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Autore: Joyce Anastasi    01/06/2016    5 recensioni
Kaede Rukawa è diventato un famoso giocatore di basket in Giappone. A renderlo noto, oltre che il talento, è la sua dichiarata omosessualità nonché la scelta, alquanto strana, di cercarsi il fidanzato in un programma televisivo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Ayako, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Yohei Mito
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction Slam Dunk

UOMINI E… UOMINI
di Joyce


(r // Yahoi)



Ultimo capitolo di una storia scritta tempo fa. Forse la più semplice che mi sia passata tra le mani. E come cominciare se non dalle cose più facili? Spero quanto prima che il coraggio mi venga incontro e che la massa informe che più mi è costata emotivamente veda la pubblicazione. Per il resto, dalle curiosità agli insulti:  joyce.anastasi85@gmail.com.
Grazie a Greco65 per l'affetto costante.
 


Capitolo 7

Il giorno successivo, sebbene Hanamichi mi abbia espressamente chiesto di non trascorrere due giorni con Akira, chiamo la redazione per andare da lui.

Non ho intenzione di trascorrere insieme i due giorni che gli avevo promesso ma perlomeno di parlargli. Merita una mia spiegazione.

Lo aspetto fuori dalla palestra in cui si sta allenando.

Esce poco dopo il mio arrivo, tutto in tiro. Probabilmente deve andare in uno dei locali che frequenta, visto che non sapeva che il nostro appuntamento fosse oggi.

«È già arrivato il giorno fatidico?» comincia a dire quando ancora è lontano.

Io scorgo il suo sorriso a qualche metro di distanza.

«Dipende cosa intendi con “fatidico”» mi trovo a dirgli a malincuore.

«Non dirmi che non vuoi passare il weekend con me!» risponde, intuendo subito le mie intenzioni.

«Forse è meglio andare a parlare da un’altra parte».

Raggiungiamo in silenzio una caffetteria a pochi passi dalla palestra. Vedo Akira piuttosto agitato al mio fianco. Forse ho creduto troppo poco nei suoi sentimenti, forse ci tiene davvero a me.

Ci sediamo e prendiamo due tè.

«Allora? Voglio proprio sentire che hai da dirmi» Akira cerca di tagliare corto.

«Ieri sono stato con Hanamichi» gli rispondo ma lui non intende a pieno cosa io voglia dire con il termine “stare”.

«Sapevo che avresti passato due giorni con lui»

«Sono stato con lui… in tutti i sensi» ammetto in un sussurro. So anche di averlo detto davanti alle telecamere ma ormai era perfettamente intuibile quanto accaduto.

Vedo che Akira strabuzza gli occhi.

«Che cazzo stai dicendo?» urla, alzandosi in piedi e facendo tintinnare le posate e la zuccheriera.

«Calmati!» cerco di placarlo. Siamo pur sempre in un locale pubblico! Mi guardo intorno, sperando che l'attenzione che già calamitiamo non venga definitivamente destata.

Lui si siede e comincia a respirare profondamente.

«Si può sapere cosa ti ha fatto quel tipo? – domanda stremato – Lui non c’entra niente con te! È un violento, un poveraccio, una scimmia senza cervello e tu che fai? Hai pensato bene di andarci a letto?»

«Non parlare così di lui…». Quando lo fa mi ferisce sempre. Se parlasse di me allo stesso modo, credo che mi offenderei di meno!

«Ne parlo così, eccome! Sai bene che è la verità! Cos’è, volevi provare il brivido di convertire un eterosessuale? Volevi farti scopare in modo animale?»

Tocca a me incavolarmi stavolta. Le sue parole sono crudeli e soprattutto false.

Chiedo alla redazione di allontanarsi. Non è il caso che assistano a una conversazione così stupida e di poco rispetto.

Quando sono abbastanza lontani ricomincio a parlare.

«Puoi colpevolizzarmi di quello che ti pare ma non puoi parlarmi in questo modo. Sono stato mosso semplicemente da amore e tu lo sai bene» gli dico parole che non ho nemmeno detto al diretto interessato!

«Kaede, ci hai fatto solo una figura di niente! Sapevo di non essere la tua scelta ma non mi aspettavo di certo questo. Mi hai ridicolizzato, non mi hai dato nemmeno una possibilità e tu ti sei rivelato solo per quello che sei: uno che ci mette poco a entrare nel letto di qualcuno!».

Mi alzo in piedi e gli suono un ceffone.

La cameriera che era venuta a servirci il tè si allontana impaurita.

Anche Hanamichi mi aveva dato della puttana ma non accetto che questa offesa riguardi la mia relazione con lui: la storia più pulita e innocente che io abbia mai avuto.
In passato, lo ammetto, ho fatto sesso senza amore. Posso capire che qualcuno di vedute “ristrette” non possa pensarne bene ma il mio comportamento con Hanamichi è stato integerrimo.

«E tu allora che sei andato a letto con Koshino quando frequentavi me?» e stavolta glielo chiedo con una certezza quasi matematica. Stavolta glielo leggo negli occhi che mi ha mentito.

«Cosa avrei dovuto fare? Non vedevi che lui!»


«Non farti mai più vedere» gli sputo in faccia e vado via. Avrei preferito una conclusione diversa ma quello che rimane della mia relazione con Akira è solo il campanello che suona quando chiudo la porta della caffetteria.

Mi appoggio al muro di recinzione del locale e chiamo Ayako.

Chiamo lei ma in realtà vorrei sentire solo lui e perdermi tra le sue braccia.

L’insulto di Akira mi ha offeso profondamente e mi è servito a capire ancor di più cosa provo per Hanamichi.

Nessuno deve toccare lui o l’amore che gli porto, nessuno!

«Kaede, dimmi!»

«Voglio il suo numero, voglio sceglierlo, voglio stare con lui…» le dico appena sento la sua voce.

«Hai carta e penna?»

Appunto il numero di cellulare di Hanamichi e vedo subito la troupe farsi vicina per chiedermi di Akira.

Io nemmeno rispondo.

«Sto chiamando Hanamichi. Se dice di sì, si va a Kanagawa» do ordini alla redazion, manco fossi Ayako in persona.

Prendo il mio telefonino e lo chiamo. Vedo le mie mani tremare mentre penso che vorrei comporre tante volte questo numero da impararlo a memoria.

«Pronto?» lo sento rispondere in modo serio. Probabilmente non si aspettava una mia chiamata.

«Credo sia arrivato il momento di memorizzare il mio numero» gli dico e sorrido, come non ho mai fatto in vita mia.

«Non lo cancellerò mai più. – è la sua promessa – Vieni da me!».

Non ricordo niente della strada che maciniamo in auto per raggiungerlo, ricordo solo l’abbraccio infinito che ci scambiamo, all’ingresso della sua porta.

«Allora, posso considerarmi il tuo ragazzo?» mi chiede lui, una volta che riusciamo a staccarci.

«Momentaneamente ma potrei ancora cambiare idea!» gli dico, tirandogli i capelli.

Il nostro rapporto non cambierà mai e non voglio che cambi mai!

«Cosa ti ha convinto?» mi chiede d’improvviso serio, a cercare maggiori rassicurazioni.

«La notte e i novantuno giorni più belli della mia vita»

Tu, Hanamichi Sakuragi, l’amore più bello della mia vita.
 
 
 
 
 
Epilogo

Dopo i consueti allenamenti, decido di raggiungere Hanamichi al palazzetto. Sta disputando la sua terza partita di campionato contro la squadra più forte della loro categoria.

Ai due precedenti incontri, ho preferito non partecipare. La mia presenza potrebbe rivelarsi “particolare” a una partita di serie inferiore; soprattutto perché sarebbe immediatamente collegata alla storia che ho con Hanamichi.

Non che mi importi molto, praticamente la nostra prima volta è avvenuta in tv! Non voglio però che il giudizio che hanno di lui, tifosi e compagni, venga condizionato da me.

Quando entro e mi avvicino alla panchina del Kanagawa, sento immediatamente partire l’applauso, ovviamente accompagnato da vari slogan a doppio senso delle ragazze che, pur conoscendo i miei “gusti”, ancora esprimono apprezzamenti, diciamo, coloriti.

Hanamichi si volta verso gli spalti per capire il motivo del frastuono. Non appena sente il tono dei commenti, butta un occhio sulla panchina e mi nota.

Non mi sorride come farebbe in una condizione “normale”, anzi il suo sguardo torna subito sul gioco. Anche perché si aspettava il mio arrivo: gli avevo detto che sarei passato.

È bravo il mio rossino. Ha segnato punti su punti e, sono sicuro: non resterà a lungo in questa serie. Soprattutto se continuerà ad allenarsi con me…

Mi avvicino all’allenatore e gli chiedo come sta andando. Non mi basta il cartellone che mi indica i 20 punti di vantaggio della loro squadra.

Il coach che ormai mi conosce (sono andato spesso a seguire gli allenamenti), mi dice che Hana ha giocato bene ma che negli ultimi minuti è meno reattivo.

Io so di cosa si tratta. L’idiota, avendo buttato anni senza allenarsi, non è più abituato ai ritmi di gioco. Ormai sono al terzo quarto e lui risente della stanchezza.

«Forse è il caso di sostituirlo…» dico ma Hanamichi, manco fosse riuscito a sentirmi, mi rivolge uno sguardo truce e mi fa un segno di diniego con il capo.

È, come al solito, un testone. La partita è vinta, non vale proprio la pena distruggersi!

«Chieda un time out!» dico in modo perentorio all’allenatore. So che non potrei permettermi questo tono, in fondo sono un coetaneo dei giocatori della squadra, però il coach tiene parecchio alla mia opinione. Più volte mi ha chiesto di suggerirgli schemi di gioco.

Una volta ci ha addirittura chiamati a casa!

Parlò prima con Hanamichi con la scusa di riferirgli di un allenamento di cui era già a conoscenza e poi si fece passare me.

Non che la cosa mi dispiaccia eh?! Anzi, sono contento di aiutare la squadra del mio ragazzo.

Ragazzo, già. Le cose tra me e lui vanno benissimo. Praticamente abbiamo cominciato a convivere il giorno dopo la mia scelta.

Da allora non ci siamo più separati.

Non abbiamo mai smesso neanche di litigare ma questi, ehm, sono solo convenevoli.

Hanamichi si avvicina a me non appena il coach chiama il time out.

«Sto bene» mi dice subito.

Lo so che sta bene. Dico solo che è stanco!

«Ormai la partita è vinta…» gli faccio intendere.

«Devo resistere, devo giocare come un tempo!»

Hanamichi vorrebbe recuperare immediatamente la forma che aveva a 16 anni ma è normale che ciò non avvenga con facilità, è assolutamente umano!

«Tornerai come allora ma devi avere pazienza…» gli sussurro, sorridendogli. Sarà testardo come un mulo ma io non posso che essere fiero di lui.

«Tanto lo sai che rientro in campo» mi risponde perentorio e nel dirlo mi sfiora un fianco con la mano, prima di dirigersi dall’allenatore.

Sugli spalti partono dei gridolini isterici per il semplice contatto che c’è stato tra me e lui. Praticamente abbiamo gli occhi dell’intero palazzetto puntati addosso.

La pausa gli fa bene perché, una volta tornato in campo, Hanamichi ricomincia a correre come un forsennato, recupera palle impossibili e segna uno slam dunk, sul finale di partita, da ovazione.

Lo vedo scendere lentamente dall’anello su cui si era aggrappato e io non riesco a trattenermi. Corro da lui, lo abbraccio e in un lampo tutti i suoi compagni ci sono addosso.

Lui è il loro campione, lui è il mio campione.

Hanamichi, completamente dimentico di essere in uno stadio, mi prende il volto tra le mani e mi bacia.

Il palazzetto esplode e sentiamo grida di ogni tipo e fischi e applausi.

Ma a noi non importa.  

Il nostro mondo è nella felicità che riusciamo a scorgere l’uno negli occhi dell’altro, è nella palla che ora stringiamo entrambi tra le mani.
 

Per chi è arrivato fin qui, grazie.

 
   
 
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