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Autore: Carla Marrone    11/06/2016    1 recensioni
Un'avventura umoristica, in cui, il mio OC, una glottologa, finirà nel mondo di Lost Canvas. Il suo scopo? Tradurre delle antiche pergamene, che conducono ad un misterioso, magico tesoro. Il tutto, possibilmente, prima che queste cadano nelle mani degli Specter. Ad aiutarla, i Cavalieri di Atena, che avrà occasione di conoscere.
Come unica avvertenza, il linguaggio, solo in alcuni punti, un po' scurrile. Mi piace illudermi che, talvolta, fosse più che necessario. Quando ci vuole, ci vuole.
Spero vi divertiate a leggere questa breve incursione nella realtà dei Saint Seiya, almeno quanto mi sono divertita io ad inventarla. Fatemi sapere, ci conto!
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5.CHIACCHIERE E SIGARILLOS  

Il mattino seguente mi sveglio con una gran voglia di urlare a mia madre di smetterla di sbattere tappeti, aprire porte e finestre e usare l’aspirapolvere. Poi, quando riacquisto maggiore lucidità, faccio presente a me stessa che, nel mondo in cui mi trovo attualmente, l’aspirapolvere non sanno ancora cos’è. Devo assolutamente scoprire da dove vengono questi fastidiosi rumori. Non che, lo scoprirlo, possa farli cessare. Dubito di trovare, nell’esercito della dea Atena, qualche individuo abbastanza mingherlino, da poterlo malmenare, per fargli cessare la sua chiassosa attività. Mi metto a sedere. Il letto di casa mia è, indubbiamente, più comodo. Dannazione, persino il giaciglio che ho sul pavimento della cantina, alla taverna di Zorba è più morbido! Qui sembra di dormire sui sassi. Ho male dappertutto. Se non altro, ho riposato. Cerco il fermaglio per capelli che ho lanciato per terra ieri sera, prima di addormentarmi. Mentre mi faccio il solito chignon disordinato, sbircio fuori dalla finestra. E comprendo il perché di tutto quel gran baccano. Apparentemente, si sta ricostruendo un’ala del tempio. Mi chiedo cosa possa essere stato a farla a pezzi. Gli Specter? Ieri, al buio e stanca com’ero, non avevo notato nulla. 

Mi butto addosso cardigan e sciarpa e mi dirigo fuori dalla mia camera. Non so esattamente dove andrò, ma visto che, al momento, la mia collaborazione non è più richiesta, credo che ne approfitterò per esplorare un po’ il luogo, alla luce del giorno. Ieri, il piccolo incidente con Manigoldo ha ostacolato la mia passeggiata. Passerò la giornata a sforzarmi di non pensarci, lo so già. 

Il gruppo di cellette, nel quale mi hanno ospitata, da su di un bellissimo viale alberato. Lo percorro tutto, fin quando, non giungo ad un punto panoramico. Sotto di me c’è l’arena, dove i cavalieri si allenano. Li osservo intenta e colpita. Compiono acrobazie incredibili e la loro bravura nelle arti marziali è pressoché encomiabile. Non oso pensare a cosa riescano a fare i guerrieri dalle armature dorate. Io ho seguito un corso di karate per parecchi anni, ma non arrivo neanche lontanamente al livello dei soldati che vedo davanti a me. E sto parlando di quelli che non indossano nemmeno l’armatura. La loro sì che si può definire una vita di sacrifici. Io non ho più la mia famiglia con me, è vero, ma, rispetto a loro, sono stata trattata coi guanti. Mi hanno persino invitata a mangiare alla loro stessa mensa. Per non parlare del permettermi di dormire fin quando ho voluto. 

Il mio sguardo è catturato da una combattente, particolarmente agile. E forte, a quanto pare. Colpisce con  talmente tanta potenza il suo avversario, con un semplice gancio, da farlo arretrare di parecchi metri. Wow! Io non ci riuscirei neanche se ingoiassi un container di spinaci. Tutto questo movimento fisico, anche se altrui, mi fa venire una gran voglia di battere la fiacca. Infilo le mani nelle tasche e ne tiro fuori un sigariglio ed il mio accendino. Inspiro una boccata di puro veleno e, non senza pensare alle dannose conseguenze del mio operato, espiro. Un giorno o l’altro, devo smettere. Il fatto è che i sigari, qui in Grecia, hanno un odore a dir poco ipnotico. Le sigarette che fumavo nel mio mondo non sono nulla in confronto. Mi tocca anche ammettere che, “il gesto”, ha il potere di calmarmi i nervi che mi vengono a stare qui, un ambiente così diverso da quello che avevo scelto per me. Ne ho bisogno per rassicurarmi, inoltre, non mi accendo un sigariglio da quando ho iniziato a svolgere le traduzioni. Che, per me, è quasi un record. 

“Le ragazze carine non dovrebbero fumare!” Riconosco la voce di Manigoldo. Che vanifica ogni mio sforzo per stare rilassata. Mi volto nella direzione da cui mi giunge la sua voce possente e canzonatoria e lo vedo risalire i gradini dell’arena. Indossa l’armatura. E’ davvero un peccato che qui non abbiano ancora inventato gli occhiali da sole, data la potente rifrazione di questo dannato sole, sul gingillo che il tizio si porta addosso. Viene verso di me, ma, si blocca a qualche passo di distanza. Inspiro una boccata di fumo ed espiro. 

“Elencami, per favore, tutte le connessioni che ci sarebbero tra la bruttezza e il fumare. E, ti avverto, non vale dire fumare è brutto. Comunque, se ne vuoi una, serviti pure.” Gli allungo la scatolina dei mini-sigari. Lui finge di non vederla. Scommetto che non sa cosa rispondermi. Appoggio una mano sul fianco, mentre continuo a portarmi l’altra alla bocca. 

Digrigna vistosamente i denti. Ma quanti ne ha? Secondo me, più del normale. “Bè, sai, il fumo uccide e veder morire una ragazza carina è meno piacevole che veder morire un vecchio, orrendo, vizioso.” Mi devo ricredere. Questo essere sa sempre, esattamente cosa dire. E mi sembra pure un po’ stronzo. 

Decido di cambiare discorso, volgendolo a mio vantaggio. “Grazie per il doppio complimento.” Gli sorrido con aria furba. Sbaglio, o ha detto “carina” per ben due volte? 

Il ventitreenne volge il viso dall’altro lato e si massaggia la nuca. Non l’avrò mica messo in imbarazzo? Non ci provare, con le tipe, se poi non sai che pesci prendere, dico io!  

Ma, ritorna pronto alla carica. Anche se mi parla senza guardarmi. “Sai com’è, dopo la tua esibizione esclusiva di ieri, non posso fare a meno di complimentarmi.” Adesso l’imbarazzo tocca a me e la faccia furba, a lui. 

Mi sposto su di un terreno più neutro. “Ho sentito il suono di una tabla e non ho potuto resistere alla tentazione di ballare.” Ammetto, con tono falso piatto. 

“Una… cosa?” Il giovane guerriero mi domanda spiegazioni. 

“Un tamburo egiziano. – apro la mano, libera dalla sigaretta, davanti a me e scandisco bene le parole. - L’ho sentito ieri, dalla quinta casa. Qualcuno lo suonava, qui all’arena.”  

Manigoldo lancia indietro la testa, come se si stesse, improvvisamente, ricordando di qualcosa. “Un cavaliere di nome Eliran lo usa come arma.” Mi informa. 

Sono incredula. “Per fare cosa? Rimbecillire i nemici, o farli stancare a furia di ballare? - Manigoldo ride. Tanto per cambiare. – Certo, una volta esausti, non dev’essere un problema sbattergli in testa il tamburo come colpo di grazia…” Concludo, non appena il giovane me ne da l’opportunità. 

Il mio interlocutore si appoggia il pollice sulla punta del naso e mi guarda beffardo. “Diciamo che è, più o meno, una cosa così.” Sguaina tutti i denti. “Non ti ho vista stamattina alla mensa.” Continua, poi. 

Faccio una smorfia disgustata. “Appena sveglia non ho tanto appetito. Ma mi rifaccio più tardi, sta tranquillo. Non devi temere l’invasione delle cavallette.” Gli strappo un altro sorriso.

Un momento di silenzio, durante il quale l’atmosfera cambia completamente, segue il nostro vivace scambio di battute. 

Manigoldo rompe il ghiaccio, con una frase che non mi sarei mai aspettata potesse uscire dalla sua bocca. 

“I tuoi genitori devono essere molto orgogliosi di avere una figlia così colta.” Mi fa questo enorme complimento, con lo stesso tono piatto, con cui ordineresti da bere al ristorante. Stavolta, avvampo io. 

“Mia madre si è fatta carico della mia istruzione. Quindi, credo sia contenta dei risultati che le porto. Mio padre, invece, non saprei. Non lo vedo da dieci anni, tre mesi e due settimane.” Ho cercato di imitare il suo tono calmo, ma, io che conosco bene la mia voce, come i miei sentimenti, so di non esserci riuscita.

Quando trovo il coraggio di voltarmi verso il ragazzo, mi ritrovo, puntato addosso, lo sguardo più intimo che qualcuno mi abbia mai rivolto. Perché cazzo non parla, adesso? 

Per fortuna, qualcosa che noto, oltre le spalle del mio interlocutore, fa virare la nostra attenzione su un altro fronte. 

“Ma quelli non sono mica Asmita e Dohko?” Chiedo preoccupata, allungando il collo. 

Manigoldo si volta e, notati i suoi compagni, decide giunto il momento di darsi agli urli da straccivendoli. “Allora siete ancora vivi, eh? – solleva un braccio all’aria – Spero abbiate portato qualche bel pensiero dal vostro viaggetto!” Parecchi soldati dell’arena interrompono il loro allenamento e prendono a guardarci. Sembra che tutto quello che riesce a fare il cavaliere d’oro del Cancro sia attirare l’attenzione. Per fortuna, anche quella delle persone cui si stava rivolgendo. 

Dohko solleva una pergamena sopra la testa e gli risponde:- Puoi dirlo forte, venite nella sala del consiglio!- E, detto questo, s’incammina su per la scalinata di marmo bianco che ivi conduce. 

“Andiamo.” Mi dice, senza voltarsi a guardarmi, il giovane guerriero.

Giungiamo alla presenza del Gran Sacerdote e c’ inchiniamo. L’anziano uomo mi fa cenno di alzarmi. A parte me e Manigoldo, nella stanza c’è anche un uomo dai lunghi e crespi capelli biondi con gli occhi color nocciola. Anche se indossa l’armatura d’oro, come gli altri, prima di adesso, l’avevo notato a malapena. Così come mi rendo conto, ormai tardi, delle condizioni in cui versa la salute dei due cavalieri che rientrano dalla missione. I loro vestimenti sono crepati in alcuni punti e, come peggior cosa, macchiati di sangue. I due, tuttavia, non sembrano scomporsi più di tanto. Rimangono chinati, in una posizione completamente statica. I loro volti hanno un aspetto placido. Incredibile. Hanno incontrato dei nemici abbastanza forti da riuscire a frantumare delle armature d’oro puro. Gli Specter sono davvero così potenti? Comincio seriamente ad avere paura. 

“Ottimo lavoro, Dohko e Asmita. - Dice il Patriarca. – Come puoi vedere, Miranda, la tua teoria era corretta. Esistono due mappe. – Srotola la pergamena che i due guerrieri gli avevano consegnato e me la mostra. – Qual è il tuo parere, ora?” 

Osservo con attenzione il foglio, poi, tiro un profondo respiro. “Posso tradurre questa mappa con facilità, ora che conosco l’altra. Credo che questa corrisponda alla seconda scrittura in lingua popolare, quella su cui non avevamo riscontro. Aggiungerei anche che, questa volta, ci condurrà allo scrigno.” Annuisco due o tre volte per l’impazienza. Non vedo l’ora che mi consegni la pergamena che ha in mano, per poter verificare se la mia sparata ha almeno un fondo di verità.  

Come previsto, la trasposizione non mi porta via più di mezza giornata. Quanto ipotizzato si rivela esatto. Adesso, dovrebbe essere possibile arrivare al tesoro, indicato dalla seconda mappa. Lo faccio presente al Gran Sacerdote, il quale incarica Manigoldo e Shion, il ragazzo che avevo visto nell’Aula Magna, poche ore prima, di recarsi sul luogo e recuperare lo scrigno magico.

Quando vedo il cavaliere del Cancro allontanarsi, mi rendo conto di non riuscire a staccare gli occhi dalla sua schiena, così, quasi senza volerlo, mi ritrovo ad augurargli buona fortuna. Il giovane si arresta, per un attimo, e, senza voltarsi completamente, mi regala uno dei suoi sorrisi gioviali e grotteschi. “Non c’è Specter che possa tenermi testa.” Mi rassicura, con la sua voce profonda. Io ho fatto quel che potevo. Il resto, ora, sta agli eroi. 

Mi reco alla mensa, poi, vado per direttissima a dormire. Voglio svegliarmi domani e scoprire che tutto è andato per il meglio. Che i Cavalieri non sono feriti e lo scrigno è al sicuro nella stanza di Sasha. Certo, a dirla tutta, l’ideale sarebbe se mi svegliassi nel letto a due piazze della mia cameretta.

   
 
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