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Autore: Carla Marrone    04/06/2016    1 recensioni
Un'avventura umoristica, in cui, il mio OC, una glottologa, finirà nel mondo di Lost Canvas. Il suo scopo? Tradurre delle antiche pergamene, che conducono ad un misterioso, magico tesoro. Il tutto, possibilmente, prima che queste cadano nelle mani degli Specter. Ad aiutarla, i Cavalieri di Atena, che avrà occasione di conoscere.
Come unica avvertenza, il linguaggio, solo in alcuni punti, un po' scurrile. Mi piace illudermi che, talvolta, fosse più che necessario. Quando ci vuole, ci vuole.
Spero vi divertiate a leggere questa breve incursione nella realtà dei Saint Seiya, almeno quanto mi sono divertita io ad inventarla. Fatemi sapere, ci conto!
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4.MANIGOLDO E LA GRANDE ABBUFFATA

Tutto quello che mi riesce di vedere, quando sollevo, per qualche attimo, la testa dal piatto, sono le facce allibite ed oltraggiate dei miei cavallereschi commensali. Addento un cosciotto di pollo. Ebbene sì, mangio più di un uomo. E ho ancora fame. Passo all’agnello. Quanto mi dispiace per questa piccola, graziosa creatura. La gusterò con contrizione, in religioso silenzio. Se parlo, sputo tutto quello con cui mi sono foderata la bocca, tra l’altro. Buone le patate.

Sasha mi saluta con timido gesto della mano ed un sorriso. Lei mangerà assieme alle sue ancelle, in una stanza a parte. Alzo il braccio e lo sventolo nella sua direzione. Osservando la mia mano, noto che cola grasso. Quindi, la porto, da sopra la mia testa, alla bocca. Mi lecco le dita, così faccio una pausa. E’ un tortino di verdure quello? Me lo avvicino, sottraendolo alla portata di un omaccione dai lunghi capelli bianchi. Per cenare, i cavalieri si sono tolti l’armatura. Queste verdure sono cotte e salate a puntino. Ci sarà del pan grattato nella farcitura? Come dicevo, senza l’armatura mi fanno meno impressione e riesco a nutrirmi in assoluto relax. I miei occhi puntano il formaggio. Ha un aspetto delizioso. Vieni dalla mamma. Mi ingozzo con l’ultimo pezzo di crostata salata e allungo la mano verso il vassoio dei formaggi. 

“Avevi proprio fame, eh?- mi dice l’omaccione – ma stai tranquilla, non c’è bisogno che ti affretti, qui ce n’è abbastanza per sfamare un esercito!” E’ il caso di dirlo. Mai rancio fu più appetitoso. L’omone ride di gusto, col suo grosso petto. Mi guarda come se fosse fiero di me. O forse, porge il suo addio al cibo che gli ho sottratto. Infatti, non sono d’accordo che basti per tutti. Per esempio, il formaggio è già quasi finito. Manigoldo, poi, mangia quasi più di me. Dico “quasi”, perché, ogni tanto si impalla a fissarmi con ilarità. Tutti gli altri sembrano semplicemente sconvolti. Chissà se c’è del miele? Sul formaggio fresco sta da dio. Un momento, ho una domanda più importante da porre. Alzo la testa e mi blocco, quasi fossi diventata di pietra. Metto persino giù la forchetta. I cavalieri mi imitano e prendono a guardarmi con rinnovato stupore, chiaramente aspettandosi che io mi decida a pronunciarmi, come suggerito dalla mia postura seriosa. Non vola una mosca…

“Aro, q gnogno a ohi?” 

Strabuzzano gli occhi. Dégel china il capo da un lato.  

Deglutisco e ripeto. “Allen, che giorno è, oggi?” 

“Venerdì ventitré…” Mi dice con un fil di voce, lo sguardo alquanto perplesso. 

Quando mi sono chiusa nella stanzetta a svolgere le traduzioni era martedì venti. 

“Mi passi le mele cotte, per cortesia?” Manigoldo si mette una mano davanti alla bocca, ma lo sento ridere benissimo, comunque. Il bastardo. Cosa ridi, se anche tu hai lo stomaco come un silos? Ci mancava soltanto che si riempisse a badilate. Pensandoci bene, ho visto un imbuto, appeso ad una parete, all’ingresso della mensa. Chissà se le mele cotte ci passano?   

Allen, che era seduto in fondo alla tavolata, diligentemente, si alza, tenendo tra le mani il vassoio che gli ho richiesto e mi si avvicina. Giunto a pochi passi da me, sembra esitare. Mi sento in dovere di incoraggiarlo. 

“Non temere, caro, non mangerò anche te.” 

Il cavaliere del Cancro esplode in un’altra risata bomba, mentre Allen, deposita il piatto delle mele cotte, sul tavolo, davanti a me, con la faccia paonazza. Si vergogna per me? Almeno, qualcuno che si vergogna c’è. Sono passati tre giorni, dall’ultima volta che ho mangiato. Devo recuperare. Non c’è nulla di cui essere imbarazzati. 

“Allora andiamo, Asmita?” Il cavaliere dai capelli marroni richiama l’attenzione di un ragazzo biondo che si alza e lo segue in fondo alla stanza. Prima di allontanarsi butta uno sguardo nella mia direzione, sorridendo bonario. Sembrerebbe un tipo placido. Se non altro, durante questa parca mensa, ho scoperto che i cavalieri di Atena sanno parlare. 

Il Patriarca ha ordinato a Dohko e Asmita di svolgere la missione volta al ritrovamento dello scrigno. Li osservo caricarsi sulle spalle dei giganteschi cubi di pietra. Credo contengano le loro armature, o, per meglio dire, lo spero. Stai a vedere che i soldati si tengono in esercizio, portando sulle spalle degli zaini di marmo. Per tanto, se non si tratta di puro sport, ipotizzo che dentro i suddetti “zaini” ci sia qualcosa che gli serve. Certo, vuoti erano troppo leggeri… Io avrei bisogno di mettere in bocca qualcosa, ad ogni passo che faccio, se dovessi portarmi addosso uno di quei cosi. Per recuperare dalla fatica, s’intende. Non lo faccio per golosità. Buone queste mele cotte. Lo zucchero di canna, che gli si è sciolto sopra, sembra caramello. Temo mi vedrò costretta a leccarmi di nuovo le dita. Non c’è un dolce? Capisco che le mele lo siano, già di loro, ma non è la stessa cosa. La frutta è frutta. Il dolce è dolce. Il fatto è che mi sento mancare le forze solo a vedere Dohko e Asmita confabulare intorno ai miei appunti, mentre si allontanano nel corridoio. Metto insieme le ultime energie rimastemi e faccio mente locale. Quello dai capelli biondi è Asmita, quindi, il moro, di conseguenza, è Dohko. Sembra che gli stia leggendo quello che ho scritto. Come mai? Sarà ben capace di farlo da solo, no? Forse, non sa leggere. E se fosse cieco? Certo, come no! Combatte e segue passo, passo il suo compagno nel corridoio senza sbattergli addosso. La versione "antica Grecia" di Daredevil. A volte, penso cose davvero strane.

Comunque, l’eco delle frasi che ho composto, che mi giunge dal corridoio, mi rievoca un gran senso di stanchezza. Come ho fatto a non crollare, rimanendo sempre sveglia per tre giorni di seguito? Spero solo di aver scritto qualcosa di sensato. Cribbio, spero almeno di non aver trasposto dei puri deliri. Un piccolo riposino non mi farebbe male. Però, non posso mettermi a dormire adesso, dopo tutto quello che, ammettiamolo, ho mangiato. Quanto bastava per riprendermi, tuttavia. Ammettiamo anche questo. Non si dovrebbe mai essere troppo duri con sé stessi. 

Credo che farò quattro passi qui intorno, prima di chiedere dov’è la mia stanza. E, finalmente, mi concederò il meritato riposo. Mi voglio svegliare lunedì ventisei. Ecco, adesso voi penserete che non penso ad altro che i meri piaceri terreni. Nella fatti specie, penserete che, se non mangio, dormo e viceversa. Un po’ come Garfield. Ma che c’è di male, dico io. Il gatto Garfield è un puro, nonostante sia pigro e mangione. Si gode semplicemente la vita, come me. Una pura. Mi avete forse sentito nominare l’argomento sesso, nonostante gli ammassi di muscoli di cui sono circondata in questo momento? Ok, adesso l’ho fatto… Forse è meglio che mi concentri sulla mia passeggiata della salute. Mi alzo in piedi, mentre mi strofino le mani con il tovagliolo. 

“Ma come, ti dai già per vinta, Miranda? Mi aspettavo molto di più da te.” Nonostante il signore mastodontico mi stia sfottendo, non posso fare a meno di trovarlo simpatico. 

“Anche se è gigantesco, anche lo stomaco di Pantagruel ha una sua fine. – Ride. Gli strizzo l’occhio – Lei è il signor?” 

“Aldebaran del Toro, mia cara signorina.” Raddrizza la schiena e incrocia le braccia davanti a sé. Gli porgo la mano che prende subito. Meno male, qualcuno che non avvampa quando ti presenti. 

“Mi deve scusare per la mano un po’ unta. – Dico imbarazzata. Forse non avrei dovuto stringergli la mano. Oramai, però, è tardi. – Ma la cena era così deliziosa che le posate, in certi momenti, mi sono sembrate superflue.” Rido come una cretina. Ecco, sono stanca e cazzeggio.

“Me ne sono accorto, signorina Miranda. Sembra proprio che tu abbia gustato fino all’ultimo boccone.” Fa di nuovo quella risata di petto che mi manda in visibilio. 

“E sempre con rinnovato ardore! - Aggiungo euforica. – Comunque, non mi preoccuperei più di tanto per l’unto.  – Mi passo le mani aperte più volte intorno al corpo, senza appoggiarle. - Posso sempre fare a meno di mettere la crema idratante stasera.” Stavolta, ridono anche gli altri. Non tutti, però. Alcuni mi squadrano, indecisi sul da farsi. Ci sono poi quelli che mi sorridono come se mi compatissero, i miei preferiti. Manigoldo ed Aldebaran sono gli unici due a cui vedo un’ espressione completamente rilassata. Sbaglio, o al cavaliere del Cancro brillano persino gli occhi?

Il Toro prende il suo bicchiere e lo alza. “Proporrei un brindisi ad un’altra vittoria contro gli Specter! – si volta a guardarmi e gli angoli della sua bocca si alzano vistosamente verso l’alto – Grazie alla nostra esperta di lingue, Miranda.” Wow, qui si beve. Riprendo posto sulla sedia. Mentre penso che si dice “glottologa” e non, “esperta di lingue”, mi approprio, distrattamente, della bottiglia di vino rosso ed inizio a versarmene un po’. 

“I bambini della tua età non dovrebbero bere alcolici.” Mi rimprovera il mio amico del Toro.

Finalmente, posso dirlo:- Io ho venticinque anni.- Mi guardo intorno. E’ crollato il silenzio per qualche attimo e alcune persone mi fissano sbigottite. Manigoldo, più di tutti. Ed, infatti, è il primo a prendere parola. “Sei più vecchia di me di due anni – vecchia… che brutto aggettivo. – Avrei giurato fossi della stessa età del moccioso qui presente – volge rapido il capo, un paio di volte, nella direzione di Regulus, che lo squadra, contrito.” 

“Io non sono un moccioso. – Il ragazzino mi guarda negli occhi. Cosa vuole? Sto dicendo la verità! – Comunque, è vero. Sembri molto più giovane.” 

Ogni volta la stessa storia. E questa, pare una di quelle volte in cui non so cosa dire. Mi sento in imbarazzo quando tutti mi fissano, come se mi esaminassero. E’ peggio che andare dal dottore. “Signora, sua figlia non ha fatto un patto col demonio, è semplicemente una nana.” Mi sembra di sentirgli dire, tutte le volte che ipotizzo una mia visita dal medico, da bambina, insieme a mia madre. Ma, mi riprendo subito e porto l’argomento esattamente dove voglio.   

“Tanto meglio. Vuol dire che posso brindare con voi!” Sollevo il mio calice, sorrido pimpante e me lo porto alla bocca, senza esitazione. Gli altri mi imitano. 

Beviamo tutti uno o due bicchieri, poi, la sala da pranzo inizia a svuotarsi. E’ il momento perfetto per uscire a passeggio.    

L’aria frizzante della sera mi frusta le guance, calde come uova sode, raffreddandole. Ora che ci  penso, non credo di aver assaggiato la frittata. 

Non so esattamente dove sto andando. Non conosco per niente questo posto. Al momento, credo di trovarmi, più o meno, nei pressi della quinta casa. O, almeno, c’è un cinque, in numero romano, scritto sopra. Un momento. E’, per caso, un tamburo quello che sento? Dal suono, si direbbe simile ad una tabla egiziana. Questa non posso perdermela. L’ultima volta che ho ballato è stato tre giorni fa, in un contesto totalmente diverso. Ero alla taverna di Zorba con Ivan, il mio fulgido, riccioluto suonatore di Taksim russo. E c’era anche Paul, l’altro mio musicista, inglese, nel suo caso. Lui mi fa le percussioni. Sento la necessità di svagarmi un po’, quindi, mi tolgo i vestiti ed inizio a ballare. Per chi se lo stesse chiedendo, non sono così ubriaca. Sotto la montagna di tessuto, dal quale sono coperta, ci sono i miei costumi di scena. Quando Allen è venuto a prendermi non mi ha neanche dato il tempo di cambiarmi. Ed avevo appena finito di esibirmi. 

Indosso un reggiseno nero molto coprente, decorato con borchie e monete ed un pantaloncino dello stesso colore. Tiro fuori dalla tasca la mia cintura rossa, dalle tintinnanti decorazioni dorate e la allaccio intorno ai fianchi. Improvviso una pista da ballo nel cortile in cui mi trovo. 

Non sono più Miranda, la glottologa. Ora sono Sherazade. 

Un passo egiziano frontale, uno laterale. Mi porto le mani prima sulla testa, sciogliendomi i capelli, poi, in vita. Uso le braccia come fossero una cornice nella quale racchiudere la mia figura. Sbatto i capelli a destra e sinistra mentre eseguo un Khaliji, seguito, subito dopo da uno shimmy. Faccio suonare le monetine a tempo col tamburo. Un cerchio ampio coi fianchi, le mie mani si incrociano sotto l’ombelico, un’onda con la pancia e… Ma c’è qualcuno sopra il tetto della quinta casa? 

Mi congelo. Ad occhio e croce, direi che quello è Manigoldo, il simpaticone. Non mi sono mai sentita tanto in imbarazzo in vita mia. Va bene, d’abitudine io mi esibisco, ma, stavolta, non era voluto. E’ diverso. Credevo di stare da sola con me stessa.

Il ragazzo mi squadra con un sorriso che va da un orecchio all’altro. E mi fa pure l’applauso mentre raccolgo in fretta i miei vestiti e scappo. Non lo so nemmeno io perché ho tutta questa fretta di svanire nel nulla. Non è da me. Normalmente, farei un inchino, per poi continuare a ballare, con rinnovato vigore. Il fatto è che adesso non so cosa fare. Il frangente è talmente diverso dal solito… 

Giunta al sicuro, nei pressi della mensa, mi rivesto il più velocemente possibile, nascosta dietro una colonna, vicino alla porta d’ingresso, sul retro. Se qualcuno mi vedesse in pantaloncini e reggiseno, rischierei di dare ulteriore scandalo. Finisco di avvolgermi la sciarpa intorno al collo. Adesso sono presentabile. Non appena entro, scorgo Allen in procinto di andar via. Ha tra le mani una pila di documenti e si sta muovendo in direzione opposta alla mia. Perfetto, era proprio lui che cercavo. Lo raggiungo di corsa. 

“Miranda. Dov’eri finita?” Mi chiede.

“Sono stata a fare quattro passi. Mi mostreresti la mia stanza, per cortesia? Ho proprio bisogno di una bella dormita.”

“Certo. Seguimi.” 

“Hai bisogno di aiuto a trasportare quelle carte?” Propongo con cortesia. 

“Tranquilla. Sono leggere.” 

Raggiungiamo il mio alloggio. Prima di congedarsi, Allen mi chiede se va tutto bene. “Sei silenziosa.” Aggiunge.

“Sono solo un po’ stanca.” Lo rassicuro. Di certo, non mi metto a raccontargli della mia figuraccia con Manigoldo. 

“E’ accettabile. Hai lavorato per tre giorni senza sosta. – mi sorride. – Vedrai che, quando ti sveglierai domani, ti sentirai nuova.” 

“Lo spero proprio. – Mi stropiccio il viso con le mani. – Grazie per avermi mostrato la camera. Buona notte Allen.” Gli appoggio delicatamente una mano sulla spalla. Non ho più energie. 

“Buona notte, Miranda.” 

Entro. Ci sono solo un piccolo letto, una finestra ed un baule. Sembra la cella di un monastero. Ma come faranno i cavalieri ad entrare in un giaciglio che sembra troppo piccolo anche a me? Sarà che, a casa mia, nel mio mondo, dormivo in un letto a due piazze. Del baule, va, però, detto, non saprei proprio che farmene. Nonostante l’arredamento minimale, qualcosa di superfluo c’è. 

Qui con me, non ho nulla.

A casa avevo tutto quello che si può desiderare. Familiari, amici, comodità, che, la gente di questo mondo non riesce neppure a sognare. Almeno, prima, avevo Ivan e Paul. Adesso sono completamente sola. Devo assolutamente trovare il modo di tornare a casa. Se fossi Lessie, forse, mi riuscirebbe più semplice. Magari, ci penserò domani. Adesso voglio solo dormire. 

Mi stendo sul letto e mi addormento quasi all’istante. Il sorriso a duecentoquaranta denti di Manigoldo, l’ultimo flash di queste tre lunghe giornate a baluginarmi nella memoria.

   
 
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