505
{1.478
parole}
“
I'm
going back to 505,
If it's a 7 hour flight or a 45 minute drive,
In my imagination you're waiting lying on your side,
With your hands between your thighs ”
«Esci anche stasera?»
Duncan si voltò di scatto e si ritrovò
davanti Gwen, ferma sul ciglio della cucina con i capelli spettinati,
una
sigaretta accesa tra le dita e un’espressione corrucciata
dipinta in volto.
«Sì» confermò lui, voltandosi
verso il
tavolo e prendendo le chiavi di casa e quelle della moto da dentro una
ciotola.
«E si può sapere dove vai?» chiese, la
voce
che le si incrinò.
La guardò tranquillamente.
«Da Geoff, a guardare la partita» rispose
evasivo, cercando di suonare il più convincente possibile.
«Sai, ha una TV a
schermo piatto pazzesca».
Si
sforzò di mantenere il contatto visivo con lei, mentre
quegli occhi neri onice
lo squadravano dalla testa ai piedi, come a volergli fare i raggi x,
come a
voler accertarsi della veridicità della sua frase. Alla fine
sospirò e,
lentamente, annuì. Se
l’era bevuta.
«Cerca solo di non tornare troppo tardi, stavolta»
gli
raccomandò.
Lui abbozzò un ghigno e le si avvicinò,
prendendole il
viso tra le mani e stampandole un fugace bacio sulla bocca.
«Non preoccuparti, sarò puntualissimo»
mormorò ad un
centimetro da quella.
Poi si allontanò di colpo, la scavalcò e,
afferrando
il suo casco dall’appendiabiti, uscì di casa
sbattendo la porta. Gwen,
inizialmente spiazzata da quel gesto del tutto inaspettato, rimase
immobile a
guardare la scena, portandosi la sigaretta tra le labbra e facendo un
tiro profondo.
Aveva mentito, Duncan, aveva mentito per l’ennesima
volta. Non era da Geoff che stava andando e, di certo, non sarebbe
tornato
tanto presto.
Lo ammetteva, un po’ gli faceva schifo ingannare la
sua fidanzata così spudoratamente e si considerava un
codardo per questo. Non
meritava di essere trattata in quel modo. Poi, però, gli
affiorava alla mente
l’immagine di lei che lo
aspettava
rannicchiata sul suo letto, con un sorriso stampato in volto, e quel
bruciante
senso di colpa spariva totalmente.
E, con quella visione in testa, Duncan s’infilò in
casco, si mise a cavallo della moto e partì alla volta delle
strade illuminate
di Toronto.
Stava tornando
al 505.
“
Stop and wait a sec,
Oh when you look at me like that my darling,
What did you expect,
I
probably still adore you with your hands around my neck,
Or I did last time I checked
”
Al numero 505 di Richmond Street non abitava altro che
la giovane avvocatessa Courtney Barlow, nonché fidanzata
storica di Duncan ai
tempi delle prime stagioni di quell’insulso reality a cui
entrambi avevano
partecipato. Quella lei che
popolava
i suoi sogni più selvaggi, infatti, era proprio Courtney.
Aveva avuto il piacere di rivederla quando, circa due
mesi prima, aveva forato con la macchina e il destino aveva voluto che
si
presentasse proprio nell’officina dove lavorava lui. Era
stato uno shock
rivederla.
E dopo averle cambiato la gomma, erano riusciti ad
avere una conversazione quasi
civile
- perlomeno, la giovane aveva evitato di urlargli contro, limitandosi
ad
insultarlo velatamente di tanto in tanto - e l’aveva convinta
ad uscire con
lui, quel weekend.
Non ricordava granché di quell’appuntamento: in
qualche modo, quel poco di alcol che entrambi avevano bevuto aveva
fatto sì che
quella serata si concludesse con un letto, due corpi nudi e una
passione che
tornava a bruciare dopo anni come fuoco incandescente, indomabile.
Inutile dire
che erano seguite tante altre sere come quelle.
Per quanto poteva provare disgusto per se stesso, scoprì
di non riuscire a sentirsi colpevole per quello che stava facendo, non
provava
alcun tipo di rimorso. Amava davvero Gwen, era una ragazza fantastica,
tutto
quello che avrebbe mai potuto desiderare; ma, allo stesso tempo,
provava
qualcosa anche per Courtney: lei era un rompicapo, un’arma
letale, una bomba ad
orologeria. Era una sfida a cui non avrebbe rinunciato. E poi,
l’idea di farci
sesso in segreto lo eccitava come non mai.
Insomma, perché
sceglierne solo una quando poteva averle entrambe?
Duncan parcheggiò proprio sotto il 505. Scese dalla
moto e si sfilò il casco; l’aria fredda di
metà febbraio gli sferzò il viso. La
strada, pur trovandosi vicino al centro di Toronto, era stranamente
desertica:
la gente preferiva restarsene a casa, al calduccio.
Suonò al citofono e il portone si aprì con una
scatto
sinistro. Una volta dentro il palazzo, s’infilò
dentro l’ascensore e adocchiò
il pulsante che recava il numero 5; qualche istante più
tardi le porte si
aprirono sul piano richiesto e lui si diresse davanti al secondo
appartamento
sulla destra. Tutti gesti meccanici che ormai facevano parte del
quotidiano.
Premette il campanello per qualche secondo e, mentre
sentiva la serratura scattare e la porta aprirsi lentamente, gli si
dipinse un
ghigno sul volto. Era tornato.
Courtney lo accolse nel salotto, illuminato solo dai
pallidi raggi della luna piena, con un sorriso malizioso e una
deliziosa
vestaglia violacea, da cui si intravedeva un reggiseno di pizzo nero.
Il tutto
bastò per mandare in tilt il cervello - e gli ormoni - del
ragazzo.
«Temevo non saresti più venuto»
mormorò lei.
Duncan abbandonò il suo casco in qualche angolo e
tornò a concentrarsi sui suoi occhi da cerbiatta. Brillavano
di lussuria.
«Perdonami principessa, ho avuto un piccolo
contrattempo» rispose afferrandola per la vita.
Lei ridacchiò, gettandogli le braccia attorno al
collo. La adorava.
«Vedi di non farmi aspettare più così
tanto,
d’accordo?» domandò ad un soffio dalle
sue labbra.
E poi, senza aspettare altro, come se fosse quello che
aveva sempre desiderato, si avventò su di esse e prese a
baciarlo con
trasporto. Lui non si fece cogliere impreparato e approfondì
il bacio,
infilando la lingua nella sua bocca.
Le mani, dal suo bacino, risalirono fino allo stomaco
e le slacciarono la cinta della vestaglia, che le tolse con una sola
mossa. Poi
cominciò a lasciarle una scia di baci lungo il collo, fino
ad arrivare alla
clavicola; lei ansimò ad ogni tocco.
In un attimo di lucidità, prima che lui potesse
slacciarle il reggiseno, Courtney gli sfilò via la
maglietta, lasciandolo a
petto nudo; Duncan, colto di sorpresa, sgranò gli occhi.
Lei lo guardò intensamente, mordendosi un labbro con
fare sensuale, e lui rimase senza fiato per qualche secondo,
completamente
ammaliato. Era una ribelle, una santa, era estremamente pericolosa. E teneva il suo cuore in pugno come una
granata.(1)
E mentre continuava a baciarlo, arpionandogli la
schiena con le mani, lo spinse con impazienza fino in camera da letto.
Si sorrisero. Sarebbe stata una lunga notte.
“
But I crumble completely
when you cry,
It seems like once again you've had to greet me with goodbye ”
I loro corpi ansimanti e nudi, coperti solo da un sottile lenzuolo, giacevano sul letto, completamente avvinghiati tra di loro.
Courtney giocherellava con il suo pizzetto, mentre Duncan le accarezzava il fianco sinistro con le dita, beandosi ancora per un po’ di quella dolce visione; poi, come se si fosse ricordato solo in quel momento di dover svolgere un compito di estrema importanza, si alzò di scatto e, intercettando i suoi vestiti sparsi per la stanza, cominciò a rivestirsi.
«Non puoi» quasi urlò Courtney, mettendosi a sedere e osservandolo.
Le sorrise e la guardò come se fosse una bimba ingenua. Davvero aveva creduto che restasse?
«Devo tornare, l’ho promesso» si giustificò, infilandosi i pantaloni. Intanto lei lo guardava con gli occhi lucidi.
Temeva che sarebbe potuta scoppiare a piangere da un momento all’altro. Non sapeva perché, ma il solo pensiero gli fece del male: non avrebbe potuto sopportarlo.
Si schiaffeggiò mentalmente. Insomma, lui era un duro, non poteva farsi sopraffare dalle emozioni in quel modo!
Si sedette sul bordo del letto e si sporse verso di lei, prendendole il volto tra le mani e costringendola a guardarlo. Per un attimo, sembrò ipnotizzata da quell’azzurro intenso e scintillante, senza riuscire a dire una parola.
«Non hai ancora avuto le palle di dire di noi due a Gwen?» chiese senza nascondere del rancore, abbassando lo sguardo. Pronunciò il nome tanto odiato come se si trattasse di un’imprecazione.
Di tutta risposta, Duncan la tirò a sé e la baciò intensamente, assaporando le sue labbra: sapeva di miele. Poi si staccò e avvicinò la bocca al suo orecchio.
«Tornerò, lo giuro» sussurrò con voce rauca, facendo vibrare le corde vocali. Courtney sentì un fremito attraversarle la spina dorsale. «Arrivederci, principessa» continuò, sfiorandole la guancia con la punta del naso.
Poi, ancora senza maglietta, si allontanò in fretta ed uscì dalla camera da letto, richiudendosi la porta alle spalle.
«Arrivederci» mormorò lei, mentre un fastidioso bruciore le rodeva il fegato e gli occhi le pizzicavano. Ci era cascata, un’altra volta.
Ma, ne era certa, c’era del vero nelle sue parole - quell’arrivederci: sarebbe tornato al 505.
“
Middle of adventure, such
a perfect place to start ”
505 - Arctic Monkeys
Note:
(1)
Riferimenti non
troppo velati
a She’s A
Rebel dei miei amati Green
Day.
Angolo
dell’autrice
Ehilà, gente!
Dopo secoli
eterni, sono finalmente tornata sul fandom di A Tutto Reality con una
one-shot
Duncney, con accenni Gwuncan all’inizio. Sono emozionata:
è la prima a rating
arancione ed è la prima volta che scrivo una scena lime. Che
ne dite, è
vagamente accettabile?
Come avrete
notato, la fan fiction è ispirata a 505 degli Arctic
Monkeys, vi consiglio di
leggerla con la canzone in sottofondo. Ringrazio il gruppo e lo
splendido brano
per avermi ridato l’ispirazione che avevo perso durante la
fase di blocco.
Spero vi
piaccia e, come sempre, una recensione è sempre gradita. Mi
piace confrontarmi
con i miei lettori.
Non ho
nient’altro da aggiungere, mi auguro solo di non far passare
altri sei mesi.
Rage &
love, Hayle.