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Autore: Ilenia_Pedrali    14/06/2016    2 recensioni
Clarke e Bellamy sono vicini di casa e non si sopportano. Tuttavia c'è qualcosa che li lega, qualcosa che nemmeno loro riescono a spiegarsi e che riguarda il loro passato e i loro demoni interiori.
Fanfiction tutta Bellarke!
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8.
 
“Siamo troppo, troppo vicini” si disse Bellamy.
La luce si era appena riaccesa e un velo di enorme imbarazzo e sorpresa era sceso tra di loro. Erano ancora fermi, ancora vicini.
Bellamy non riusciva a smettere di guardarla, si sentiva come in trance. Aveva un desiderio di baciarla talmente immenso da temere di non riuscire a controllarsi.
Fu Clarke, alla fine, a rompere la tensione.
«Beh… ehm… credo che sia impossibile ordinare le pizze, con questo tempo» disse, sgusciando via da lui, senza guardarlo in faccia.
Bellamy si ricompose.
«Si, hai ragione… io, credo sia meglio andare adesso» disse, maledicendosi non appena vide lo sguardo apparentemente deluso di Clarke.
Stava ancora scappando. Si maledisse mentalmente un’altra volta. Ma era più forte di lui, non riusciva a legarsi con qualcuno, non sentendosi profondamente coinvolto. Si faceva qualche scopata, ma niente di più. Il suo mondo interiore era suo, e solo suo.
Con Clarke sentiva che c’era un rischio… quello di mettersi a nudo.
«Ok…» gli rispose lei, incerta.
«Si, devo controllare come sta Octavia…»
«Si, certo. Hai ragione, ci mancherebbe. Vai pure, continueremo la ricerca la prossima volta»
«Contaci… Clarke»
Il modo in cui pronunciò il suo nome la fece rabbrividire.
Lo accompagnò alla porta e si salutarono con un cenno. Quando lo vide sparire in casa sua, Clarke sentì di poter respirare di nuovo.
Era nei guai. Non capiva perché si sentisse così. Lei odiava Bellamy.
Lo odiava proprio.
Il frastuono del vento la fece trasalire. Si avvicinò alla finestra. Gli alberi erano quasi piegati a metà, il cielo nero come il carbone, con qualche sfumatura giallastra. Il vento batteva talmente forte da metterle il dubbio che le finestre si potessero rompere e la pioggia sembrava riempire l’aria come un fiume in piena.
Saltò anche la luce e Clarke si rannicchiò sul pavimento, spaventata e sola, correndo con i ricordi a qualcosa successo molti anni prima.
 
 
«Clarke! Clarke! Apri questa porta!»
La voce di Bellamy la risvegliò bruscamente dal suo fiume di ricordi. Si alzò velocemente e faticosamente aprì la porta, resa più pesante dal vento. Bellamy era di fronte a lei, bagnato fradicio sotto la pioggia incessante. Entrò velocemente in casa e chiuse subito la pesante porta d’ingresso.
«Bellamy, che ci fai qui? E Octavia?» chiese.
«Lascia perdere! Quando sono arrivato a casa non c’era. L’ho chiamata e mi ha detto di essere a casa di amici con un certo Lincoln. Non so chi sia ma indagherò, non ti preoccupare! Comunque mi ha detto che stavano per andare nel rifugio anti-tornado nel seminterrato, per cui è al sicuro. Ma non sapevo se fossi al sicuro tu, per cui sono venuto qui»
«Grazie, Bellamy» gli disse Clarke, sinceramente.
I tornadi le mettevano una paura folle e non sapeva dove potersi rifugiare.
«Tu non hai un rifugio anti-tornado, vero?» le chiese.
«No… tu si?»
«Una specie, l’ho fatto costruire una volta venuti qui. Senti, ora dobbiamo assolutamente allontanarci da casa tua. Il tornado è vicino e al momento il posto più sicuro è casa mia, in quel rifugio che ho fatto costruire. Quindi prenditi una felpa o qualcosa e poi andiamo a casa mia. Ok?»
Clarke annuì e fece come Bellamy le aveva detto. Prese uno zaino e ci infilò qualche indumento. Si mise le scarpe da tennis e tornò da Bellamy.
Insieme, uscirono quasi annientati dal vento. Bellamy la prese per mano e la strinse a sé per proteggerla da quella scarica tremenda di energia. La pioggia torrenziale li sommerse e in un attimo furono entrambi fradici. In men che non si dica, entrarono in casa Blake e scesero nel sotterraneo-rifugio attraverso una botola sul pavimento.
Era una stanza molto piccola, ma funzionale. C’era cibo in scatola sugli scaffali e boccioni d’acqua, un piccolo lavandino e un altrettanto piccolo divanetto. I muri erano di cemento armato, grigi e tristi. Ma sicuri.
«Non è granché, ma sempre meglio di niente» si scusò Bellamy, afferrando un asciugamano da uno scaffale e asciugandosi i capelli.
«Lo trovo perfetto» disse Clarke, la voce spezzata, «Posso sedermi?» domandò, indicando il divano.
«Certo» rispose Bellamy, stupito, «Stai bene?» le chiese, osservandola sedersi lentamente sul divano, lo sguardo preoccupato.
Clarke aspettò un attimo prima di rispondere, poi scosse la testa.
«No, io… no, non sto bene. Non con questo tornado qua fuori»
Bellamy fu sorpreso da quel tono di voce, così serio e così assorto. Non aveva mai sentito Clarke così. Lentamente si avvicinò a lei, porgendole un asciugamano affinché si asciugasse. Lei lo accolse con un sorriso e cominciò ad asciugarsi i capelli. Lui si sedette accanto a lei, continuando ad osservarla in silenzio.
Poi Clarke rabbrividì.
«Hai freddo? Ho una coperta qui da qualche parte, se vuoi»
«No, sto bene Bellamy, davvero»
«Vuoi bere qualcosa? Ho un bollitore a gas che dovrebbe funzionare»
Lei annuì riconoscente e lui cercò di sollevarle l’umore.
«Ti stupirai: sarà il miglior tè che berrai mai»
Lei rise e Bellamy sospirò di sollievo. Lui si alzò e trafficò fino a trovare un mini bollitore e un pentolino. Riempì il pentolino d’acqua e lo mise sul fuocherello. Poi aprì una bustina di tè e lasciò che si immergesse e prendesse sapore.
Si risedette accanto alla ragazza e osservò due calde lacrime rigarle le guance.
«Clarke…» sussurrò, prendendole spontaneamente la mano, «Mi dici che ti prende? Per favore»
Lei gli strinse la mano e si sedette più vicina a lui.
«È per mio padre, Bellamy… è morto per un tornado. E per causa mia»
La rivelazione lo colse di sorpresa. Ritenne naturale metterle un braccio intorno alle spalle, come per proteggerla, l’altra mano sempre stretta tra le sue dita.
«Clarke… mi dispiace. Com’è successo?»
La ragazza prese un respiro profondo e poi raccontò.
«È successo anni fa, proprio in questo mese dell’anno. Io ero contenta quel giorno, mi aspettava un party la sera che attendevo da settimane, e ci sarei andata a piedi con un paio di amiche, era una camminata lunga ma piacevole, lungo un sentiero che costeggiava un fiumiciattolo e file di alberi. Ma quel giorno arrivò un tornado. Fu uno dei tornado più forti mai registrati. I miei genitori mi dissero di stare a casa, di non andare a quello stupido party, avrei avuto altre occasioni… ma io non li badai. Mi vestii e uscii sotto la pioggia e sotto il vento di nascosto, convinta che nessun tornado mi avrebbe impedito di andarci. Ma poi il vento mi mise paura e mi spaventai alla vista degli alberi che cominciavano a cadere. Per cui chiamai mio padre che, spaventato, si precipitò subito in mio soccorso. Prese la macchina e mi seguì: mi trovò paralizzata dalla paura e in lacrime. Lui mi salvò e facemmo di tutto per tornare a casa prima di piombare nel mirino del tornado. Ma non fu abbastanza. Fummo colpiti solo di lato dalla furia del tornado: l’auto cominciò a sbandare furiosamente e alla fine si ribaltò e cadde nel canale. Non era profondo, ma la botta che presi fu sufficiente a spezzarmi qualche costola e rompermi una gamba. Mio padre non fu così fortunato: la spinta del vento centrò proprio il suo lato, quello più danneggiato. Diede una botta al volante talmente forte da morire sul colpo. Vidi il suo volto perdere lucentezza mentre un rigagnolo di sangue gli bagnava la tempia. È morto così. E la colpa è stata mia»
Il silenzio che cadde dopo il racconto sembrò riempire lo spazio. Clarke si teneva la testa tra le mani, piangendo silenziosamente.
Bellamy non sapeva cosa dire.
«Clarke…» sussurrò, «Guardami»
Lei alzò lentamente la testa, gli occhi gonfi e rossi. Bellamy la vide più bella che mai, più vera che mai.
«Non è stata colpa tua» le disse, «Non potevi immaginare come sarebbero andate a finire le cose. Non è stata colpa tua» ripeté.
«Si invece… se non fosse stato per me, mio padre sarebbe ancora vivo. Sono stata una stupida a voler andare a quel party a tutti i costi»
«Si, lo sei stata. Ma eri piccola e immatura, e sono cose normali queste. Non potevi prevedere delle conseguenze così tragiche»
Lei scosse la testa e si abbandonò ad un pianto disperato.
«Vieni qui» le disse, abbracciandola.
Clarke si appoggiò a lui, aggrappandosi a quella figura che la stava proteggendo, e continuò a piangere in silenzio. Lui la strinse a sé con tutte le sue forze, appoggiandosi allo schienale e portandola con sé.
Rimasero così per un tempo che parve infinito ma poi Bellamy si accorse che Clarke si era addormentata, esausta.
Si sciolse dall’abbraccio cercando di non svegliarla e si affrettò a cercare una coperta. Ne trovò una di pile azzurra e la avvolse intorno alla ragazza, dolcemente. Si sedette per terra, incapace di smettere di fissarla. Osservandola dormire, Bellamy si sentiva in pace, si sentiva sicuro. Lei era lì. E lui era lì per lei. Le accarezzò i capelli. E capì.
Capì che Clarke Griffin aveva qualcosa che lo stava stregando, qualcosa che non lo faceva dormire la notte e che gli impediva di avere pensieri che fossero in qualche modo diversi da lei.
Bellamy Blake si stava innamorando.
 
 
 
Quando Clarke riaprì gli occhi, Bellamy non c’era. Si guardò intorno spaventata, prima di sentire la sua voce: «Sono qui Clarke»
Era seduto in parte al divano, una tazza di tè nero tra le mani. Le sorrise.
«Ti sei riposata?» le domandò, avvicinandosi.
Clarke annuì. Si sentiva esausta.
«Quanto ho dormito?»
«Un paio d’ore. Il tornado se n’è andato»
«Davvero?»
«Si, ho sentito il telefono suonare e Octavia ha chiamato»
«Sta bene?»
«Benissimo, si ferma fuori stanotte, pensa te!» esclamò imbronciato Bellamy, «Devo scoprire chi sia ‘sto Lincoln» borbottò.
Clarke rise, «Sarà un bravo ragazzo, vedrai. Non ti preoccupare»
Bellamy scosse le spalle e non poté fare a meno di sorridere. Poi si sedette in parte a lei sul divano e le chiese: «Tu invece? Come ti senti?»
«Strana» rispose, agganciandogli addosso i suoi occhi azzurri, «Grazie Bellamy. Per tutto ciò che hai fatto per me»
Bellamy sorrise, «Non ho fatto niente di speciale, credimi. Grazie a te piuttosto, per avermi confidato la tua storia»
Clarke abbassò lo sguardo: «Non avrei potuto raccontarla a nessun’altro. Sei la prima persona che sente questa storia»
«Davvero?» si stupì lui, «Perché?»
«Non lo so… so solo che quando sono con te, non ho paura di niente. Non ho paura di apparire fragile o vulnerabile. Se ho voglia di sentirmi così, lo sono e basta, sapendo che non mi giudicherai»
«I soli giudizi che potrei farti sono positivi, Clarke. Davvero»
Si sorrisero. Bellamy sentì l’impulso di baciarla e per poco non lo fece davvero.
Lei si alzò.
«È meglio che vada ora» disse.
«No, non andartene. Fermati qui stanotte» la proposta di Bellamy uscì dalle labbra prima ancora che potesse pensare di fermarla.
Clarke lo guardò stupita, «Dici sul serio?»
Lui annuì, imbarazzato. Poi riacquistò il controllo.
«Vorrei che tu rimanessi stanotte, con me»
Il messaggio che alleggiava da questa informazione era carico di significato.
Clarke gli sorrise, arrossendo. Si avvicinò a lui e lo abbracciò timidamente. Bellamy ricambiò con energia, inspirandone il profumo. E capì che sarebbe rimasta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao di nuovo :D
Un capitolo pieno di avvenimenti, che ve ne pare? Fatemi sapere la vostra!
Grazie mille a tutti quelli che leggono la mia storia, sia i nuovi lettori che quelli che mi seguono dall’inizio! Vi adoro tutti :)
Un bacione e alla prossima,
Ile
   
 
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