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Autore: Giorgina_music96    14/06/2016    0 recensioni
«Promettimi una cosa, Kora: non assaggiare mai ciò che ti offre Hunter.»
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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P E R S E P H O N E
 
"Quello che Persefone definiva inferno, Ade la chiamava casa, ed Ermes angusta prigionia."
 

Stare con lei, anche nella medesima stanza, era come trovarsi in labirinto senza via di uscita, gli faceva perdere l'orientamento, dimenticava chi fosse davvero. Per lui, lei era tutto: una eterna rincorsa per trovare la via della lucidità; un impeto di vita. Era pulsante, calda e libera, una esplosione di energia rinvigorente. Con lei la vita era un gioco, un nascondino perpetuo, un lieto rincorrersi senza il peso grave della fatica.

Persefone era il tesoro da trovare, il sogno da seguire, la vita da vivere, la pace dei sensi da gustare in un fugace attimo di tempesta. Lei era il diamante più prezioso, il sole di una esistenza beffarda; il profumo della sua anima inebriava i suoi sensi e gli impediva di ragionare. Il battito intermittente del suo cuore lo emozionava, gli dava ispirazione, lo rendeva libero dalle sue ombre, nonostante sapesse che non batteva per lui. Era troppo preziosa e pura per un uomo modellato per le tenebre, così promise a sé stesso di proteggerla per sempre, affinché la sua luce, le sue fiamme, il suo impeto e il cuore non si spegnessero mai e continuassero a palpitare per quell'uomo sfigurato in volto dal fuoco eterno, pur conscio di sapere che la sola presenza la tediasse.

Con quei pensieri, Ade andava avanti e indietro per la caverna, turbato, fissandola di sottecchi, con il discorso bloccato sulla punta della lingua. Poteva davvero permettere di lasciarla andare per tutti quei mesi lontano dal suo imperturbato e morboso controllo?
L'aveva vista così felice alla notizia della tregua amara che la affliggeva che non aveva avuto il coraggio di metterla in guardia sulla permanenza in terra; ciò non sarebbe bastato di certo a farle perdere l'ingannevole speranza di abbandonare una volta per tutte quel cumulo di macerie ed ossa.
«Mia cara sposa, non comprendo ancora il motivo per cui tu sia così gaia nel dover risalire gli Inferi, pur sapendo di rimanere tutti questi mesi lontana da me. Credevo mi amassi almeno un minimo di quanto io ami te» disse allo stremo della pazienza.
Parlava con voce calma, suadente, nonostante il tono celasse una punta di gelo. Erano parole dure, le sue, anche se il suo aspetto fuorviante avesse potuto mettere in forse la sua innata cattiveria. Volto sfregiato a parte, nemmeno lei aveva potuto far a meno di notare la bellezza sublime del suo sposo.
Tutti lo sapevano: era stato crudele in passato, ma non per scelta, quanto più a causa dello svolgersi degli eventi sfortunati che lo avevano designato protagonista. Il protagonista di un film la cui trama non era stata scritta di suo pugno, ma dal fato derisorio e bastardo.
Tra i tre fratelli - Poseidone e Zeus - lui aveva sempre avuto la sensazione di essere l'ultima ruota del carro di Apollo, l'ultimo su cui qualcuno potesse fare affidamento. Anche Crono aveva prediletto i suoi fratelli prima della sua morte, ed era un boccone amaro difficile da mandare giù.
Tutto questo rancore mal riposto era conseguito alla scelta della pagliuzza d'oro più corta, estratta a sorte, che lo aveva imprigionato agli Inferni, il regno che sarebbe stato suo per un tempo imprecisato, con la sola compagnia del suo amato cerbero.
Nonostante il calore immagazzinato tra quelle pareti spoglie e ricoperte di polveri e fuliggine, il suo cuore desolato aveva cominciato ad annerirsi assumendo la consistenza del ghiaccio. Fin quando, però, non la notò risplendere tra i campi fioriti di un tardo pomeriggio, al crepuscolo rossastro, quando il sole semi dormiente annunciava il termine di un'ulteriore giornata di stenti.

La vide avvolta dalla leggera stoffa grezza cucitale addosso che le ricopriva le curve sinuose e morbide del tenero corpo cocente, dal sentore delicato del narciso bianco. Era la fanciulla più bella su cui qualcuno avesse mai posato gli occhi, la giovane dal cuore casto e intoccabile. Un cuore che avrebbe dovuto essere solo suo, volente o nolente. Lo aveva promesso a sé stesso.

Ora, la ragazza, vagava disperata tra le mura di quella fortezza costruita dalla menzogna, senza mai vedere la luce del giorno, o la luna rischiarare la notte fendendo il cielo scuro con il bagliore perlaceo.
«Persefone, mia cara, parlami. Dimmi che anche tu mi ami, così come io amo te, come ieri, oggi, e domani fino alla fine dei tempi», la supplicò in cerca di conferma. Lei si bloccò raggelata, e Ade notò il guizzo involontario della mascella della neo sposa deturparle il volto delicato e fragile, ma provò a far finta di nulla. Se c'era una persona cui Ade tenesse in particolar modo, era proprio Persefone. Non gli importava se per ottenerla aveva dovuto ricorrere ad atti meschini quale il rapimento, non gli sembrava rilevante nemmeno impossessarsi del suo amore monopolizzando i suoi sentimenti avversi, sfiorandole con le nocche il punto palpitante del seno sinistro. Avrebbe fatto qualsiasi cosa fosse in suo potere per renderla sua completamente, a dimostrazione della turbolenta passione che lo logorava.
Offuscato dalla visione paradisiaca della moglie, non avvertì il movimento trattenuto della sua bocca deliziosa, fin quando non la sentì parlare per la primissima volta da quando l'aveva trascinata giù a condividere la desolazione in una indissolubile unione coniugale.
«Lei mi ha soggiogata», proruppe la ragazza, voltandogli le spalle per spostare lo sguardo sul giardino da poco fatto erigere in suo onore da quel marito infame, oltre la grata in ferro battuto che fungeva da finestra sul paesaggio deserto esterno. Tutto lì era invertito: il tempo, lo spazio, il tramutare delle stagioni da lei prima adorate. Era la sciagura fattasi realtà. 
Lottava internamente cercando di accettare ciò che avevano scelto per lei, tutta colpa del padre incapace di provare affetto per una delle sue figlie sofferenti.
Nemmeno le preghiere notturne nella camera condivisa erano bastate a solleticare la compassione del suo animo.
Il mancato sentimentalismo di Zeus era paragonabile ad una lama deleteria macchiata di sangue; il sangue della sua progenie tratta in inganno e ancor prima rapita crudelmente.

Sentì i suoi passi farsi sempre più vicini dietro la sua schiena dritta, sicché automaticamente ne fece due avanti pur di non sopportare la dolorosa vicinanza.
Ade tremolò appena, impercettibilmente.
Inganno: musica per le orecchie di chi era prima di vederla. Ora quel termine gli stava stretto, era divenuto insopportabile assimilarlo perché pronunciato dalla bocca rosea di colei che più apprezzava.
Se solo avesse voluto, avrebbe potuto materializzarsi di fronte alla sua scarna figura con uno schiocco di dita, ma spaventarla - più di quanto non fosse già - era l'ultima delle azioni che voleva adempiere.
«Amore mio, io non ti ho mai ingannata» ribatté calmo, le mani protese a mezz'aria in segno di resa.
Non sapeva più come trasmetterle il sentimento sincero che covava nel petto.

Lei, su tutte le furie, si voltò verso di lui. Le guance incandescenti per la rabbia pronta a straripare, gli occhi pieni di lacrime amare e ricacciate indietro da troppe settimane, e le labbra rosse, gonfie e lucide, ottennero il giusto effetto sperato: lo fecero fermare sui propri passi.
Ade sentì il cuore ribellarsi a quella vista penosa, incapace di alleggerire la tristezza.
Il mento della giovane fremette alla vista dell'uomo gioviale, compassionevole, con i suoi occhi azzurri così limpidi da far pensare ad una creatura benevola; accorgimenti destabilizzanti per la sua ingenua sensibilità. Ma questo non bastò di certo a cancellare il dolore che le aveva inferto con una stoccata finale.
Strinse le mani in due pugni chiusi.
«Mi ha tratta in inganno, sua maestà. Mi ha offerto sei semi di melograno. Se solo avessi saputo prima cosa avrebbe comportato il mio gesto...» sospirò afona, il respiro febbrile incespicato nella gracile gola diafana. Il corpo le si arrese, indubbiamente stremato per continuare a ritardare l'inevitabile.
Accogliendo la sua arrendevolezza come un invito silenzioso a proseguire sempre più avanti, Ade depositò amorevole la mano sul volto cereo della moglie, e col polpastrello del pollice tracciò lo zigomo imperlato di sudore e sporco di zolfo, mandandole elettricità statica non gradita.
«Alla tua vista sembrerò un lestofante, ma il mio modo di tenerti qui con me è egoistico perché se dovessi rinunciare alla tua bellezza, alla tua compagnia, sentirei il mio corpo cedere all'oscurità. Sei l'unica costante che ancora mi fa desiderare di vivere in maniera migliore.»
Sapeva che fosse sincero, glielo leggeva nelle iridi azzurre e nel sorriso tenero sbocciato in quelle labbra che aveva rifiutato di baciare. Si chiese se qualche carezza in più donatagli non avesse potuto farle provare qualcosa di diverso dal ribrezzo che sentiva divorarle le carni.

Non appena Ade notò il suo corpo alleggerirsi, l'afferrò con lancinante premura dalla vita esile e stretta, drappeggiata dal lungo peplo bianco candido, e la avvicinò al torace, lentamente.
Soggiunse con le labbra, portandole sempre più vicine alle sue, assaporando ogni istante, gustando la sensazione adrenalinica che anelava dal secondo in cui la scorse, assolutamente convinto che Persefone l'avesse lasciato fare indisturbato. Questo, fin quando la magia di quel prezioso e famelico momento venne rotta da un grido di ribellione che trillò imperioso nell'ampio abitacolo, facendolo desistere forzatamente.

Il «no» perentorio vibrò nel petto di Ermes come se fosse stata un'agghiacciante supplica ovattata di un prigioniero davanti al proprio aguzzino, implorante.
L'altro, scocciato per l'interruzione del messaggero, sollevò gli occhi all'insù posizionandoli infine su quelli verde ametista dell'intruso.
«Ermes, caro amico, avresti dovuto bussare», lo schernì furibondo.
Quest'ultimo gli lanciò un'occhiata carica di sdegno, stringendo tra le dita scorticate e intrinseche di sangue rarefatto il lungo caduceo dorato.
Lo sguardo sconsolato di Persefone scivolò timido verso il nuovo arrivato, esaminando l'aspetto stanco del suo unico amato, con chiara apprensione.
Sapeva bene che la discesa agli Inferi potesse sconvolgere il corpo e l'anima dei vivi, che essi fossero umani o divinità, come nel suo caso.
La stretta morsa al petto si intensificò maggiormente quando l'amante espirò tramortito alla vista del melograno sul piatto del peccato.
Non avrebbe impiegato molto a capire cosa fosse successo durante il duro pellegrinare in quelle terre nefaste.
Ermes aveva impiegato due giorni e una notte a cercarla, urlando disperato il suo nome, ottenendo in cambio un folgorante silenzio scoraggiante.
«Non dovresti essere qui, stupido messaggero alato», lo rimbeccò arrogantemente Ade, assottigliando le palpebre pesanti. Stava incarando la dose, ma non gli importava: lo voleva fuori di lì al più presto perché i termini del suo accordo non erano ancora scaduti.
Ermes, in tutta risposta, irrigidì il busto continuando a tenere ben saldo il caduceo nella mano destra, trattandolo come un'arma abbastanza potente da lenire ed eliminare il dolore e il male aleggianti in quel luogo tortuoso e sinistro.
«Suo padre mi ha inviato per riportarla indietro, dov'è giusto che stia. Non mancherò il mio compito» replicò risoluto indicando con un cenno del capo Persefone.

Il re rise sguaiatamente, accostando il corpo stremato della giovane al suo torace, con fare protettivo.
«Forse non ti è ancora chiaro, ma lei è la mia regina e, come tale, è stata designata a governare al mio fianco; non c'è nulla, in Olimpo, in Terra o negli Inferi stessi, che il mio adorato fratellino possa fare per porvi rimedio. Esiste un'unica maniera per ripristinare il susseguirsi degli eventi, varrebbe a dire disintegrare il mio intero regno; ma sarebbe una mossa troppo imprudente anche per quel bellimbusto di Zeus», si interruppe per sogghignare. Poi, dopo attimi di aneliti trattenuti, riprese con calma reverenziale. «Vedi, Ermes, il mio impero è come il vaso di Pandora: relego le anime dei penitenti, degli eroi e dei meritevoli qui da me, collocandoli nelle zone cui sono indirizzati, destinati al momento della morte. Secondo te, chi spedisce le anime pure ed eroiche nei campi Elisi? Io, ovviamente», represse un sorriso compiaciuto. Improvvisamente i suoi occhi assunsero una sfumatura velata di nero, vista l'espressione turbata del suo interlocutore, e scosse il capo consapevole della sua ignoranza in merito. 
«Mandando a sfacelo il mio regno, Zeus rischierebbe di dover far fronte ad un tumultuoso attacco da parte dei morti, omettendo ovviamente le ostilità che verrebbero a crearsi sul monte Olimpo e la devastazione che comporterebbe lo scontro tra i vecchi Titani, ed io mi sarò sacrificato invano», si spiegò meglio.

«Ermes», lo richiamò armoniosamente Persefone, «non posso permettere l'inizio di una guerra olimpica sulla Terra dove sono nata. Tutto rovinerebbe l'ordine primordiale delle cose, e mia madre ha faticato tanto affinché tutto rispettasse il susseguirsi degli eventi.»
Ma Ermes, intestardito, non accolse la tacita supplica della fanciulla, e fece la cosa più stupida che gli venne in mente: attaccò Ade e lo spinse prepotentemente verso la parete adiacente. Egli, basito, sbatté di schiena cadendo a terra riproducendo un tonfo sordo. Gli unici rumori avvertiti furono quelli di uno schianto contro le pietre incastonate una sull'altra, e un urlo sorpreso risalire dallo gola secca del malcapitato.
Accanto a Persefone, Ermes l'afferrò svelto dal polso, trascinandola verso l'uscita della caverna arida.
«Non ti abbandonerò mai, amore mio. Tutti hanno bisogno di scegliere, tu non sei da meno!»

Scaldata da quelle parole, le prime che volesse davvero sentirsi dire da quando era stata confinata lì, Persefone lo baciò trepidante, come se non avesse aspettato altro, avvolgendogli le braccia attorno al collo e affondando le dita affusolate tra i riccioli scuri dei suoi capelli.
Il gesto non sfuggì agli occhi vigili di Ade che ringhiò incollerito richiamando a sé gli sguardi preoccupati degli altri due.
Faticosamente riuscì a rimettersi in piedi, brancolando sulle gambe instabili.
Le iridi si incendiarono e scalpitarono di gelosia funesta, e un boato sardonico si disperse nell'aria pesante e pestilenziale che generava l'assopimento dei caduti eterni.
«Se è così che devono andare le cose, io maledico la vostra unione e il vostro amore in una eternità instancabile di sofferenze. Il patto era ben definito su tutta la linea: Zeus mi avrebbe concesso senza interferimenti i sei mesi invernali con lei, a patto che per gli altri sei mesi dell'anno l'avessi lasciata libera di poter tornare da sua madre.»
Sollevò le braccia in aria, minaccioso, e dalle dita fuoriscì un bagliore lattiginoso, di colore arancione. I polpastrelli sfavillarono impazziti, liberando una luce accecante intrinseca di magia. Poi continuò la litania, forgiando l'arma definitiva di un odio soporifero.
«Ma se quei mesi servono a far maturare il vostro insulso amore, allora ritiro la mia parola. Ogni diciotto anni la mia regina morirà al giungere della primavera, in modo tale che le sue indubbie emozioni per te la distruggano a tal punto da farle desiderare la morte eterna. Se non potrò averla io, non l'avrà nessun altro, nemmeno lo stupido messaggero che ha osato infangare la mia persona, introducendosi senza alcun permesso in casa mia.»
«Ade, ti prego, non farlo», piagnucolò lei in preda alla disperazione, accogliendo il significato iroso. «Rimarrò con te, ti servirò e ti adorerò come mio sposo, ma non rendergli la vita infernale. Non farmi un torto del genere, sii magnanimo» lo pregò in lacrime, barcollando verso di lui.
Ermes, però, fu più veloce; la prese dalla vita e la riportò dov'era giusto che stesse: al suo fianco. Avrebbe combattuto, avrebbe valicato mari e monti madido di sudore e ricoperto di ferite se fosse stato necessario, non gli importava; gli interessava solo saperla al sicuro dalle sue grinfie. Irrilevante era lo scatenarsi di una guerra, così come il succedersi di nascita e morte promesse dal Dio. I due amanti lo sapevano bene: Ade dava e Ade toglieva.
«No, Ade, fai quello che devi. Persefone sceglierà sempre me, non importa quanta sofferenza vuoi generare al nostro legame, ma io ho l'assoluta certezza che durerà per sempre. Mi hai sentito? Lei non proverà mai per te ciò che il suo spirito prova per me. Tortura la sua mente, calpesta il suo cuore, ma essi sapranno in qualsiasi momento a chi appartengono» sentenziò caustico Ermes, sigillando le sue parole con un bacio struggente, celante la promessa di cercarla sempre in ogni dove. Da quello scambio intimo, Persefone apprese la veridicità di quella confessione: avrebbe girato il globo pur di riprenderla.
«Tu, piccolo stupido, non riuscirai mai a spezzare il maleficio senza spezzare anche lei. Si piegherà e si spezzerà ogni qualvolta ricorderà il tradimento causato a me, e così facendo non conoscerà mai il sentimento che affligge entrambi. Le due divintà divorate dall'amore per la stessa ragazza.»
«Ermes, cosa hai fatto», sussultò lei una volta annullato il contatto, stringendogli le spalle e affondando le unghie sfibrate nella sua pelle calda. Lo osservò come una qualsiasi ragazza guarda il proprio compagno dopo un gesto dettato dall'irrazionalità: con biasimo.
«Non voglio subire tutto questo senza esser in grado di donarti il mio amore, perché ti amo più di quanto Zeus abbia mai amato i suoi figli, più di quanto Apollo abbia mai amato Cassandra, più di quanto Ade ami me, e più di quanto io abbia mai amato me stessa.»
Ermes passò le dita tra i suoi capelli, spostandole poi sulla linea della mascella, cullato dalla sublime ninna nanna della sua voce armoniosa.
«Allora lotta per noi, per sconfiggere il male inferto da tuo marito. Arriverà il giorno in cui riusciremo a far fronte al problema. Insieme», sussurrò placido con un sorriso triste, studiando i suoi lineamenti un'ultima volta.

Con quelle ultime parole, Ade schioccò le dita e Persefone sparì evaporando come una nuvola di fumo dispersa nel limbo, vagabondando tra le terre di nessuno.
Il Dio dei morti aveva avuto conferma a giorni di estenuante sospetto: mentre lui venerava lei, lei adorava l'altro.
Guardò il messaggero con stizza, sentendo un macigno piombargli nel petto dove il suo cuore aveva cessato di battere. Non solo l'aveva persa Ermes, ma l'aveva persa anche lui.
Gli lanciò un'occhiataccia carica d'odio, puntandogli il dito contro.
«Hai appena firmato la sua condanna, spero ne sia valsa la pena.»

   
 
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