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Autore: TheSlavicShadow    13/06/2016    4 recensioni
Aveva fatto un errore. Un errore che aveva portato a diverse conseguenze, tra cui il suo allontanamento da Manhattan e dalla vita che aveva condotto fino a quel momento. Un errore che lo aveva portato in una fattoria dimenticata da Dio e dagli uomini nel bel mezzo del North Carolina.
{Superfamily!AU no powers! - Steve/Tony+Peter}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Safe in my hands'
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Steve Rogers era un uomo assurdo. Avevano passato la domenica come aveva visto fare alle famiglie solo nei film. Per lui la domenica era un giorno come gli altri. Era sempre chiuso nella propria officina. Festivo o feriale che fosse poco importava.

Steve Rogers aveva invece messo bene in chiaro che l’unico lavoro possibile era quello di Peter se doveva finire i compiti. Per il resto era un giorno di riposo.

Avevano passato la domenica in giardino. Steve che insegnava a Peter a giocare a baseball. Krypto che riprendeva tutte le palle che scappavano al ragazzo per riportarle. Peter che si lamentava perché avrebbe preferito fare scienza con Tony Stark. Tony che li guardava e rideva e si rifiutava di scendere dal portico per raggiungerli e farsi umiliare. Avevano mangiato sotto il portico il pranzo che Steve aveva preparato mentre loro finalmente parlavano di scienza e non di sport. Solo che dopo pranzo erano stati trascinati da Steve in salotto per vedere una partita di baseball di cui a loro proprio non interessava nulla. Tony aveva fatto presente più volte di quanto quel gioco fosse solo fortuna. Vedere una palla tanto piccola, lanciata a quella velocità, riuscire poi a colpirla, centrare l’angolo giusto… Pura fortuna. Avevano ordinato un paio di pizze per cena, spostandosi nuovamente sotto il portico. Birra per gli adulti e Coca-Cola per Peter. E Krypto che cercava di rubare le croste che Peter non mangiava.

Si era passato una mano tra i capelli mentre osservava il pick-up nero di Steve allontanarsi. Peter aveva appena smesso si sporgersi dal finestrino per salutarlo e tutto quello era troppo strano. Il ragazzo era davvero felice della sua presenza. Sembrava davvero divertito ed incuriosito dalle loro conversazioni. E aveva deciso che Peter, volente o meno, avrebbe dovuto accettare l’aiuto che gli avrebbe dato per l’università. Non gli interessava minimamente - mentiva, perché in realtà era terribilmente curioso - cosa fosse successo al ragazzo per farlo trasferire in quel posto, ma non avrebbe permesso che tanto genio andasse sprecato. Farlo ammettere al MIT, con o senza borsa di studio, sarebbe stata una passeggiata. Avrebbe solo dovuto fare un paio di telefonate, ma sapeva esattamente chi chiamare.

Era solo il quarto giorno della sua presenza in quella casa e lui stava già affezionandosi a Peter.

“Trattore. Devo far funzionare il trattore.” Si era passato una mano sugli occhi, scendendo i gradini e andando verso il garage. Almeno poteva passare il tempo così. Aveva già impostato J.A.R.V.I.S. affinché si occupasse di alcuni test da fare ad un paio di progetti e sapeva che l’AI avrebbe fatto un ottimo lavoro. E con solo il proprio portatile lui non sarebbe riuscito a fare lo stesso.

Gli mancava la sua officina. Gli mancava restarsene al sicuro tra quelle mura con i propri robot. Ed erano solo quattro giorni. Gli sembravano molti di più.

Il cane gli trotterellava accanto mentre con tutta la calma del mondo percorreva la distanza tra garage e fienile. Aveva preso la valigetta degli attrezzi, sperando che quella gli bastasse per rimettere in moto quello che poi si era rivelato essere un pezzo di antiquariato. Non che questo comportasse un qualche ostacolo.

Peter aveva ragione. Era un meccanico. Adorava costruire con le proprie mani. Adorava quando le cose che costruiva funzionavano. Adorava quando le mani gli facevano male perché aveva per troppo tenuto in mano degli attrezzi sporchi di olio e grasso. E poco gli importava quando finiva per sporcarsi. Adorava lavorare con motori et similia. Era così facile farli funzionare.

L’esatto contrario delle relazioni interpersonali. Quelle non sapeva mai come farle funzionare. Non ci era mai riuscito da bambino. Non aveva mai fatto amicizia con gli altri ragazzi in collegio. Non ci era riuscito da adolescente. L’unico suo amico era stato Rhodey. L’unico a cui non interessava perché erede dell’impero economico degli Stark. E da adulto erano stati gli altri a far funzionare le cose per lui. Era stato sempre fin troppo scostante, ma gli altri hanno fatto di tutto per superare tutte le sue barriere. E quando faceva dei passi falsi con le persone non sapeva mai come rimediare. Non poteva prendere un cacciavite o una chiave inglese. Non poteva smontare e rimettere a posto tutto quello che non andava.

E lui si sentiva sempre perso.

Un giorno anche Rhodes e Natasha avrebbero rinunciato a stargli dietro. Pepper lo aveva già fatto ed era stata fin troppo chiara nel dirgli che non c’era più nulla da fare. Lo avrebbero fatto anche gli altri e sarebbe morto nel modo in cui meritava.

Da solo.

“Maledizione!” Aveva lanciato la chiave inglese con cui stava lavorando contro il muro. Non voleva pensare a Pepper, ma quando era da solo il pensiero si soffermava sempre su di lei. Erano passati quasi sei mesi e lui non riusciva ancora ad elaborare il tutto completamente. C’era una remota parte del suo cervello che quasi si rifiutava di accettare quale fosse la realtà dei fatti. Anche perché ci aveva tentato. Aveva provato a rimediare, ma non c’era stato nulla da fare.

Era rimasto nuovamente da solo. E non aveva in effetti alcun motivo per tornare a New York. Avrebbe potuto ritornarsene in California e passare il resto della sua vita nella casa che aveva fatto costruire lì. Quella casa era stata la sua reggia nel suo periodo da scapolo incallito che non aveva alcuna intenzione di mettere la testa a posto. Ora avrebbe potuto esserlo di nuovo. Avrebbe facilmente trasferito tutti i propri attrezzi da New York a Malibu, e quelli che non erano trasportabili li avrebbe costruiti di nuovo con le proprie mani.

Il suo cellulare aveva deciso in quel momento di rompere il silenzio surreale del granaio e lo aveva sfilato dalla tasca posteriore dopo essersi tolto i guanti.

Tony, dove sei? Alla Torre risponde solo la Romanoff e non mi vuole dire nulla.

Aveva sorriso. Gli faceva male il viso da tanto si erano distese le sue labbra.

“Se ti dico dove sono mi vieni a rapire? Ho bisogno di un principe azzurro in questo momento e sei l’unico a cui riesco a pensare. La strega cattiva mi ha portato in questo regno dimenticato da dio assieme al suo losco compare dicendo che era per il mio bene, ma sto respirando troppa aria pura. Sto anche mangiando e dormendo. Pensi che poi mi vogliano mangiare come in Hansel e Gretel?”

Tony, sono serio: dove sei?

“Non credo di potertelo dire se non te l’ha detto la mia spia preferita.”

Sono dall’altra parte del mondo ora. Anche volendo non potrei venire da te. Devo solo sapere dove sei. I mass media dicono che sei scomparso; per alcuni sei in Canada, per altri sei ai Caraibi.

“North Carolina.” Aveva risposto senza pensarci troppo. Quello al telefono era Rhodes. Quello era il suo unico amico da più di trent’anni. E se gli aveva telefonato, voleva dire che era davvero preoccupato per lui.

North Carolina?

“Avrei preferito il Kansas a questo punto. Almeno avrei potuto fare delle battute schifose su scarpette rosse o gente dalle mutande indossate sopra i costumi da supereroi, ma sono finito in North Carolina.” Tony aveva sospirato, appoggiandosi contro il trattore su cui stava lavorando da un paio d’ore. “Ti ricordi della mia vacanza di Afghanistan, no? Bene, sono ospite di un veterano che tra le altre cose era lì con te mentre mi cercavate. Un amico di Barnes. Ha una casetta carina. Troppo rustica per i miei gusti, ma non ci posso fare nulla. Io avrei preferito tornarmene in California oppure fuggire in qualche luogo esotico e restarmene lì a prendere il sole e bere cocktail da mattina a sera, ma Natasha ha pensato diversamente. Sono all’aria aperta, Rhodey. Ti rendi conto? Aria aperta!”

Mi pare che tu stia bene, tutto sommato. Temevo stessi molto peggio.

Aveva sentito Rhodes sospirare e sapeva a cosa si riferisse. Lo aveva visto più volte bere fino a perdere conoscenza solo per sfuggire ai problemi che gli si presentavano davanti.

“Mi è vietato toccare l’alcool, a parte una birra con la pizza. Mi sembra di essere tornato ad essere un ragazzino che è costretto a seguire le regole.” Aveva scosso la testa, spostandosi dal vecchio trattore per recuperare la chiave inglese che aveva lanciato poco prima. “Siamo in tre. Rogers si sta occupando di un ragazzo. Ha anche un cane. E ora sono nel granaio per cercare di far funzionare un trattore che sembra arrivare direttamente dal periodo bellico. E sto parlando della prima guerra mondiale.”

Un trattore?” Il tono titubante di Rhodes lo aveva fatto sorridere. “Un ragazzo? Tony, siamo sicuri che sia un ambiente congeniale per te? Tu odi tutti quelli che sono giovani, bambini o adolescenti che siano.

“E’ un nerd, Rhodey! Parliamo solo per citazioni e Steve impazzisce e rotea gli occhi!”

Steve?” Rhodes aveva ripetuto il nome e aveva sospirato ancora. “Ti prego, non fare nulla di stupido.

“Quanto vi voglio bene quando me lo ripetete tutti quanti.”

Il problema è che ti conosciamo troppo bene e sappiamo che fai molte scelte stupide senza pensarci.” L’uomo dall’altra parte della linea aveva fatto un’altra pausa. “Fai solo scelte stupide.”

“Le mie scelte sono sempre giuste nel momento in cui le faccio. Sono le conseguenze che spesso non sono quelle che ho immaginato.” Aveva osservato il motore su cui stava lavorando. Se solo tutto fosse stato così semplice. In quel momento sapeva esattamente dove dovesse mettere le mani. Sapeva quali bulloni allentare, quali pezzi togliere e quali lasciare dov’erano. Le macchine non poteva rovinarle. Poteva solo migliorare le loro prestazioni. “Quando torni negli States fammi sapere. Ho bisogno di vedere almeno una faccia amica.”

Tornerò il prima possibile e verrò a vedere dove ti ha spedito Natasha.

Aveva sospirato quando Rhodes aveva chiuso la chiamata. Anche quando non condivideva le sue scelte e Tony aveva fatto qualcosa di molto sbagliato, Rhodes era sempre stato dalla sua parte. Anche quando non aveva potuto schierarsi apertamente dalla sua parte, non aveva fatto nulla per opporglisi. Lo aveva sempre sostenuto come meglio poteva. E anche ora, il semplice sentire la sua voce lo aveva rassicurato. Tutto si sarebbe risolto per il meglio, come sempre.

 

♡♡❤♡♡

 

Mercoledì pomeriggio Steve era ritornato dal lavoro da solo, più tardi rispetto al solito perché c’erano gli allenamenti della squadra di football. Tony non si era neppure reso conto di che ora fosse, ancora perso dietro al motore del vecchio trattore. Steve si era offerto di passare in ferramenta o dal meccanico per comprare ciò che gli mancava, ma Tony lo aveva bloccato subito, dicendogli che ormai quella era diventata una sfida personale e che voleva farlo funzionare con ciò che aveva trovato in garage.

Era uscito dal granaio quando aveva sentito il motore del pick up che si spegneva. Con uno straccio che aveva visto giorni molto migliori si stava pulendo le mani.

“Sbaglio o hai perso il bimboragno da qualche parte?”

Gli occhi di Steve erano subito su di lui e c’era una piccola parte del suo cervello che gli diceva che avrebbe dovuto essere più presentabile, che magari poteva mettersi quella maglietta che gli segnava i punti giusti al posto di quella orrenda camicia a scacchi che gli aveva dato Steve. Camicia di Steve. Il suo cervello aveva avuto un momentaneo blackout quando il biondo, dispiaciuto perché Tony aveva sporcato una delle proprie maglie con grasso e olio, gli aveva dato una sua vecchia camicia. Era solo una vecchissima camicia. Una che non avrebbe indossato neppure se lo avessero pagato. Invece eccolo lì per il secondo giorno di fila con quella addosso, ancora più sporca rispetto al giorno prima, appoggiato allo stupite della porta del granaio ad osservare il veterano.

“Rientra dopo cena. E’ venuto a trovarlo un suo amico da New York.” Steve gli si era avvicinato. Sorrideva lievemente e Tony doveva davvero scappare da quel posto. Non sarebbe riuscito a nascondere ancora a lungo l’attrazione che provava per il biondo.

“E gli permetti di rientrare dopo cena nel bel mezzo della settimana? Capitano, sono stupito!” Si era portato una mano al petto, facendo finta di essere sconvolto, mentre l’uomo che aveva di fronte roteava gli occhi e sorrideva ancora. Da qualche parte doveva esistere una legge che vietava alle persone di essere così attraenti anche quando non facevano nulla per esserlo.

“E’ un’occasione speciale. E poi non rientrerà più tardi delle 22 e sappiamo entrambi che va a dormire tardi ogni sera.”

“Oh, Steven, il nostro ragazzo sta crescendo se esce durante la settimana e il giorno dopo ha scuola.”

Steve aveva ridacchiato e Tony gli aveva sorriso. Poteva far finta che andasse tutto bene. Poteva convincersi che quella sarebbe stata la sua vita. Almeno per il tempo che avrebbe trascorso lì poteva credere che quella fosse casa sua. Anche se non c’era nulla che urlasse Tony Stark da ogni angolo. Era tutto troppo anonimo, ma poteva andargli bene. Poteva essere la cosa giusta in quel momento.

“Sei impossibile, Stark.” Era illegale anche il modo in cui si passava la mano tra i capelli e si leccava le labbra. “Vuoi del caffè? O qualcosa da mangiare?”

“Ho pranzato poco fa a dire il vero. Oh, non guardarmi così. E’ già tanto che io mi sia ricordato di farlo. Però il caffè lo bevo più che volentieri.” Gli aveva sorriso, avvicinandoglisi un po’. Steve sembrava di buonumore, nonostante l’assenza di Peter.

Aveva notato in quei pochi giorni che il biondo era particolarmente rilassato quando Peter era con lui. Poco importava se il ragazzo parlasse, studiasse, dormisse. Questo era anche possibile perché quel ragazzo era quasi sempre sorridente e di buon umore. Tony era il primo a sapere che fin troppo spesso i sorrisi nascondevano delle ferite molto profonde e Steve gli aveva detto che a Peter era successo qualcosa a New York.

Aveva seguito il biondo in casa. Steve aveva abbandonato la borsa a tracolla con cui andava a scuola su una sedia della cucina mentre si avvicinava al mobile per rifare il caffè che Tony aveva finito.

“Penso di non essere il primo che te lo dice, ma non credi di bere troppo caffè? Non credo possa fare bene al tuo cuore.”

Tony lo aveva visto irrigidirsi per un attimo, passarsi una mano sugli occhi, e poi girarsi verso di lui.

“Scusami, non sono affari miei. Ho solo pensato che…”

“Ehi, Capitano.” Gli aveva messo una mano sul braccio. Aveva osato quel contatto fisico, e ora non voleva spostare la mano. “Il mio cuore è un problema di dominio pubblico e no, bere così tanto caffè non mi fa affatto bene, ma non mi fa neppure troppo male visto quanto ne bevo da anni.” Aveva sorriso un po’ e Steve lo aveva guardato. “Ti ho detto, assuefazione. Ormai credo di berlo per abitudine più che per vera dipendenza o sai tu cosa.”

Steve aveva spostato lo sguardo e aveva annuito leggermente.

“Oddio, mi hai davvero googlato! Quante ore hai passato a guardare il mio bel faccino su internet? Potevi tranquillamente attraversare il corridoio ed entrare in camera mia per guardarmi dal vivo. Sono meglio dal vivo, no?”

“Sei impossibile dal vivo.” Steve aveva sbuffato tra i denti quella che sembrava una risata e aveva scosso la testa. “Non dovevo accettare di aiutare Natasha. Avrei dovuto dirle di no, così mi sarei almeno risparmiato un sacco di mal di testa.”

“Conosco un ottimo rimedio al mal di testa.” Si sarebbe pentito delle sue stesse parole. Ne era certo. Ma non riusciva a fermare la propria lingua. “Sai, l’ipofisi produce le endorfine, che hanno proprietà analgesiche e fisiologiche simili alla morfina. Vengono rilasciate durante particolari attività fisiche. Per placare quindi un banale mal di testa basta del sesso.”

“Tony…” Il biondo aveva mormorato, passandosi le dita sugli occhi. “Sul serio? Sei impossibile, vedi? E fai di tutto per mettermi in imbarazzo!”

“Mi hai appena chiamato per nome. Per la prima volta.” Tony aveva sorriso guardando l’uomo che gli stava accanto, La sua mano era ancora sul braccio di Steve e non riusciva a smettere di sorridere. “Devo dire che il mio nome pronunciato da te suona bene.”

Non voleva dirlo, non voleva crederci, ma gli sembrava che le guance dell’ex soldato fossero lievemente arrossite. E questo stranamente lo faceva sentire felice.

“E’ colpa di Peter. Lui ti chiama sempre per nome, e parla in continuazione di te.” Steve lo aveva guardato solo per un istante, indaffarato subito dopo con la preparazione della caffettiera. “Forse la tua presenza qui non è completamente negativa. Per te sì. Per lui no.”

“E per te?”

Doveva stare zitto. Non doveva porgere domande di cui poi si sarebbe pentito e di cui non era sicuro di voler sentire le risposte. Doveva piuttosto trovare una scusa e andarsene subito da quella stanza, poteva magari salire in camera sua con la scusa che doveva cambiarsi. Oppure inventarsi che aveva dimenticato qualcosa nel granaio, così avrebbe potuto sbattere la testa contro il muro con tutta la calma del mondo, dandosi dell’idiota. Perché era quello che era.

“Non lo so.” Steve non lo guardava. Aveva allungato il braccio per prendere due tazze dal mobile; una era la sua con il logo della Stark Industries, l’altra aveva stampata sopra la bandiera americana. Le aveva appoggiate sul ripiano. Aveva messo lo zucchero. E sapeva esattamente quanto zucchero mettere nella tazza di Tony. Tutti credevano che lui bevesse caffè amaro, mentre Steve aveva notato che non era così. “Sei una costante incognita. Non so neppure se questo è il vero te o se è soltanto una delle tante maschere di Tony Stark.” Aveva versato il caffè appena preparato e gli aveva porto una tazza che lui aveva subito accettato. E Tony lo guardava, quasi incredulo. “Mi credi davvero così stupido, Stark? Tu sei anche quello che la stampa scrive di te, ma non solo. Abbiamo avuto una conversazione al riguardo solo pochi giorni fa e sembravi sincero nelle tue risposte.”

“Sei un uomo dalle mille sorprese, Rogers. Il primo giorno credevo mi avresti ucciso nel sonno da come mi guardavi. So di non essere proprio una presenza adatta ad un ragazzo, anche se con Peter abbiamo parlato solo di cose da nerd.” Aveva sorseggiato il proprio caffè lentamente, stando attento a non scottarsi. E voleva soltanto fuggire di nuovo. “Non sono un buon esempio né per gli adulti e figuriamoci per i più giovani.”

“Non lo sei, ma lo sei.” Steve aveva sospirato,  spostandosi dal mobile e uscendo subito dopo dalla cucina.

Tony era rimasto a fissare il punto in cui Steve era rimasto fino ad un attimo prima. Ripeteva quelle sei parole nella propria testa, fino a quando non si era spostato anche lui e lo aveva seguito sotto il portico. Aveva notato che Steve adorava passare del tempo lì.

“Capitano, quello doveva essere un complimento? No, perché se era un complimento credo di essermi emozionato come una ragazzina quando il ragazzo più figo della scuola la invita al ballo di fine anno.”

Steve, seduto su quella che doveva essere la sua poltrona preferita, aveva riso e lo aveva guardato dritto negli occhi.

“Sembra quasi che tu ci stia provando con me, Stark.”

“Non essere ridicolo. Se lo avessi fatto seriamente probabilmente non avremmo lasciato il tuo letto da diversi giorni.”

“Qualcuno è molto convinto delle proprie capacità.”

“Oh, Capitano. Un uomo come te potrei cavalcarlo per giorni senza stancarmene mai.”

Steve aveva quasi sputato il caffè che aveva bevuto giusto in quel momento. Il suo viso era diventato rosso, e non era solo per il fatto che si era quasi strozzato con il liquido caldo.

“Stark!”

“Cosa? Non ho detto nulla di male mi pare! Ho solo constatato la realtà dei fatti! Cioè, guardati! Chiunque nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali lo penserebbe! Ma se preferisci la classica posizione del missionario, per me va bene. Non me ne lamenterei affatto.” Non sapeva più quale fosse la verità e quale lo scherzo. Però vedere Steve così imbarazzato sarebbe stata un’ottima immagine mentale su cui masturbarsi la notte. Questo era poco ma certo.

“Ora chiamo i giornalisti e gli dico dove sei e cosa stai facendo.”

“Che ci sto provando con uno degli uomini più attraenti che abbia mai visto? Fai pure, gli daresti solo le conferme che cercano da anni. Piuttosto, tu non hai mai pensato di fare, che ne so, il modello di intimo? O di posare direttamente nudo per un calendario?”

Steve aveva chiuso gli occhi, scuotendo la testa sorridendo.

“L’ho detto che sei impossibile. Più che impossibile. Come fa Natasha a sopportarti?”

“La pago bene e le compro dei vestiti.” Aveva sorriso e si era appoggiato alla ringhiera lignea.

“Sì, come se Nat si facesse corrompere da queste cose.”

“Le compro i vestiti solo perché so quanto li adora. Quando resta alla Torre fino a tardi, a volte sfogliamo delle riviste assieme e lei non fa che lamentarsi dell’assurdità di far pagare dei vestiti così tanto. Anche se so che le piacciono da morire. E allora per puro caso si ritrova un vestito nuovo per ogni gala a cui mi deve accompagnare.” Si era voltato per un attimo soltanto, guardando il giardino circondato dagli alberi, la strada sterrata, qualche cespuglio di rose poco curate. “Posso farti una domanda?”

Aveva guardato di nuovo Steve e questi gli aveva annuito come risposta.

“Perché qui? Perché una fattoria che nessuno lavora? Ti ho googlato anch’io, anche se me l’ha detto anche Barnes. So che a Brooklyn hai un appartamento. Quindi perché qui? Perché in mezzo al nulla?”

Aveva notato Steve stringere le mani attorno alla tazza di caffè. L’uomo non lo guardava. Osservava il giardino poco curato.

“Perché non volevo più stare a New York dopo essere ritornato dall’Afghanistan. C’era troppo rumore, troppo caos. E Peggy ha avuto l’idea di allontanarci da tutto quello per qualche tempo.”

“Peggy?”

“La mia ex moglie.” Steve lo aveva guardato. “Ci siamo conosciuti nell’esercito, e sposati poco dopo. Mi sono arruolato subito dopo aver finito l’accademia d’arte, perché diciamocelo, con l’arte non mangi. Bucky si era arruolato poco prima di me e questo mi ha convinto a farlo.” Aveva scosso la testa. “Peggy era la donna più bella che avessi mai visto, ed è stata lei a fare il primo passo invitandomi a ballare.”

Steve lo aveva guardato e lui non riusciva a leggere il suo sguardo. Non lo capiva in alcun modo.

“Eravamo già sposati quando Bucky ed io siamo partiti per l’Afghanistan nel 2008. La distanza durante le missioni non ci ha mai spaventato ed avevamo sempre la certezza che saremo ritornati a casa.”

L’Afghanistan lo avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni. Di questo Tony era ormai certo.

“Ha detto che non sono più l’uomo che aveva sposato e che era stanca di restarsene rintanata per sempre in questo posto.” Steve si era alzato e gli si era avvicinato, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui. “Questo posto doveva essere solo una transizione, una terapia, un aiuto per la sindrome da stress post traumatico. Doveva essere qualcosa che mi avrebbe fatto distrarre da tutto. Avevo però seriamente pensato di renderlo un ranch, comprare cavalli e bestiame, lavorare la terra. Ma anche quello era solo scappare.”

“Però saresti stato sexy a cavallo con un lazzo in mano a rincorrere tori.”

Il biondo aveva sorriso, colpendo un po’ la sua spalla con la propria.

“L’ha detto anche Bucky e Peggy aveva solo roteato gli occhi. Credo che a lei non sia mai piaciuta davvero l’idea di restare qui per sempre. E’ una donna d’azione e non ce la vedo a fare la casalinga in un posto come questo.”

“Chi ha lasciato chi?”

“Lei.” Steve aveva sospirato. “Ora lavora per la CIA. Ogni tanto ci sentiamo ancora.”

Tony doveva aver fatto una smorfia perché Steve aveva inarcato un sopracciglio nella sua direzione.

“Anche se abbiamo divorziato non vuol dire che lo abbiamo fatto litigando, e le sono ancora molto affezionato anche se sono passati 4 anni. E se scopre che sei qui ti dovrò nascondere da qualche parte. Non vorrei farti subire l’ira di Margaret Carter nemmeno se tu fossi il mio peggior nemico. Sarebbe capace di uccidere anche uno come te con solo le parole.”

“Peggio della nostra cara spia russa?”

“Sono molto simili. Non vorrei avere contro nessuna delle due.”

“Oh, perché non hai mai incontrato Pepper.”

Si era morso il labbro non appena aveva pronunciato quel nome. Era riuscito a cambiare discorso l’ultima volta che Steve l’aveva nominata. Poi non ne avevano più parlato. L’avevano lasciata da parte, come un argomento molto scomodo. E forse era ancora un tabù.

“Non so cosa sia successo tra te e la signorina Potts, Tony, ma davvero non puoi fare nulla per riconquistarla?”

“Stavolta non credo. E’ colpa mia. Lei dice che sono difficile, che non è facile avere un rapporto normale con me. Da un punto di vista è vero. Tendo a dimenticare gli impegni quando mi rinchiudo nella mia officina. Se non avessi Natasha e un’intelligenza artificiale che si occupano di me sarei sicuramente già morto di fame o di fatica. O di entrambe le cose combinate. Sai che Natasha era stata mandata dai servizi segreti per spiarmi?” Aveva guardato il biondo, inarcando un sopracciglio e facendo una smorfia. “E lei ci stava riuscendo egregiamente con quel suo bel faccino.”

“Perché doveva spiarti? Cosa stavi facendo di così pericoloso?”

“Stavo morendo, Steve.” Aveva sbuffato. “Sei anni fa il mio cuore ha deciso che era il momento di giocarmi un brutto scherzo e sembrava non ci fosse molto da fare. Così certi miei comportamenti sono risultati essere più eccentrici del solito e i piani alti hanno pensato che stessi costruendo qualche arma di distruzione di massa, presumo. L’Agente Romanoff doveva assicurarsi che non stessi facendo nulla di sbagliato, e se lo stessi facendo riferire tutto al proprio capo. Un uomo orribile, lascia che te lo dica.”

“Fury non è orribile.”

“Lo sapevo che non potevo fidarmi neppure di te. Lavorate tutti per la stessa gente? Ora scoprirò che sono di nuovo sotto il controllo di qualcuno, no? E’ anche Peter una spia? Li fanno così giovani ora?”

“Lo conosco grazie a Nat.” Steve aveva roteato gli occhi e poi lo aveva guardato. “Non tutto il mondo ti è nemico, lo sai questo?”

“Vallo a dire a mio padre e ai suoi bei insegnamenti sulla fiducia.” Tony lo aveva guardato a sua volta e Steve gli sorrideva un po’. Solo un lieve incurvarsi delle sue labbra. Un sorriso così delicato e triste che gli stringeva il cuore. “Gli uomini Stark sono fatti di ferro. Me lo ripeteva sempre quando ero un bambino. Mi diceva che dovevo sempre essere indistruttibile perché in caso contrario qualcuno avrebbe approfittato delle mie debolezze e non potevo fidarmi di nessuno se non del mio intelletto. Grazie tante, mi sono fidato del suo braccio destro.” Aveva scosso la testa. “Nemmeno Howard sapeva scegliersi bene gli amici. Solo che lui era adulto e aveva più autorità. Io avevo appena 21 anni quando ho ereditato tutto, e mi sono fidato di un uomo che mi ha visto crescere. Uno dei peggiori errori della mia vita, e credimi, ne ho fatti tanti di errori tremendi.”

“Questo non lo metto in dubbio.” Steve aveva di nuovo colpito la sua spalla con la propria, restando questa volta appoggiato su di lui. E nella testa di Tony si stavano formando troppi film mentali su cosa poteva succedere in quel momento. La maggior parte erano degni di qualche rom-com che aveva visto in compagnia di Natasha e James.

“Sul serio, Rogers. Ho praticamente un unico amico e a volte non mi fido neppure di lui perché è un militare. Sono circondato da uomini in divisa, non è possibile.” Aveva mormorato l’ultima frase più a sé stesso che all’altro.

“Il Colonnello Rodhes è un brav’uomo. E non si è fermato finché non ti ha trovato.”

Tre mesi. Rhodes lo aveva cercato per tre mesi e alla fine lo aveva ritrovato, anche se Tony era riuscito ad evadere da solo con l’aiuto del proprio ingegno e di un uomo che ha dato la vita per salvarlo.

Aveva chiuso gli occhi, passandosi una mano sul viso.

Sei un uomo che ha tutto e niente.

Dopo tanti anni in cui aveva creduto di aver cambiato le cose, le parole di Yinsen erano risuonate nella sua mente. Di nuovo aveva tutto e niente, ed era di nuovo per colpa sua.

“In quella merdosa caverna un uomo è morto per permettere a me di salvarmi. Un uomo che probabilmente ha perso ciò che di più caro aveva al mondo per causa mia. Perché Stane vendeva le armi a destra e sinistra, senza distinzione di sorta. Forse proprio le mie armi hanno ucciso la sua famiglia. E lui cosa fa? Si sacrifica affinché io possa uscire da quel posto. Era un uomo fantastico. Era uno scienziato brillante. E muore per salvare me, che era meglio non fossi mai nato.”

“Non lo dire. Non lo dire mai più.”

Aveva alzato lo sguardo verso Steve e questi era più serio di quanto non lo avesse mai visto da quando lo aveva conosciuto. Neppure la prima sera era così serio.

“Non dire mai più una cosa del genere. Se sei vivo vuol dire che così doveva essere. Se tu fossi morto in quella caverna, chi avrebbe costruito il braccio di Bucky? O gli arti di tanti altri soldati e non? Chi avrebbe dedicato così tanti soldi alla ricerca medica? Di certo non Obadiah Stane, Tony.”

“Sono il Mercante di Morte, Steve. Questo nome non mi abbandonerà mai. Barnes ha perso il braccio per colpa mia. E tu hai divorziato per causa mia, per l’amor del cielo.”

“E’ solo un caso che tu sia il filo conduttore di questo. Eravamo soldati. Bucky poteva rimanere ferito in qualsiasi altra missione, e questo avrebbe avuto su di me le stesse ripercussioni. Bucky per me è molto importante. Anche quando non avevo nulla, avevo lui. E’ l’unica famiglia che mi sia rimasta e vederlo ferito a quel modo ha spezzato qualcosa. E se fosse morto? E se non si fosse mai ripreso?” Steve si era spostato mettendosi di fronte a lui per poterlo guardare meglio. “Invece lo ha fatto meglio di quanto non abbia fatto io. E per quanto sia paradossale, è stato grazie a te.” Il biondo aveva appoggiato il palmo aperto della propria mano sul suo petto, e Tony era sicuro che avrebbe potuto sentire il battito del suo cuore accelerare. “Tu personalmente gli hai costruito quel braccio. E grazie a te ha conosciuto Natasha. Sei un uomo molto migliore di quello che credi, Stark.”

Stava per farlo. Aveva aperto la bocca per dire qualcosa. L’aveva subito dopo chiusa. E Steve non si spostava. La sua mano era ancora sul suo petto. Sentiva il calore sprigionarsi da essa, o forse era solo la sua immaginazione, ma poco gli importava. Steve era di fronte a lui. E lui si era sporto verso l’altro uomo. Guardava i suoi occhi azzurri e non riusciva a staccarsi da essi.

Stava davvero per farlo. Stava per baciare Steve Rogers e Steve Rogers non si stava spostando. Poteva già pregustare la sensazione che quelle labbra potevano avere contro le sue. Morbide. Sembravano morbide e lui voleva assaggiarle.

Il clacson di una macchina sconosciuta aveva spezzato la magia di quel momento.

Steve si era spostato velocemente e lui si era voltato per maledire chiunque fosse arrivato in quel momento, solo per ritrovarsi di fronte a Peter che scendeva dalla macchina e uno sconosciuto che lo imitava.
   
 
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