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Autore: quirke    11/06/2016    1 recensioni
Leggiadri, come i fiori di ciliegio, il vento che accarezza le gote rossastre e le fioriture primaverili.
Gli addii, una mano intrepida, cauta.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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q nymphets

 

VI- Daisy&Milo

 

"Benvenuta a casa, Daisy. Come'é stata la tua giornata?"
Daisy, sorridendo a fatica, sfiorò le chiavi, rimuovendole dalla serratura e poggiandole sopra il mobile in legno grigio del corridoio.
Balbettò qualcosa di incomprensibile, nefasto, illusorio.
"E tu, mamma?" mormorò cautamente Daisy.
Strinse le spalle, chiudendo definitivamente la porta. Portò le sue dita al naso, inspirò profondamente e si accertò dell'odore acro disperso selvaggiamante tra le cellule della sua epidermide, talmente vago da non dover risaltare all'occhio a prima vista.
Scrollò allora le spalle, rimuovendo la sua borsa e buttandola a terra. Verificò che non vi fosse qualcosa pronto a tradirla da un momento all'altro, legò i capelli in una veloce coda e finalmente decise di recarsi in cucina, dove vi poteva trovare sua madre.
Le scroccò velocemente un bacio sulla guancia, nemmeno il tempo di accorgersene che il suo odore amarognolo doveva di già essersi amalgamato a quello del caffé bollente. E per fortuna.
"Non mi lamento, tutto benone. Grazie" le rispose, sorridendole.
"Vado a lavarmi, allora" preannunciò Daisy, indietreggiando.
Si recò pigramente all'ingresso, afferrò la sua borsa, per poi dirigersi in bagno.


Daisy sbuffò, si accomodò sopra il puff e strinse tra le mani la console. Indietreggiò con la schiena, scontrandosi contro il suo stesso letto.
"Ahi!" sospirò, frustrata.
L'esame era andato male, si era fatta male quello stesso pomeriggio nel fianco sinistro, ancora le bruciava. Tutta colpa dei saldi al Victoria's Secret, del cellulare scarico che aveva assorbito tutta la sua attenzione nel breve lasso di tempo dove si era spostata dal reparto bikini ai camerini. Ed ecco che si era urtata contro un tavolino, mentre rileggeva in fretta e furia l'e-mail, e il telefono al due percento che minacciava la sua incolumità.
Si era sbilanciata un pochino a sinistra, un passo falso, il sapore agrodolce dell'ennesima futura cicatrice sull'epidermide lattea e fragile quanto la sua pazienza.
Ripose la console sul tappetto, davanti alle sue ginocchia spigolose e sbucciate, ne osservò i contorni mal delineati per qualche secondo, e si massaggiò il fianco. Ancora doleva.
Il nuovo videogioco!
Posò le mani a terra, inspirando profondamente. E si issò su, rapidamente e senza sforzo, sbuffando comunque. 
L'asciugamano color lavanda si sciolse lievemente, accarezzando le gambe lunghe.
La luce diurna si proiettò sulla sua pelle, illuminandole il viso e costringendola a strizzare le palpebre. I raggi solari si ramificarono dappertutto, rigando le pareti e il tappeto bianco su cui si era seduta precedentemente.
Si girò verso le lenzuola del suo letto, doveva trovarci la custodia.
Il nodo dell'asciugamano si allentò nuovamente, scivolò. Rigò l'epidermide, la pelle nuda brillò rimandando alla luce dei fari. I capelli ondulati quanto l'oceano nelle fresche giornate estive.
Finalmente l'asciugamano ricongiunse il tappetino, combaciandone i contorni alla perfezione, rammollendosi in lievi e morbidi contorsioni.
Daisy si affrettò a piegarsi sulle ginocchia, raggiungerlo ed afferrarlo, legandoselo nuovamente al petto.
Quanto riserbo.
Si mordicchiò il labbro inferiore, cercando di stringere il nodo quanto più possibile.
Affondò una mano tra le lenzuola verde pistacchio, torturò nuovamente il labbro fino a riscontrare la copertina rigida del suo nuovo acquisto: "Girl gang".
Ci aveva economizzato su da parecchio tempo, e ne valeva ogni goccia di sudore. Ogni minuto passato a ordinare le nuove polo, riorganizzare la nuova merce del negozio e tollerare i diversi clienti.
Lo aprì con foga, ne estrasse il disco e lo inserì nella console, per poi ricordarsi che in effetti era mercoledì.
Allora, lasciando caricare il nuovo videogioco, ignorò totalmente le pantofole dall'altra parte della stanza, dimenticate chissà dove, e si catapultò verso la porta della sua camera. La aprì con veemenza, corse al piano di sotto, visualizzò il mobiletto davanti all'entrata e si gettò contro.
Scese le scale con fretta e furia, rischiando più volte di scivolare sul parquet umido. Accarezzò la ringhiera in legno bianco, si sistemò il paio d'occhiali sulla punta del naso e lanciò una veloce occhiata ai differenti quadri che ornavano la parete del corridoio, poi al suo riflesso proiettato nel piccolo specchio dello stesso mobiletto.
Afferrò la rivista settimanale di Elle, entusiasta.
Le ultime gocce d'acqua le rigavano le scapole, scendendo giù la colonna vertebrale ed accarezzandole i nervi a fior di pelle, stuzzicandole il bacino, incidendo la curva della natica sinistra. Scomparendo.
Daisy rimontò su tranquillamente, euforica dello splendente pomeriggio che le si proiettava davanti.
Senza alcuna presenza inutile, non vedeva l'ora di combaciarsi con la solitudine che attanagliava le sue giornate, finalmente.

Tre minuti.
Daisy corse a perdifiato, svoltò l'angolo e s'immobilizzò tutto a un tratto. Sistemò le boxer braid, il cardigan scuro e il paio d'occhiali dalle lenti scorbutiche e aguzze, la montatura felina.
Un minuto, ma riuscì a raggiungere la classe in tempo e precedere l'entrata del professore, guadagnando così una profonda riconoscenza personale. 
Solo qualche secondo dopo si rese conto di aver sbagliato classe, spagnolo veniva dopo la lezione di francese.
Afferrò il suo zaino, si leccò le labbra e si precipitò fuori dall'aula. Doveva salire un piano, soltanto qualche paio di gradini e avrebbe raggiunto la classe di francese al terzo piano.
Percorse di corsa il corridoio, svoltò a sinistra e raggiunse la scalinata.
Il fiato corto, il respiro pesante, le lancette che facevano a gara con le sue gambe affusolate, ingoiate da un pantalone blu, marcato da innumerevoli e minuscoli loghi della Champions
"Non m'importa se mi ami, o meno. Io credo di amarti, Milo" mormorò sommessamente, ma doveva averla udita.
Credeva realmente che ne fosse conseguita una fine certa, ovvia. 
"Anche se in effetti, amore é amaro amare ed ogni giorno sento addosso l'acro odore della solitudine. Non con te. Credo" ripeté la poesia studiata la settimana scorsa, attenuando il tono di voce, fino ad azzerrarlo. Non doveva aver dovuto recepire il messaggio, perlomeno lo sperava.
Daisy, audace, strinse la mano di Milo, una mano pallida e ferma, possente. 
Rischiando, di qualche passo incerto e distratto, di cadere dalle scale del liceo e disintegrare la sua povera reputazione, si era aggrappata al suo avambraccio, stringendolo.
Ne aveva susseguito, subito dopo, un lieve soffio mozzato che accennava a una rapida richiesta d'aiuto.
E Milo Tolleroda, agilmente, si era girato verso questa figura goffa ed impaurita alle sue spalle, aveva serrato la sua mano e le aveva salvato il collo, se non la vita. E la faccia.
Poi, che era stato Milo, era tutta un'altra faccenda. Ed una stupida ed inaspettata sorpresa voluta da chissà chi, da qualcuno che sembrava proprio avercela con lei.
"Mi accompagneresti dall'infermiera?" sussurrò lievemente Daisy. Delle macchioline lattee cominciarono a dipingerle le guance di timida vergogna.
Confessione?
Le gote si sfumarono di un lieve rossore.
Come si era permessa di fare una cosa del genere in quel momento, in quel preciso istante, situazione?
Si mordicchiò le labbra, scavando buche profonde sulla pelle per attenuare la tensione scaturatasi dentro di lei.
"Credo di essermi slegata la caviglia"
Bugie.
In quel breve lasso di tempo, la sua vita si era annodata in un indissolubile intreccio di complessità vaghe e comunque prepotenti, che sentiva di esplodere da un momento all'altro.
Poi, non aveva ancora ingerito il fatto che Johnny Depp avesse potuto sfiorare la docilità di Amber Rose. Johnny Depp?
E a cosa avrebbe dovuto aspirare ora?
Povera Daisy.

"Allora, come ti senti?"
Un silenzio prepotente soccombeva la piccola stanza lattiginosa, minuziosamente organizzata nei minimi dettagli. I scaffali emanavano una certa fiducia di sapere che traspariva dalle mani esperte con cui l'infermiera l'aveva precedentemente controllata.
E se quella tensione precedente sembrava essersi alleviata, quelle parole pronunciate rimbombarano euforicamente come lampi e tuoni nella momentanea tranquillità instaurata nella testa di Daisy.
Si era completamente dimenticata che Milo era ancora lì, da ben trentacinque minuti, o qualcosa di più.
Era stata esonerata dalle lezioni dell'intera mattinata, e quei trentacinque minuti l'avevano di già torturata abbastanza.
"Meglio, grazie" borbottò dondolando i piedi, aggredendo il vuoto che separava il lettino dal suolo, "Tu?"
"Bene"
Il polso destro di Milo era ornato da un orologio dal cinturino bianco e blu. Le mani grandi presentavano un paio di anelli incastrati tra l'indice e il medio. La felpa era chiusa, la schiena ricurva in avanti e i gomiti affondavano sulle ginocchia spigolose.
I capelli ondulati erano stati sollevati da un lato, dove lievi riccioli castani scendevano giù, rammollendosi in semplici ciuffi.
"Ripetevo a me stessa la poesia che avrei dovuto recitare"
"Come?" Milo aggrottò le sopracciglia confuso.
"Prima di rischiare di cadere, ripetevo una poesia che avrei dovuto imparare a memoria"
"Il personaggio si chiama Milo?" e si portò indietro, scontrandosi contro lo schienale e sollevando nuovamente lo sguardo verso Daisy.
Tremava, leggermente.
"Non c'é nessuno Milo, é 'Io credo di amarti, o Cielo'" rispose cautamente, serrando tra le mani le lenzuola del lettino.
Pregò che non se ne fosse accorto.
"Capisco" sbuffò allora Milo, deluso.
"Grazie, comunque" mormorò Daisy, allentando il movimento delle sue gambe. Azzerandolo.
"Non preoccuparti"
Daisy si era leggermente slogata la caviglia sinistra, o almeno credeva. Non era certo.
Aveva preso qualche antidolorifico, sperando che annullasse anche il bruciore al fianco. 
"La mia ragazza si starà preoccupando"
Daisy corrucciò le labbra, aggrottò le sopracciglia ed allentò la perseveranza che intimimante si stava espandendo dentro di lei. S'irrigidì.
Aveva una ragazza?
"Non ho avvertito Margiela, meglio che vada" ripeté Milo, alzandosi su, "Mi fa piacere che ti senta meglio, ciao"
E scomparì , senza alcun preavviso. O qualche saluto, o un accenno, o una parola di più.
Sparì dietro la porta, abbandonandola a sé stessa così, all'improvviso.
Se voleva ritornare in classe, ora non desiderava altro che rientrare. Afferrò la sua borsa e balzò giù dal lettino, dimenticandosi di avvisare l'nfermiera, e perfino "Heureux les Heureux", quel romanzo di Reza che aveva dovuto comprare per quella dannata lezione di francese.
Era Milo, niente ambigue referenze a quello stupido cielo nuvoloso.

 

 

 


 

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finalmente l'ennesima ninfetta,daisy la margheretina che fallisce miseramente davanti al bellissimo milo, un vero bastardo

  
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