Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Psyker_    06/06/2016    0 recensioni
Grazie al paradossale sacrificio del Demone, il Saar è riuscito a riemergere dopo gli anni di guerra. Una cacciatrice e i suoi preziosi compagni non hanno però dimenticato il debito nei confronti di quella entità "oscura" che li aveva salvati, e riunendo il gruppo si preparano a varcare il limite del Saar, in quei tempi di cambiamenti in cui ognuno di loro ha imparato a vivere la propria storia. Tra magia e stregoneria si pongono intanto i Cacciatori della Notte, vincolati alla loro imprescindibile Promessa.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il mondo di Saar'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'arena

La folla si stava accalcando intorno alla gabbia al centro dell’arena, e quando alcuni uomini in armatura argentata si avvicinarono per farla disperdere e allontanare, un brusio di dissenso provenne dagli spalti in agitazione. Cori e grida, fischi misti ad applausi: la gente che si trovava a osservare l’uomo all’interno della grata non sembrava aver esattamente preso posizione, a lei bastava azione, movimento, sangue, non importava il vincitore in quella circostanza. Con il passare dei secondi, la tensione divenne quasi insostenibile e il desiderio dei presenti di assistere alla gara superò la pazienza dei più tranquilli. D’un tratto giunse un uomo dai corti capelli scuri con sulla testa una corona dorata, che sfoggiando la sua lunga tunica bianca decorata con spille in puro oro, alzò un braccio per salutare il pubblico numeroso. Un’esaltazione generale rispose al gesto del Re del regno e finalmente, due cavalieri si diressero verso il grosso lucchetto della gabbia e liberarono colui che vi era all’interno. Un improvviso silenzio avvolse l’arena: il pubblico tratteneva il fiato, il Re attendeva in piedi e sorridente e il vento soffiava soltanto per spostare la sabbia sul terreno e ricreare un gioco di taciti ululati in quegli attimi glaciali. Il sole batteva forte sulla schiena nuda dell’uomo che a piccoli passi provò a uscire dalla gabbia con un braccio a protezione degli occhi. Lì dentro aveva vissuto diverse ore completamente nell’oscurità a causa degli spessi teli che coprivano le grate, dunque il calore di quei raggi gli si avventò sulla pelle come un parassita,  entrando in contrasto con l’aria tetra e i brividi che lo assalirono. Era chiaramente ferito, gli ematomi sui fianchi erano ancora visibili e le cicatrici di decine di frustate descrivevano tutta la perversione di chi se la rideva all’interno del sopraelevato palco regale. Dei suoi capelli una volta biondissimi non rimaneva che una ribelle chioma sporca e macchiata di rosso, in tutta probabilità parte di quel sangue ormai asciutto che gli aveva completamente ricoperto il corpo durante le frustate. Eppure si trovava lì, in piedi e con il volto finalmente libero di osservare la folla in tumulto per lo spettacolo di cui da lì a poco avrebbe goduto. Golden strinse i denti e i pugni, chiudendo in seguito gli occhi per dimenticare almeno per qualche secondo il supplizio che aveva passato, e concentrarsi sulle abilità che fino a quel momento gli avevano consentito di sopravvivere a scapito di chiunque avesse affrontato la sua arma. Non sapeva nemmeno perché continuava a sperare di vedere la luce alla fine di quel tormento, perché non la facesse semplicemente finita per non dover più ascoltare le urla eccitate di quegli uomini che non meritavano altro che la morte. La speranza era sparita da tempo e con lei anche la motivazione stessa per continuare a sopravvivere . A ogni modo, voltò il capo e puntò lo sguardo verso il Re e i tre uomini che sedevano di fianco a lui nella postazione regale sugli spalti. Non disse nulla in modo esplicito, forse perché il dolore alla mandibola, tra gli altri, non glielo permetteva, ma quel lungo discorso non espresso dai suoi occhi dorati, avrebbe incrinato anche l’animo più ferreo. Camminò verso un lato dell’arena e una delle guardie gli lanciò una spada smussata e un piccolo scudo di legno dall’aria terribilmente fragile. Il ragazzo afferrò l’arma ma colpì proprio lo scudo con un fendente talmente forte e netto che ne decretò la fine in mille piccoli pezzi. La folla apprezzò e cominciò a rumoreggiare più di quanto non stesse già facendo, e nell’aria poté percepirsi la voglia e la tensione che l’intero popolo  stava generando, pronto a deliziarsi del sangue dei suoi campioni. Le grosse porte di ferro ai due estremi dell’arena si aprirono, rivelando due guerrieri per parte, armati di mazza e scudo di ferro. Golden roteò la spada pronto a dar battaglia ma prima che potesse abbattere sugli avversari la sua rabbia, il Re alzò un braccio e prese la parola, ottenendo nuovamente quel silenzio minacciato soltanto dall’inquietante soffiare del vento:
«Tredicesimo giorno di giudizio. Il colpevole affronterà fino alla morte i suoi stessi peccati per sconfiggerli e purificarsi. Quest’oggi però, la mano omicida non impugnerà armi e resterà soltanto a guardare la gemella battersi per lei e per la sua salvezza. Straniero senza nome, combatterai usando la tua mano destra!» sancì il Re generando il tumulto tra i presenti.
Golden sgranò gli occhi inizialmente confuso e sorpreso: a causa della sua natura mancina, in quegli scontri, aveva sempre usato la mano sinistra per combattere e a chi era stato incaricato di studiare ogni possibile situazione che potesse metterlo in difficoltà, non era certo sfuggito un simile dettaglio. Il giovane abbassò il capo osservando il terriccio, perso in quello sguardo vuoto e senza più il minino desiderio di sopravvivere, almeno in apparenza. D’altronde era ancora lì, pronto a combattere nonostante tutto. Spostò la spada nell’altra mano e facendola roteare un paio di volte, si lanciò contro la prima coppia di avversari colpendo i loro scudi. Uno di loro indietreggiò impaurito dall’aggressività del giovane, mentre l’altro effettuò un abile movimento verso destra indirizzando la sua mazza chiodata proprio sull’unico braccio concesso a Golden. Quest’ultimo intuì però con un sorriso quell’ovvia e debole offensiva, muovendo quindi abilmente la spada per parare il colpo e trafiggere il petto dell’uomo sfruttando all’istante la minima apertura che si era creata nelle sue difese. L’altro titubò un istante e prima che potesse prendere una decisione sulla prossima mossa, si ritrovò la spada in mezzo agli occhi. Gli altri due si guardarono scambiandosi un’intesa, e correndo su entrambi i lati del giovane, sperarono di precludergli ogni possibilità di difesa, sfruttando il suo essere al momento disarmato. Golden effettuò però una capriola all’indietro portandosi proprio di fianco al cadavere con sulla testa infilzata la spada smussata e quando giunsero gli avversari, aveva già recuperato l’arma, percorso altri due metri verso di loro, parato il primo fendente e infilzato lo stomaco di quello più robusto. Erano rimasti uno contro uno e lo spadaccino dai capelli biondi si fermò a contemplare chi era stato gettato come lui nel macabro gioco perverso del Re e del suo popolo: era un semplice soldato con un’armatura troppo pesante per anche solo sperare di competere alla pari contro chi poteva quantomeno godere della libertà di movimento. Il vento batteva forte nell’arena e accompagnando la danza di chi volteggiava tra i suoi soffi, sembrava aver già deciso anche per quel giorno, il vincitore della tenzone. Il giovane mosse la mazza chiodata per intimorire l’avversario ma Golden gli girava intorno godendosi il fiato corto del pubblico che attendeva l’affondo finale, che continuava a essere rimandato. L’avversario tremava, senza più speranze, e dal suo sguardo pietrificato si intuiva la flebile volontà di morire senza altre attese per non dover più sopportare la terribile angoscia che lo stava logorando. Golden volteggiò l’arma attaccandolo e riuscì facilmente a disarmarlo e atterrarlo, puntandogli infine l’arma alla gola.
«In un’altra vita, mi ringrazierai» disse lo spadaccino a voce bassa prima di affondare la spada nel cuore del giovane e allontanarsi a pugni stretti verso la postazione regale.
Il Re si alzò applaudendo, sinceramente colpito dalla bravura in combattimento dello spadaccino dai capelli biondi e prese la parola versandosi altro vino sul suo grosso calice:
«È davvero impressionante, impressionante! Tanto che sono dispiaciuto dell’ormai prossima fine del tuo percorso di purificazione. Hai conquistato il mio cuore e quello dei tanti qui presenti… ma la legge è legge» - si fermò solo un attimo per bere - «oggi però non hai ancora terminato la tua tappa, Straniero senza nome. Affronterai un altro dei nostri valorosi arbitri… nelle fiamme».
Il centro dell’arena fu invaso da una grossa e alta fiammata che costrinse tutti i più vicini a coprirsi il volto, compreso Golden che serrò la mascella in preda a una rabbia che dovette necessariamente sopprimere. Una delle porte di ferro si aprì nuovamente ma stavolta ne uscirono due strane creature dal manto dorato simili a uccelli, la cui natura ricordava chiaramente quella degli Ebrion a causa delle gemme argentate sul capo. Trainavano una grossa gabbia su ruote di legno e quando si fermarono a qualche metro dal fuoco, nell’esatta posizione opposta rispetto a Golden, attesero che alcune guardie giungessero per aprire anche quel lucchetto. Lo spadaccino sgranò gli occhi alla vista di quegli animali e non riuscì a non pensare a quanto fossero simili ai grandi sacri rapaci dai poteri divini che aveva imparato a conoscere e combattere. Sapeva che non sarebbero stati quelli però i suoi avversari e che probabilmente non possedevano neppure una traccia del potenziale dei loro simili se accettavano di essere trattati come strumento da traino. Dunque spostò la sua attenzione verso la gabbia, cercando di scorgere attraverso le lingue di fuoco, colui che avrebbe versato altro sangue sulla sua spada. Il pubblico rumoreggiava festoso, probabilmente non consapevole dell’identità del nuovo “campione” ma poco gli importava, la speranza di uno spettacolo senza precedenti era viva e quella fiamma che bruciava al centro dell’arena sembrava fosse alimentata proprio dalla voglia di quella gente di vedere altro sangue e altre battaglie. La porta della gabbia si aprì e dal telo scuro che ne teneva celato l’interno, uscì un uomo che Golden riconobbe immediatamente, nonostante il fuoco lo tenesse ancora distante. I suoi capelli argentati, gli occhi grigi e quel suo modo fiero di presentarsi alla luce forte del sole, non potevano che rivelare il nome che volava attraverso il vento tra le labbra dello spadaccino dai capelli biondi:
«No, non può essere… Javia».
Il Re era sorridente e fiero, sicuro che tutti i presenti avrebbero apprezzato lo spettacolo che aveva scelto per quel giorno.
«Lo Spettro grigio contro lo Straniero senza nome. Entrambi peccatori alla ricerca della purificazione della propria anima. Quale modo migliore del liberare il proprio nemico dal male, sacrificando se stessi all’atto impuro, per ricevere la purificazione? Il sopravvissuto avrà l’onore di affrontare l’ultima sfida, davanti i propri sbagli, il proprio dolore. E allora, peccatori, date battaglia con il vostro oscuro trascorso!». Il Re terminò quel discorso godendo dell’applauso dei presenti e degli sguardi confusi e sconcertati dei due nell’arena, divisi dall’alta fiammata. Golden non riusciva a darsi una spiegazione, così come Javia non sembrava avesse la forza di dire nemmeno una parola. Entrambi si limitarono ad osservarsi camminando attorno al fuoco, che con il passare dei secondi diventava sempre più alto e pericoloso. Il pubblico rumoreggiava mentre i due continuavano a tardare l’inizio del combattimento. Iniziarono ad arrivare anche i primi fischi e lo stesso Re cercò di capire perché ci stessero mettendo tanto. Non poteva sapere la vera identità dei due che si erano ritrovati faccia a faccia, non poteva sapere che proprio Javia, uno dei cinque cacciatori della notti, fosse il padre dell’altro prigioniero. Golden aveva sognato spesso il giorno in cui avrebbe potuto affondare la propria spada nel petto di quell’uomo spregevole, che avrebbe venduto ogni avere per mettere le mani sul potere che Carian aveva cominciato a sviluppare fin da quando era ancora una fanciulla. Ma non riusciva a muoversi, bloccato da dubbi e domande troppo importanti per rimanere irrisolti. Doveva parlare con Javia, in un modo o nell’altro, ed era convinto che anche lui stava pensando la stessa cosa, poteva leggerlo nel suo sguardo grigio, cupo, spento come non lo era mai stato. La folla beccò nuovamente i contendenti con fischi di disapprovazione, quella fase di studio era durata fin troppo e Golden percepì il pericolo di mettersi contro anche il popolo che si era più volte schierato dalla sua parte, dunque roteò la spada e fece cenno all’avversario di venire avanti, attraverso le fiamme. A quel punto Javia si fermò, alzò il braccio verso due cavalieri ai lati dell’arena e si fece lanciare un’arma, quella con cui avrebbe combattuto il proprio figlio: un bastone con all’estremità una lunga e affilata lama, che roteò più volte prima di infilzare al suolo e inchinarsi verso Golden. Il pubblico apprezzò, lo spadaccino dai capelli biondi pensò che potesse essere uno dei suoi metodi per accalappiarsi i favori di quella “giuria” che dall’alto della sua postazione, non faceva altro che tifare e giudicare.
«Fatti sotto, Straniero» disse sorridendo Javia, riafferrando il bastone e spostandosi attorno al fuoco per avvicinarsi quanto più possibile all’avversario. Golden non seppe dire se fu un’abilità magica delle sue o semplicemente una fisicità tale che gli permise di muoversi a quella velocità, ma di fatto si ritrovò lo sfidante a un palmo dal naso prima che potesse battere due volte gli occhi. Alzò la spada smussata parando un paio di colpi ben assestati ma il terzo riuscì a deviarlo, lasciando il fianco di Javia scoperto. Non affondò, non voleva ucciderlo prima di avergli parlato, per quanto per uscire da lì avrebbe necessariamente dovuto farlo.
«Tu sai dove diamine siamo?» si limitò a dire il ragazzo a bassa voce.
«E tu?» rispose lo stregone, mentre con una capriola tornava in una posizione di vantaggio alle spalle di Golden. Quindi roteò l’arma e con la lama provò a colpire la sua gamba sinistra. Lo spadaccino frappose fra sé e il colpo nuovamente la spada, e parò anche quel fendente, indietreggiando incolume. Rimasero in quella posizione un paio di secondi, poi Golden scattò provando un affondo ma Javia saltò di lato agilmente schivando, e riuscì anche a colpire al braccio il figlio con un veloce movimento del bastone dalla parte della lama. Il giovane si portò una mano sul taglio e sentì il calore del sangue bagnargli le dita. Sorrise, quasi contento di quella svolta imprevista e improvvisa.
«Vuoi davvero combattermi in duello?» chiese Golden, come volesse sottolineare il fatto che senza strane magie e stregonerie, quello scontro era già deciso.
Javia rispose con un singolo sorriso e balzando nuovamente verso l’avversario, effettuò due giravolte con il bastone, costringendo Golden a chinarsi celere prima, e saltare all’indietro dopo, mentre la lama gli passava esattamente sotto la testa. Stavolta non avrebbe però aspettato un’altra offensiva e scattò spada alla mano: provò un affondo prontamente schivato ma quando Javia si portò verso destra, Golden si chinò su se stesso allungando la gamba per colpire con forza la caviglia d’appoggio dell’avversario, che finì rovinosamente al suolo.
«Lento» disse Golden mentre saltava e con la punta della spada trafiggeva la sabbia dell’arena: Javia era riuscito a rotolare schivando all’ultimo istante. Il giovane dai capelli biondi continuò però a essere aggressivo, sfilando la lama ed effettuando un’altra serie di fendenti, che stavolta ruppero in due il bastone e ferirono all’addome lo sfidante. Javia cadde in ginocchio nel sangue, mentre la follia era nel delirio più assoluto.
«Bene… s-sei ancora abbastanza forte per questo» bisbigliò lo stregone mentre cercava di mantenere lucidità. Golden si avvicinò credendo di non aver sentito bene, ma quando protese verso lo sfidante il volto, il pezzo di bastone rimasto tra le mani di quest’ultimo colpì con un botta terribile lo stomaco del ragazzo che si piegò in due tossendo sangue.
«Maledett…» riuscì a dire Golden, poi vide Javia avvicinarsi zoppicante verso di lui: era circondato da una lievissima energia violetta, quella che caratterizzava la stregoneria, e in quel modo partì all’ennesimo assalto colpendo con un singolo e violento pugno il volto dello spadaccino che non riuscì a difendersi a causa di una strana forza spirituale. Golden imprecò nel sangue ma quei secondi di paralisi e paura terminarono in breve, e quando riuscì a rialzarsi e ad afferrare la propria spada caduta lì vicino, balzò furioso sull’avversario e infilzò con tutta la rabbia repressa l’uomo di cui condivideva il sangue e nient’altro. Riuscì a vedere il suo volto spegnersi lentamente e un sorriso formarsi nelle sue labbra.
Lacrime calde inondarono gli occhi dorati di Golden e una gli rigò il volto inespressivo. Poi si rialzò stringendo i pugni, ignorando le urla soddisfatte dei presenti e lo sconforto che lo colse. Lo aveva ucciso, voleva farlo da troppo tempo, eppure erano rimaste in sospeso troppe domande.
Intanto il Re si alzò e con tono solenne richiamò all’attenzione il pubblico impazzito di gioia:
«La giustizia ha parlato: lo Straniero senza nome affronterà domani l’ultima tappa della sua purificazione!».

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Psyker_