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Autore: Usagi Terrorist    11/06/2016    2 recensioni
"Draco camminava furtivo lungo i corridoi scuri e silenziosi di Hogwarts. Non che stesse realmente facendo qualcosa di sbagliato, ma era davvero stufo degli sguardi disgustati che gli altri ragazzi gli lanciavano continuamente [...] Aveva appena svoltato l’angolo, quando ciò che vide lo pietrificò più efficacemente di un incantesimo: quell’accattone di Ronald Weasley teneva bloccato contro il muro e baciava con ben poca grazia niente meno che San Potter!"
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Harry Potter, Ron Weasley | Coppie: Draco/Harry
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ciao a tutti! Questa è la mia prima storia su Harry Potter, perciò mi farebbe molto piacere ricevere recensioni, pareri o critiche costruttive, non so ancora se scriverò altre storie su questo fandom, ma se dovessi farlo terrò conto di ogni vostra opinione, perciò grazie in anticipo a chi mi dedicherà anche solo pochi secondi! ^^
Note importanti: in questa storia mi sono riallacciata alla trama del libro da dopo la morte di Voldemort in poi. Piton è sopravvissuto, grazie agli sforzi congiunti di Harry e Hermione, e scagionato da ogni accusa, riprendendo possesso della sua cattedra di Pozioni a Hogwarts. La nuova preside, Minerva McGranitt ha deciso di istituire un ottavo anno speciale per tutti i ragazzi che desiderassero diplomarsi nei M.A.G.O.
Infine, cosa più importante, non c’è alcuna relazione fra Ron e Hermione e fra Harry e Ginny (e Ron sarà parecchio OOC).
 
 
 
Incanto Patronus
 
 
Draco camminava furtivo lungo i corridoi scuri e silenziosi di Hogwarts. Non che stesse realmente facendo qualcosa di sbagliato, ma era davvero stufo degli sguardi disgustati che gli altri ragazzi gli lanciavano continuamente. Il nome dei Malfoy era caduto miseramente in disgrazia e di questo doveva ringraziare suo padre, che dopo aver perorato con fanatismo la causa di Voldemort, aveva deciso di darsela a gambe quando si era reso conto della sconfitta imminente. Per questo non poteva davvero biasimare quelle occhiate malevole e quei sussurri pieni di disprezzo, in fondo erano gli stessi che lui aveva rivolto a Lucius l’ultima volta che se l’era ritrovato davanti, in un’aula di tribunale, prima che lo sbattessero ad Azkaban per il resto della sua vita. Eppure ancora una volta si diede mentalmente dell’imbecille per essersi fatto convincere dalla madre a frequentare quello stupidissimo ottavo anno. Avrebbe dovuto immaginare come sarebbe andata a finire, avrebbe dovuto prevedere che non sarebbe più stato accolto come un re (quel posto ormai spettava a San Potter), eppure l’idea di tornare a Hogwarts l’aveva tentato irresistibilmente, l’idea di rivedere volti familiari, specialmente quello della sua nemesi per eccellenza, l’aveva fatto capitolare.
Perciò ora eccolo li, intento a schivare i suoi compagni di scuola strisciando nell’ombra come la serpe che tutti credevano fosse, come la serpe che gli era stato imposto di essere, come la serpe che si era dannatamente stancato d’impersonare …
Aveva appena svoltato l’angolo, quando ciò che vide lo pietrificò più efficacemente di un incantesimo: quell’accattone di Ronald Weasley teneva bloccato contro il muro e baciava con ben poca grazia niente meno che San Potter!
La ragione s’impadronì nuovamente di lui abbastanza in fretta da permettergli di rintanarsi dietro l’angolo prima di essere scoperto, decisamente troppo sconvolto per giudicare quello che stava accadendo li vicino: in cuor suo sapeva che avrebbe dovuto trovare la cosa estremamente divertente, usarla per ricattare quei due magari, minacciarli di spifferare tutto all’intera scuola (sicuramente fino a qualche mese prima sarebbe stata esattamente questa la sua reazione: beffarda e gongolante), eppure un forte senso di malessere misto a rabbia lo stava assalendo e di sicuro non avrebbe continuato ad illudersi di non sapere cosa significasse. Lo aveva sempre saputo, in fondo, che Harry Potter era il centro di tutto per lui, e i sentimenti che provava in quel momento non facevano che confermarlo.
Stava cercando il coraggio necessario per saltare fuori dal suo nascondiglio e mettere fine a quell’assurda storia quando i suoni umidicci del bacio cessarono, sostituiti da quelli di una colluttazione.
«Ti ho detto di smetterla maledizione!» la voce di Harry era a malapena udibile, un tremito a stento trattenuto, carica di rabbia e … Paura?
«Di fare cosa? Tu sei mio!» quella di Weasley al contrario era alta, e Draco si sorprese nel sentirla così diversa, così rabbiosa.
Cosa diavolo stava succedendo?
«Tuo?! Hai perso il senno? Devi starmi lontano Ron, non ti azzardare mai più a mettermi le mani addosso!»
Draco sospettava che la cosa sarebbe potuta degenerare e sicuramente lo avrebbe fatto se proprio in quel momento un gruppetto di ragazzini urlanti non fosse uscito da una delle porte del corridoio, l’unica domanda era: in che direzione sarebbe degenerata?
Mentre sbirciava di nuovo dietro l’angolo vide Potter e Weasley defilarsi velocemente, a debita distanza uno dall’altro.
 
La guerra aveva cambiato tante cose: molte persone se n’erano andate per sempre, lasciandosi dietro solo macerie e cuori sanguinanti. Per molti mesi dopo la morte di Voldemort la comunità magica fu impegnata a dare un ultimo saluto ai cari che aveva perso, a ricostruire dalle macerie ciò che era stato distrutto, a ritrovare una parvenza di normalità nelle loro vite.
Harry cercò di tenersi più impegnato che poteva, sapeva che se si fosse fermato, se avesse cominciato a pensare a Sirius, a Silente, a Lupin e Tonks, a Malocchio, a Edvige, a Dobby, ai suoi genitori e a tutti gli altri … Beh a quel punto sarebbe sicuramente crollato, e questo non poteva permetterselo. Nonostante il pericolo fosse ormai alle spalle e non ci fosse più alcun bisogno di un bambino prescelto molti maghi e streghe, giovani e vecchi, guardavano a lui come alla loro ancora di salvezza per non sprofondare nella depressione.
Per Harry era un peso quasi disumano da sostenere, ma ne aveva affrontate tante ed era sicuro che con l’aiuto dei suoi amici avrebbe affrontato anche quello.
O almeno di questo era convinto, prima che Ron iniziasse a comportarsi in modo strano.
Non era stato immediato e non se n’era subito accorto. All’inizio aveva pensato che l’amico fosse semplicemente stressato dagli ultimi eventi, e come dargli torto? Anche lui era piuttosto stressato. Poi però il rosso si era fatto sempre più insistente, aveva iniziato a seguirlo come un’ombra, a squadrare in malo modo chiunque cercasse di dargli confidenza, a ricercare un contatto fisico che, giorno dopo giorno, lo rendeva sempre più inquieto e lo metteva a disagio.
Harry cercò di parlarne con l’amico, cercò di capire quale fosse il problema, ma gli sembrava di avere a che fare con un muro, così alla fine cominciò a reagire in modo sempre più scocciato. Gli dava fastidio che Ron lo toccasse e se l’amico non voleva capirlo con le buone allora lo avrebbe capito con le cattive.
Questo, ovviamente, non fece altro che alimentare quella rabbia che Ron sembrava portarsi sempre dentro, rendendolo se possibile persino più sfacciato e aggressivo.  
 
 
Nei giorni a seguire per Draco fu davvero difficile distogliere lo sguardo dal trio di Grifondoro, e più guardava, più notava che davvero qualcosa non andava. Potter e Weasley erano tesi come corde di violino, quasi sempre la Granger era fra i due, quasi a voler difendere Potter col suo corpo, o come se stesse tacitamente sfidando il rosso a fare un passo falso. Spesso si univa a loro anche la Weasley femmina, a quanto pare per incenerire con lo sguardo il fratello maggiore.
Che fosse nella Sala Grande, durante le lezioni che avevano in comune o lungo i corridoi, Draco aveva preso l’abitudine di non perderli mai di vista, e quello che vedeva gli piaceva sempre meno. Com’era possibile che l’eroe del mondo magico, il ragazzo che aveva tenuto testa a decine di Mangiamorte, che aveva sconfitto Voldemort, perfino, fosse così in soggezione di fronte a quell’insulso pel di carota? Com’era possibile che nessun altro si fosse reso conto di cosa stava succedendo?
Come poteva aiutarlo?
I professori non gli avrebbero mai creduto, e poi, creduto a cosa? Cosa avrebbe detto? Che Weasley minacciava Potter? Era ridicolo soltanto a pensarci. Ma, forse Piton… Quando aveva scoperto che il suo insegnante preferito aveva sempre fatto il doppio gioco e che in realtà era sempre stato dalla parte di Potter ne era rimasto sconvolto, non era più riuscito a guardarlo allo stesso modo e nemmeno a rivolgergli più la parola, ma ora poteva tornare a suo favore.
Probabilmente Piton era l’unico insegnante che avrebbe potuto credergli se avesse saputo che San Potter era in pericolo, anche se era un tipo losco come Malfoy a dirglielo.
Il Serpeverde aveva già un piede rivolto alle segrete del castello quando voci concitate che ben conosceva e una porta che sbatteva attirarono la sua attenzione. Si affrettò lungo il corridoio, svoltò diversi angoli e aprì numerose porte eppure sembrava impossibile riuscire a trovarli. Un’ondata di panico si impadronì improvvisamente di lui, spingendolo a muoversi più in fretta, fino a quando si ritrovò davanti, ansante, alla porta del bagno delle ragazze, l’unica stanza che non aveva ancora controllato… Possibile?
Si guardò intorno disperato, poi improvvisamente ricordò di essere al secondo piano: il bagno di Mirtilla Malcontenta!
Senza pensarci un momento di più si scaraventò sulla porta, spalancandola con un gran fracasso e l’attimo dopo, quando vide Weasley torreggiare su Potter con la bacchetta puntata, dimenticò di essere un mago, dimenticò persino di essere un lord, benché un lord in disgrazia, e si abbatté come una furia sul rosso, menando colpi alla cieca, sperando di riuscire a far più male possibile.
L’altro, preso alla sprovvista dall’intrusione improvvisa e da quello scoppio di violenza, ebbe appena il tempo di sollevare le braccia a difendere il viso, prima di darsi alla fuga.
Rimasti soli, per un momento l’unico rumore nel bagno fu il respiro ansante di Draco. Ci volle un po’ perché il biondo si accorgesse di quei sommessi singhiozzi a stento trattenuti e solo allora abbassò lo sguardo e gelò.
Draco ricordava bene quando era stato Potter a scagliare su di lui quella maledizione, Sectum… Non ricordava esattamente, ricordava bene però il dolore lancinante, riusciva a ricordare vagamente anche lo sguardo terrorizzato della sua nemesi.
Completamente in preda al panico Draco si accasciò accanto al corpo rannicchiato e tremante di Harry, cercando come meglio poteva di tamponare le ferite che fiottavano sangue. Forse sarebbe riuscito a sollevarlo, ma sarebbe anche riuscito a portarlo fino in infermeria?
Con la mente che gli si annebbiava secondo dopo secondo nello sforzo di pensare lucidamente, Draco prese fra le braccia il corpo martoriato del moro, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene, che lo avrebbe portato da Madama Chips e lei lo avrebbe rimesso a posto in un attimo.
Quasi sobbalzò quando sentì la voce flebile dell’altro: «No… Infermeria… Non…»
Ostinato, stupido, pazzo di un Grifondoro! A chi altri si sarebbe potuto rivolgere?
Ma certo. Piton.
Ma come?
E poi ricordò il patronus del padre: l’aveva visto mandare messaggi con quell’incantesimo e sapeva che era considerato davvero difficile, ma aveva già iniziato a studiare la pratica e Potter sapeva produrne uno corporeo, quindi perché lui no?
Provò a richiamare alla mente ricordi felici, ma il respiro spezzato del ragazzo che teneva in grembo gli riempiva la testa. Non c’era tempo e si sentiva del tutto impotente, ma non si sarebbe arreso, non quella volta.
E poi, in un attimo, un vecchio ricordo lo sommerse: il viso di Harry, felice, che rideva spensierato. Non ricordava quando fosse successo, ma fu abbastanza perché dalla punta della sua bacchetta si sprigionasse un denso fumo argenteo.
Ebbe appena il tempo di vedere quello che sembrava un cavallo, prima che l’animale sparisse oltre la porta del bagno.
I secondi si dilatarono e a Draco parvero essere passate ore quando dei passi leggeri ma svelti si avvicinarono e davanti al vano della porta apparve la figura nera di Severus Piton.
Il ragazzo vide il lampo di paura negli occhi dell’insegnante mentre, senza perdere tempo, si abbassava su di loro e iniziava a mormorare incantesimi di guarigione.
Draco non allentò nemmeno per un secondo la presa su Harry, Piton continuava a lanciargli brevi occhiate e lui sapeva che presto sarebbe arrivato alla logica conclusione che fosse stato Malfoy a scagliare quella maledizione.
Per questo le parole dell’insegnante lo sorpresero tanto da riscuoterlo completamente dal freddo torpore in cui era caduto.
«Chi è stato?»
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo sbigottito: «Non crede che sia stato io?»
«Ho visto il tuo patronus, prima, e ora vedo te» fu la semplice ed enigmatica risposta del professore.
Draco abbassò lo sguardo sul corpo di Harry, ancora tremante. Per una folle frazione di secondo fu tentato di non rispondere. Sapeva che Harry non voleva che Weasley passasse dei guai, in cuor suo sapeva che era quello il motivo per cui non si era ancora confidato con un insegnante. Stupido, sentimentale Grifondoro.
Quell’attimo però passò, e che Harry lo odiasse pure per il resto della sua vita, se questo era l’unico modo: «Ronald Weasley».
Vide lo sgomento negli occhi del professore, e come dargli torto? Ma questi non aggiunse nulla e un attimo dopo reggeva Harry fra le braccia e si dirigeva ai sotterranei.
A Draco non era stato detto di tornare al suo dormitorio perciò non lo fece e seguì il professore.
«Si riprenderà?». Si maledì per la quantità di ansia che avvertì nella propria voce.
«Sì, ma ha bisogno di un posto tranquillo in cui riposare, preferisco portarlo nei miei alloggi e somministrargli una pozione».
Solo in quel momento Draco si rese conto di essere rimasto come in apnea. Espirò e inspirò profondamente e improvvisamente sentì tutta la stanchezza degli ultimi avvenimenti sopraffarlo. Si passò distrattamente una mano sul volto e solo allora scoprì che era bagnato di lacrime.
 
Come Piton aveva predetto, al suo risveglio Harry parve parecchio agitato. Alla fine il professore fu costretto a somministrargli una forte pozione calmante.
«Desidero che lei resti a riposo per un paio di giorni Potter- cominciò a parlare l’uomo non appena Harry si fu ripreso abbastanza da prestare attenzione- niente lezioni, nessun allenamento di Quidditch, e nessuna delle cattive idee che di solito riesce a farsi venire in mente. Chiaro?»
«Sì, signore».
In qualche modo Draco aveva convinto Piton a non correre dalla preside a denunciare Weasley. Non che non lo desiderasse ardentemente, anzi, se avesse potuto avrebbe provveduto lui stesso a dare una bella lezione a quella feccia, ma prima aveva bisogno che Harry capisse.
Non avrebbe mai sopportato di vedere gli occhi del Grifondoro carichi di risentimento nei suoi confronti per essersi macchiato dell’unica colpa di volerlo tenere al sicuro. Perciò parlarono.
Fu una conversazione lunga e dolorosa. Nonostante tutto Harry si rifiutava di credere che il suo migliore amico avesse perso la testa; più volte Draco scattò in piedi infuriato, inveendo contro il suo stupido cuore di Grifondoro e il suo futile sentimentalismo, più volte Harry alzò la voce accusandolo di non centrare assolutamente nulla in quella storia e di farsi i fatti suoi , più volte Piton dovette intervenire per smorzare i toni e per ricordare a Harry che se non avessero preso provvedimenti non sarebbe cambiato assolutamente nulla.
Alla fine il moro si arrese.
 
Il giorno seguente Ronald Weasley fu espulso da Hogwarts.
Da quel giorno, per Harry, Draco smise di esistere.
Oh, certamente il Serpeverde se l’era aspettato, aveva cercato in tutti i modi di evitarlo, ma alla fine non c’era riuscito. La sua unica consolazione era vedere il ragazzo di cui era follemente e irrimediabilmente innamorato (per quale motivo continuare a negarselo?)  riprendere colore, giorno dopo giorno, tornare pian piano ad essere il forte, allegro e bellissimo Grifondoro che era sempre stato e che nemmeno Voldemort, per diciassette lunghi anni, era mai riuscito a spezzare.
Oh, Draco se l’era aspettato, in fondo Harry non gli doveva nulla, Harry non era innamorato di lui, Harry lo aveva sempre disprezzato, perciò di cosa si stupiva?
Sempre più spesso si ritirava in sé stesso, cercando di schiarirsi la mente facendo lunghe passeggiate per il parco di Hogwarts.
Fu durante una di queste passeggiate che si imbatté in Piton. L’uomo se ne stava seduto sulle rive del lago, lo sguardo perso in lontananza, ma si riscosse immediatamente quando sentì i passi leggeri fermarsi accanto a lui.
«Posso, signore?» chiese timidamente Draco indicando un punto imprecisato accanto al professore.
L’uomo fece un piccolo cenno di assenso e tornò a voltarsi verso il lago. Per un lungo, interminabile momento, regnò il più assoluto silenzio.
«Come c’è riuscito signore? Come è riuscito ad amare per così tanto tempo una donna che non la ricambiava e che è morta dopo aver sposato un altro?»
L’uomo accanto a lui non rispose subito e per un attimo Draco ebbe il terrore di essersi spinto troppo in la: non solo stava sconfinando nella sfera privata di una delle persone più schive e scontrose di tutta Hogwarts, ma Piton stesso aveva messo più volte in chiaro che non avrebbe affrontato con nessuno ciò che il pensatoio aveva rivelato e che Harry era stato costretto a mostrare al Ministero per poterlo riabilitare.
Draco si domandò quanto dovesse essere dura vedere i propri sentimenti più intimi e segreti analizzati clinicamente e asetticamente da persone che nemmeno conosceva e un brivido gli percorse la schiena.
«Credo che tu stia affrontando la situazione dalla prospettiva sbagliata, Draco- sospirò infine il professore- ho vissuto per tutta la vita col rimpianto di non aver detto a Lily ciò che provavo per lei, per averla persino umiliata, mosso solamente dal mio orgoglio, perciò te lo dirò chiaramente: non ripetere i miei errori».
E Draco capì: capì che fin quando non avesse dato voce ai suoi pensieri, fin quando non si fosse deciso ad essere sincero, i suoi sentimenti, per quanto forti, non avrebbero mai raggiunto Harry, e che un rifiuto sarebbe stato cento volte meglio di una vita passata nel rimorso di non aver trovato il coraggio.
Scattò in piedi, ringraziando Piton e puntando spedito verso il castello, quando la voce dell’uomo lo richiamò: «Se dovessi avere difficoltà ad esprimerti, Draco, non sarebbe una cattiva idea mostrargli il tuo patronus».
Draco corse veloce fino al castello, le parole di Piton ancora in testa: mostrargli il suo patronus? Quel giorno non era riuscito a vederlo chiaramente, ma era quasi sicuro che si trattasse di un cavallo e si chiedeva come diavolo avrebbe fatto una cosa del genere a convincere Harry dei suoi sentimenti.
Continuò a correre fino a quando non andò a scontrarsi dritto dritto contro la Granger, la supplicò di dirgli dove fosse Harry, poi si rimise a correre.
Finalmente lo trovò, in una piccola corte interna deserta, intento a leggere, e si perse per alcuni secondi a pensare a quanto fosse maledettamente bello, con la divisa in disordine e i capelli sparati in tutte le direzioni.
Harry dovette sentirsi osservato, perché alzò lo sguardo e lo incatenò subito al suo.
«Malfoy».
«Potter».
Rimasero a fissarsi, senza sapere bene cos’altro dirsi. Le parole non erano mai state il loro forte, erano sempre stati troppo impegnati a schernirsi e umiliarsi a vicenda per poter dire di aver mai fatto una vera e propria conversazione.
Draco abbassò gli occhi e sospirò, avrebbe dovuto dire ciò che aveva da dire e basta, eppure le parole gli erano rimaste bloccate in gola.
Sorprendentemente fu Harry a rompere il silenzio teso che si era creato: «Credo di doverti ringraziare».
Il Serpeverde lo fissò sbalordito.
«Per avermi aiutato, intendo. Sai, con Ron. Probabilmente se avessi continuato a non dire nulla sarebbe solo peggiorato».
«Probabilmente».
«Perciò… Grazie».
«Figurati».
Il silenzio calò di nuovo, infine Harry chiuse il libro con un gesto secco, fece un cenno con la testa e si voltò per andarsene.
Draco fu preso dal panico, non poteva sprecare quell’opportunità, non poteva!
Ricordò improvvisamente le parlo del professore di Pozioni e, anche se continuava a sembrargli una follia, levò la bacchetta e con voce profonda e sicura evocò il suo ptaronus.
E finalmente lo vide, maestoso e regale, il grande palco di corna a cingergli l’elegante testa, le zampe sottili e nerborute, gli zoccoli scalpitanti.
Vide Harry girarsi e spalancare prima gli occhi e poi la bocca, vide distintamente quando la comprensione riempì i suoi occhi verdi, poi lo vide levare a sua volta la bacchetta e, un attimo dopo, un altro grande cervo era accanto al primo… E finalmente ogni pezzo del puzzle andò al suo posto.
 
Quel giorno non fu certamente il giorno in cui tutti i loro problemi si risolsero e i due si dichiararono amore eterno, quello no, ma segnò probabilmente una svolta netta nelle loro vite e in quella che, col tempo, divenne una relazione piuttosto stabile.
Oh, le frecciatine, i battibecchi e gli insulti più o meno velati non cessarono affatto, ma in fondo, andava bene così.
 
 
 
 
 
Finita! Questa storia era stata cominciata e poi lasciata in un angolino del pc a prender polvere, oggi finalmente mi sono decisa riprenderla in mano e finirla, ma avendo fretta di pubblicarla non l’ho riletta forse con la concentrazione adeguata, vi chiedo perciò scusa per ogni eventuale errore/orrore di ortografia. In ogni caso spero vi sia piaciuta, alla prossima! 
  
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