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Autore: Giechi    11/06/2016    0 recensioni
Descrizione di tutto ciò che si vede, ma non si guarda, in un semplice viaggio in metro.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Senza rendermene conto, a volte, mi ritrovo scaraventato dal mio letto alla metropolitana. Capita più spesso nei giorni in cui sono attivo da prima che sorga il sole, giorni in cui ti ritrovi lì ad aspettare, smadonnando, la metro che ti porterà magicamente a destinazione, qualunque essa sia.

Nel mio caso, è l'M3

Le volte che scendo le scale mobili e Lei è lì che mi aspetta si contano su un dito, la maggior parte delle volte attendo minuti all'arrivo della gialla con la testa che è ancora sul cuscino a sognare cagate; durante queste inutili attese, cerco sempre di tenermi occupato in qualche modo: il più semplice è mimetizzarsi tra chi guarda con insistenza verso la presunta direzione dalla quale dovrebbe arrivare il treno, credendo che questa azione riduca l'attesa, o tra chi fissa il timer della banchina sperando nello stesso risultato.
Poi la mia attenzione, solitamente , cade sui binari (badum tss) sul dislivello che mi separa dai binari.

Questo è un po' il Beppe Vessicchio dell'orchestra dei miei pensieri: la mia mente invece di prestare attenzione a chi ho vicino, invece di impormi di prendermi a schiaffi per connettere almeno tre o quattro sensi sui cinque disponibili, cosa fa?

Torna indietro nel tempo, è ovvio. 
Ritorna, precisamente ad una discussione che ho avuto con una mia amica riguardo i suicidi in metropolitana.

“Perché capita che la gente decida di suicidarsi (a Loreto) quando sono io sulla rossa e quando sono già in ritardo?”

Improvvisandomi massimo esperto della psiche umana, inizio a dedurre e a fare inferenze che nemmeno il vecchio amico Sigismondo sotto stupefacenti avrebbe potuto tirar fuori.

Una persona che “va ad ammazzarsi”, se pensasse al disagio che arrecherebbe alla società e ai pendolari inferociti, troverebbe altri 500 modi per farla finita.

Ok, forse Freud farebbe di meglio. Decisamente.

“Io però sono sulla Gialla”

Vorrei che questo pensiero interrompesse il tutto prima che possa ulteriormente farmi del male.

Le mie aspettative rimangono inattese la risposta della mia mente è sempre qualcosa del tipo...
… “è semplicemente la cosa più facile, che richiede il minimo sforzo, scendere qualche scalino, camminare e lasciarsi andare al momento giusto”

Ovviamente, in tutta questa follia, io sono a 10 cm dalla voragine e la cosa che mi viene naturale fare è ripensare a se avessi fatto male a dire quanto dissi (già, perché alla mia amica risposi proprio così).

Se, invece, il salto verso la fine fosse un ultimo, disperato, “NON mi hai notato”? O se, in quel gesto, ci fosse la speranza di essere notati e salvati un istante prima che sia troppo tardi?

Ci sono infinite motivazioni, tutte giuste, credo.

Le porte che si aprono davanti a me mettono in pausa le sinapsi che si attivano solo per non farsi spingere via da altri zombie come me.

Trovare un posto in metrò, a Maciachini o a Zara, comunque, è ancora facile, sedersi è già più complicato.

Tra “personaggi dal carattere forte” che, perchéamedioamato, aspettano solo il minimo contatto visivo per tenermi gli occhi addosso fino a quando possono, e altri con un'indole un po' più riservata, di solito occupati sui telefoni, che, per quanto mi aspetti, potrebbero avere gli occhi più espressivi di questo mondo, ma non li vedrei mai, ci sono i maniaci come me, che già 23844390 fermate prima di scendere, trovano il buco giusto, del vagone giusto, davanti alla giusta porta, pronti a scendere per lanciarci sulle scale mobilie (non giuste) fuggire dal marasma di putridi olezzi e teste incazzate (letteralmente).

Una volta, hanno fermato la circolazione dei treni, credendo che un qualcosa dimenticato da qualcuno potesse invece celare una bomba in grado di mettere in ginocchio Milano, Italia, Europa, mondo.

E' stato interessante assistere alle reazioni delle persone: c'era chi pensava, piangendo, a cosa avrebbe potuto fare ma che non aveva fatto, chi aveva un ultimo desiderio da realizzare e, se fosse sopravvissuto, la vita da lì sarebbe stata “vita”.

Impressionante erano i numeri di ti amo e di ti odio che via web e telefono la gente si scambiava, perdendo interesse per la vita in sé: diventata un pretesto, l'esistenza era solo un motivo in più per dare voce a tutto ciò che fino a quel momento non era riuscito ad emergere.

C'era anche chi, addirittura, non sapeva che parole usare su Facebook per uno stato sulla tragedia. Assurdo.

L'apice, però, si è raggiunto con un tizio, uno di quelli dal carattere forte, che all'improvviso, tirando fuori un coltello ha iniziato a uccidere tutti i passeggeri che gli capitavano a tiro, per poi sventrarli e mangiarne le interiora.
Sono veramente inconcepibili le reazioni che il corpo umano ha quando subisce un forte shock.

Raccapricciante. Sono vivo per miracolo, perché ci tengo alla pellaccia, io.

E ci tengo anche a dire che (credo si sia capito) sono tutte cazzate: nessuno ha mai creduto (o dato peso) agli annunci dell'atm, nessuno si è mai spaventato, nessuno.

Chi era su facebook, ci è rimasto, chi parlava al telefono di spazi adibiti al commercio, continuava a farlo, con qualche “cazzo” in più nel discorso, chi si sentiva con la persona che poteva essere quella giusta, ha continuato ad esitare.

Il guardone, forse, è stato il primo ad incazzarsi, perché stavano rubando il suo tempo, doveva essere “assolutamente lì” entro 10 minuti, pena la fine del mondo.

Chi glielo spiegava che anche ribaltando il vagone, quello non si sarebbe mosso? Non io.

Io pensavo che avrei dovuto cercare di sedermi e non infilarmi tra la parete e il reggimano vicino alla porta a sinistra. La leva che attiva la frenata di emergenza, nel costato, posso assicurarvi, non è piacevole.

Per nulla.

   
 
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