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Autore: AnyaTheThief    10/06/2016    0 recensioni
Roman Kozlov fissava quella palazzina da alcuni minuti. Gli sembrava incredibile che fosse rimasta in piedi, visto il destino crudele nel quale era incorsa Vienna intera.
“Quanto tempo è passato? Quanto tempo dall'ultima volta che mi hai baciata e senza parlare mi hai promesso una vita assieme?”
Athos si svegliò all'improvviso con un sussulto ed ansimò forte, in un letto di sudore. Si portò le mani tra i capelli fradici e fissò il vuoto per alcuni minuti.
Sbroglierò i nodi che ho creato nei due capitoli precedenti di Crossed Lives, spero li abbiate letti!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Roman non aveva più ripensato molto a quel crocefisso che gli era rimasto sul fondo della tasca dei pantaloni da quando l'anziana gliel'aveva dato in custodia, ma per qualche assurdo motivo gli ritornò in mente in quel momento. Quando i quattro soldati entrarono nella cantina, il cuore gli balzò in gola e gli venne istintivo pensare di andare a ricercare il pendente nella tasca, anche se non lo fece.

“Guardatelo lì, l'eroe...” uno di loro lo provocò, parlando in russo.

“Scappa.” sussurrò lui a Vanessa, senza pensare che non c'erano altre vie di fuga oltre alla porta. Lei era terrorizzata, gli occhi sgranati, il respiro affannoso. Si muoveva piano come per nascondersi dietro di lui, ma non mancò di farfugliare un: “Bastardo...” allibita e Roman notò che non cercava protezione, ma si stava allontanando.

Rimase stupefatto. Non poteva aver pensato che li avesse portati lì lui.

“E non la volevi condividere con i tuoi amici?” lo stuzzicò un altro, con aria arrogante.

“Prendiamola.” sentenziò il terzo, e tutti e quattro incombettero su di loro così rapidamente che Vanessa ebbe soltanto il tempo di gridare, e Roman di tentare di imbracciare il fucile, prima che glielo strappassero.

“NO!” urlò, sgolandosi. “No, lasciatela! Vanessa!” due di loro lo tenevano per le braccia, mentre gli altri due avevano preso lei e le avevano già strappato di dosso la giacca. Lei scalciava e si dimenava, ma nulla poteva contro quei due uomini.

“Questa è una raffinata.” la schernì uno dei due, facendo cenno al violino sul divano. “Non possiamo scoparcela sul pavimento.” ragliò in una risata sguaiata.

Roman poteva a malapena udire ciò che dicevano, sovrastato dalle sue stesse grida e dalle risa dei suoi compagni. Li insultava, urlava loro di smetterla, di lasciarla andare, urlava a lei che non era stato lui, che la amava...

Li vide mentre la stendevano sul tavolo e le sfilavano i pantaloni. Le puntarono un coltello alla gola minacciandola di stare ferma. Lei diceva cose in tedesco che nemmeno Roman riusciva a capire da tanto sbraitava confusa tra le lacrime e la concitazione. Sputò in faccia ad uno dei due, che si infuriò e parve diventare ancora più violento.

“VANESSA!” urlava lui, cercando di liberarsi dalla presa dei due che lo tenevano. “VANESSA!” scalciava, strappava le spalle, menava pugni all'aria. “VANESS--” e poi cadde a terra in un rantolo straziato.

Quando gli si rivoltarono gli occhi all'indietro, l'ultima cosa che udì fu l'inizio di una melodia stonata proveniente dal violino di Vanessa.

 

 

 

La prima cosa che Athos pensò quando vide Liz la rossa fu che se mai esisteva un'altra donna di cui Milady si potesse fidare, quella era lei. Le assomigliava così tanto nei modi di fare, che per un attimo si chiese se in tutti quegli anni non l'avesse plasmata a sua imitazione, una sua degna erede. Il modo in cui gli disse: “Liz la rossa? Dipende da chi la cerca.” lo fece rabbrividire.

“Sto cercando Anne.” andò dritto al sodo il moschettiere, dopo aver studiato tutte le possibili vie di fuga che avrebbero potuto fargli sfuggire la ragazza. Difatti, nell'udire quel nome, tentò di andarsene.

“Non so di cosa parlate.” biascicò, facendo per andarsene, ma questa volta lui ebbe i riflessi pronti e la bloccò per un braccio.

“Vi prego. Sono... suo marito.” esitò inizialmente nel pronunciare quelle parole, ma poi la rassicurò con uno sguardo determinato. Lei lo squadrò nel modo in cui Milady era solita fare, e sembrò convincersi delle sue intenzioni. Si liberò dalla presa, ma rimase lì di fronte a lui.

“Mi ha parlato di Voi. In confidenza. Nessun altro sapeva che era sposata.” affermò con sicurezza, come a volersi vantare della propria posizione nella cerchia affettiva di Milady. Ed in effetti, era proprio una cosa di cui poteva andare fiera.

Per quanto fosse incuriosito da tutta quella storia, c'era solo una cosa che Athos voleva sapere: “Dove si trova?”

“Se lo sapessi non sarei qui. Quella donna ha mille risorse, ma temo che non sia finita bene.” disse un po' rammaricata, continuando a squadrarlo. “Ora capisco cosa vedeva in Voi.” sviò per un attimo, ma Athos la riportò sull'argomento che più gli premeva.

“Cos'è successo?” insistette. Liz sospirò, un po' scocciata, restia nel parlare.

“Se la conosceste almeno la metà di quanto la conosco io, sapreste che non era mai stata sua intenzione diventare socia in affari di un mostro come Matthews.” spiegò, sempre con quell'aria di superiorità che lo faceva sentire un po' stupido, anche se non aveva pensato nemmeno per un secondo che sua moglie avesse interessi nel gestire un bordello. “Non chiedetemi come, questo non lo so neppure io, era riuscita ad entrare nelle grazie di Re Carlo in persona.” un guizzo di eccitazione nella voce la tradì. In effetti, poteva essere piuttosto impressionante, per chi non la conosceva come lui.

“Non mi risulta difficile crederlo.” commentò. Lei si ricompose subito.

“Il suo compito era scovare quei vescovi porci che si infilavano nel bordello e denunciarli.” rivelò, con noncuranza. Ma vedendo lo sguardo perplesso di Athos, continuò. “Negli ultimi anni l'arcivescovo Laud ha consigliato spesso il nostro Re, ed entrambi vogliono mantenere pura l'immagine del clero agli occhi della gente... Ma non a tutti piace la piega che sta prendendo. Chi viene colto in atti poco consoni al proprio rango, viene esiliato. Il bordello di Matthews ha la fama di tenere molto alla privacy dei suoi avventori.”

“Ed Anne ricopriva un doppio ruolo perfetto. Ma certo...” tutto gli era più chiaro. La poteva vedere chiaramente nella veste di matrona addetta a ricevere i clienti all'ingresso, come la donna che aveva accolto lui quando era entrato. Non trovava difficile pensare che si fosse conquistata la fiducia di Matthews con qualche favore... Ed allo stesso tempo poteva benissimo immaginarsela ad origliare dietro le porte e a raccogliere informazioni dalle ragazze, dopo essersele ingraziate. Tutto tornava.

“Ma Matthews deve aver intuito qualcosa. E potrebbe essere tutta colpa mia.” confessò, inaspettatamente. Athos la guardò interrogativo e lei sospirò. “L'ho affrettata a denunciare più di uno di quei preti maiali nel giro di pochi mesi. Non li sopportavo, ci trattavano male e chiedevano sconti in continuazione. Matthews deve essersi insospettito nel veder calare il numero di clienti in quel modo...” per un attimo gli parve sconsolata, ma poi tornò a fissarlo con aria di sfida.

“... e l'ha fatta sparire.” concluse lui, attonito.

Liz annuì lentamente. “Se fosse ancora viva, me lo avrebbe fatto sapere.”

Allora era vero. Era arrivato troppo tardi.

Si dovette sedere a terra, la testa tra le mani, lo sguardo perso. Non poteva credere di averla persa veramente, per una questione di giorni. Cercò di ricordare cosa stesse facendo la settimana scorsa, o quella prima ancora, e si torturò pensando che niente era così importante come andare a riprendersela fino a Londra, e che il suo tergiversare l'aveva fatta uccidere.

“Voi la conoscete meglio di me.” Liz abbassò la guardia, forse ebbe pietà di lui e decise di lasciargli almeno quella vittoria. “Non ha mai smesso di portare quel guanto.” aggiunse, e la voce le tremò. “Continuo a sperare che sia ancora viva da qualche parte, e che presto verrà a riprendermi.”

Quella frase lo tormentò per tutta la notte e per i giorni a seguire. La sentiva nel rumore del battello diretto a Calais, nel trottare del suo cavallo, nella voce preoccupata di Constance, e nel silenzio delle serate in Guarnigione.

Lei lo stava aspettando, e lui l'aveva abbandonata lì, da sola, tra puttane e porci. Non sapeva dove altro cercarla.

L'unica cosa che gli restava era un guanto solitario.

 

 

 

Quando Roman riaprì gli occhi, gli parve di udire ancora le note stridule delle corde del violino strapazzate da mani inesperte.
Per un attimo, la voce di Vanessa gli ricordò che quanto di più orribile potesse accadere era successo proprio lì, davanti a lui. Sbatté le palpebre più volte cercando di tornare alla realtà, anche se avrebbe voluto continuare a restare nell'oblio.

Si rese conto che non c'era nessun violino, doveva esserselo solo immaginato. Non c'era più nessuno lì.

“Vanessa...” mugolò, ma quando tentò di rialzarsi un dolore lancinante gli massacrò la parte posteriore del capo, dove era stato colpito. “Vanessa...” ripeté, rialzandosi in piedi nonostante il suo corpo gli intimasse di non farlo.

Barcollò per un po' con la vista annebbiata e si aggirò per la cantina come uno spirito abbandonato. Si guardò intorno, sempre più agitato. Non c'era traccia di lei. Sul tavolo, una macchia di sangue gli ricordò quali nefandezze fossero state compiute su quel corpo che lui aveva amato con tanto rispetto soltanto pochi giorni prima.

Si ricordò del suo sibilo... “Bastardo”, gli aveva detto. Pensava che fosse stato lui a portarli lì. Si rese conto che non le aveva fatto conoscere il lato migliore del suo carattere, effettivamente, che avrebbe potuto fare di meglio, che avrebbe potuto amarla teneramente, nonostante gli schiaffi, le parole dure e la sua diffidenza.

Non si era mai sentito tanto in colpa e pianse rannicchiato in un angolo. Si pentì di ogni parola che le aveva detto ad eccezione delle ultime due.

Doveva proteggerla, invece aveva cercato di conquistarla; era lo stesso gioco perverso che l'arroganza superba dell'Unione Sovietica stava facendo con un'Austria inconsapevole ed emotivamente distrutta.

Avrebbe dovuto liberarla di tutti i fardelli che si portava dietro, ma era stato troppo ossessivo ed impaziente, e l'aveva persa per sempre. Tirò fuori il crocefisso dalla tasca e se lo strinse tra le mani.

Il pianto di dolore si trasformò in urla di rabbia. Non era stata soltanto colpa sua. Non era stato lui a violentarla, forse ad ucciderla. Non era stato lui ad uccidere sua madre e sua sorella.

Strinse quella collana così forte che gli spigoli gli ferirono il palmo della mano. Non aveva più lacrime, soltanto odio. Si rimise il crocefisso in tasca, riprese il suo fucile ed uscì.

  
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