3.
Il carro aveva lasciato l’accampamento poco prima di
mezzanotte. Arslan lo aveva accompagnato con lo sguardo fino a vederlo
inghiottito dalle tenebre. Chiuse gli occhi e sospirò. Tentò di liberare la
mente, rilassato dalla leggera brezza che gli accarezzava il volto e dallo
scoppiettio del fuoco acceso tra le tende del campo. Le sua quiete però non
durò più di qualche minuto: all’improvviso un fruscio alle sue spalle gli fece
impugnare d’istinto l’elsa della spada. Si voltò di scatto e quando Daryun
apparve dall’ombra il suo corpo fu percorso da un brivido di sollievo.
“Vostra Maestà”, esordì inchinandosi. “La squadra di
ricognizione è appena rientrata. Non è stato notato alcun movimento sospetto”,
riferì.
“Bene”, commentò Arslan. “Se è tutto, sei libero di andare
a riposare”, gli disse dandogli di nuovo le spalle, lasciando che il suo
sguardo si perdesse nella buia foresta che si estendeva al di là
dell’accampamento.
Daryun abbassò lievemente il capo e fece per andarsene, ma
il nodo alla gola che lo aveva tormentato per tutto il giorno, non gli concesse
di fare nemmeno un passo.
“Vostra Maestà”, disse voltandosi verso il re, “comprendo
che per voi questo sia un momento estremamente difficile. Tuttavia vi prego di
non permettere alle circostanze di farvi dimenticare che questa notizia
dev’essere fonte di immensa gioia per Voi e la Vostra regina.”
Le parole di Daryun, come sempre pregne di sincerità,
toccarono la sensibilità del sovrano. L’Eran si inchinò di nuovo e mosse
qualche passo verso le tende.
“Quante volte ho immaginato come sarebbe stato questo
momento… eppure non avrei mai pensato che sarebbe andata così”, ridacchiò
Arslan con una punta di amarezza. Daryun si bloccò.
“Dopo aver ricostruito Pars, promisi a me stesso che avrei
ricostruito anche la mia vita e riempito quel vuoto che non ero ancora riuscito
a colmare”, disse portandosi una mano al petto. L’Eran si voltò e si concesse
qualche istante per osservare la figura del re. Le sue gambe, illuminate dal fuoco
che ardeva indisturbato, proiettavano sulla terra ombre tremolanti. Le sue
braccia, così decise nel maneggiare la spada in battaglia, sembravano ora
deboli e stanche. La sua schiena e le sue spalle, non più quelle di un
ragazzino, ma di un uomo fiero e maturo, sembravano perdersi nell’ombra.
“Promisi a me stesso che avrei costruito una famiglia tutta
mia, che avrei avuto al mio fianco una persona a cui sarei stato pronto a
dedicare la mia vita, che avrei avuto dei figli. Avrei costruito tutto ciò che
ho sempre desiderato e non ho mai avuto”, disse sorridendo. “Questo era il mio
sogno”, sospirò chiudendo gli occhi.
“È davvero ammirevole Vostra Maestà”, commentò Daryun,
infondo non sorpreso dalla confessione del sovrano.
“Questo era il mio sogno”, ripeté Arslan caricando le sue
parole di decisione e tristezza allo stesso tempo. “Ma non ho mai chiesto a
Estelle se fosse anche il suo.”
Daryun continuò a fissarlo, immobile, incapace di
articolare anche una sola parola, tanto gli sembrava inadeguata qualsiasi cosa
gli balenasse in mente.
“È estremamente egoista, non credi Daryun?”, chiese il
giovane re, voltandosi a guardare per la prima volta l’Eran.
“Vostra Maestà l’egoismo non è parte della vostra natura”,
rispose d’istinto, non riuscendogli possibile accostare tale atteggiamento al
carattere del suo giovane signore.
“Eppure non ho mai considerato la possibilità che la sua
vita fosse già completa così com’era”, continuò il sovrano sospirando. “E che
non desiderasse nulla di più.”
“Maestà vi prego, non lasciatevi turbare da pensieri tanto
negativi”, lo supplicò Daryun, risultando più apprensivo di quanto volesse dar
a vedere.
“Avete invece a parer mio dimostrato l’immenso affetto che
vi lega alla regina: siete stato disposto ad attirare su di voi la sua disapprovazione,
preferendo la sua incolumità. Mi riesce impossibile definire egoista un tale
comportamento”, aggiunse nella speranza di risollevare l’animo al sovrano.
Arslan ridacchiò sommessamente.
“In ogni caso”, riprese subito dopo, “potrete conoscere i
sentimenti di Sua Maestà solo quando avrete modo di rivederla. Non tormentatevi
prima del necessario.”
Arslan sospirò di nuovo e le sue labbra si piegarono in un
velato sorriso. Mosse qualche passo e l’Eran riuscì a scorgere con chiarezza i
lineamenti del suo volto, ora rischiarati dalla luce del misero falò.
“Perdonami se ti ho coinvolto anche quando avrei dovuto
essere capace di cavarmela da solo”, disse Arslan posandogli una mano sulla
spalla. “Vedi, per me è facile confidarmi con te perché ho la certezza assoluta
che saprai ascoltarmi ed essere sincero. Grazie Daryun.”
Non solo dalle sue parole, ma anche dalla sua voce trasparì
quel senso di immensa gratitudine che gli occhi blu del sovrano non smettevano
mai di comunicare al Generale Supremo. Il re lasciò la spalla del fedele
compagno e si incamminò verso il cuore dell’accampamento.
“Ne sono onorato Vostra Maestà.”
Si voltò indietro, ma Arslan era già sparito oltre le
tende. Quel ragazzino debole e indifeso, sfiorato dalla morte sui campi di
Atropatene, era riuscito a salvare la sua patria, a conquistarne il trono con
il favore del suo popolo. Aveva avuto il coraggio e la determinazione di
seguire il suo cuore, invece delle convenzioni. Ed ora sarebbe diventato padre.
Davvero era difficile riconoscerlo, ma chi gli era stato
accanto sempre e con devozione sin dal primo giorno, non poteva che guardare
con orgoglio al giovane re Arslan di Pars.
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Il carro viaggiava lento, inerpicandosi su sentieri
sterrati e dismessi, addentrandosi senza indugio nell’oscurità notturna,
guidato dalla luce lunare che silenziosa gli indicava la via. Due cavalieri
procedevano al passo in testa al piccolo e improvvisato corteo, aprendo la
strada al carro. Lo seguivano altri due soldati a cavallo.
Le ruote lignee cozzavano inesorabilmente contro le rocce
che affioravano ovunque sulla strada, facendo sobbalzare il carro e le persone
a cui offriva riparo.
I continui scossoni erano solo uno dei motivi per cui Estelle
non riusciva a trovare pace. Seduta a gambe e braccia incrociate, sospirò per
l’ennesima volta, abbandonandosi contro la parete del comune mezzo di
trasporto. Nonostante il buio, riusciva a distinguere chiaramente le due figure
degli uomini posti a guardia, i quali apparentemente non avevano avuto la
stessa reticenza della regina a lasciarsi prendere dal sonno. Un altro scossone
e Estelle dovette stringere i denti per la fitta di dolore che le attraversò la
spalla, che tuttavia non fu sufficiente a distrarla dai sui pensieri.
Arslan non le aveva mai parlato in quel modo. Non era mai
stato così severo, nemmeno dopo che aveva tentato di ucciderlo, pensò
richiamando alla memoria eventi di anni prima. Oltre che irritarla
terribilmente, le parole di Arslan l’avevano turbata più di quanto fosse
disposta ad ammettere. Con una certa irrequietezza, ripercorse tutta la loro
conversazione, se così poteva essere definita, prendendo a giocherellare con i
suoi lunghi capelli dorati, gesto tanto raro quanto segno di tutto il suo
disagio.
Possibile che ciò che aveva fatto avesse deluso Arslan così
profondamente? Aveva risposto alla richiesta d’aiuto gridata dalla sua terra,
non aveva Arslan fatto lo stesso? Si era precipitata nel campo di battaglia
senza pensare ad altro che combattere per il suo popolo, era questo un errore
tanto grave? Voleva proteggere le persone che amava, ma non aveva Arslan fatto
lo stesso ordinando il suo rientro immediato a Ecbatana?
Estelle si morse un labbro. Come poteva biasimarlo, se il
suo agire era stato dettato dagli stessi principi da cui ella stessa si faceva
guidare? E come aveva potuto pensare di non coinvolgerlo in un momento tale,
così importante, così emozionante, della vita dei un uomo?
Uno scossone la strappò bruscamente dalle sue riflessioni
per catapultarla di nuovo nel buio del carro. Il suo sguardo non era più
rigido, ma velato da una certa tristezza, mentre vagava pensieroso nell’ombra.
Fu solo quando si posò sulle proprie mani che si rese conto di averle fatte
scivolare con delicatezza sul suo ventre. Restò a fissarle per qualche minuto,
improvvisamente rasserenata dal tiepido calore che le sembrava di percepire.
Per la prima volta Estelle accettò con sincerità e
consapevolezza che presto avrebbe dovuto affrontare la sfida più difficile
della sua vita, ma le sarebbe bastato sapere di avere Arslan al suo fianco
perché paura e insicurezza si sciogliessero come neve al sole.
Il carro si fermò bruscamente. Estelle e le due guardie
furono scaraventate in avanti. I due uomini si svegliarono di soprassalto e
presero a guardarsi attorno con aria confusa. Estelle riuscì a rimettersi
seduta, premendo con una mano contro la spalla dolorante. Uno dei due soldati
si precipitò al suo fianco, mentre l'altro, sguainata la spada, corse verso l'uscita.
“Attendete qui Vostra Maestà”, esclamò sparendo oltre la
tenda. Non passò più di qualche secondo e un lacerante grido squarciò l'aria.
Estelle s'irrigidì e
il soldato saldò la presa attorno al braccio della sovrana, più per terrore che
per difesa. Dopo i primi attimi di esitazione, la guardia si alzò e lentamente
si diresse verso l'uscita sfilando la spada dal fodero.
“Attendete qui Vostra Maestà”, imitò il compagno con voce
tremante. Spalancò la tenda e il suo corpo fu scaraventato all'indietro. Estelle
si scansò appena in tempo per non finire schiacciata sotto il cadavere
dell'uomo, trafitto da un dardo in pieno petto. La regina si ritrasse di nuovo
contro il fondo del carro alla frenetica ricerca della sua spada, che era certa
aver fatto riporre con cura tra i bagagli. Riuscì ad impugnarla e un fastidioso
crepitio di legno infranto e stoffa strappata la fece voltare di scatto.
All'estremità opposta del carro la attendeva un ghigno la
cui ripugnanza era accentuata dai due scurissimi occhi che la fissavano da
sotto le folte sopracciglia nere. Dalle sottili labbra dell'uomo, appena
visibili oltre la folta e incolta barba, si scatenò una rumorosa risata.
“Bene, bene, bene. Cosa abbiamo qui?”
Il bandito certamente intendeva terrorizzare la donna che aveva
di fronte con il suo atteggiamento beffardo, e senza dubbio non si sarebbe mai
aspettato che Estelle, irritata oltremodo da quel suo fare a dir poco
grottesco, gli si sarebbe gettata addosso brandendo l'affilata lama al grido di
battaglia. L'uomo si ritrasse e ancora confuso sguainò la sciabola che gli
pendeva dalla cintura. Schivò il fendente della regina ma per aver inarcato
troppo la schiena scivolò fuori dal carro. Estelle lo seguì spada alla mano
lasciandosi investire dalla fredda aria notturna. Il bandito, di nuovo in
piedi, non fissava più la regina dall'alto della sua arroganza, ma indispettito
dalla vanità della sua azione intimidatoria. Per la seconda volta fu Estelle a
prendere l'iniziativa e si lanciò all'attacco. Il bandito contrattaccò e i due
ingaggiarono una spietata lotta a colpi di spada. Tra un fendente e l'altro,
Estelle intravide a terra, privi di vita, tre dei quattro cavalieri della
scorta. Accanto ai cadaveri dei soldati parsiani, giacevano altri due uomini,
con le sciabole ancora in mano. Poco distante il quarto, disarcionato dal
proprio destriero, si stava battendo contro due uomini che dalle povere vesti
di pelle animale e dall'aspetto trasandato non potevano che essere compagni del
bandito. Il soldato riuscì a ferire a morte il più basso e tozzo, ma quando si
gettò contro l'altro, la sua agilità non eguagliò l'efficacia della sua spada:
caddero l'uno per mano dell'altro.
Il bandito, accortosi di essere rimasto l'unico superstite
tra i suoi, grugnì di rabbia e marciò contro Estelle dando sfogo a tutta la sua
brutalità. La regina riuscì a contrastare i primi fendenti, ma la crescente
pressione sulla spalla non faceva che tormentarla con atroci dolori. La presa
sull'arma si fece più debole, mentre facendo conto ormai sulla sua sola
agilità, faticava a schivare i colpi dell'uomo, tentando di ignorare la nausea
e lo stordimento. L'affievolirsi dell'energia della regina non passò
inosservato al bandito, che direzionò la sua ira in un colpo diretto e deciso,
sferzato con violenza contro la lama di Estelle. Le forza abbandonarono la
giovane donna. La brutalità del colpo le strappò un grido di dolore
scaraventandola contro la parete del carro. Estelle perse la presa sull'elsa e
la sua spada schizzò via roteando. Il bandito si avvicinò alla regina
accasciata a terra. I bei lineamenti della sovrana erano distorti in una
smorfia atroce e i suoi occhi d'ambra puntavano come frecce avvelenate contro
l'aggressore. L'uomo riacquistò lo sguardo beffardo con cui aveva creduto di
incutere timore alla giovane e scoppiò in una fragorosa risata.
“Davvero hai pensato di poter competere con me? Sono io il
re di questi sentieri!”
L'uomo impugnò la spada con entrambe le mani e la sollevò
sulla testa, pronto a calarla su Estelle. Lo sguardo disprezzante della regina
non fece che incentivare l'intento omicida dell'uomo, che ridendo abbassò le
braccia.