena trafugato da una delle riserve segrete di Sherlock.
Molly fece un cenno di diniego mentre lui la accendeva e aspirava a fondo.
Anche Wiggins, similmente a lei, doveva essere stato sotto copertura. Il tabarro che aveva gettato sul bracciolo della poltrona che occupava era lucido di pioggia ed aveva un’aria affaticata e un colorito malsano. O meglio, più malsano del solito. D’altronde Bill Wiggins mostrava la stessa pericolosa propensione di Sherlock a dimenticarsi di svolgere azioni basilari come il semplice dormire o mangiare agli orari più consoni, tuttavia, mentre nel caso di Sherlock l’inclinazione era causata da un’apatia quasi ascetica e da una negazione agnostica dei meriti di una sana e robusta costituzione, nel caso di Wiggins era dovuto principalmente a cattive abitudini alimentari acquisite nell’infanzia e non per sua volontà.
Molly cercò una sistemazione più comoda. Aveva la schiena e le spalle indolenzite, naturale risultato dell’essersi addormentata in una posizione scorretta, e avrebbe barattato di buon grado il braccio destro per una tazza di caffè. Nel movimento il cappotto cadde su un lato e lei si affrettò a prenderlo meccanicamente. Oh, pensò con un sussulto interiore. Le dita scivolarono sulla stoffa come aria sull’acqua e le sembrò di poter sentire fisicamente la presenza del proprietario. 
- Qualcosa non va, Molls? – domandò Wiggins e gli occhi infossati seguirono il centro focale della sua attenzione. – Quello non è il cappotto di Shezza? Deve avertelo messo addosso mentre dormivi. Deve essere stato sempre lui a lanciare quella fascinazione per convincere il buio ad avvolgerti fino a quando non ti fossi svegliata. Ora che me lo fai notare – continuò, esaminando il salotto con espressione critica – non vedevo questo posto così pulito da eoni. Avrei dovuto capirlo che c’entrava con te. Non credo che abbia più riordinato da quando tu… – dovette intuire il suo turbamento perché si bloccò e con tatto lasciò cadere l’argomento – be’, tu sai da quando. Un unico consiglio: non avvicinarti al bagno. Dico sul serio – proseguì, atteggiando la bocca in una smorfia di disgusto talmente esagerata da essere ridicola – c’è una macchia di muffa mutante sopra lo scaldabagno. Mi piace chiamarla Phil. –
A quel punto Molly stava ridendo così forte e così di gusto che anche Wiggins la seguì, contagiato dal buonumore che aveva innescato. Quando quell’attacco di ilarità sfumò, lui si ricompose, soltanto lo sguardo e la leggera increspatura delle labbra arricciate lasciavano intuire il suo divertimento.
- Dal momento che nell’ultimo periodo avevo cominciato a darti per dispersa – disse non appena lei smise di ridere – ti comunico che ho in arretrato parecchi messaggi di rimostranze da consegnarti. Davvero numerosi e provenienti da quasi tutti i tuoi amici e conoscenti. –
Fattorino e factotum, pensò Molly con una punta di mestizia. Se si fosse trattato di chiunque altro, si sarebbe sentita affranta e colpevole, ma Wiggins sapeva prenderla dal lato giusto e arricchire ogni parola con una combinazione bilanciata di ironia, sfacciataggine e melodramma, il che rendeva impossibile prenderlo troppo sul serio. Fece un lungo sospiro, tirò indietro le spalle e poggiò le mani in grembo. L’occhiata di lui suggerì che quell’atteggiarsi a martire non lo avesse impressionato.
– Procedi pure – lo invitò.
Lui non se lo fece ripetere una seconda volta e iniziò a snocciolare in rapida successione: - La signora Hudson si professa angustiata e molto, molto addolorata dal tuo prolungato silenzio. Spera che la sua afflizione ti trovi in salute e non troppo smagrita e ti invita ad un appuntamento per il tè, promettendo che ci saranno i pasticcini che ti piacciono tanto. Janine dice che sei una pessima amica e ovunque tu sia si augura che ti venga un crampo a uno stinco o anche a entrambi, ma fortuna vuole che ti voglia bene, perciò nella sua infinità bontà ti perdona per essere un’egoista e promette che quando vi vedrete ti strapazzerà solo quanto basta a renderti sorda da un orecchio. Lestrade ti manda i suoi più cordiali saluti e ti prega di renderti nuovamente rintracciabile in obitorio perché senza di te quel posto gli ricorda terribilmente una camera mortuaria. – A questo punto Wiggins fece una pausa e rifletté su quanto appena detto. – Viene spontaneo chiedersi se il buon ispettore conosca la differenza tra i due ambienti. Probabilmente no, altrimenti saprebbe che non ve n’è alcuna e che quello che intendeva essere un sincero complimento alle tue grazie diventa un apprezzamento di cortesia e nient’altro. Meena ti chiama scellerata e ti promette atroci sofferenze se non andrai quanto prima a ritirare il tuo cucciolo di tigre perché le ha rovinato la tappezzeria già due volte. Sally vorrebbe che ricominciassi a partecipare agli incontri del giovedì sera al pub e ti chiede se medicalmente parlando ci sono fondamenti scientifici sulla cui base si possa ritenere che un ambiente di soli uomini contribuisca a una decrescita del raziocinio; che questo sia il caso o meno, fino a prova contraria e con nulla a confutarla, ti invita caldamente a farle compagnia. Mary –
- Non voglio nessun messaggio di Mary – lo interruppe Molly. Al solo sentirla nominare, ciascun atrio del cuore si era trasformato in un bongo che qualcuno stava percuotendo con colpi di collera sorda e rammarico.
- Mary – proseguì Wiggins, come se nulla fosse.
Molly fece una smorfia e si accorse di tremare, tanto era infuriata. – Sul serio, Wiggins, non forzare la mano. –
- Sette mesi – la freddò lui. – Sono sette mesi che sei scomparsa dalla faccia della terra. Ti sei resa irreperibile e non credere che non ne conosciamo il motivo. Hai dedicato ogni giorno degli ultimi mesi alla ricerca, ti ci sei consacrata anima e corpo, fino al punto di stremarti. Non hai risposto alle telefonate, hai rimandato indietro i famigli e i dispacci. Hai respinto ogni contatto, hai negato alla tua famiglia la possibilità di starti accanto nel momento del bisogno. Sei la persona più forte e risoluta e coraggiosa che conosco, ma arriva un momento in cui a ciascuna di queste qualità va posto un freno. Non puoi sottrarti in eterno all’affetto di chi ti ama. Concedici di riaverti nelle nostre vite. Ho commesso un errore e me ne assumo tutta la colpa. A questo proposito ho solo una cosa da dirti: mi dispiace. –
A testa bassa, Molly si morse il labbro e si vietò di singhiozzare come la bambina che sentiva di essere. Immatura nel suo rancore, ferita nel suo orgoglio di donna, tradita nella fiducia. Tutti questo le era pesato dentro come la peggiore delle maledizioni e probabilmente avrebbe continuato a farlo ancora a lungo, più di quanto le piacesse ammettere.
- Per Mary era importante che tu lo ascoltassi – disse Wiggins, contrito.
- E per me lo è stato ascoltarlo – riconobbe Molly. Non poteva perdonare a Mary il suo silenzio, non ancora, ma poteva accettare la verità delle parole che lei aveva affidato a Wiggins perché gliele recapitasse e accogliere l’affetto che trasudavano, la richiesta di assoluzione che prima o poi, conoscendosi, le avrebbe sicuramente accordato.
Wiggins le concesse una pausa per riprendere il controllo di sé. Molly lo vide alzarsi e sgranchirsi, battere un colpetto cameratesco sulla testa di Billy il Teschio, “Così è questa la fine che mi aspetta. Non posso dirmi sorpreso”, aprire il mappamondo e approfittare della riserva di liquori con la stessa disinvolta libertà che aveva dimostrato servendosi della scorta di tabacco.
Perché no?, pensò tra sé. Perché no, dal momento che Sherlock sembrava troppo impegnato nei suoi affari per presentarsi agli appuntamenti? Anche due settimane prima l’aveva lasciata ad aspettare per ore, finché lei, stufa, non se n’era andata. Questa seconda volta, però, il divano era stato troppo comodo, il silenzio dell’appartamento troppo invitante per non concedersi pochi istanti per riposare gli occhi.
- Vuoi che ti versi qualcosa? – domandò Wiggins. - C’è del vino rosso. Credo che risalga a una delle sommosse nelle Fiandre. -           
- No, ti ringrazio. –
Wiggins si spostò con passo dondolante da una zona all’altra del salotto, agguantando libri, leggendone brani a caso e poi rimettendoli per soddisfazione personale in un punto diverso, solo per il piacere da canaglia di scombinare la catalogazione certosina di Sherlock. – Oh, guarda un po’. “The Hollow Men” – lesse il titolo sulla copertina del libricino nel tono di chi viene colto alla sprovvista. – Cosa ci fa Sherlock con un libro di poesia? –
- Gliel’ho regalato io anni fa. Guarda il frontespizio. Dovrebbe esserci una dedica. –
Molly si avvicinò alla finestra e scostò le tende. Poco dopo sentì che Wiggins chiudeva il libro con uno scatto secco e lo riposava, senza fare commenti. Gliene fu grata.
- Su cosa devi fare rapporto? – Si costrinse a voltare le spalle al bovindo e a richiudere le tende. Il chiarore delle stelle e dell’aurora che brillava nel paesaggio artico era suggestivo, tuttavia una distrazione. Con la coda dell’occhio, seguì il mutamento dello scenario: un tramonto desertico, dune sui cui venivano proiettati riflessi di azzurro e viola dalle lune in ascesa.
Wiggins fece una faccia imbarazzata e gettò un’occhiata nervosa al corridoio. Le si portò di fronte e le fece cenno di allungarsi. La loro era una posizione da cospiratori e lei avrebbe riso della sua paranoia se non avesse saputo che il frangente era dei più seri. – I Reclutatori pattugliano giorno e notte i non-luoghi. Infoltiscono i ranghi. Il numero di minori scomparsi aumenta a vista d’occhio in ogni sistema stellare. –
Non ne fu sorpresa. Ora che Jim aveva assunto il comando della rete, non c’era da aspettarsi nulla di meno. – Hai visto Jim? –
- Si mantiene nelle retrovie, preferisce aggirare l’attenzione diretta e mandare in prima linea il suo braccio destro. La situazione è grave esattamente quanto sembra. Si sta parlando di una riunione dei Tre. –
Dunque si era arrivati a quel punto. Un incontro del Triumvirato. Molly si voltò ad osservare con preoccupazione le porte accostate della cucina e notò che Wiggins la imitava.

  
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