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Autore: Aki_chan_97    13/06/2016    8 recensioni
Millenni fa un'antica, mostruosa creatura venne imprigionata nelle profondità della terra dal Drago Rosso Cremisi. Egli chiuse la tomba dello sconfitto con cinque sigilli, che vennero in seguito affidati a cinque diversi esseri umani. Essi divennero i custodi dei cinque frammenti di potere del drago, e grazie alla loro presenza la pace poté regnare sovrana sul mondo. Ma mai nessuno, finora, aveva tentato di ricongiungere i segni insieme. Quale minaccia è appena comparsa all'orizzonte? Il Satellite, Neo Domino e il mondo intero rischiano davvero la loro pace? Riusciranno i possessori dei cinque sigilli a scoprire cosa sta accadendo per impedire in tempo il ritorno del demone vendicatore?
(YuseixAki) !!!! DISEGNI 12, 13, 14, E 15 AGGIORNATI !!!!
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aki/Akiza, Yusei Fudo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Puntata speciale: ready to suffer again, bitches??

 
Io: *si guarda nervosamente i piedi* credo si stiano abituando ai ritardi, neh
 
Yusei: ormai credo proprio di sì
 
Io: *deep sigh* speriamo di finire la fanfic prima di finire sottoterra. Sarebbe molto triste inventarmi il finale nel mio testamento.
 
Aki: vantaggio per noi però.
 
Io: …vedi di non provocarmi, non mi ci vuole niente ad alzare il livello di sofferenza di questa storia. O abbassare la vostra soglia di sopportazione del dolore, that’s it.
 
Aki: …e poi pretendi che dobbiamo essere amichevoli con te
 
Io: eccerto v.v ah, comunque, a proposito del capitolo… Dovrebbe essere più doloroso avvincente questa volta. Spero di non lasciarvi delusi.
 
Yusei: …qualcosa mi dice che dovrei avere paura di un’affermazione del genere da parte tua
 
Io: in effetti, l’istinto di solito non sbaglia c:
 
tutti: *deglutiscono*
 
io: bene! Come sempre, ringraziamo gli ultimi recensori e i fedeli, come Darkdan Hibiki Kurokawa, lady_eclisse, crazyfrog95, Aliss01, Black_RoseWitch, Filippo Argenti, CyberFinalAvatar, iridium_senet, SuorMaddy2012 e il neo recensore Danmel_Faust_Machieri! :3 Vi voglio bene ragazzi, tanto <3 e anche ai lettori che ricordano/favoriscono/preferiscono la storia, o che semplicemente se ne stanno silenziosi dietro allo schermo eh u.u tanto llllove <3
 
Yusei: a loro di certo
 
Io: insinui che io non vi voglia beeeene? :o
 
Tutti: *la guardano storto*
 
Io: Okay, okay. Alzo le mani. Allora, riguardo la storia: eravamo rimasti a Ruka che ha trovato i nostri amici e che ha suggerito caldamente a tutti di darsi la mano prima di essere trovati dai consueti mostri, ma appena si sono congiunti i marchi BOOM è successo qualcosa di mistico e di sconosciuto di cui non si è capita una mazza! Andiamo a scoprire che cosa significa, yeah! uwu *si eclissa*
 
 
 
 
 
POV: Yusei
 
Il tunnel di cristalli scomparve. La tenebra ci sommerse in un baleno. Non sentivo più nulla. Tutto fu assolutamente inerte: nessuna luce, nessuna voce, nessun dolore, niente di niente. Come se dormissi. Tutto era immobile. Tanto immobile che ebbi timore che sarei rimasto lì, così, in eterno. Avrei davvero vagato in quella dimensione all’infinito?
 
Mano a mano, però, qualcosa cominciò a cambiare. Sentii tirare dolcemente il mio corpo, come se tanti fili sottili si fossero avvolti attorno ai mei arti, e lentamente mi guidassero da qualche parte, come una barca trascinata nel mare calmo; sempre più numerosi, sempre più insistenti. Sembravano non finire mai. Era quasi piacevole.
 
Poi avvertii uno strattone. Il buio svanì in un lampo. Mi sentii precipitare. Trascinato in un abisso senza fondo. Poi mi schiantai a terra, in un corpo improvvisamente angusto, pesante, affaticato, riverso contro il suolo. Era una sensazione familiare. Era già successo. Ma stavolta sentivo fruscii di vento accarezzarmi le spalle spoglie. Tossii. Cercai di aprire gli occhi annebbiati: nessuna traccia del buio della grotta, al contrario, c’era una luce accecante e molta polvere nell’aria.
 
Per un attimo misi a fuoco mani e braccia: qualcosa non quadrava. La mia pelle sembrava molto più scura del normale. Avevo indosso dei bracciali d’oro poco familiari. Ero coperto da terriccio e alcune strisce di pittura azzurra, e le mie mani erano sporche di una sostanza rosso-scura che mi inumidiva palmi e dita. In un angolo remoto della mia mente, per un istante pregai che non fosse quello che sembrasse. Ma cosa…? Quando mi ero messo quei bracciali? Perché la mia pelle aveva quel colore? Non ero conciato così prima! Né tantomeno ero coperto di pittura… Ma invece di studiare cos’avessi indosso, i miei occhi si spostarono sul terreno sotto di me. Secco e arido, pieno di piccole crepe. Ero su una larga pianura. L’aria era torrida e piena di polvere. L’afa soffocante. Ma soprattutto, c’era un baccano infernale. Grida, clangori di ferro, strepiti, il chiasso era insopportabile.
 
Allarmato dal cambio di ambiente tanto brusco, tentai di rialzarmi da terra, ma le braccia mi cedettero. Finii di nuovo a terra. Realizzai in quell’istante quanto il mio corpo fosse provato dalla fatica. Mi sembrava di aver corso per miglia, mi dolevano tutti i muscoli. Di una cosa però mi ero reso conto: non ero vestito affatto come prima. Il busto era spoglio, e anche le ginocchia erano scoperte. Avevo anche delle cose fra i capelli che scendevano fin sulle spalle, a tatto sembravano… piume?
 
Per qualche motivo non potei girare la testa; rimasi a fissare il terreno, come ipnotizzato. La cosa non mi piaceva per niente. Bracciali del genere li avevo visti solo nei libri di storia. Persino il colore della pelle era diverso, non poteva essere il mio. Sembrava fossi stato catapultato nel passato –e un passato molto lontano- ai tempi di una qualche civiltà antica, conciato addirittura di tutto punto a tempo record. Il che non si spiegava affatto. Non aveva il minimo senso. Tentai ancora di rialzarmi, tirando su il capo, nella speranza di capire cosa stesse provocando quella cacofonia assordante, ma una fitta nube di polvere mi impediva di vedere chiaramente cosa ci fosse attorno a me.
 
Non appena questa si diradò, impallidii: c’era un uomo riverso in una pozza di sangue davanti a me, assolutamente immobile. Il suo viso era girato nella mia direzione. Sembrava che la sua gola fosse stata violentemente recisa. Una scossa gelata mi corse lungo la spina dorsale. Realizzai in fretta quanti altri ce ne fossero attorno. La terra era disseminata di cadaveri e membra umane. C’erano fiumi di sangue ovunque; l’odore era tremendo. Chiamai a raccolta tutte le forze per non vomitare. Orde di uomini ancora in piedi si massacravano a vicenda; le loro armi erano rozze, ma con la forza bruta che impiegavano, erano efficaci. Non c’erano dubbi: ero su un campo di battaglia. Nel mezzo dello scontro. Ciò che mi sorprese di quei guerrieri però era il loro povero equipaggiamento, fatto pressoché di sole pelli, adorne di piume coloratissime, e il fatto che anche loro paressero appartenenti ad una civiltà di millenni fa –azteca, forse? - piuttosto che ad una moderna. Dove diavolo ero finito? Perché ero lì? Cosa ci facevo in mezzo a quel carnaio umano?!
 
“Yatol, spostati!”
 
Rotolai in tutta fretta su un fianco, schivando per poco un colpo di spada piovuto dal cielo. Pochi centimetri e mi avrebbe ucciso. Un attimo, perché avevo reagito a quel nome? Di chi era?
 
“Finalmente ti ho trovato!”
 
Raccolsi al meglio le forze e mi rimisi gradualmente in piedi, sollevando da terra un lungo pugnale di pietra, forse il mio. Non avevo idea di chi fosse quell’uomo. Studiai il volto del mio aggressore: aveva pelle scura, capelli ingrigiti e una barba piuttosto folta; il suo viso era coperto da segni di pittura violacea e rossa, ed era rivestito anch’egli in pelle di animale. La sua corporatura era piuttosto robusta. Tra le mani stringeva una sorta di lancia di legno, larga come una spada nella metà superiore, piena di pietre affilate sui bordi, coperta da sangue scuro. Magari era poco ortodossa, e forse non robusta come una spada di ferro, ma sembrava essere sufficientemente letale.
 
“Rowta.” sibilai, stringendo più forte il manico del pugnale. Un momento, come facevo a sapere chi era? Come conoscevo il suo nome?!
 
“Mi sorprendi. Credevo fossi morto nella mischia iniziale.” schernì. Non v’era nulla di familiare nel suo viso. Ero certo di non aver mai visto quest’uomo in tutta la mia vita. Ma allora, perché sapevo il suo nome? Perché mi parlava così? Un attimo dopo tirò fuori la punta dell’arma conficcata nel terreno e la strinse con forza, pronto a colpire. D’istinto indietreggiai, ma lui seguì i miei passi, lanciando fendenti incrociati; sfuggii alla loro traiettoria ripetutamente, finché non ci trovammo a girarci in tondo, come cauti predatori in attesa del momento opportuno per azzannarsi a vicenda.
 
‘Ma tu chi diavolo sei?!’ replicai. O almeno, tentai. Ma le mie labbra non si mossero.
 
“Ci vuole ben altro per uccidere me.” ribattei, invece. No. Non ero io a parlare. Era la mia bocca a dire quelle frasi, ma non lo era la mia testa. Ed era la prima volta che udivo quella lingua. Tuttavia, la capivo come se l’avessi parlata per tutta una vita. Che mi stava succedendo?! Perché mi stavo comportando così?!
 
“Il tuo popolo si dovrà arrendere. Ammettilo! Siete in minoranza, non potete vincere!”
 
“Non ci interessa vincere! Noi vogliamo soltanto proteggere la terra sacra che voi avete violato! Questa terra è degli dei, non vostra!”
 
‘Ma che diavolo ho appena-?!’
 
L’uomo grugnì, infastidito. Nei suoi occhi ardeva un incommensurabile astio. Poi, con un urlo, fece piombare un colpo di spada dall’alto. Lo bloccai con la mia lama, ma le ginocchia sostenevano quel peso a malapena. Ero troppo debole per fare di meglio. Da quanto tempo era andata avanti questa battaglia?!
 
“Tutto qua, principino?” ridacchiò, sprezzante. La stazza imponente gli garantiva più resistenza e forza di me. Non ribattei nulla. Sollevò rapidamente l’arma per colpire di nuovo con più foga –apparentemente era più resistente di quanto sembrasse-, ma continuai a spostarmi dal suo raggio d’azione. Non potevo permettermi di pararla di nuovo.
 
“Che fai? Scappi?!” Continuarono a piovere colpi della sua arma, che finivano o conficcati nel terreno o deviati dal mio pugnale. Io stesso ero sorpreso da come riuscissi ad usarlo. Ma non riuscivo ad uscire da quel circolo vizioso, non mi era rimasta abbastanza forza per contrattaccare –e quel poco che riuscivo a colpire si scontrava con robuste fasce di pelle. Non potevo più continuare così, ero a corto di energie. Ad un certo punto, Rowta sorrise. Tirò un affondo di spada a ritmo anomalo. Troppo veloce. Troppo potente. Non potevo schivarlo.
 
“YATOL!”
 
Qualcuno mi spintonò brutalmente a terra; rotolai sul terreno arido, cercando di riprendere quanto più fiato possibile. Qualcuno mi aveva appena salvato la vita, gridando un nome che non era mio. Ma chi?
 
Rialzai gli occhi: contro Rowta, munito di una spessa lancia rivestita di fasciature, era comparso un giovane alto, robusto, abbastanza forte da tenergli fisicamente testa. Ma benché avesse pelle e occhi scuri, la somiglianza dei connotati era micidiale. Per poco non mi venne un infarto. Jack?!
 
“Apaec!” gridai. Un altro nome, ora pronunciato da me. Nulla di tutto questo aveva senso. Era come se stessi guardando la scena dagli occhi di qualcun altro. Ma perché questo momento? Perché adesso?
 
Uno spintone più forte da parte del giovane, e Rowta si riposizionò a debita distanza. Avevano preso a muoversi in tondo. Mi rialzai e cautamente mi affiancai al guerriero che mi aveva salvato. Eravamo ad un punto di stallo, ma stavolta due contro uno. Gli altri combattenti erano occupati in una mischia più lontana, nessun altro nemico sarebbe intervenuto, per ora.
 
“Tch. Siete tutti così ostinati. Volete capire che lo facciamo per il vostro bene?! Restare isolati qui vi condurrà all’estinzione! Potreste sopravvivere come parte di un grande e longevo regno, e invece avete preferito ignorarci e chiudervi nella vostra sordità!”
 
“Certo che non vogliamo saperne niente del vostro regno! Finora avete solo bruciato i nostri campi, assalito i nostri templi e sparso il sangue dei nostri fratelli! Tutto a causa della vostra dannata sete di conquista! Se pensate che davvero vi lasceremo passare, allora vi sbagliate di grosso! Il Drago ve la farà pagare cara!”
 
Rowta ringhiò furioso. Sollevò il braccio e scaraventò un poderoso colpo di spada contro Apaec. A nulla servì la sua rapidità: la sola forza bruta fu abbastanza efficace da disarmarlo. Rowta era riuscito a scagliare un secondo colpo, e Apaec era caduto a terra per schivarlo. Non avrebbe avuto una seconda possibilità. Non ci pensai due volte. Mi gettai a capofitto nel duello.
 
Rowta scagliò un brusco fendente contro di me. Le pietre affilate si scontrarono brutalmente, ma Apaec fu libero di spostarsi dal raggio d’azione di Rowta. Almeno era fuori pericolo.
 
“Sciocco ragazzino, pagherete tutti questo affronto… se raderemo al suolo il vostro villaggio sarà solo colpa tua e del tuo cocciuto padre!”
 
Mostrai i denti. Se avessi stretto il manico del pugnale più forte, mi avrebbero sanguinato i palmi. Il cuore pompava adrenalina all’impazzata. Ero furioso, sentivo di esserlo, per quello che aveva detto. Ma non capivo perché. Io non avevo mai conosciuto mio padre…
 
Le pietre affilate sembrarono incrinarsi. Stavo forzando troppo la mano, ma Rowta sembrava cominciare a cedere. Ormai ero allo stremo. Fu un attimo: inclinai le spade incrociate, e tirai una testata sul suo muso. Fu sufficiente a farlo vacillare; un fendente contro la sua spada, e questa gli sfuggì di mano. Era la mia occasione. Ritirai il pugnale e lo affondai in avanti con tutte le forze.
 
Intravidi i suoi occhi: erano iniettati di sangue, carichi di un astio che scottava sulla pelle. Inumano. Tirai fuori la lama con uno strattone; Rowta cadde in ginocchio a terra, grondante di sangue, ormai prossimo alla morte. Mi mancavano le energie. Barcollavo. Dovetti indietreggiare e scendere su un ginocchio, puntando il pugnale a terra. Non riuscivo a credere di aver appena ucciso qualcuno. Eppure il mio corpo si era mosso con la precisa intenzione di ferire. Di togliere la vita. Senza alcuno scrupolo. Di certo non doveva essere la prima volta. Avrei potuto fermarmi molto prima, battere in ritirata se necessario; e invece ero rimasto lì. Prigioniero del mio stesso corpo. Compiendo azioni contro il mio volere. Dicendo parole che non avevo nemmeno pensato. Probabilmente stavo partecipando ad eventi che in un certo senso non mi era concesso modificare. Magari cose già accadute…
 
Un momento. Significava forse che questo non era un’illusione come le altre? Cos’era allora?
 
Una risata sommessa. Voce cupa. Alzai gli occhi: Rowta non era ancora morto. Era seduto sulle ginocchia in un lago di sangue, con le braccia abbandonate, eppure rideva. Come se avesse la vittoria in pugno.
 
“Hai appena firmato la condanna a morte del tuo popolo, pivellino” sibilò.
 
Non avevo idea di cosa intendesse. Eppure mi corse un brivido lungo la schiena. Rowta a prima vista non sembrava tipo da improvvisazioni. Se stava lanciando tali minacce in quello stato, poteva avere davvero un asso nella manica. Ma cosa poteva fare? Eravamo lontani dal cuore dello scontro, e non c’era nessuno all’orizzonte che si fosse accorto di lui, o che fosse disposto ad aiutarlo. Non aveva vie di fuga. Ma allora, perché sorrideva così? Cosa sarebbe mai potuto accadere di così terribile?
 
Stavolta ghignò. Chiuse gli occhi, mormorando qualcosa. Quando li riaprì, non erano più neri. Le iridi erano sparite. La sclera brillava di uno smeraldo abbagliante. Un’improvvisa onda d’urto si sprigionò dal suo corpo; eravamo troppo vicini. Sia io che Apaec fummo letteralmente travolti. Atterrammo malamente diversi metri più lontani, scombussolati da quella forza sovrumana. Mentre cercavo di rialzarmi ignorando i graffi, le ombre sul terreno mi costrinsero a guardare il cielo. Nubi nere stavano coprendo la luce del sole ad una velocità impressionante. Non era normale. Per niente. Nemmeno quei fulmini, nemmeno quell’aria improvvisamente gelida. La terra aveva cominciato a tremare. Le grida dei pochi soldati rimasti in piedi cessarono. Una parte di loro fissò il cielo, terrorizzata dalle ombre che si estendevano a perdita d’occhio; l’altra, dopo un primo momento di stupore, cominciò ad esultare. Dovevano essere gli alleati di Rowta. Sapevano cosa stesse accadendo. E questo sembrava aver rinnovato le loro energie. Male, molto male…
 
Nella distesa d’acqua che costeggiava le scogliere si intravide qualcosa. Sempre più grande, sempre più scuro. Più cresceva, più le onde si intorbidivano di liquami neri. Fu quando sollevò una specie di zampa deforme che compresi che quello era un essere vivente. C’erano dozzine di occhi rivolti al mare, alcuni pieni d’euforia, altri colmi d’orrore. Il vento portava solo il rombo delle onde sconvolte. Sentivamo la terra pronta a cederci sotto i piedi da un momento all’altro. Persino la natura stava soffrendo per quell’infausto arrivo. La bestia sollevò lentamente il capo informe. I liquami che la ricoprivano cominciarono a diradarsi; scaglie opache, arti irregolari, artigli aguzzi, tre bocche sovrapposte sul largo collo e tre occhi. Completamente vuoti. Un mostro ripugnante in piena regola.
 
Che fosse… Akuma?
 
All’improvviso, mi piegai in due a terra: dolore. Improvviso. Feroce. Lancinante. Sentivo la schiena in fiamme. Una pressione micidiale opprimeva le mie spalle. Trattenni a stento un grido. Apaec si precipitò da me. Capivo a malapena cosa dicesse. Che stava succedendo? Perché questo dolore? Che cos’era? Mi aveva ferito qualcuno? Cosa lo stava causando? Ricordava quello del marchio, quando bruciava. Ma questo era forse dieci volte più intenso. Un ferro rovente pressato sulla pelle, ecco che sembrava. Un enorme marchiatore di fuoco premuto contro la carne, grande quanto la mia schiena. Mi stava facendo impazzire.
 
Mi accorsi che Apaec mi teneva per le spalle. Stava cercando di scuotermi, di non farmi svenire. La terra continuava a tremare. Sollevai gli occhi abbastanza per scrutare i dintorni.
 
Mi strinsi il busto, serrando i denti dal dolore. Anziché affievolirsi, aumentava. C’era una strana forza che si impadroniva di me. Ancestrale. Primitiva. Mi trasmetteva tutto il suo astio verso quella bestia immonda, il suo disprezzo, la sua brama di sopprimerla. Di cancellarla dalla faccia della Terra. Sovrumana. Schiacciante. Troppa per il mio debole corpo. Sarebbe stata questa ad uccidermi, altro che armi nemiche…
 
Poi, le vidi: tante piccole scintille vermiglie cominciarono a percorrere le venature del suolo; il riverbero di quell’energia cominciò a propagarsi a distanza sempre maggiore, con un’intensità sempre più elevata. Apaec fu costretto ad allontanarsi di diversi metri. Quella luce nella terra palpitava, vivida. Stava per succedere qualcosa di tremendo, ero certo che fosse così. Lo sentivo nelle vene. Pulsavano impazzite a fior di pelle. Sentivo la testa scoppiare dal dolore, avevo perso il controllo sulle mie reazioni. Ero sull’orlo di perdere anche la ragione. Strinsi i denti. Portai a fatica le mani sulle tempie. Era insopportabile. Affondavo le unghie nel cranio, ma quella tortura non cessava. Anzi, peggiorava a livelli inimmaginabili. Era ben oltre il limite di sopportazione. Era come se il dolore sulla schiena si fosse arrampicato lungo la spina dorsale fin su nel cervello, prendendone possesso, infiltrandovisi fin nelle più remote profondità senza il mio consenso. Stavo impazzendo. Non pensavo avrei mai provato nulla di così terribile. Ero in balia di una forza sovrannaturale che mi stava lentamente uccidendo senza riuscire ad oppormi. Potevo soltanto pregare fra me e me che quel tormento finisse presto.
 
“Figlio mio, io non ti lascerò mai solo.”
 
Un sussurro. Un sospiro sorprendentemente vicino, familiare. Così fuori luogo in quel tormento, così impossibilmente dolce. Incompatibile nelle circostanze. Non volevo sentirlo. Non lì, non in quel momento. Volevo stesse lontano da quest’inferno. Eppure insisteva. Mi carezzava l’anima affettuosamente, quasi avesse mani, morbide e calde come quelle di una madre.
 
Quella fu l’ultima cosa che riuscii a comprendere.
 
Lanciai un grido. Con tutte le forze che mi erano rimaste. Un turbine cominciò a sollevarsi attorno a me. Il flusso di elettricità si innalzò al cielo. Il vento prese a vorticare in una stretta spira. La tempesta scarlatta sembrò radunarsi e prender forma. Ero alla base di una colonna di luce che si proiettava verso le nuvole; un’energia cosmica mi attraversava completamente, salendo dal suolo al cielo. Come se fossi un mezzo di passaggio. La soglia fra due dimensioni parallele.  Alzai gli occhi al cielo. No, quello lassù non era il sole. C’era una luce fortissima, ma non era del sole. Il sole era abbagliante, dorato, bianco; non sanguigno. Palpitava come un cuore di carne, gonfiandosi sempre di più. Ad un certo punto si aprì, come una rosa. Infine, perse tutti i suoi petali. Cielo e terra vennero tinti di sangue per un istante.
 
Un possente ruggito riempì le mie orecchie. Risuonò fin oltre l’orizzonte. E più si disperdeva, più il dolore nella mia testa si affievoliva. Pian piano, sempre di più. Titubante, lasciai scorrere le mani tra i capelli, giù dalle tempie. I folli battiti del mio cuore si placarono. Il senso di stanchezza andò scomparendo lentamente insieme al dolore. Ogni respiro che prendevo mi infondeva nuova energia. Sentivo le forze ricrescere di secondo in secondo. Un’ondata di sollievo mi pervase. La tortura era finita. La schiena non doleva più, ma sentivo vi fosse rimasto impresso qualcosa: era la stessa sensazione del marchio quando brillava, senza far male. Solo che questo era molto più esteso. Presi un respiro profondo. Ero più che in forze. Le mie energie erano state del tutto rinnovate. Ne avevo guadagnate in maniera smisurata. Strinsi i pugni. Ora mi sentivo molto più che bene. Forte. Potente. Quel dolore era lontano ormai, un vecchio ricordo. Alzai lentamente gli occhi: le nubi nere erano diventate scarlatte. C’era un serpente immenso sospeso sopra di noi. Aveva zampe. Ed ali. No. Quello non era un semplice serpente, era un drago. Ma non aveva scaglie, né carne. Sembrava fatto completamente di fuoco.
 
Era questo il Drago di cui parlava Ruka, non avevo dubbi.
 
Spalancò le ali ossute, prive di vele: il cielo si riempì di squarci cremisi di cui vedevo a malapena le estremità. Aveva illuminato tutta la terra. Poi, lanciò un nuovo ruggito. Più acuto di quello del demone. Possente, maestoso. Il riverbero provocò nuove scosse. Fulmini si abbatterono sulle montagne. Onde altissime s’infransero sulla costa. Quella creatura era magnifica e terribile. Avvolgendo la coda sinuosa, il drago scese lentamente verso il mare. Il demone alzò la testa verso la creatura nel cielo e spalancò le zanne delle sue tre bocche. Il ringhio che saliva dalle sue gole era tremendo.
 
Arricciai un sorriso; adesso sembrava uno scontro alla pari. Mi rimisi lentamente in piedi, osservando la distesa davanti a me: la terra era devastata, sangue, cadaveri e armi spezzate erano disseminati ovunque. Si erano create diverse voragini qua e là abbastanza grandi da inghiottire decine di soldati. Uno scenario disastroso. C’era chi ancora cocciutamente brandiva le sue armi. Chi piangeva un compagno caduto, chi invocava la madre, chi pregava prostrato a terra. Chi gridava al cielo, o al mare. Una cosa era certa: un nuovo scontro, non di uomini, stava per cominciare. E nessuno poteva garantire la sopravvivenza di alcuno dei presenti. O magari di questa terra stessa.
 
“Yatol! Che sta succedendo?!”
 
Mi voltai: alle mie spalle era appena giunto un altro drappello di guerrieri. A loro si aggiunse rapidamente anche Apaec, che si era saggiamente allontanato dal punto focale dello scontro. Uno di loro spiccava particolarmente fra gli altri, a cominciare dal suo equipaggiamento. Doveva essere un uomo importante, ma anche molto forte, glielo leggevo negli occhi. Era coperto di polvere e tagli, come gli altri, ma sembrava non accorgersene.
 
“Non preoccuparti, padre. Il Drago Cremisi è venuto in nostro aiuto, non c’è più nulla da temere ormai.”
 
I suoni si ovattarono improvvisamente.
 
Padre.
 
Io avevo chiamato quell’uomo padre.
 
“Fate ritirare i soldati e fate fuggire tutti dal villaggio immediatamente. Non posso prevedere quanti altri danni saranno provocati da questa battaglia. Ora devo occuparmi di un’altra cosa.” aggiunsi, senza batter ciglio.
 
Lui tacque, imitato dagli altri. Solo ora notavo quanto quegli occhi somigliassero ai miei. Erano pieni di fierezza. Mio padre… che significava questo? Era un segno per dirmi che era ancora vivo? Oppure io ero morto e non avevo ancora capito dove mi trovavo? No, non aveva senso. Sapevo per certo che mio padre era morto diciott’anni fa, era nella centrale elettrica quando quella saltò in aria… e le battaglie non interessano di certo i morti. Molto probabilmente, se questo davvero era un ricordo, significava che lui –o chi per lui-, in quest’era, in questo momento, non era ancora morto. E se Rowta mi aveva chiamato principe, allora lui…
 
“Va bene, penseremo noi al popolo. Lasciamo il resto nelle tue mani. Apaec: seguici.”
 
Apaec mi guardò fisso. Sembrava restio ad allontanarsi, ma evidentemente comprendeva che non avrebbe potuto fare molto di fronte ad uno scontro tra divinità. Gli feci cenno di seguirli, al che rispose abbassando un po’ il capo senza dire una parola, quasi per scusarsi. Mi chiedo che tipo di amicizia ci fosse tra noi. Distacco? Semplice rispetto? Lealtà? Si congedarono tutti rapidamente, chi per recuperare i feriti, chi in corsa verso il villaggio. Osservai mio padre e Apaec allontanarsi per qualche istante, poi rivolsi l’attenzione alla fonte di luce smeraldo in mezzo alla pianura. Rowta si era rimesso in piedi, apparentemente in forze come me. I suoi occhi emettevano ancora quel bagliore terribile, e il suo corpo emanava la stessa luce verdastra. Non sembrava avere dominio su se stesso. Con tutta probabilità, si era lasciato possedere da quel demonio volontariamente.
 
“Rowta!” gridai, “Akuma non potrà mai sconfiggere il Drago! Arrendetevi e lasciate questo luogo per sempre!”
 
Rispose mostrandomi i denti. Abbassò il busto, poi scomparve. Allarmato, mi voltai in tutte le direzioni. Dov’era?! Dov’era finito?!
 
Un colpo secco alle spalle. Forse una gomitata, dritta tra le scapole. Caddi a terra, ma prima di toccare il suolo, un altro colpo –forse un calcio- mi prese sulle costole. Finii a terra rotolando su me stesso molti metri più in là. Dal dolore al fianco e alla schiena potevo esser sicuro di essermi rotto qualcosa. Era troppo acuto per essere un danno lieve. Strinsi i denti e mi risollevai lentamente sui gomiti. Lo sforzo fu immenso. Non mi ero reso conto di quanta forza avesse impiegato per colpirmi. Era stato rapido e brutale. Male, lo scontro non aveva fatto in tempo a cominciare ed ero già in svantaggio…
 
“Ti credevo più resistente! Tutto qui quello che sai fare?!”
 
Un altro calcio sulle costole mi costrinse a girare ancora contro terra. Un debole lamento mi passò tra i denti stretti. Improvvisamente non riuscivo a respirare. Sentivo la cassa toracica in fiamme. Doveva essersi rotta una costola, danneggiando anche il polmone… dannazione, dannazione…
 
Sentii la sua mano afferrarmi saldamente per i capelli e il suo ginocchio tra le spalle schiacciarmi con ancora più forza contro terra. Uno strattone all’indietro, poi scricchiolii provenienti dalla mia spina dorsale. Gridai, ma dal collo teso non uscirono suoni. Non respiravo. Non vedevo nemmeno. Non pensavo. Il torace era ancora in fiamme. Stavo morendo dal dolore.
 
“Razza di marmocchio, non credere che mi basterà ucciderti.” mi bisbigliò maligno all’orecchio. “Uccidendo te morirà anche il drago, poi la tua gente. Non resterà niente di voi!”
 
Un brivido di repulsione mi attraversò il corpo. Ma solo il cielo sapeva cosa stesse dicendo. Stavo soffocando. Non capivo niente. Avevo pochi secondi per fargli mollare la presa, ma ormai stavo perdendo sensibilità. Non avevo speranze di vincere. Avevo perso ancor prima di cominciare.
 
Ricordati che non sei solo, figlio mio. Il tuo nemico è potente, ma ora puoi tenergli testa.
 
Era il Drago. Sussurrava alla mia anima con voce rassicurante. Ravvivava il potere nelle mie vene di energia pulsante. Forse. Forse aveva ragione. Lui mi aveva dato forza. Ce l’avevo ancora. Non ero solo. Avevo una via d’uscita.
 
Con un ultimo, disperato sforzo, mi aggrappai alla mano di Rowta, e il potere del drago fluì: una sostanza gelida cominciò ad arrampicarsi lungo il suo braccio. Riconobbi all’istante cosa fosse. Accelerai la sua crescita finché non fu costretto a mollare la presa, coperto dal ghiaccio.
 
Tossii poderosamente rannicchiato a terra. Ogni colpo, un insopportabile spasimo di dolore. Si susseguivano uno dietro l’altro incessantemente. Dopo un’eternità, avvertii un sapore metallico in bocca. Lo sputai immediatamente, finché non si liberarono i polmoni. Presi forti respiri in rapida successione. Aria, freschissima aria. Ma sentivo torace e schiena ancora ardenti, e la voce molto rauca. Mani appiattite a terra, innalzai un’alta barriera di ghiaccio tutt’attorno a me. Alta e spessa, finché sopra di me non ci fu che un disco di cielo cupo. Con questa, avevo qualche secondo di vantaggio. Ammesso che fossi riuscito a rialzarmi… avevo un polmone bucato, costole –forse vertebre- rotte e i minuti contati. Non c’erano speranze per me.
 
Ad un tratto, sentii un leggero formicolio nella mano destra. La osservai: stava brillando di una luce tenue ma chiarissima. Ripensai a Ruka. Sapevo di che potere si trattasse. Evidentemente il Drago mi aveva concesso più potere di quanto avessi immaginato, e lo stava comunicando sotto forma di istinto direttamente al mio corpo. Che in quest’era fossi capace di usarli tutti e cinque insieme…?
 
Avvicinai la mano al fianco, facendola cautamente aderire alle costole; strinsi i denti. Il dolore si affievolì lentamente, e si propagò nervo dopo nervo fino alla schiena. Dopo interminabili secondi d’attesa, tirai un sospiro di sollievo. Ripresi a respirare con più calma. Il tremore degli arti si placò man mano. Deglutii. Mi rialzai piano e cautamente: nulla cedette, segno che ora stavo bene. Udivo già colpi contro lo scudo in cui mi ero rinchiuso. Rowta era tornato alla carica. Ma non mi avrebbe colto alla sprovvista una seconda volta.
 
Raddrizzai la schiena, ora perfettamente rinsavita, e allargai i pugni. Divennero incandescenti, finché fiamme non cominciarono a danzarvi attorno. Ora potevo contare su tutti i poteri dei miei amici messi insieme. Li avrei usati tutti contro di lui, nessuno escluso. Questo demonio avrebbe pagato per tutto il dolore che ci aveva procurato, e per quello che aveva fatto alla gente di questo luogo.
 
La barriera si dissolse in un istante. Il pugno scarlatto si schiantò contro il suo viso ancor prima che potesse reagire. Ci avevo messo così tanta forza da creare una buca dove atterrò, diversi metri più in là. Doveva essere un bonus di questo potere. Ecco perché i pugni di Jack facevano così male…
 
Corsi in sua direzione. Scagliai palle di fuoco nel punto in cui era atterrato, ma lui era sparito di nuovo. Eh no, non ci cascavo due volte di fila. Feci scorrere le fiamme in un’unica scia, attorcigliandole attorno a me: all’improvviso, il flusso s’interruppe; Rowta atterrò fuori dal muro di fiamme, avvolto da fumo. Aveva il viso fortemente ustionato, e stringeva saldamente nella mano una specie di tridente, sfolgorante di luce verde. Poteva contare su armi plasmate dal nulla... Dovevo fare attenzione.
 
“Rowta! Tieni davvero così poco alla tua vita?!”
 
“Non osare insultarmi così, moscerino!” gridò, indignato. “Ho giurato che ti avrei distrutto, e così farò! Io ti odio, Yatol, ti odio con tutta la mia anima! Odio te, odio tuo padre e odio quel Drago, quel lucertolone bugiardo! La Vita stessa che tanto vi ostinate a proteggere non è che una falsità! E la morte l’ha sempre sconfitta! SEMPRE!”
 
Astio cieco venava la sua voce demoniaca. Sembrava stesse parlando Akuma in persona. Brividi di freddo correvano sulla mia schiena al solo udirla. Sentivo la mia anima esposta e indifesa davanti a un mostro gigantesco. Avrebbe potuto reciderla con la stessa facilità con cui si strappa un fiore da un prato. E sarebbe tutto finito. In un istante. Niente più responsabilità, niente più follie, niente più dolore.
 
Ma non potevo cedere alla paura. Non volevo. Non potevo lasciarmi distrarre. Non m’importava cosa stesse dicendo. Era mio dovere proteggere ciò che l’uomo aveva sempre avuto di più caro. La vita ha uno scopo, e la morte non ha diritto di interferire col suo compimento. Avrei annientato quest’essere immondo a tutti i costi.
 
“Allora hai fatto la tua scelta” sentenziai.
 
“E da un bel pezzo!” gridò, lanciandosi in avanti ancora una volta. I colpi si susseguirono, la sua lama di luce contro la mia di ghiaccio. La scena era surreale. Il Drago, nel mare, soffocava Akuma tra le sue spire, pronto ad affondare le zanne di fuoco nella sua carne putrefatta; io scagliavo fendenti contro il vassallo del demone instancabilmente. Benché non avessi controllo su alcuno dei movimenti di questo corpo, percepivo le stesse emozioni di Yatol. Comprendevo la sua determinazione, il suo coraggio e la sua paura; sentivo il suo cuore battere all’impazzata nel petto, la forza con cui stritolava l’elsa della sua arma, e la fatica del suo corpo provato dallo scontro e dal potere sovrannaturale che sosteneva. Non sapevo se al posto suo avrei saputo farmi valere allo stesso modo…
 
E se Yatol in quest’era avesse perso lo scontro? No, Akuma era stato sigillato, doveva aver vinto…
 
“Fossi in te, starei attento a dove metto i piedi!”
 
Rowta non fece in tempo a finire di parlare che il terreno sotto di me cedette. No, scomparve. Riconobbi immediatamente la magia. Caddi nel buio gridando. Non c’era fondo. Il vento mi fischiò nelle orecchie, la sensazione della caduta mi si aggrappò allo stomaco; dove mi aveva scaraventato? Dove sarei atterrato stavolta?
 
Improvvisamente, di nuovo luce, forte. Riconobbi sotto di me il macabro campo di battaglia. L’unico problema e che ero troppo in alto. Il passaggio si era aperto nel cielo, e io stavo precipitando verso il suolo. Sotto di me Rowta impugnava la lama luminosa pronto a colpire, come un coccodrillo a fauci spalancate in un fosso. Era così che voleva uccidermi?! Mentre ero in caduta libera?!
 
Yatol improvvisamente sembrò volersi tuffare nel suolo. Puntava contro Rowta, ma non riuscivo a capire perché. L’altro alzò la spada sorridendo, e scagliò il colpo. Ma anziché tagliar carne, il mio corpo si dissolse in un’onda nera.
 
Ombra!?
 
Ecco qual era il piano. Potevo rendere il corpo d’ombra per divenire immateriale. Avevo sempre ammirato questa capacità, ma dovevo ammettere che poterla usare in prima persona era tutt’un’altra cosa.
 
Mi mossi rapidamente nascosto nelle ombre sul terreno; le nubi che coprivano il cielo mi garantivano tutta la superficie buia che mi serviva. Schizzavo in più direzioni, e Rowta non poteva far altro che tirar fendenti a caso attorno a sé. Balzai fuori dalle ombre quando la sua spada si incastrò nel terreno: scagliai gli artigli neri sulla sua schiena e Rowta cadde digrignando i denti su un ginocchio. La situazione stava finalmente prendendo una buona piega per me: speravo semplicemente che non fosse troppo presto per esultare.
 
Mi affrettai a colpire ancora, ma la mia mano improvvisamente si bloccò a mezz’aria: no, non era la mano a essere ferma, c’era qualcosa tra me e Rowta che mi impediva di toccarlo, ma non la vedevo. Sembrava di colpire aria altamente compressa, ma era troppo compatta per essere tale.
 
Rowta ghignò. Poi rise più forte. Aumentai la pressione sulla spada. Improvvisamente volevo semplicemente tagliargli la testa in due e farlo smettere. Quel verso demoniaco era tremendo. Sembrava stuzzicare le mie paure più profonde, farsi strada nel torace e sfiorarle con una facilità disarmante. Lo avevo a portata di lama, eppure non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi. Ero bloccato da cosa, poi? Non vedevo niente!
 
“Ti credevo più forte di così. Che pena mi fai. Questo non è niente rispetto a quello che può fare Akuma! Tu e la tua gente rimpiangerete di averci opposto resistenza!”
 
Quella forza invisibile sembrò gonfiarsi ancor più, poi esplose. L’onda d’urto mi scaraventò lontano; per un attimo, persi i sensi. Appena mi ripresi, mi ritrovai steso a terra, ferito e dolorante dall’impatto suolo, ma per qualche motivo non riuscivo ad alzarmi. C’era un peso invisibile sopra di me che mi schiacciava lentamente. Non di nuovo questa cosa… come avrei potuto contrastare qualcosa che non potevo nemmeno toccare?!
Rowta si avvicinò, stringendo una spada di luce. Ecco, avevo parlato troppo presto…
 
“Questi poteri sono magnifici. Più tempo passa, più si rafforzano. Quando tu sarai morto, sarà il turno del tempio, poi del villaggio, poi della terra. Akuma raderà al suolo questo mondo per crearne uno più grande, dove noi uomini saremo finalmente padroni del nostro destino!”
 
Tempio?
 
Sollevando un po’ il capo intravedevo la cima di un tempio azteco nascosto fra le cime degli alberi in lontananza. Doveva essere il cuore di questo posto se Rowta lo stimava così importante. Senza motivo, il mio cuore prese a battere più forte. Forzavo il peso sugli avambracci per sollevarmi, ma non riuscivo a muovermi da lì. Emisi un verso di frustrazione stringendo i pugni a terra, tanto da farli tremare. Perché Yatol stava reagendo così?! Menzionare quel luogo era stato abbastanza per agitarlo così tanto? Ma perché?
 
Rowta era a pochi metri. Avevo pochissimi istanti per trovare una soluzione, prima di rimetterci la vita. Yatol ringhiò rumorosamente. Poi compresi perché: attorno a Rowta avevano iniziato a crescere rapidamente rami spinosi ed intrecciati, vigorosi e sempre più alti. Quando lui se ne accorse, non fece in tempo a scagliare nemmeno un colpo di spada. Quelle liane si fiondarono rapide come falchi contro di lui, avvinghiandosi ai suoi arti, squarciandogli la carne.
 
Aki.
 
Quasi me n’ero dimenticato in questo caos. Con lei, ora erano stati riuniti tutti i tasselli. No, Akuma non avrebbe mai vinto. Sarebbe sprofondato negli Inferi qui in questo giorno, e la pace avrebbe regnato.
 
Il peso che mi schiacciava era sparito. Mi rimisi in piedi lentamente. Avevo il respiro pesante. Ricorsi ancora alla magia di Ruka per richiudere le ferite sulla schiena. Ma nonostante guarissero, sentivo che non mi venissero restituite tutte le energie. All’improvviso mi sentivo stanco. Tremavo. Non era una fatica solo fisica. Forse era colpa di questi poteri. Potevo usarli contemporaneamente, ma evidentemente, non senza effetti collaterali. Accidenti, questo combattimento doveva concludersi, e presto…
 
Presi un profondo respiro. Una nuova lama di ghiaccio si formò nella mia mano destra, e la strinsi forte, quasi temessi mi scivolasse. Raggiunsi Rowta: il suo volto era sfigurato dal fuoco e dall’odio; era ancora bloccato nelle spire di quelle fruste spinose, ed grondava sangue. Nel mare, Akuma si dibatteva, ma il Drago lo schiacciava nel mare nonostante le ferite. Benché la situazione lo prospettasse sconfitto, Rowta sputò sangue verso di me, e rise ancora. Non sembrava molto turbato dai danni che stava subendo.
 
“Tu sei pazzo. Vuoi usare due elementi contemporaneamente. Questo potere ti prosciugherà prima che tu riesca ad uccidermi!”
 
Sulla stanchezza non aveva torto. Ed effettivamente, c’erano altre azioni che Yatol avrebbe potuto scegliere. Per cambiare elemento avrebbe dovuto far scomparire le fruste che vincolavano Rowta, ma poteva evitarlo usando altre piante. Perché aveva scelto la strategia più rischiosa? Alla fine abbozzò un sorriso, sollevando la spada.
 
“Allora vogliamo vedere chi muore prima?”
 
Scagliò un colpo, uno solo. Compresi con un attimo d’anticipo che errore stesse commettendo Yatol, ma non potevo fermarlo. Io ci ero già cascato una volta, ma non lui. Improvvisamente, la sua vittoria non sembrava più scontata.
 
Il taglio non raggiunse mai l’obiettivo. La lama sembrò sparire a mezz’aria, inghiottita nel vuoto. No, era passata attraverso uno specchio, e ricomparsa specularmente contro Yatol. Lo squarcio si aprì diagonalmente lungo tutto il mio torace; crollai all’istante.
 
La ferita bruciava come non mai; dal petto sgorgava sangue a fiotti, ed ero troppo stordito per ragionare. Mi mancava aria. Le piante che trattenevano Rowta si dissolsero; lui barcollò ferito, ma non cadde. Improvvisamente mi sentivo vulnerabile. Un flusso di pensieri irrazionali mi ottenebrava la mente; potevo guarire all’istante, ma le mie mani continuavano a tremare. Era come se mi stessero dicendo che non potevo usare i poteri di Ruka, non in quel momento, che ero troppo spossato per usarli con efficacia. Che forse continuare a usarli a quel ritmo mi avrebbe ucciso in un altro modo.
 
“Te l’avevo detto. Non avevi speranze contro il potere di Akuma.”
 
Yatol non reagiva. Si teneva una mano sul petto, ma da essa non vi scaturiva energia. Sembrava essere sprofondato in uno stato di paralisi. Che stava succedendo? Era forse colpa dei due elementi usati assieme? ‘Dannazione, muoviti!’
 
Qualcosa di duro mi colpì alla testa, poi a più riprese in vari punti del corpo. Rowta mi stava prendendo a calci ora che non riuscivo a muovere un muscolo. Non potevo far altro che raggomitolarmi e proteggermi per quanto possibile. Il mondo girava e io ero alla sua mercé. Le sue risa giungevano ovattate alle mie orecchie; il sangue che cadeva dalle sue ferite si mescolava col mio. Un altro colpo alla testa. Mi ritrovai di nuovo occhi al cielo (forse?), ma stavolta la visione era ostacolata dal corpo scuro di Rowta. Da qualche parte della mia mente mi ero già rassegnato. Yatol non aveva mai vinto questo scontro. Era morto così, fallendo la sua missione. Non c’era modo di sopravvivere. Era finita. Un’arma scintillante, verde smeraldo, si sollevò su di me.
 
“Ora basta. Hai perso, moscerino.”
 
Attesi un colpo che non arrivò mai. Udii un rumore sordo di carne recisa, ma non della mia. Sopra di me, vidi nella gola di Rowta conficcata una freccia. Voltai la testa, ma avevo la vista troppo annebbiata per distinguere l’arciere misterioso. Ammesso che corrispondesse ad una delle macchie che formavano il paesaggio. Rowta si era immobilizzato, fissando stralunato i pennacchi di quell’asta di legno; poi una seconda freccia si conficcò nel suo petto. Cadde di spalle a terra, e l’arma che minacciava la mia vita si dissolse.
 
“F-frecce Cremisi…! Dannato, me la pagherai!”
 
 Chiunque fosse stato a mettere fuori gioco il mio avversario, aveva la mia riconoscenza. Mi aveva dato tempo prezioso per recuperare un po’ di forze. Strinsi lo squarcio pulsante sul petto con la mano destra, e presi un profondo respiro. Una luce brillò nel palmo della mia mano, e la ferita prese a richiudersi sempre più rapidamente. Il dolore al cranio cessò. Il respiro affannoso era l’unica cosa che non era svanita.
 
Mi rimisi in piedi con uno sforzo inumano; Rowta era bloccato a terra da due frecce avvolte da uno strano alone rosso, forse magiche. Inibivano la sua energia negativa, per questo non riusciva ad alzarsi. Persino con tutte quelle ferite, sembrava tirato dai fili di un marionettista che lo costringeva a combattere; ora era inchiodato a terra, e tutto grazie a qualcuno di cui non conoscevo neppure il volto. Avevo provato a cercarlo con gli occhi, ma era fuggito.
 
Mi avvicinai a Rowta: ora che i ruoli erano rovesciati, appariva miserabile. Non mi sarei mai sognato di prenderlo a calci però, e neppure Yatol. Ne ero certo. Mi avvicinai a quel corpo sfigurato con una nuova lama di ghiaccio nella mano destra senza batter ciglio. Rowta mi osservava con odio e paura: sapeva cosa stesse per accadere. Optò per l’unica difesa che gli era rimasta: la parola.
 
“I-Ipocrita! Volevi proteggere la Vita, e adesso vuoi uccidere un essere umano! Non ti vergogni di te stesso?! Stai tradendo i tuoi stessi valori!”
 
Yatol si accigliò. Percepivo rabbia montargli nel petto. Più che altro, sembrava indignazione profonda.
 
“Tu hai smesso di essere umano quando hai stretto quel patto con Akuma, Rowta. Questa non è ipocrisia. Questa è giustizia.”
 
La spada tagliò il collo di Rowta con un colpo secco. Osservai con ribrezzo la sua testa rotolare lungo la lieve pendenza del terreno. Il suo corpo divenne tutto nero, poi si dissolse in una nuvola di polvere, portata via dal vento. Contemporaneamente, nuovi fulmini caddero dal cielo. Un frastuono terribile si levò dal mare: Akuma aveva spalancato le tre bocche al cielo, ruggendo dal dolore. Le fiamme che lo avvolgevano ne stavano consumando il corpo putrefatto; sprofondò lentamente in una colonna di fuoco e cenere. Il drago allargò le sue spire mentre il demone moriva. Ruggì al cielo, scuotendo tutta la terra. Il su corpo sembrò brillare con ancora più forza, come un sole.
 
Sembrava surreale. Era fatta. Akuma era stato annientato. Il Drago aveva vinto.
 
Mi resi conto di star sorridendo. Mi pizzicavano gli occhi dalla gioia e dal sollievo. L’adrenalina che mi aveva tenuto in piedi cominciò a scemare. Caddi in ginocchio stremato: ero sfinito e senza fiato, ma felice. Non ero morto, ero ancora vivo. Stentavo a crederci, ma ero sopravvissuto.
 
Il vento sembrò acquietarsi. Il silenzio calò sul campo di battaglia. Le nuvole di tempesta sopra di noi però non accennavano a diradarsi. Perché?
 
All’improvviso, un artiglio nero riemerse dal mare, afferrando il corpo sinuoso del Drago. Questo tentò di divincolarsi, ma la presa era salda. Avvertii una fitta d’angoscia. No. Akuma c’era ancora. Uccidere Rowta non era bastato per farlo scomparire. Il che pareva un controsenso, ma in effetti, anche no. Come era possibile uccidere un essere che, tecnicamente, incarnava la Morte?
 
Il Drago sembrava sul punto di liberarsi, ma un secondo artiglio si aggiunse al primo, strattonandolo con ancora più vigore; cadde in acqua. Solo testa, coda ed ali erano ancora visibili. Poi, il simbolo sulle mie spalle prese a pulsare. Udii ancora la voce del Drago.
 
‘Yatol, ascolta. Sconfiggere un Vassallo non è abbastanza per assassinare una divinità. Grazie a te è stata decretata la vittoria, ma Akuma non ha intenzione di accettarla. Non ho modo di distruggerlo personalmente, ma non posso permettere che mi condanni con sé, o il vostro futuro sarà perduto. È per questo che ho intenzione di sigillarlo. ’
 
Yatol alzò gli occhi verso quelli del Drago, allarmato.
 
“Drago, non puoi vincolarti a lui! Che ne sarà di te e della tua terra? Come potremo invocarti quando avremo bisogno di te?!”
 
‘Non scomparirò del tutto. Lascerò a voi umani la chiave d’accesso alla mia forza. Resterete sempre legati a me, oltre lo spazio ed oltre il tempo. Io non vi abbandonerò mai.’
 
“Come?!”
 
‘Avrete voi i miei sigilli. Non soltanto tu, il tuo debole corpo non è in grado di reggerlo da solo. Ma tu e tutti i valorosi che ti hanno aiutato siete benedetti dal destino. Vi darò la mia forza quando la invocherete.’
 
Improvvisamente, il segno sulla mia schiena smise di pulsare. Sembrava l’artiglio di un rapace che lentamente lasciava la presa su una preda. Il suo calore si focalizzò in un unico punto, per poi disperdersi attorno a me. Una fiammella si fermò sul mio braccio destro, aderendovi lentamente. Subito la pelle prese a bruciare, come marchiato a fuoco. Strinsi il braccio cercando di soffocare il dolore. Il segno però lo riconobbi all’istante.
 
Ora era tutto chiaro. La storia combaciava perfettamente. Era questo che il drago voleva farmi vedere, anzi, vivere. Finalmente avevo idea di cosa avessimo di fronte. E non c’erano molte buone notizie per noi…
 
Ad un tratto, Yatol allungò una mano tremante verso il Drago, che, diventato luce pura, sprofondava insieme ad Akuma negli abissi del mare. Continuò a tenerla alzata quando entrambi i titani non furono più in vista, e le alte onde cancellavano ogni traccia del loro passaggio. Sembrava volerlo trattenere, forse salvare. Richiusi la mano a pugno, prima che un capogiro mi colse. Le forze mi abbandonarono. Un debole sussurro mi accompagnò nell’incoscienza.
 
“Mi dispiace, Atzi…”
 
 
 
 
*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Io: ………allora, vi è piaciuto Avatar-Yusei?
 
Yusei: MA IO TI LINCIO
 
Io: ssshh zitto che io adoro questo capitolo
 
Yusei: e indovina? Io no
 
Io: eddai, non lagnarti, mica ti ho ammazzato.
 
Yusei: beh, quasi, tipo quattro volte
 
Io: *lo ignora* ahem… spero che il doppio punto di vista (?) non abbia confuso voi gentilissimi lettori (anche perché è ben diverso da quello di Yami/Atem in Yugioh). E che abbiate apprezzato l’alta religiosità (?) di Yatol e del popolo (sì, quello delle Stelle di cui parlava Goodwin nell’anime) nell’affidarsi al Drago in quel modo, specialmente Yatol nella battaglia. Comunque, ci tenevo molto a rendere il tutto… così. Condividere lo stesso corpo, ma “ingabbiato” in azioni già registrate nel passato, il distacco sempre più conscio di Yusei da Yatol eccetera eccetera… Era strano, lo so… (ci sono molti parallelismi coi vecchi capitoli però °^°)
 
Aki: non che il resto della fanfic abbia molto senso.
 
Crow: ultimamente gioisco di non essere presente, significa “non soffrire”
 
Ruka: idem ;A;
 
Io: pff zitti voi che c’eravate tutti dietro le quinte
 
Crow: aH? Cioè, tipo Apaec e l’arcere? Ma non manca qualcuno all’appello?
 
Io: *gli tappa la bocca* SSHH NO SPOILER
 
Crow: *borbotta proteste incomprensibili*
 
Jack: in effetti c’era molta roba strana in questo capitolo, di che ti sei fatta questa volta?
 
Io: internet trash puro al 100%, perché
 
Jack: …come non detto
 
 
[eeeee gli esami si avvicinano, e io ho finito il capitolo prima della tesina, CHEBBELLO. Più passa il tempo e più mi schifano i vecchi capitoli, e i nuovi giustamente devono tenere un’impostazione formale almeno simile… se siete arrivati fin qui, vi prego di non giudicarmi troppo severamente per il mio passato (?) e presente (??), plz. Vi lascio il link al mio blogghetto per vederne altri della sottoscritta! Per lo più Yugioh! Tutti digitalizzati e nuovi di zecca eh!! (Nelle mie note bio troverete altri link eventualmente) Bye <3]


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