Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: The Writer Of The Stars    07/06/2016    3 recensioni
"E cosa avrà lui da sorridergli con tutta quella pietà, la misericordia che gli fa schifo ma che non sa rifiutare?"
***
What if? Jean's death. |JeanMarco|
-Now we are free-
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: Missing Moments, Nonsense, OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Se vi ritroverete soli a cavalcare su verdi praterie e col sole sulla faccia, non preoccupatevi troppo… perché sarete nei campi Elisei e sarete già morti.”
-Il Gladiatore
*
Il sole brucia le gote diafane, pizzica le palpebre socchiuse e penetra la carne, rinforza le ossa da soldato con il suo silenzio. Soffia il vento dolce, scompiglia i ciuffi di capelli, solletica le membra sotto le vesti. Jean ode l’eco di un grido nei timpani che lo incita ad aprire gli occhi e lo ascolta; la luce lo acceca, ma tra i raggi di sole e l’erba incolta così atipica nella loro regione, scorge l’epicentro dell’universo incastonato tra le lentiggini, come mille piccole stelle a rendere meraviglioso il volto della notte. Jean grida qualcosa ma non percepisce l’eco della sua voce e ne è felice per una volta, perché detesta il gracchiare acuto delle sue corde vocali, abituato com’è a farsi cullare dal suo timbro profondo. Marco si avvicina vestito di luce e gli verrebbe da ridere se non fosse per il sole così dannatamente rovente e il caldo di quel posto, impreca quando nota come la sua divisa si sia appiccicata rovinosamente alla sua epidermide a causa del sudore. E cosa avrà lui da sorridergli con tutta quella pietà, la misericordia che gli fa schifo ma che non sa rifiutare? Marco non lo tocca, piega le labbra carnose e Jean si perde nel contemplare quelle piccole rughette d’espressione agli angoli degli occhi, e gli sembra che persino loro lo stiano ingannando, anche le sue iridi amene, anche le stelle che brillano sulle sue gote.

“Un giorno ci rincontreremo, Jean”

Grida Jean, odia quella compassione del suo tono, detesta quella premessa che già gli fa pizzicare gli occhi.
“Ma non ancora. Non ancora.”
 

“Non ancora!” grida al legno marcio della trave sopra di lui. Le mani callose corrono a stringersi contro la trachea che non riesce a respirare regolarmente e piange perché vorrebbe strapparsi via le corde vocali, per non sentire più la sua pietosa voce ogni notte e il suo grido che non ha nulla di militaresco. Che soldato sei, Jean Kirschtein, se ogni notte continui a piangere per un misero sogno e con quale coraggio indossi l’uniforme e ti vanti di sterminare giganti se non riesci ancora a dimenticare chi è morto, forse tra quelle stesse fauci?

Jean si strappa le coperte ruvide di dosso, al diavolo il freddo; la pelle, dannata, ancora brucia.
***

Rimbalza il corpo contro la ghiaia cruenta, riposa il capo in una pozza di sangue che sta nascendo tra gli altri cadaveri in decomposizione. Jean tossisce e un fiotto di sangue risale la trachea, bloccandosi sull’epiglottide; dannato Armin che gli sorregge il capo, sarebbe potuto morire soffocato senza attendere troppo. Forse Armin gli sta gridando qualcosa perché ha gli occhi colmi di terrore e lacrime, forse sa che a breve farà la sua stessa fine, forse starà bestemmiando contro quel gigante che è ancora vivo; cosa aspetti ad ucciderlo, ragazzino, lasciami stare e salva almeno te stesso!

Jean carezza il suo petto squarciato, affonda la mano nella ferita ed estrae il palmo completamente sanguinolento; Armin trema, Jean ride. Gutturale e rovinata, la risata gli gela le orecchie e non sa se soffrire di più per il torace scarnificato o per la gamba destra che non c’è più.

“Lasciami stare.” Armin sembra capire il labiale, lo osserva con le lacrime agli occhi ma annuisce. Gli ultimi spasmi e poi smetterà di soffrire, lo sa, e un po’ lo rincuora sentirlo morire ridendo di quella sua risata sprezzante e arrogante, come ad urlargli che vivo o morto resterà sempre quel bastardo di Jean Kirschtein; forse vuole che non si dimentichi di lui. Sa che ha sempre odiato la sua voce, ma provava una certa goduria nel ridere.

“Marco diceva che avevi una bella risata.” Ora ricorda e ora sa che Jean non ride perché voglia ma perché spera che Marco lo senta e si innamori ogni volta di lui, come quando si sono conosciuti. Jean sopprime un gemito di dolore e accenna un sorriso che è più un ghigno compiaciuto, ma comunque vero, comunque profondo. Il respiro sta rallentando e la cassa toracica spaccata non reggerà a lungo. Armin ride tra le lacrime per non farlo sentire follemente solo, ingoia un groppo amaro fermo al centro dell’epiglottide, avvicina la mano tremante al suo volto contrito e alla bocca digrignata volta a quello che a breve diverrà il plenilunio. *

“Vai da lui, Jean.” Gli lascia un sorriso amaro e con delicatezza serra le sue palpebre stanche per sempre, graffiando via il sangue raggrumato agli angoli degli occhi. Le gote gelide aspirano già al calore bruciante del sole.
 
***

Procede con lentezza per il terreno scosceso, carezzando con le dita magre le spighe di grano dorate; ne percepisce la consistenza tiepida e fruttifera, le scopre agitate dal vento d’estate. Il sole brucia le palpebre serrate, pizzica gli occhi chiusi e li invita a lasciarsi baciare dai suoi raggi; Jean respira a fondo e non sente più l’odore acre del sangue ad imbrattargli le membra, la pesantezza soffocante della divisa appiccicata alla pelle, l’aria cruenta della guerra che lo tiene prigioniero mentre la morte lo soffoca. Apre lentamente gli occhi e di nuovo la luce lo acceca, ma stavolta sa che non v’è nulla d’onirico in tutto ciò, che quei campi dorati in cui è immerso esistono, che il cielo è aranciato per il tramonto e non per il sangue, che Marco sta camminando verso di lui e sorride senza più misericordia - dannata misericordia- finalmente. Stringe una spiga di grano matura nel palmo ruvido, saggiando la consistenza dei chicchi senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi e dalle sue lentiggini, niente più sogni strazianti ma solo realtà. Chissà perché prova l’assurda voglia di ridere e per quale motivo inspiegabile l’ha assecondata. Ma poi anche Marco ride con lui, e il loro inno al cielo sereno sopra di loro gli solletica i timpani come la melodia più bella, ed ora ogni cosa è chiara.

“Ora siamo liberi, Marco.” Grida tra le risate e infrangendo qualche lacrima sfuggita al suo autocontrollo. A Marco non interessa e abbraccia il calore del sole, serrando gli occhi.

“Ora siamo liberi, Jean.”
 
 
Nota:
Ispirata da “Now we are free”, OST del film “Il Gladiatore”.
*riferimento alla poesia “Veglia” di Giuseppe Ungaretti.
   
 
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