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Autore: bradbury    07/06/2016    5 recensioni
Castiel ha fatto una promessa. [coda fic sulla 11x23; spoilers se non avete ancora visto l'episodio]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sarà tutto molto brutto e depressivo. Perdonatemi.



 




Castiel aveva fatto una promessa, l’ennesima, forse la prima che sarebbe riuscito a mantenere. Continuava a ripensare all’immagine vivida degli occhi imploranti di Dean mentre gli chiedeva di prendersi cura di suo fratello. Sul momento l’aveva trovata una richiesta assurda perché, sinceramente, che altro gli restava da fare se non rimanere al fianco di Sam? Ma Dean aveva bisogno di sentirselo dire e Castiel avrebbe fatto tutto ciò in suo potere pur di donargli un po’ di sollievo mentre affrontava la sua condanna a morte a testa alta. E così gli aveva fatto una promessa.
Lui e Sam rientrarono al bunker, il viaggio di ritorno era stato infinitamente tetro, nessuno dei due aveva trovato la forza di parlare. Per Castiel anche respirare gli era costata una grande fatica. L’aria nell’abitacolo era opprimente e aveva deciso che quella sarebbe stata la sua ultima corsa sull’Impala, ormai non aveva più senso farlo se non era Dean a guidarla, non provava piacere a starsene seduto su quel sedile di pelle se voltandosi si fosse trovato davanti a un profilo diverso. Sentiva soltanto un immenso senso di vuoto. Lungo il tragitto a Castiel era tornata in mente l’ultima conversazione che era avvenuta lì dentro, l’onestà di Dean l’aveva travolto con un’intensità tale da non riuscire a rispondere nulla se non un debole ma sentito grazie. “Ma tu ci sei sempre, sai…” aveva fatto una smorfia e si era scrollato di dosso il senso di colpa, mettendo a tacere quei pensieri che continuavano a metterlo a disagio, tornando a fissare indifferente il paesaggio che scorreva veloce fuori dal finestrino.
Il bunker era immerso nel silenzio e così sarebbe rimasto per molto altro tempo. C’era una bottiglia vuota di birra sul tavolo, Castiel desiderò ardentemente rifugiarsi nell’alcool e di ubriacarsi con la stessa rapidità degli esseri umani, in modo tale da poter mettere a tacere il dolore pulsante nel suo petto almeno per qualche ora. Ma non poteva concedersi quel lusso, aveva fatto una promessa.
Con la coda dell’occhio si accorse di un’ombra muoversi nel salone principale, poi c’era stato un rumore e una forte energia l’aveva avvolto, trascinandolo via. Qualcuno doveva aver attivato un sigillo di protezione e adesso se ne stava riverso sul pavimento gelido del Paradiso. Doveva ritornare indietro, Sam poteva essere in pericolo. Chiunque fosse stato in grado di eludere le barriere complicate degli uomini di lettere non poteva che essere una minaccia. Si sollevò in piedi a fatica e iniziò a camminare con determinazione verso l’uscita. Se avesse avuto le sue ali, a quell’ora sarebbe già riapparso vicino Sam e starebbe mantenendo la sua promessa. Dean contava su di lui.
Non c’erano angeli in giro, probabilmente erano impegnati ad organizzarsi ora che Dio era nuovamente sparito. Castiel contrasse la mascella, non aveva perdonato suo Padre, persino Lucifer ne era stato capace ma non lui, che aveva ascoltato le sue scuse forzate attraverso un corpo che per un po’ non gli era appartenuto. Gli aveva riversato contro così tanta rabbia che Lucifer era stato costretto ad estraniarlo dalla situazione facendolo ripiombare nell’incoscienza, e forse era stato meglio così. Dio per lui era morto.
Continuò a camminare dritto per la sua strada, fra quei corridoi pieni di porte oltre le quali miliardi di anime avrebbero riposato in eterno. Ne superò alcune ignorando quel nodo allo stomaco, quell’impulso che lo stava tormentando da quando aveva messo piede in Paradiso. Non doveva farlo. Non poteva cedere. Nessuna distrazione.
La sezione Dean Winchester era proprio dall'altra parte. Non erano molte le porte che riportavano quel nome, appena un centinaio. Castiel rimase immobile vicino la prima, incapace di aprila, perché sapeva che se l’avesse fatto e dentro ci fosse stato Dean, il suo Dean, non sarebbe più riuscito a tornare indietro. Non avrebbe più mantenuto la sua promessa. Ne aveva già infranta una, la più importante, e non si sarebbe mai perdonato se avesse ripetuto quell’ errore.
 La sua mano si era già stretta intorno alla maniglia, senza che potesse fare niente per impedirlo. Prese un respiro profondo e aprì la porta. Dean non c’era, non quello che si aspettava lui almeno, al suo posto un uomo di mezza età dall’espressione concentrata che giocava a biliardo. Castiel richiuse la stanza e passò a quella affianco. Si trattava di un tendone da circo, due clown lanciavano in aria palle colorate improvvisandosi giocolieri. Seduto sugli spalti davanti a loro, c’era un bambino dai capelli rossi che rideva divertito. Ancora il Dean Winchester sbagliato.
Castiel continuò ad aprire porte, tre, quattro, venti, cinquanta, incrociando ogni volta il viso di uno sconosciuto. Andò avanti così finché non venne assalito da una profonda tristezza. Si lasciò scivolare contro il muro, avvolgendo le ginocchia con le braccia. Doveva sembrare patetico, rannicchiato lì per terra, meno angelo di quanto fosse stato in tutta la sua esistenza e più umano di quanto desiderasse.  Anche se alla fine l’avesse trovato il problema avrebbe continuato a persistere: Dean era bloccato lì e Castiel non poteva restare. “Ma tu ci sei sempre stato…”
 Non avrebbe dovuto ascoltarlo, invece no, come al solito la sua priorità era accontentarlo. Si sarebbe occupato di Sam, l’avrebbe aiutato ma chi si sarebbe preso cura di lui? L’unico che poteva farlo era morto e adesso Castiel brancolava nel buio. Il Paradiso non era più casa sua e il bunker aveva assunto l’aspetto di una tomba. Era abbandonato e così arrabbiato. Lo era con sé stesso perché non aveva voglia di mantenere la parola data, perché per una volta preferiva essere egoista e pensare al proprio bene, smettere di dare la precedenza a chiunque altro e dedicare il suo tempo a guarire dal lutto e trovare la maniera di non andare completamente in pezzi.
“Ci sei sempre stato.” La voce di Dean gli riecheggiava in testa dandogli il tormento. Era una bugia. Castiel l’aveva lasciato nel momento in cui avrebbe dovuto essergli più vicino, l’aveva lasciato morire in solitudine. Sarebbe potuto andare con lui per non farlo stare solo, per condividere con lui il peso di quel sacrificio. Sarebbe potuto andare con lui perché il posto di Castiel era al suo fianco, il suo compito era vegliare su di lui. Sarebbe potuto andare con lui perché Dean era tutto ciò che aveva e non capiva come fare a continuare a sopravvivere senza. Sarebbe potuto andare con lui perché era il suo migliore amico, suo fratello. Perché lo amava. Quella era la promessa che aveva giurato non avrebbe mai infranto, il motivo per cui si era ribellato. Ed aveva fallito.
Castiel ricacciò il malessere indietro, si fece coraggio e si rimise in piedi. Restavano altre due stanze da visitare, Dean era sicuramente in una di quelle. La mano gli tremò leggermente mentre spingeva in basso la maniglia. Si domandò se avesse provato solo senso di colpa o se la gioia di rivederlo anche solamente per alcuni brevi istanti avesse preso il sopravvento. Aprì la porta. La stanza era minuscola, arredata in modo umile, c’era una gigantesca finestra da cui entrava una piacevole brezza. Castiel riusciva a vedere l’oceano attraverso di essa e una figura ricurva in controluce. Mosse un passo incerto in avanti e l’uomo si voltò. Non era Dean. Lo sconosciuto - un anziano pescatore, a giudicare dal vestiario - gli sorrise brevemente per poi ritornare a fissare fuori dalla finestra. Non c’era niente per lui.
Era rimasta l’ultima porta, Castiel vi poggiò la fronte contro e chiuse gli occhi. Dean era lì dentro e ogni cellula del suo corpo fremeva per rivederlo. Voleva abbracciarlo ancora, stringerlo forte, seppellire il viso nell’incavo del suo collo e così sarebbe rimasto finché l’altro glielo avesse permesso. Gli avrebbe chiesto scusa per non essere riuscito a salvarlo, gli avrebbe confessato i suoi sentimenti perché tanto non aveva più nient’altro da perdere, il suo cuore era già spezzato. Se lo sarebbe fatto bastare fino a che non gli si fosse ripresentata l’occasione.
Forse gli angeli avrebbero acconsentito a concedergli una visita ogni dieci anni, sempre meglio di niente, e nel frattempo avrebbe vissuto con Sam finché un mietitore non avesse reclamato anche la sua anima. Prima di entrare si sistemò la cravatta provò a stamparsi in faccia un’espressione più gioviale. Era quasi entrato quando all’improvviso…
“Ehi, Cas. Sto pregando, riesci a sentirmi? Non so perché tu e Sam stiate ignorando le mie chiamate. Tutto bene? Non ci crederai ma mia madre è…è una storia lunga, te la racconto più tardi quando riuscirò a trovare il modo di tornare al bunker. Se non hai niente d’importante da fare potresti portare il tuo culo qui e darmi un passaggio?” fece una pausa, “uhm, Cas? Sono vivo, comunque.”
 
Castiel scoppiò a piangere.
   
 
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