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Autore: Peppe_97_Rinaldi    12/06/2016    4 recensioni
L’organizzazione paramilitare del Red Ribbon… e la sua distruzione ad opera di un misero ragazzino.
Quello fu l’inizio di tutto… Quello portò alla nascita di due efferati cyborg…
"Idiota": questo è quello che C-18 pensa di Crilin, inizialmente. Eppure arriveranno a sposarsi, e ad avere anche una famiglia. Come? Perchè? E C-17... cos'è lui per la bella C-18?
Il dottor Gelo li trasformò in cyborg, privandoli della loro umanità: perchè? Su 19 androidi, gli unici due ad avere base umana: qual è la ragione di ciò? In questo stato di robot, ha ancora senso la vita?
E cos'è la vita, l'amore? Dove sono nati? Avevano una famiglia come tutti?
“Dunque quella missiva è stata inviata dal Red Ribbon, o meglio… da uno dei sopravvissuti…”
Il ki… E’ un bene saper controllare questo potere?
Ma il dottor Gelo… fece tutto ciò solo per pura vendetta? Qual era il suo scopo?
“Se lo conoscevo, dici? Ovvio. Era il mio androide numero 13!”
“Mamma… papà… Mi mancate…”
Segreti da svelare, occultate verità, riscoperta dei valori, nuovi personaggi... e soprattutto uno strano ragazzo porteranno questi giovani a scoprire il loro presente, passato e futuro... quali misteri si celano nelle loro figure?
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Dr. Gelo, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: 18/Crilin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ansimava.
     Ansimava, tossiva.
Tossiva, sputava saliva e sangue, ansimava.
     Ecco quale spossatezza gli stava facendo compagnia.
Era un sadico susseguirsi di scene tutte uguali fra loro, pervase quasi da un senso di monotonia.
     Kim tremava per il freddo, per l’acqua e per il fango che gli sommergevano – talvolta fino alle caviglie – i piedi nudi, li sentiva arricchirsi di ferite, fino a quando una pietra troppo grande sul suo cammino lo faceva crollare di faccia a terra in una nuova sudicia pozzanghera.
In realtà non sapeva dire se le cadute erano dovute al terreno instabile, al suo corpo esausto oppure a diversi svenimenti, e siccome aveva la sensazione di impiegare troppo tempo per quel tragitto era terrorizzato al pensiero di essere svenuto proprio in simili frangenti, e così preferiva credere che il terreno fosse troppo scivoloso.
Si rialzava, provava l’impulso di abbandonare lì la sua camicia ormai ridotta a straccio vecchio e zuppo – ma non lo faceva – per il fastidio di tenere sopra la pelle già divorata dal sudiciume un tessuto così scorticato da risultare pesante.
E poi c’era il sangue. Lo sentiva caldo nella sua gola, veemente che scivolava dalle sue labbra, spietato che fuoriusciva dalla ferita sulla spalla, con il proiettile ancora circolante nella carne.
     Ricordava molto bene le parole di John. I due ragazzi avevano percorso con lo scooter una distanza assurda, ma alla fine avevano dovuto fermarsi. Potevano continuare a piedi, tuttavia è stato allora che era comparso.
Roy. Il leader della baby gang. Un ragazzo pieno di misteri, ma a quanto pareva un fedele alleato di Gelo, perché aveva dichiarato che solo Kim avesse il permesso di proseguire e raggiungere la grotta. John avrebbe dovuto rimanere lì. E quando i due giovani si opposero, Roy infuriò sul biondo.
“Non ti preoccupare per me” gli aveva gridato John. “Ti raggiungerò appena posso, tu spicciati!”.
E mentre se ne andava, lo scroscio della pioggia che si abbatteva sul tafferuglio venutosi a formare non gli impedì di ascoltare l’urlo di John che esclamava, in tono finalmente non più ostile: << Kim, ce la puoi fare! >>
A ciò era seguito l’inconfondibile tonfo di un corpo che veniva picchiato per terra.
 
     Sulle guance di Kim le lacrime erano ormai diventate un tutt’uno con la pelle, e sentiva tutto il suo corpo madido di sudore, sangue e fango.
Erano passate un paio d’ore, forse di più, da quando aveva sentito per l’ultima volta i due gemelli. Da quando essi si precipitarono a nascondersi nel loro rifugio, il rifugio che doveva essere segreto…
…e la cui esistenza lui aveva rivelato all’artefice di tutto quello che stava accadendo.
     Adesso, Kim non sentiva più. Forse provava dolore, ma si trattava di un dolore talmente esagerato che andava oltre la sua stessa comprensione.
Oh, no. La “comprensione” era la realtà più lontana ed inafferrabile che potesse esistere in quel momento.
     Emise un gemito amaro e prolungato quando cominciò a risalire il pendio della collina.
Un tempo appoggiati a quegli arbusti riusciva a scorgere solo le sagome di tre innocenti bambini. Ora invece a un’aria aspra erano attecchiti mortali e piangenti sussulti.
Sussulti? No, erano voci di disperazione… Ma erano reali, o le stava solo immaginando?
Invece scoprì che una voce esisteva per davvero.
 
     Era arrivato quasi alla cima della collina quando per la prima volta scoprì la voce di uomo... E quell'uomo era suo padre.
<< Tutti quegli anni di sacrifici, di finta benevolenza alla fine quindi sono serviti! >> sentì infuriare quello che pareva più un aberrante miscuglio di suoni che la voce di un umano. << E vi ricordate tutti i vostri sorrisi? Eravate così piccoli, innocui… e ingenui! >>
 
     Nel cielo si raccoglievano sudice stoffe sanguigne di nuvole e scaricavano la loro rabbia sotto forma di tuoni e bagliori, formando una cupola tremolante e preda di un grande caos, risultato della lite per decidere chi fra le luci e i rumori dovessero risultare più spaventose.
Effetto del litigio celeste fu un’intermittenza di luce accecante e profonda oscurità, nella quale si riusciva a distinguere soltanto la voce del tuono.
Pareva volessero accompagnare la corsa del ragazzo, scandendo rapidamente il tempo con la loro impetuosità, e facendo coincidere ogni suo piccolo passo con un nuovo e terrificante bagliore, intermittenti ed imprevedibili come una lampada guastata.
In effetti, era una lampada, solo che più grande e temibile.
 
     Mentre Kim fu costretto a chiudere gli occhi per un nuovo lampo, poté udire il lamento di Gelo: << Peccato che lui sia così debole, mi sarei divertito un mondo a vederlo diventare un inutile robot e obbedirmi così stoltamente! Inutile essere… Ma non fa niente, adesso ho voi qui con me, e farete solo quello che vi ordinerò…! >>
Quando la luce si estinse, nel bel mezzo di una parete fatta di speroni e cespugli, a una distanza non ampia ma fastidiosa, trovò un'insenatura. Questa portava all'interno di una caverna buia.
Era da lì che proveniva quella folle voce.
     Intanto l’efferato uomo completava definitivamente l’operazione. Era la realizzazione ultima del sogno della sua vita. Ora poteva ottenere tutto. Secondo il dottor Gelo, si era appena verificata l’acquisizione di un senso da parte di tutto ciò che era accaduto sino a quel momento. Secondo Kim, come avrebbe pensato in seguito, questa era la definitiva consapevolezza della più assurda mancanza di senso.
     Se erano più veloci i suoi piedi nel terreno o piuttosto il cuore nel perforargli il petto, questo il ragazzo non lo sapeva. Ma correva mentre piangeva e lacrimava mentre imprecava, in un unico soverchiante guazzabuglio di dolore. Credeva di avvicinarsi all’insenatura, ma la vedeva anche diventare sempre più lontana. A riportarlo alla realtà fu la voce – proprio lei – del padre, il quale: << Pulcini miei… >> iniziò, pronunciando con feroce enfasi quelle tragiche parole, da sempre usate con meravigliosa dolcezza ma adesso cariche di rabbia. << Pulcini miei… Rinascete! >>
     In quell’istante un tuonò si abbatté con tutta la propria indomabile forza sul fragile terreno, arrivando a terra con la forza di una bomba. La grotta vibrò, degli alberi presero fuoco e crollarono spaventati, e Kim sentì il suo cuore paralizzarsi e poi implodere. Non avrebbe voluto, ma cacciò altre lacrime: ripartì, spedito verso la caverna. Nonostante tutto… Era lì che essi si trovavano.
     Ritornò così nel  suo antico rifugio segreto.
 
Il folle uomo ebbe un solo sussulto. Sarebbe stato l’ultimo. << E’ venuto a salutarvi… >> commentò, e si voltò lentamente senza scomporsi. Fu allora che vide il ragazzo sulla soglia della caverna.
Kim dispose di un solo attimo per osservare l’uomo prima che lo sguardo ricadesse dietro di lui.
Sgranò gli occhi.
    Il dottor Gelo. Un uomo non troppo anziano, apparentemente affidabile ed amorevole, anzi. Semplicemente meraviglioso. Un uomo che aveva sempre permesso al figlio di sconfiggere la timidezza e avere un qualcosa per cui vantarsi: un padre eccezionale. Adesso, dietro il suo camice bianco ma ricoperto da numerose macchie di sangue, e adagiati su due diversi letti, li trovò. In realtà Kim pensò di trovarli, giacché ormai Jason e Jodie non esistevano più.
Ciò che vide erano soltanto corpi. Due corpi umani che giacevano immobili e senz’anima, completamente nudi. Nient’altro.
Da quel momento in poi – e forse per tutto il resto della sua vita – ebbe gli occhi costantemente sbarrati dal terrore, per cui per noi lettori sarà inutile continuare a ripeterlo.
Tremò, come se lo avessero appena pugnalato al petto. Fu uno scatto rapido, breve ed intenso: in futuro sarebbe stato colpito da scatti del genere senza preavviso, a volte, suscitando forte imbarazzo ai presenti di turno.
<< No… No…! >>
L’uomo sembrò oscillare, ma solo per posizionarsi meglio. << Sono felice di rivederti, mio caro >> disse. << Così prima che tu possa morire potrò assistere ai sensi di colpa che ti divoreranno inesorabilmente >> .        
Kim sentì una forte pulsazione alla testa. << Se solo… se solo li avessi ascoltati… >>
Quello che aggiunse Gelo fu del tutto destabilizzante. Spesso, diciamo piuttosto sempre, Kim da adulto avrebbe continuato ad interrogarsi in proposito: perché l’uomo stava dicendo quelle cose? Aveva ottenuto il suo obiettivo, perché ora uccidere lentamente il figlio?
<< “Oh no, dovevo stare zitto, non dovevo rivelare il nostro segreto, non dovevo fidarmi…?” E’ questo quello che stai pensando, vero? >> lo sbeffeggiò, con un’espressione stralunata. << Dì piuttosto: “Sono stato uno stupido per tutta la mia breve vita!” >>
     Di scatto, i corpi esanimi dei due ragazzi aprirono gli occhi.
Improvvisamente si diffuse in tutta la grotta quella che pareva essere una folata di vento, talmente potente e densa da graffiare i presenti. In realtà si trattava di ki.
Kim si parò gli occhi con il braccio, ma la dispersione del momento non gli impedì di notarli. Erano al centro della tempesta, nel punto in cui si trovavano i due letti coperti di sangue, e adesso si stavano lentamente alzando.
Il dottor Gelo ruppe la sua difficilmente conservata compostezza, e cominciando a gesticolare forsennatamente gridava: << Sì… Forza, venite avanti, cyborg! >>
 
     Le immagini che seguirono erano destinate a rimanere scolpite nella memoria di Kim in maniera indelebile.
Egli vide due sagome fuoriuscire dalla misteriosa foschia, e finalmente apparvero ai suoi occhi.
Tutto il resto sparì, divenne nulla. La casa, le fiamme, il dolore, il padre: niente aveva più importanza. Adesso esistevano soltanto loro tre.
Jason e Jodie erano dinanzi a lui, a un solo paio di metri di distanza. Erano loro due, i loro corpi sembravano uguali a prima, ma Kim capì che qualcosa era diverso.
     Ciò che gli sembrò inappropriato era il loro sguardo. I loro occhi azzurri erano così gelati da fargli provare un brivido di freddo sulla pelle. Occhi non socchiusi, non spalancati; non cattivi, né misericordiosi; né colmi di astio, né supplicanti. Vi era solo il ghiaccio, una cupa freddezza da renderli impassibili.
Silenziosi e pericolosi, Jason e Jodie erano dritti e fieri, sicuri nonostante fossero nudi. Questa era un’ulteriore cosa fuori luogo. Mostrare le proprie nudità significa avere intimità con una certa persona, ma ora se ne stavano lì, ritti in piedi, in quell’oscura caverna e in presenza di Gelo, e per giunta cominciavano a camminare…
Esatto. Kim si rese conto lentamente che avevano cominciato a muovere piccoli passi, nella sua direzione. Non riuscì a trattenere un singhiozzo; le gambe gli cedettero e crollò in ginocchio per terra.
Aveva capito cosa si trovava di fronte.
<< E’ colpa mia… Non sono stato neanche in grado di salvarvi… >> mormorò.
Li squadrava gelosamente, desideroso soltanto di amarli mentre non riusciva a soffocare il rimorso, mentre i giovani e forti corpi di Jason e Jodie arrivavano al suo cospetto.
<< Grazie di cuore… per tutti gli anni passati insieme >> disse, e decise finalmente di arrendersi.
Udì la voce dell’uomo imperare: << C – 17, C – 18, uccidetelo >>, e notò come Jason e Jodie scattarono le braccia in avanti, come se rispondessero a quei nomi. Anzi, a quei numeri.
I ragazzi divaricarono le dita, puntando le mani aperte verso Kim, e i loro palmi si illuminarono istantaneamente di una luce gialla. La luce prese consistenza, schizzò, e due saette si ritrovarono a sfrecciare  dalle mani dei gemelli, confluendo infine in un unico e violento raggio.
Ormai sconfitto, Kim chiuse gli occhi.
     Quel giorno, nel tramonto, oltre a un feroce temporale rimbombò anche un’indimenticabile esplosione.
 
 
 
 
 
 

Essere cyborg, Capitolo 34:
L’ecosistema del potere - La storia del dottor Gelo

 

 
 
 

     L’esplosione che seguì fu terribile: i cyborg avevano davvero un potere formidabile.
Avevano appena ucciso un umano, la prima vittima di una lunga e sanguinosa lista… No, questo era quanto Gelo sperava.
     Era appena terminata la vita di due umani, di due semplici ragazzini, e dalle loro ceneri erano nati efferati cyborg. Robot impressionabili e senza emozioni, macchine da guerra che avrebbero incondizionatamente obbedito a qualunque suo ordine. Da quel momento la loro forza e la loro volontà sarebbe stato al suo servizio.
     Questo, secondo i piani i Gelo.
 
 
     Ma Jason e Jodie non avevano la minima intenzione di essere delle marionette.
 
     Quando riaprì le palpebre, Gelo rimase senza parole.
Ciò che vide era un insensato ammasso di detriti e sporcizia; Kimley era stato scaraventato via dalla grotta, e si trovava in pietose condizioni disteso sul terreno antistante l’entrata del rifugio. Lo osservò, e capì che il ki dei suoi cyborg non l’aveva affatto colpito, e probabilmente era stato sbalzato via dalla semplice onda d’urto. Oppure ancora…
Si ritrovò a sgranare gli occhi increduli.
     Kim sbatté i pugni sul fango, e si rizzò in piedi. Non poteva sbagliarsi: Jason e Jodie avevano colpito volontariamente la parete alle sue spalle, e immediatamente dopo aveva sentito sulla pelle quella strana sensazione, una sorta di vento proveniente dai corpi dei gemelli, talmente potente da scaraventarlo fuori dal rifugio.
Kim stette in silenzio a percepire la pioggia che gli scrosciava sul corpo. Gelo respirava paurosamente, con molta cautela: rimasero entrambi muti, mentre i due cyborg afferrarono due mantelli neri – probabilmente preparati da Gelo per loro – e li indossarono.
Non più nudi, chiusi con gelosia in loro stessi, uscirono all’aperto. Nonostante le loro espressioni imperscrutabili andarono da Kim.
     Lo scienziato li seguì, ma rimanendo all’interno della caverna.
 
Era il momento finale: tutti e quattro in quello stesso assurdo luogo, e ognuno cercava di capire la prossima mossa da fare.
Kim notò lo sconcerto dell’uomo, e pensò dovesse essere terrorizzato: non sapeva bene cosa fosse successo, ma in ogni caso Jason e Jodie non avevano risposto ai suoi comandi. I suoi preziosi cyborg gli avevano disobbedito.
     I primi a parlare furono proprio loro.
<< 17 >> sussurrò Jason.
<< 18 >> fu il mormorio di Jodie.
Gelo annuì. << Esatto, sono i vostri nomi. Voi due siete i miei cyborg, e vi posso assicurare che siete le mie creazioni più potenti >> .
<< Non sono creazioni tue! >> sbraitò Kim. Padre e figlio incrociarono i loro sguardi, e il ragazzo disse soltanto: << Perché tutto questo? >>
L’uomo parve incresciosamente infastidito. << Ecco perché ti dovevano uccidere >> .
Il giovane scrutò mestamente i suoi migliori amici. << Roy… Lui mi ha permesso di arrivare fin qui, perché tu volevi vedermi. Il tuo scopo era uccidermi, sin dall’inizio? Perché… Perché diamine mettere al mondo un figlio se il tuo obiettivo è ucciderlo?! Dimmelo! >>
Serrò e spalancò le mani più volte, senza mai smettere di imprecare o levare gli occhi dai due gemelli. << Sono dei cyborg adesso, ma credi che questo mi possa fermare eh? >> Trovò l’ardore di ridacchiare. << Dovrai farmi fuori veramente se vuoi conservarti le tue creazioni >> .
Non prese un istante di fiato, non un respiro. Era determinato, nonostante le sue domande, a non farlo parlare. Avrebbe voluto delle risposte, ma tanto sapeva che non esistevano. << Tu continui a chiamarti uomo? >> infuriò, e iniziò a barcollare, a tossire, e a scattare il capo in varie direzioni. << Non hai pensato nemmeno per un istante, nemmeno per un unico, misero, schifoso istante a me? A Jason e Jodie, a quello che avrebbero voluto, a come mi sarei sentito io? A mia madre… Tua moglie, maledizione! >>
     I due cyborg seguivano ogni suo movimento con gli occhi, mentre Gelo si mostrò disposto a lasciarlo parlare.
Dalle labbra di Kim si levò un lacerante urlo di rabbia, colmo di dolore e di agonia. Sputò sangue sul suo braccio. << Per colpa tua mia madre è morta! >>
     Il suo astio e il suo sdegno implosero in una serie pressoché spaventosa di motivi per cui odiarlo, che elencò con l’indice puntato contro, con i pugni volteggianti in aria e con numerose sputi ricchi di saliva mista a sangue, nemmeno per i quali volle permettersi un respiro. Il fiato vacillava e riacquisiva vigore costantemente, mentre gli sferrava in faccia il dolore che stava – e avrebbe – provato per la morte della mamma del maggiordomo arsi vivi, per la distruzione della sua casa, e per la bieca spietatezza nei confronti di suo fratello e sua sorella, sottolineando con enfasi questo legame affettivo assolutamente fondamentale per la sua stessa esistenza.
Non avrebbe mai più potuto vivere, ci tenne a gridargli, perché non aveva una casa dove vivere né tantomeno persone con cui condividere la sua vita.
     Era per questo che aveva cercato di ucciderlo? Perché sapeva che ormai la sua persona era morta?
Esatto, perché a Kim non occorreva certo un corpo con cui mangiare in solitudine per dichiararsi vivo. Gli servivano persone, semplicemente queste.
E lui gliele aveva stappate tutte, dannazione!
<< Ma ora me le stappo io le persone che voglio >> annunciò con un ansimo, e scattò davanti a Jason e Jodie.
 
     Afferrò le mani del fratello e le tirò a sé, costringendo i suoi occhi a lacrimare: tutto affinché i suoi sentimenti arrivassero addirittura al cuore di un cyborg.
<< Jason! >> lo chiamò furente. << Svegliati, e vieni con me! >>
Kim attese senza esito una reazione da parte di quei tanto conosciuti occhi azzurri, e lasciando una sola mano del ragazzo provò ad afferrare quella della sorella. Per premettere al braccio della biondina di uscire allo scoperto scostò eccessivamente il mantello dal suo petto, e fu in questo che Jodie ebbe una reazione.
Improvvisamente, Kim si ritrovò gettato a terra da un brusco schiaffo in pieno volto.
 
     Crollò seduto nel fango, squadrando incredulo la ragazza. Anche lei era piuttosto perplessa: per qualche motivo, ciò che aveva appena fatto la turbava.
Kim esitò, per poi ghignare soddisfatto e dare sfogo a una risata isterica. << Quindi non sei soltanto un robot, Jodie! >>
A quel puntò il dottor Gelo si precipitò. << Ora basta, fermati! >>
<< Fermarmi? >> ripeté Kim, come se l’uomo avesse pronunciato la parola più assurda possibile. << Ho appena cominciato! >> gridò, e rizzandosi in piedi diede un violento strattone a suo padre.
Poi riprese a incalzare i gemelli. << Venite con me, non me ne frega niente se siete umani o cyborg, siete sempre voi! Jason… >> lo chiamò, puntandogli contro il suo sguardo inarrestabile. << Jodie! >> esclamò, e la vide ricomporsi.
La preda della sua furia ritornò allora ad essere il padre, e Kim gli espresse tutta la rabbia e il disprezzo che sapeva lo avrebbero inesorabilmente annichilito.
E poi… Chi era mai Roy? Quando il giovane lo aveva pestato con inaudito sadismo, e quando lo stesso lo aveva sparato alla spalla? Quelli erano ancora ordini di Gelo? Desiderava così tanto vedere il figlio morto da ridursi a simili mezzi?
<< Oppure avevi paura che io potessi salvare Jason e Jodie, e pur di avere degli schiavetti con cui giocare eri pronto a eliminarmi? >> si rese conto. << Quindi hai sempre dato la priorità al tuo lavoro, al Red Ribbon. Ah sì, perché tua moglie prima di morire mi ha detto anche questo >> .
All’improvviso il cuore gli arrivò in gola. Sentì la schiena curvarsi sotto il peso di questa nuova, allucinante consapevolezza. << Mamma e Alphonse erano stati sparati… Ma non mi hanno detto da chi >> sussurrò, e squadrò l’uomo con una rinnovata carica di incredulità.
Gelo provò a dire qualcosa, che non era stato lui, ma il figlio non gli permise di parlare e riprese: << Loro avevano scoperto tutto, la baby gang, Roy, il Red Ribbon… Ma sì, è ovvio, ti hanno affrontato e tu… Tu… >>
Fu allora che un ulteriore sobbalzo lo interruppe. Nella sua mente si era appena costruita un’altra deduzione, e così dichiarò gravemente: << Edward e Hilary >> .
 
 
     Fu in quel momento che le coscienze di Jason e Jodie sembrarono riaffiorare. Sino a quel momento essi erano rimasti insolitamente silenziosi ad ascoltare la conversazione dando parvenze di assenteismo, ma quando Kim pronunciò quei nomi i loro occhi finalmente si mossero con – seppur piccolo – interesse.
<< Erano poliziotti. Sarebbe stato facile per loro scoprire la verità >> si avvide il ragazzo. << E così come hai fatto con mamma e Al, anche… Edward… Hilary… >>
<< Kimley >> provò a dire lo scienziato, ma la sua voce venne prepotentemente soverchiata da quella del ragazzo, che riprese: << Come hai potuto? COME? >>
<< Ma tu credi che per me sia stato facile ammazzarli?! >> infuriò bruscamente l’uomo.
     Seguirono attimi di pausa, in cui il temporale tornò a farsi sentire.
In quell’ora avrebbe dovuto esserci il tramonto, ma invece nessuno lo vide, in quanto le nuvole erano più arroganti del Sole.
Il giovane si passò la mano nei capelli, strofinandosi su per la faccia uno spesso strato di sudiciume. << Sei davvero stato tu… >>
L’uomo sospirò, e la sua voce ritornò ad essere fredda e sadica. << Ho dovuto eliminarli… Sono stato costretto >> .
     Ed ecco che debole come un alito di vento, un piccolo soffio di voce provenne dalle labbra di Jodie. << Hilary. Edward… >> sembrò soppesare.
 
Kim sobbalzò e le si scaraventò davanti, in tono esagitato. << Esatto! E lui, quest’uomo… >> spiegò ansimante, indicando vagamente Gelo e riuscendo con difficoltà a pensare a lui come ad un uomo. Intendeva urlarle la verità, farle capire che non avrebbe mai dovuto obbedirgli, ma le parole di Jason si sovrapposero alle sue e privarono prepotentemente il suo fiato del coraggio di manifestarsi.
<< …Chi sono? >> chiese il corvino in tono spento.
Per Kim significò un nodo alla gola. Lo fissò esterrefatto, e assieme a un sofferto e prolungato respiro acquisì anche un’ostile consapevolezza.
     Jason e Jodie, adesso cyborg, non avevano più memoria del loro passato. Non sapevano chi fossero, che cosa significasse la loro presenza lì, in quel momento. Gelo li aveva derubati di tutto, fino all’ultimo: ciò simboleggiava l’incontrastabile trionfo della violenza, la quale era stata l’unica artefice della privazione di tutto ciò che apparteneva loro. Casa, amici, famiglia, felicità.
     Libertà.
     Coscienza di sé. Ecco cosa uno spasmodico desiderio di primeggiare aveva causato.
     La definitiva perdita di tutto.
 
Kim non riuscì a far altro che indietreggiare, e senza rendersene conto le sue ginocchia sprofondarono lentamente nel fango, in quella che volle ritenere la più profonda pozzanghera che al mondo potesse esistere.
Pensò di dover finire soffocato da quell’acqua, e ne fu lieto, ma invece erano solo le mani ad essere affondate, con le quali raccolse scivolosi grumi di fango e li portò ai capelli per soddisfare il bisogno impellente di provare una qualsiasi sensazione umana.
<< Era meglio se mi uccidevi >> commentò infine con un sussurro spento. << Almeno dimmi perché. Perché tutto questo >> .
Dovette trascorrere molto tempo prima che il dottor Gelo decise di confessare. << Il mio non è un semplice desiderio di vendetta. E’ vero, è stata colpa di un bambino se il Red Ribbon è finito, ed è per questo che nei circuiti di C – 17 e C – 18 ho scritto un preciso ordine. Eliminarlo >> .
<< Nemmeno un bambino può farti cambiare idea. Del resto nemmeno io ci sono riuscito >> osservò il giovane. << Vuoi costringere dei ragazzi che hai cresciuto come figli ad essere degli assassini? Sei uno schifoso illuso, non lo faranno mai >> .
<< Gli ordini del loro creatore sono assoluti, dovranno farlo >> rispose Gelo. << Prima di loro ho costruito ben 16 androidi, ma la maggior parte era difettosa e così ho dovuto annientarli. Solo quattro sono ancora funzionanti.  E uno di loro… E’ Roy >> .
 
Per Kim fu un tuffo al cuore. Si ricordò istantaneamente di tutto il dolore che aveva provato, e che per molto tempo ancora lo avrebbe accompagnato, a causa del pestaggio subito. Ripensò alla rapina in banca, e a Roy che fuggiva con entrambi i sacchi colmi di denaro.
Scosse il capo ripetutamente, provò un ghigno ma il suo tentativo venne stroncato da uno spasmo di tosse. Si rizzò in piedi, assimilando la notizia dello squallido atteggiamento di Gelo nei confronti della baby gang: lui in realtà l’aveva solo controllata mentre, tutti cercavano di risolvere la faccenda. << Jason e Jodie in una baby gang. Scoprirlo mi ha sconvolto. Ho fatto di tutto per bloccarli, imploravo te e mamma di fare qualcosa. Mamma evidentemente ci ha provato, e la morte sarà la sua punizione. E tu… >>
Appena l’immagine della sua Susan si stagliò nella mente, Gelo mosse un passo in avanti pronto a ribattere, ma Kim lo interruppe con un grido. << Mi sono pure chiesto come mai non facessi niente! >> esclamò. << Era ovvio, eri tu a controllare la baby gang! Che… Che pezzo di merda che sei, e io che mi fidavo di te! >>
Le gambe del ragazzo si mossero frettolose e sbadate in avanti; una crollò e l’altra la tirò su; si trattava ormai di un groviglio di mani e gambe, inoppugnabilmente tenute insieme dalle lacrime. << DIMMI PERCHE’! >> strillò. Seguirono numerosi sussulti e indugi, e infine un gracile mormorio: << Dimmi perché >> .
     Fu allora che accadde.
 
     Il dottor Gelo incrociò lo sguardo del giovane. Qui si soffermò, gustando la vista della passata delicatezza di quella figura ma immaginando la falsità della loro precedente relazione padre-figlio, e così nei suoi occhi incontrò la stessa disperazione di un certo bambino.
Un bambino gravato da una condizione decisamente peggiore della sua.
     Ripensò a quel ragazzino, individuo destinato sin da piccolo a rimanere tale per sempre: soltanto un singolo, un qualunque e insignificante moscerino all’interno di un immenso universo.
Ma era stato il medesimo universo a crearlo, e pertanto il ragazzo riteneva inammissibile che fosse costretto a sottostargli tutta la vita.
“Tu mi dai la vita. Io ti supero” pensava.
Altrimenti avrebbe significato nascere per essere un servo, la più tremenda forma di schiavitù.
E lui, la schiavitù, aveva deciso di combatterla.
 
 
 
 
 
     Era una mattina di pieno Agosto, e l’afa era talmente forte che pareva essere un oggetto alla portata di mano, anche per un ragazzino come lui abituato a non possedere nulla.
<< Bé, almeno questo ce l’ho io e ce l’hanno tutti >> osservò ad alta voce. In verità non era in compagnia, ma gli piaceva un sacco parlottare da solo a voce alta: gli dava la sciocca sensazione di avere amici con cui condividere i suoi pensieri.
“Che cosa stupida”, si rese conto. Ma del resto, un’azione così semplice e forse per alcuni automatica – parlare da solo – era l’unica controreazione che poteva muovere contro la sua vita.
Oh, non che fosse un tipo ribelle.
     Era soltanto un bambino, ma accettava già serenamente la propria condizione. Era l’unico figlio di due poveri contadini, e quasi interamente trascorreva le sue giornate zappando la terra, a tal punto che la notte – suo unico momento di riposo – era così preziosa che quasi non voleva sprecarla a dormire. In questa maniera le ore sarebbero passate troppo velocemente, e avrebbe avuto la sensazione di non riposare affatto.
Questo provocò in lui un’insonnia che non lo abbandonò nemmeno da adulto.
     I tre vivevano in una catapecchia di legno nel bel mezzo della terra: erano tutto quello che potevano permettersi, e così per andare avanti sfruttavano una piccola porzione di terreno per dar luogo al “miracolo”, come il bambino era solito chiamarlo.
Tu buttavi delle scemenze nella terra, e dopo un po’ esattamente in quel luogo vedevi crescere delle piante: un qualcosa che nasceva dal nulla, e solo perché l’uomo l’aveva prima voluto, e poi consentito.
Di quel poco che deteneva, sapeva bene di poterne scegliere il destino.
     Tuttavia, imparò presto che tale filosofia di vita non era una sua prerogativa.
 
     Le urla e le lacrime supplichevoli della madre: era abituato anche a questo. O infastidito dalla spietatezza della vita, oppure ubriaco – quando tornava dal paese lì vicino – il padre del bambino era solito picchiare sua moglie, oppure prenderla a cinghiate. E ogni volta era un nuovo e più potente terrore: se rimaneva in silenzio ad ascoltare, il ragazzino contava in silenzio quelle assurde percosse, sperando di avvicinarsi il più velocemente possibile alla conclusione del supplizio. Se invece interveniva, come faceva il più delle volte, la conseguenza era automatica: subiva il doppio delle percosse che la madre avrebbe dovuto ricevere.
     Ecco perché quando si rese conto di odiare suo padre era ormai troppo tardi.
 
Quella volta il ragazzino indossava soltanto una canotta e dei pantaloncini laceri, e stava proprio asciugandosi il sudore dalla fronte quando sentì uno dei soliti gridi di implorazione della madre.
Non ci fu niente di nuovo quella volta, nessuna reazione del padre diversa dal solito. Solamente, il vaso di Pandora venne aperto, e tutte le bestiali fratture nell’animo del bambino implosero e si dissolsero in debole polvere.
     Non sapeva esattamente perché lo stava facendo, ma di una cosa era sicuro: quando entrò in casa e trovò la madre seduta per terra con il volto gonfio di lacrime e il padre con la cinta già alzata in aria, decise di reagire. Non perché potesse o intendesse stabilire le sorti di colui che l’aveva generato, ma poiché si rese conto che la madre non era in grado di sconfiggere da sola la sua schiavitù, e lui, da figlio, aveva il dovere di aiutarla.
     Al suo fianco trovò un tavolino con piccoli pugnali e un repertorio di cinghie. Piccoli affetti del padre. Impulsivamente afferrò un pugnale, lo brandì minacciosamente e lo conficcò nel petto dell’uomo.
     L’urlo agghiacciante che la madre cacciò rimase per sempre impresso nella sua memoria.
 
 
     Il ragazzino non intendeva uccidere il padre. Si interrogò a lungo sul perché del suo gesto, e solo da adolescente seppe darsi una risposta: era stato una vittima.
Vittima dell’influsso malefico delle armi.
     Sentiva spesso come le armi e la guerra suscitassero nel cuore degli umani il desiderio di servirsene, perché gli esseri umani sono creature intelligenti ed altruiste, vero, ma anche incredibilmente egocentriche.
Lui non pensava di poter annientare la vita di suo padre. Voleva bloccarlo, impedirgli di arrecare altre sofferenze alla madre, e questo perché la amava incondizionatamente, ma mai si sarebbe visto capace di un atto del genere.
Uccidere era sbagliato, e lo sapeva bene. Eppure… Da quel giorno tutto migliorò. La donna sembrò ritornare lentamente alla vita, e di riflesso anche lui.
     Aveva ucciso il padre, ma adesso erano felici.
Aveva levato alla madre un oggetto che le procurava fastidio.
L’uomo era stato un loro oggetto, e quando non ne poterono più se ne liberarono.
Loro erano stati detentori delle sorti di quella miserabile cosa.
     Credeva che avrebbe dovuto combattere la sua schiavitù, e invece scoprì che per la prima volta in vita sua lui era stato padrone, e qualcun altro il miserrimo oggetto.
     Come si erano liberati loro due dalla schiavitù, così avrebbe potuto fare chiunque.
E lui, da uomo, avrebbe dovuto aiutare tutti coloro che ne avessero avuto il bisogno.
 
 
     Ritorniamo però a quando era soltanto un ragazzino. Lui e sua madre, soli al mondo, vissero un primo momento di elemosina per le vie del paese, e il piccolo Gelo non si dimenticò mai di tutti gli sguardi di compassione, di come li odiava, e di come ragazzi o uomini ricchi si divertissero a sputargli nelle mani, anziché dargli delle monete.
     Successivamente, proprio quando il suo odio nei confronti della società stava raggiungendo il culmine, si sentì amato, e vennero accolti in un istituto di beneficenza che scoprirono essere nato proprio per sostenere individui come loro.
Per lui fu un’incomparabile sorpresa: quindi esisteva qualcos’altro, oltre il male di essere e l’arroganza di chi ti è superiore. Fu, questo, l’unico periodo adombrato dalla felicità della sua infanzia, perché presto capì che si trattava di un’illusione.
 
 
     Madre e figlio passarono due amorevoli anni in questo istituto, ricevendo tutto l’insolito affetto che non avevano mai provato. Ma la donna era di salute malferma, e il suo fisico era stato indebolito in maniera ineludibile dalle percosse che così lungamente aveva ricevuto, al punto che dopo anni ancora ne risentiva.
     Era Gennaio quando un infarto privò Gelo dell’affetto della mamma. Fu una cosa improvvisa, e gli sembrava così ridicolo che dei medici, nonostante l’avessero portata in un letto d’ospedale, scuotessero le loro malefiche teste come a voler affermare il peggio che scappò via a gambe levate. Si rifiutava di crederci, non poteva succedergli anche questo.
La sua mamma, così dolce e straordinaria.
La donna che gli aveva promesso che sarebbero rimasti per sempre insieme: anch’ella, se n’era andata.
E se l’aveva abbandonato lei, avrebbe potuto farlo chiunque.
     Era Gennaio, quando si consumò questo tragico evento che straziò definitivamente il cuore del ragazzo. Ottimo inizio dell’anno, eh.
     Era Marzo quando ebbe il suo primo incontro con il Red Ribbon.
 
 
     Il piccolo Gelo se ne stava spesso seduto con le gambe incrociate nei paraggi dei bidoni della spazzatura. Si trovava a suo agio nascosto in quegli angoli. Nessuno lo notava, nessuno gli parlava. Nessuno lo derideva né compativa.
     All’improvviso delle esplosioni risuonarono nell’aria. Bé, quelle se le immaginava già autonomamente, senza aiuto esterno. Ma questa volta furono reali.
Il paese dove era costretto a vivere si scoprì nascondere un’immensa quantità di denaro, perfettamente occultato nelle casse comuni del Municipio. In realtà era i proventi di azioni illecite: insomma, una cosa non particolarmente degna di nota.
     L’organizzazione paramilitare del Red Ribbon era venuta a conoscenza di questi soldi e volle impossessarsene. Gelo assistette impotente e tremolante nel suo angolo di mondo alla devastazione del paese.
Una terza volta qualcosa che apparteneva la suo mondo lo stava abbandonando, tuttavia fu quasi come la prima volta. Si trattava di qualcosa di ostile, la cui assenza per un solo istante parve rasserenarlo, ma poi dovette avvedersi che non aveva più nulla, nemmeno materialmente.
     Continuò a chiedersi da quel momento in poi, in eterno, se esistesse davvero un fato già prestabilito o meno, poiché quello che accadde fu qualcosa di magico.
 
     Infinitamente terrorizzato e sconvolto, stretto in se stesso, vide tre giovani uomini avvicinarsi nella sua direzione. Il primo impulso fu quello di scappare, ma quando vide uno di loro tendergli la mano si sentì pietrificato.
Notò le loro divise militari. Il simbolo stilizzato di un fiocco rosso sui loro indumenti.
Avrebbero potuto renderlo oggetto, e poi ucciderlo. Ma non lo fecero.
Gli proposero la loro amicizia. Gli chiesero di andare via con loro.
     Tu cosa avresti fatto? Indifeso ed inutile, e trovi qualcuno che ti offre il suo affetto.
Gelo provò ad accettarlo, e scelse di seguirli.
 
    Ed infatti, ciò che egli poté sperimentare fu soltanto del bene.
Dal momento in cui venne presentato al capo di quell’organizzazione la vita del ragazzino migliorò nettamente, e inoltre questo gli permise di capire molte cose.
Anzitutto capiva bene come il Red Ribbon fosse un’organizzazione paramilitare, e come, grazie alla presenza di un potere unico, forte e autoritario, sconfiggesse alla nascita qualunque forma di povertà, schiavitù o debolezza.
Gelo venne accolto con infinita benevolenza da tutti quanti; ricevette un alloggio, del cibo, e addirittura un’istruzione.
Per la prima volta stava dunque ricevendo, e gratuitamente, tutto ciò che non aveva mai nemmeno osato chiedere.
     Infine, scoprì uno strano moto nel suo animo, una sconosciuta sensazione che per qualche motivo suscitava in lui una sorta di “esaltazione”. Bé, questa è una parola eccessiva, ma quello che il ragazzino conobbe ne era la base. Col tempo, capì che si trattava di felicità.
E questo lo sconvolse parecchio.
 
     Stava imparando che, nonostante tutte le avversità della vita, si può riuscire a incontrare quel sentimento che è la felicità.
 
 
     Continuamente continuò a domandarsi come mai il Red Ribbon avesse accolto un bambino qualunque: una delle tante domande a cui trovò risposta soltanto in età adolescenziale.
     Diciamo che si trattava sommariamente di una scommessa: i militari che lo avevano raccolto erano stati spinti da mera ingenuità giovanile, o compassione, e avevano semplicemente provato a prendersi cura di questo individuo. Cosa il futuro riservava loro, lo avrebbero scoperto.
     Più ponderata era stata l’approvazione del capo dell’esercito e di tutti gli altri soldati, i quali avevano fatto un calcolo: un’animale cresciuto in cattività, fuori dal proprio habitat naturale, in futuro si sarebbe rivelato un’interessante pedina. Oppure una grande minaccia.
     Gelo decise di non essere nessuna delle due.
 
 
     Stava studiando la natura degli animali quando lo capì.
Era stato portato in visita alla Muscle Tower, una delle principali basi del Red Ribbon, e si trovava in biblioteca, nelle profondità del palazzo.
Il ragazzo aveva ormai sedici anni, e aveva capito da tempo di essere particolarmente portato per lo studio della scienza. Stava approfondendo uno degli argomenti che più lo attiravano, la selezione naturale all’interno degli ecosistemi, quando comprese tutto.
     Per lui era accaduta la stessa cosa. La natura – la provvidenza, il caso, la natura, ognuno dà diversi nomi al medesimo concetto – aveva soppresso sia i suoi genitori, sia il paese in cui aveva vissuto. Era stata una perfetta dimostrazione della cosiddetta legge del più forte: il Red Ribbon, superiore in termini di pura forza al suo paese ma anche ad altri, era solito andare in giro e fare scorribande, distruggendo le case, rapendo uomini da rendere poi schiavi.
 
     Agli occhi del ragazzo improvvisamente l’intera società pareva un immenso, e più spietato, ecosistema. Vi erano le prede e i predatori, ma alla fine soltanto uno trionfava. E affinché i più forti avessero sia un modo di emergere sia dei deboli da schiacciare, l’esistenza di tutte le componenti era estremamente importante.
 
     I genitori; tutti quelli che come loro erano contadini; chi rinunciava totalmente alla propria vita per metterla al servizio degli altri; persone che nemmeno si azzardavano ad avanzare delle pretese. E infine anche lui stesso, finché non aveva incontrato il Red Ribbon: tutte inconsapevoli vittime della spietatezza dei potenti, le prede.
     I ricchi, i tiranni, i nobili: i predatori che alla fine avevano sempre ciò che desideravano.
 
     "Mi hanno accettato con loro solo per schiavizzarmi al loro potere" si rese conto Gelo, non senza paura. "Volevano vedere cosa sarei diventato, se una pedina oppure una minaccia. In pratica… Mi hanno usato come un esperimento" .
     Era un pensiero che lo faceva letteralmente tremare.
Non lo accettava, non poteva farlo, e così arrivò perfino a voler identificare il movente del Red Ribbon nella semplice e spontanea compassione. Era un bambino povero, e lo hanno aiutato.
Tutto qui.
E il suo animo tornò lentamente a sorridere.
Nella consapevole ma velata menzogna, vero, ma comunque riusciva a sorridere.
 
 
     Questa è la storia di Gelo e del suo complesso rapporto con il Red Ribbon. Relazione cementificata dalla gratitudine – talmente incondizionata da perdonare qualunque errore – ma anche da oscuri sospetti.
     Il nome di Gelo iniziava rapidamente a farsi strada sulle labbra di tutti, e veniva riconosciuto come un ragazzo prodigio. Immense erano le aspettative che tutti riponevano in lui, e questo non fece altro che accentuare il suo già ferreo desiderio di ripagare la riconoscenza che provava.
Tutto quello che diventò in futuro, quello che era, fu soltanto grazie al Red Ribbon.
Conobbe i sentimenti, l’amicizia, la fiducia… E infine, l’amore.
 
 
     Era all’interno di un immenso auditorium quella mattina, un aula dell’università più prestigiosa di Orange Town. Esatto, quello che il popolo additava come “esercito di bastardi” gli stava finanziando anche l’università, oltre a un buon alloggio in una città così cara.
     La lezione di biochimica terminò, e Gelo salutò tutti i suoi compagni: lui, disse, aveva una cosa da fare.
A qualche posto più avanti, accorta nel raccogliere i suoi libri, una ragazza pareva assai più luminosa e lucente degli altri. Gelo le si avvicinò cautamente, gustando con gli occhi ogni dolce dettaglio dei suoi lunghi capelli raccolti in ciocche color castano e del suo aspetto soffice e curato.
<< Il mio nome è Gelo >> disse, terminando la pila dei libri che la giovane stava compilando. << Tu come ti chiami? >>
Istantaneamente la ragazza si lisciò i capelli dietro le orecchie. << I-io sono Susan, piacere >> riuscì a rispondere con gran imbarazzo.
     Si erano appena conosciuti due semplici diciannovenni, ognuno dei quali non poteva nemmeno immaginare quanto avrebbe segnato la vita dell’altro.
Per merito di Susan il ragazzo imparò a distinguere l’amore dalla simpatia, il desiderio dal bisogno, la necessità di rendere felici dalla mera speranza. Essi si conobbero, di conseguenza si migliorarono, sentivano le loro anime più serene.
Fu grazie a quella ragazza che finalmente Gelo comprese cosa significasse essere felici, una sensazione mai provata compiutamente nemmeno con il Red Ribbon.
E questa consapevolezza lo aiutò a stabilire le sue priorità.
 
 
     Il dottor Gelo dovette fare un giuramento di fedeltà al Red Ribbon prima di sposarsi. Promise solennemente che non avrebbe rivelato nulla dell’organizzazione per cui lavorava a nessuno: cosa che accettò di buon grado. In questa maniera si assicurava che la sua futura moglie, eventuali figli, ed anche amici – se mai ne avesse avuti all’infuori dei suoi colleghi – sarebbero stati protetti dal Red Ribbon. Li avrebbe tenuti esclusi da una parte della sua vita così pericolosa, e prettamente per il loro bene.
Sarebbe stato un peso terribile da sopportare, certo, ma se significava la sicurezza dei suoi cari allora ne valeva la pena.
Le bugie che era costretto a raccontare alla sua bellissima Susan gli pesavano molto, ma era felice di poterla proteggere, e non dimenticava che questa possibilità gli era stata proposta dal Red Ribbon stesso.
 
     Con la sua donna riusciva a ridere, ad amare, a tessere delle nuove amicizie: conobbe così Edward e Hilary, giovani e loro coetanei, e i quattro adulti divennero inseparabili.
    
     Stava diventando uno scienziato sempre più ricco, e ottenne di lavorare per la ricerca nella stressa università dove aveva studiato. Inoltre anche Susan era una ricercatrice, e così Gelo, quando conobbe un uomo più anziano di lui di una decina d’anni circa, decise di assumerlo come suo maggiordomo.
 
     La notizia era largamente circolata in città: un uomo era stato licenziato dal bar in cui lavorava, e adesso si ritrovava a vivere senza una casa, passando le fredde notti con la sola compagnia di una rude coperta sulle panchine della città. La cosa aveva suscitato l’interesse di Gelo, il quale con piccole ricerche portò alla luce tutta la verità. Il gestore del bar era un esponente della malavita, e quello del gestore di un locale era soltanto una copertura; l’uomo aveva scoperto la sua vera identità e minacciava di denunciarlo alla polizia, ma non fece mai in tempo perché non aveva prove e presto venne licenziato. Fu Gelo ad occuparsi abilmente della denuncia, e finalmente riuscì a trovare il povero uomo.
<< Ti ammiro per quel che hai fatto, hai avuto fegato >> gli disse fermandosi dinanzi a lui. Conosceva il suo nome, sapeva della sua onestà: lo voleva aiutare.
Gli porse la mano. << Io sono Gelo Jefferson. Molto piacere, Alphonse >> .
 
 
     Era ancora gelosamente impresso nella mente di Gelo ogni vagito che udì quel giorno.
Era il 31 Dicembre, pochi giorni dopo la nascita dei gemelli di Edward e Hilary, e un nuovo immenso motivo di gaudio si affacciava alla porta della sua vita: era diventato padre.
 
 
 
 
     Hai potuto leggere, dunque, dell’incredibile vita di Gelo. Da ragazzino gettato sulla terra e sulla miseria a uno degli scienziati più ricchi del mondo, e venerato dalla moglie e dal figlio.
Ecco inoltre come fu attento nel designare le sue priorità, ed ecco anche la nascita del suo errore: Susan e Kimley, questi i doni indiscutibilmente più preziosi che la vita gli aveva offerto, ed egli era pronto a tutto pur difendere la loro felicità.
Disposto addirittura a trasformare, inconsciamente, questo desiderio in un’ossessione.
 
     Non tutto andò come aveva voluto, tuttavia.
Gelo raccontò a Kim dell’incidente avvenuto cinque anni prima con Edward e Hilary, e della loro morte per mano di C – 16… No, ciò che avvenne fu soltanto colpa sua. Confessò di come era stato costretto a scegliere fra due opzioni: permettere ai suoi amici fraterni di vivere, e quindi di arrestarlo, oppure se ucciderli, ma continuare a proteggere il mondo con la sua tecnologia.
Bè, si tratta di vicende già lette, perciò ricordati una cosa: ciò che successe quel giorno sconvolse Gelo più di quanto voleva far credere.
Capito? Non poteva nemmeno sfogarsi e dichiarare tutto il dolore che provava, perché avrebbe dovuto prima ammettere la propria responsabilità, e se ci pensi è la medesima disgrazia che si abbatté su Jason e Jodie. Non poter dire a nessuno cosa si pensa, esplicare il dolore che si prova, afferrarlo e scaraventarlo fuori da sé, e così liberarsene.
Il dottor Gelo non poteva dire nulla, e la pressione che ne derivava, insieme alla consapevolezza della crudeltà del suo gesto, portò la nevrosi a sorridergli nella mente.
 
 
     Oramai, siamo quasi alla conclusione di questa storia, e dopo numerosi capitoli sei venuto a conoscenza del calderone di emozioni che risiede in Gelo, oscillante fra l'amore e l'ossessione, l'odio e la premura.
     Non avrebbe mai permesso, tuttavia, a nessuno infrangere le barriere della sua roccaforte, la fortezza a protezione dei suoi personali interessi: avrebbe protetto Susan e Kimley dal velenoso circolo di potere nel quale si destreggiava, nascondendoli sotto una cappa di inconsapevolezza e sigillata dalle menzogne.
Unicamente questo era stato sin dal principio il movente  di tutte le  sue azioni, e a causa di un desiderio di protezione gradualmente confluito in una brocca di esasperazione era approdato, col tempo, a una drastica conclusione.
Susan e Kimley andavano trasformati in cyborg.
 
     Già da molto tempo le autorità del Red Ribbon esigevano dei soldati artificiali nati dal suo ingegno. Ecco come aveva iniziato a progettare androidi, spiegò il dottor Gelo a suo figlio Kim, il giorno del loro ultimo incontro.
     Richiedevano però soldati ancora più pericolosi, e lui sapeva che non avrebbe potuto raggiungere i livelli di potenza che si aspettavano con dei semplici androidi, e così per temporeggiare iniziò a costruirne un gran numero. I suoi studi lo condussero alla progettazione di cyborg, ma il tempo gli era nemico, e il capo in persona gli prescrisse di realizzare questo nuovo tipo di “soldato”.
Un ultimo impedimento ostacolava la sua strada. Costruire cyborg necessitava di corpi giovani e forti. Avrebbe potuto servirsi dei tre ragazzini, Jason, Jodie, Kim. La sua intenzione? Certo non di usarli come delle armi.
     Avrebbe trovato una soluzione semplice, in grado di unire i vari punti di vista e permettergli di salvare la sua famiglia.
     E fu proprio il suo più ambizioso progetto a rappresentare la delusione più grave.
 
     Purtroppo, conosciamo il drammatico epilogo della vicenda.
     Una tragica vicenda che ha disgregato un complesso telaio fatto dalle speranze di amare anime…
 
     …e può forse adesso, dopo vari anni, aiutare due giovani a ritrovare se stessi.
 
 
 
Ecco perché.
Ecco comparire dinanzi ai nostri lucidi occhi le ragioni che condussero Gelo ad azioni tanto folli.
Attenzione eh: è di questo che si trattava, a quanto pare, di ragioni.
     Folli, incomprese, incomprensibili, ghettizzanti… ma pur sempre ragioni.
Quella volta Gelo raccontò al giovane Kim che avrebbe voluto trasformare in cyborg anche la moglie e il figlio: avendo corpi deboli non sarebbero stati d’aiuto al Red Ribbon, e così Gelo avrebbe avuto la libertà assoluta di occuparsi di loro.
In base a un’ideologia di superiorità della tecnica, essi sarebbero stati eterni, salvi da quel deturpamento fisico e morale che colpisce indiscriminatamente tutti gli umani una volta anziani e dunque inutili.
     Kim ricordava molto bene le parole dell’uomo, perché la passionalità che le accompagnò fu più disarmante del solito. << Io ero deciso a trasformarvi in cyborg a tutti i costi. Così non sareste stati più vulnerabili alla corrosione del tempo… E alla corruzione del potere.
Non temere figliolo, avreste continuato a condurre una vita normale. Forse… Non più da “esseri umani” veri e propri, ma del resto cosa importa? L’unica cosa che mi interessava è che voi continuaste ad essere vivi… Senza mai dimenticare l’importanza della vostra vita, e dell’amore che siete in grado di donare >> .
 
 
 
 
 




 
     Un delicato fragore, un gorgogliante sciabordio, il dolce strusciarsi delle onde sulla sabbia.
Se ci immergiamo in questa atmosfera, la nostra mente viaggerà sicuramente fino a una baita pervasa dalla tranquillità, da un nulla di asfissiante che può rasentare ora il tripudio, ora la noncuranza del male.
E dal mare è opportuno che noi partiamo. Lasciamo stare quindi la spiaggia, la gente in festa o spossata, e approdiamo a una realtà dalla selvaggia fragilità: le onde, il mare.
Onde che possono ospitare una barchetta solitaria di pescatori, oppure una grande nave impetuosa, e in questo – come in altri casi – possiamo notare come il coraggio sia in verità sintomo di terrore.
 
     Fu come il moto di una nave, che selvaggia e impudente affronta le lande al di là del confine umanamente stabilito, consapevole invece della pericolosità delle proprie gesta.
 
     Come una freccia, che viene scoccata dal più valoroso fra gli uomini e per questo ritenuta egualmente coraggiosa, ma in realtà vola in territorio nemico carica di terrore.
 
     Si sentiva come un piccolo mammifero, nel momento in cui deve per sua natura essere allontanato dalla calda protezione materna, ma ancora geloso del latte del suo seno.
 
     Contava ad ampi passi la larghezza del terreno il nostro C – 17, anzi… Jason, perfettamente conscio delle antitetiche emozioni che surriscaldavano il calderone dei suoi sentimenti.
Desideroso della lotta e della sopravvivenza, ma timoroso per la durezza della realtà che aveva appena conosciuto.
 
     Il Sole si sentiva scoraggiato dall’amarezza di quelle parole, e così già da tempo aveva deciso di ritirasi, donando come lascito testamentario un meraviglioso e sanguigno colore al cielo.
     Unico e carezzevole parve il soffio di vento che in quel momento si alzò. Kim si portò a mano ai capelli, perdendo le dita nei ciuffi che si diramavano spaesati, e la sua vista si smarrì nell’infinità degli uccelli che volavano sopra le loro teste.
     << Quello fu il nostro ultimo incontro >> concluse Kim. << Prima di salutarci disse che mi amava. Disse che amava tutti noi.
In quel momento ovviamente l’odiai, però dopo anni sono riuscito a comprendere il significato delle sue assurde parole. Non stava affatto mentendo, la sua era davvero una forma di amore, anche se indubbiamente sbagliata e ossessiva.
Derivava dal suo passato. Sin da piccolo aveva sempre visto dissolversi nel nulla tutto ciò a cui teneva, al punto da non avere più niente. La spietatezza del tempo e la fugacità delle cose terrene lo sconvolsero profondamente, e così quando capì di essere in grado di trasformare esseri umani in cyborg non riuscì proprio a dire di no.
Era finalmente pronto a redimersi del suo passato. Era la possibilità di fissare le persone che amava nel tempo, di dare stabilità al mutevole. Poteva rendere garanzia ciò che era precario >> .
     Seguirono attimi di silenzio che parevano interminabili, interrotti soltanto dal ronzio di due api che si affacciarono timorose per poi fuggire velocemente.
     C – 18, o per meglio dire la bella Jodie, strofinava talvolta la schiena sul tronco dell’albero che aveva designato come suo sostegno, e rimaneva in pensieroso mutismo ad ascoltare.
     Crilin si era sentito quasi in timido imbarazzo, ma ricordava a se stesso che era stata la ragazza stessa a dirgli di rimanere, e non poteva far altro che immedesimarsi nei due cyborg.
     Alphonse ripeté in mente le parole del giovane, e tentò di comprendere con quanta difficoltà esse erano state pronunciate. Guardò di lato, e trovò C – 16 completamente ammutolito, in segno di rispetto.
     Kim sospirò. << Sfortunatamente, le cose non andarono come aveva previsto >> .
<< Susan stava morendo >> capì gravemente C – 18.
Kim paralizzò il suo sguardo accigliato in quello della ragazza. Era stanca, ma ancora forte e combattiva. Proprio come una volta. << Esatto. Quando la vide in quelle condizioni comprese subito che non c’era niente da fare, nemmeno per uno come lui. Tutta la sua vita si stava disgregando: dapprima i suoi migliori amici, poi il Red Ribbon, e a causa soltanto di un ragazzino… Infine la sua famiglia.
Tutti i suoi sogni, i suoi obiettivi e le sue manie di protezione… Stavano crollando davanti ai suoi occhi, senza che potesse far nulla per impedirlo >> .
Il corvino aveva in realtà da qualcosa da replicare, ma quando si voltò a fissare Kim si accorse che aveva già ripreso a parlare.
<< Nel nostro ultimo incontro, al rifugio segreto… La follia si era già impossessata radicalmente di lui >> spiegò, e la sua voce non poté far altro che scivolare nel vuoto. Si trattava di un tentativo di sprofondare nella fonte di amore che provava verso i suoi fratelli, e attingere un’ultima dolorosa ondata di forza.
Rimaneva da raccontare il momento più doloroso di tutti.
 
L’addio dei tre ragazzi, e l’inizio della vita morta di Kim.
 
Il giovane cacciò via paura e amarezza con un pesante sospiro, e inspirò aria ricca di coraggio.
C – 17 si sedette al suo fianco.
     Si trovavano seduti su un prato bellissimo, reso ancor più limpido dal piccolo lago che si estendeva dinanzi ai loro occhi. Tuttavia in quei momenti essi erano ciechi. Non riuscivano a scorgere altro se non il bisogno impellente di ritrovarsi.
     Jason. Jodie. Kim.
Erano ansiosi. Bramando la verità, terrorizzandosi per essa. Ma Kim li avrebbe aiutati, e grazie alle sue parole potevano riscoprire il senso della loro esistenza, della loro vita.
     Cosa significa “essere umano”?
     Cosa significa “essere cyborg”?
Presto l’avrebbero compreso.
 
<< Da quella volta non ci siamo mai più rivisti. Sono passati anni, ma ricordo molto bene il vostro ultimo saluto >> . Kim piegò entrambe le gambe, e con i palmi delle mani si tenne ben saldo al fresco terreno.
<< Fu allora che voi due mi salvaste la vita >> .























*Angolo dell'autore

Ciao minna' :3
Per prima cosa chiedo scusa a tutti voi per l'interminabile ritardo con cui mi sono spicciato a pubblicare questo capitolo.. Davvero, mi sono spesso chiesto quanto stessi scocciando i lettori, e quindi mi dispisce molto..
E quindi oltre alle mie scuse, intendo rinnovare un caloroso ringraziamento a chi mi segue, ai lettori sia a chi recensisce, e davvaro grazie perchè il vostro supporto è fondamentale.

Questo è stato il penultimo capitolo, e posso davvero dire una cosa... Come sapete il mio sogno è diventare uno scrittore, e così scrivere questa storia è stato assolutamente fondamentale per me. Ma non so cosa avrei fatto se non avessi ricevuto recensioni... insomma, tu inventi determinate trame e la gente se ne sbatte. Purtroppo può facilmente capitare, e quindi grazie mille di cuore a chi con le sue recensioni mi sta aiutando e supportando tantissimo :) :) :)

Un'ultima cosa... Ho messo sul mio profilo il link per il  mio account facebook. Non voglio avere la presunzione di chiedervi se vi posso trovare su facebook, ma visto ciò che avete fatto per me mi piacerebbe molto. Quindi se volete, potete tranquillamente inviarmi una richiesta di amicizia :3
...E facebook domina incontrastato nei nostri cuori xD ^___^"""



Spero vi sia piaciuto il capitolo. E' stata un po' la chiave di lettura dell'intera storia.. Secondo voi, è stato troppo lungo??
PS: quell'immagine di 17 e 18 la trovai su facebook un po' di tempo fa, l'altra di Gelo zicco oggi :')

Bene, alla prossima... ci vediamo con l'ultimo capitolo :33

Ciao minna' :D :D :D :D
   
 
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