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Autore: laNill    14/06/2016    1 recensioni
“Credi che la legione sopravvivrà?”
Aveva alzato gli occhi cerulei sulla sua schiena, Erwin, accantonando per un istante i documenti che stava leggendo. Era appena ricurva, le ossa della spina dorsale si intravedevano appena, al di sotto del filo di muscoli; ma l’aveva capito, nonostante gli desse le spalle, la titubanza che vi era nella sua voce.
Poiché le parole che l’altro non aveva avuto il coraggio di pronunciare le aveva colte solo lui, nella propria mente. “Credi che noi sopravviveremo?”
[Erwin/Levi - Eruri | SPOILER - Ch 81]
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Irvin, Smith, Levi, Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Parole di fede
 

La prima volta che aveva incontrato i suoi occhi azzurri, fu per un istante che gli bastò per una vita intera, mentre scappava, la legione esplorativa alle calcagna; l’ultima volta, fu poco prima di andare in missione.
I sentimenti che lo avevano attraversato in quei due momenti, erano totalmente diversi.
C’era stata rabbia, all’inizio, dentro di sé, e ribellione.
Alla fine, invece, c’era stato rammarico nel vedersi togliere la sola persona che per lui contava davvero, titubanza verso quel braccio mancante, un pegno rispetto ai peccati che avevano commesso e che, sapeva, avrebbe dovuto pagare anche lui stesso.
Ma in entrambi i casi, c’era un singolo sentimento che gli faceva fremere impercettibilmente l’animo: la fede.
Fin dal primo istante in cui aveva posato gli occhi sul suo viso, un effimero ed insignificante pensiero gli aveva scosso il cuore, soppresso l’attimo successivo dal suo odio nei confronti dell’uomo che lo aveva messo in ginocchio.
Ma c’era, era lì, anche se nei primi tempi non se ne era reso minimamente conto.
“Credi che la legione sopravvivrà?” Gli aveva chiesto una sera, seduto sul ciglio del letto, i capelli scompigliati, quelli più corti a sfiorargli le ciglia scure di uno sguardo non pienamente aperto; la pelle nuda, a contatto con l’aria fredda della stanza, pallida e segnata dalla guerra.
Aveva alzato gli occhi cerulei sulla sua schiena, Erwin, accantonando per un istante i documenti che stava leggendo. Era appena ricurva, le ossa della spina dorsale si intravedevano appena, al di sotto del filo di muscoli; ma l’aveva capito, nonostante gli desse le spalle, la titubanza che vi era nella sua voce.
Poiché le parole che l’altro non aveva avuto il coraggio di pronunciare le aveva colte solo lui, nella propria mente. “Credi che noi sopravviveremo?”
Rimase in silenzio per una manciata di istanti.
“Credi ci sia qualcosa, dopo la morte, Rivaille?”
Raddrizzò impercettibilmente la schiena, il giovane, ma non si volse. Guardava in basso, verso il pavimento in legno.
“Sono troppo occupato a rimanere in vita, per pensare al dopo.”
Sorrise appena, il biondo; era tipico di lui, dopotutto, e non lo biasimava di certo.
Aveva sempre lottato per quella vita, Rivaille, anche quando non aveva niente, anche quando non aveva uno scopo; amava essere vivo, amava quella libertà per cui rischiava la vita.
“Ti do ragione; alcune volte però io ci penso: dovrò pagare il prezzo per ciò che sto facendo, quando morirò.”
“Tutti noi dovremo pagarlo.” Intervenne più duro il moro.
Non era solo lui quello che si stava sporcando le mani, erano tutti loro. All’inferno ci sarebbero andati assieme, volenti o nolenti; odiava quando Erwin parlava al singolare, come se fosse totalmente sua la colpa di quelle morti.
Tutti muoiono, chi prima o chi dopo. Lui non si doveva biasimare nulla.
Il tocco della mano grande del biondo gli fece fremere la pelle, contro il dorso della mano, lasciando che gliela prendesse con leggerezza.
“Prima o poi, morirò Rivaille; ma non sono disposto a farlo così facilmente. Quindi, fino al giorno in cui questo accadrà, la legione sopravviverà.” Gli parlava con gentilezza, con quel velo di amaro che gli arrochiva la voce, portandosi la mano del giovane contro le labbra, in un bacio leggero mentre Rivaille si voltava appena, osservandolo con le labbra dischiuse e l’espressione melanconica in viso.
Portò le labbra contro le dita, per poi raggiungere il dorso ed infine baciargli piano il polso. “Ma non ho paura; la morte non è altro che un passaggio verso un’altra vita. E se mi giungerà prima, ti attenderò lì, spero per molto tempo.”
Percepì il cuore dolere, velando il viso di un lieve e dolente stupore, incontrando gli occhi azzurri che lo guardavano, più consci di ciò a cui andavano incontro, accettandolo, accogliendolo.
Si sporse in basso, a ricercare le sue labbra, trovandole per un contatto intimo.
Sentiva l’animo gemergli mentre il cuore batteva per il calore e l’amore che Erwin aveva per lui, mentre lo sovrastava e lo amava di nuovo.
Solo il barlume lieve, offuscato, ma caldo della candela quasi del tutto spenta, posata sul piccolo comodino osò sfiorare quasi con lieve pudore la pelle bianca del viso e delle spalle del giovane, tremolando sui muscoli che si tendevano mentre si abbassava su quel sesso, accarezzando la curva sinuosa della sua schiena scoperta.
Spasmi e singulti trattenuti a fior di labbra, che riempirono la stanza assieme al fruscio di coperte per quella mano grande e calda che afferrava la coscia e poi la curva perfetta del gluteo mentre si faceva spazio e vi affondava.
Il suo nome era tutto quello che voleva chiamare, a cui voleva pensare per quanto il peso che gli gravava in petto non avesse fatto altro che aumentare, lo sentiva crescere mentre una mano gli graffiava una spalla.
 
Aveva ripensato a quelle parole, dette in una sera d’autunno, Rivaille.
E la cosa strana, era che ci ripensava solo in quell’istante, ad un passo da quella morte che per anni era riuscito a impedire, aggrappandosi a quella vita che molti avevano perduto.
Tossì roco, il viso imbrattato di sangue, sentendo la testa far male, il corpo quasi totalmente insensibile e quel braccio alzato sul punto di rompersi mentre il titano avanzava.
Non aveva mai pensato alla morte, lui, pensando che il giorno in cui quella sarebbe arrivata l’avrebbe accolta, volente o nolente.
Ed ora che se la trovava di fronte, la sola cosa a cui era in grado di pensare era al suo non voler morire. Doveva vivere; per se stesso, per Erwin, per Eren, per tutta l’umanità.
Strinse l’ultima spada che aveva nel braccio sano, stringendo i denti.
La bocca enorme che si spalancava di fronte a sé e quello stralcio di forze che gli erano rimaste in corpo usate per continuare a lottare.
 
Glielo aveva promesso.
L’aveva promesso a Erwin.
 
-
 
I raggi impalpabili del primo sole gli avevano sfiorato le palpebre socchiuse, intento ad osservare gli ultimi fogli, le ultime direttive prima della partenza, forse per l’ultima volta.
Il corpo di Rivaille ancora riscaldava quel letto sfatto, memore di ciò che avevano condiviso quella notte, prima che questo si ritirasse nella propria stanza per prepararsi.
Si erano separati da poco e già ne sentiva la mancanza.
Forse era vero, quella cosa per la quale, con la consapevolezza della fine, si prova un attaccamento maggiore per ciò che, in parte, abbiamo trascurato quando ne avevamo la possibilità.
Gli occhi chiari di Erwin si posarono sulla carta piegata sopra al tavolo.
Quella scrittura gli fece male al cuore con una dolcezza che glielo riscaldò, poiché la conosceva bene, più di qualsiasi altra persona, mentre lo sguardo si portava su quelle poche righe che il moro gli aveva lasciato scritte quando ancora lui era immerso nel sonno.
Se la morte sarebbe giunta, l’avrebbe accettata con quelle parole stampate nel cuore.
 
Sai, Erwin, non credevo a nulla, fino al giorno in cui ti ho incontrato.
Non credevo nemmeno alla possibilità che ci potesse essere un altro mondo, fuori dalle mura.
Tu mi hai aperto gli occhi su qualcosa che non conoscevo.
Mi hai fatto credere che c’è del buono, per cui combattere, a questo mondo; che fino a quando si ha la forza per lottare, si deve andare avanti, per noi stessi e per chi proteggiamo.
E io l’ho fatto, sono sopravvissuto fino a questo giorno con la consapevolezza che ne è valsa  la pena. Non so se è servito a qualcosa, non sono un fottuto genio come te, ma non ho rimpianti.
Non rimpiango nulla, di ciò che ho fatto; non rimpiango di averti dato tutta la mia fiducia, tutto l’amore che nella mia breve e opaca vita ti avrei potuto dare.
Credo che per l’umanità ci sia speranza, nonostante tutto.
Sto sparando stronzate, me ne rendo conto, ma questa è la conseguenza di essere stato innamorato di una persona come te, Erwin Smith.
Mi chiedo come sarebbe stata, la vita, se tutto questo non fosse accaduto; come sarebbe andata, se fossimo vissuti in un mondo normale.
Solo ora, col senno di poi, posso rispondere alla domanda che mi facesti e alla quale io deviai la risposta: No, non credo nella vita dopo la morte.
Credo in te, come ho sempre fatto da vivo e come sempre farò.
Credo alle parole che mi dicesti quella sera, prima di amarmi con tutta l’anima e il corpo.
Quindi, ti attenderò lì, quando il tuo giorno arriverà; sai che non sono tanto paziente, ma ti aspetterò tutto il tempo che sarà necessario.
Ti ho amato tanto, Erwin, ti amerò anche dopo la morte.
 
Tuo, R.


*
Note dell'Autrice.
Dire che il capitolo mi ha distrutto è il minimo. 
Dire che l'eruri è diventata canon è il minimo. L'ho scritta in un momento di depressione totale tempo fa, e l'ho lasciata nel pc per un sacco di tempo; mi è ritornata davanti proprio dopo l'uscita del ch80.. Quindi. O l'universo mi odia, o mi sta dicendo qualcosa; tipo che anche lui li shippa e devo pubblicare tale cosa che ho scritto. 
Aniway, spero questa cosina piccina piaccia e che non faccia troppo soffrire i vostri piccoli cuoricini da shipper. .. e dopo questa ho bisogno di più fluff nella mia vita.
I commenti sono ben accetti in ogni caso ;3
Alla prossima, -spero con una shot meno distruttiva psicologicamente-

Rin*
  
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