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Autore: Mirella__    15/06/2016    0 recensioni
Serie di one-shot inizialmente auto-conclusive. La raccolta partecipa alla Challenge: “Chi, con chi, che cosa facevano” indetto da Kukiness.
La challenge prevedeva di fare una lista casuale dei personaggi, l’ordine in cui sarebbero stati scritti avrebbe avuto una corrispondenza con i prompt. Per ulteriori spiegazioni rimando alla premessa.
È una storia che vuole andare a prendere la routine dei semidei, inventando aneddoti buffi e non. Le coppie saranno quelle canoniche, anche se magari ci può essere qualche ship in più.
1 prompt utilizzato: "4 e 9 cambiano sesso ops tutta colpa di 10"
2 prompt utilizzato: "1 e 7 sono ubriachi, e 5 ne approfitta"
3 prompt utilizzato: "Time Warp! 5 è diventato un bambino!"
Genere: Commedia, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I sette della Profezia, Nico di Angelo, Reyna, Will Solace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16) Time Warp! 5 è diventato un bambino! Se è già un bambino, è diventato un adulto.

 

Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

 

Non si smette mai di imparare a conoscere

 

Annabeth si appoggiò alla parete interna dell’ascensore, i piani scorrevano pigri in salita: 34, 35, 36… ci voleva sempre un po’ per raggiungere l’Olimpo e la ragazza, per ingannare l’attesa, si rigirò tra le mani il polos di Era, che riluceva di un flebile bagliore argenteo.

“Stupida dea,” pensò tra sé e sé. “Lo sa che Efesto la odia, potrebbe nascondere i suoi oggetti sacri, piuttosto che lasciarli in bella vista e poi mandare degli eroi a cercarli,” concluse quell’elucubrazione poco prima di arrivare sull’Olimpo, meglio mettere da parte pensieri scomodi: correvi il rischio che Era ti ringraziasse con un bel serpente velenoso nel letto.

Come sempre Annabeth non poté che sorridere quando vide che le costruzioni procedevano: era così fiera! Stava progettando l’Olimpo all’apice del suo splendore, il suo nome sarebbe rimasto inciso in quei monumenti per sempre: “Architetto Annabeth Chase,” disse compiaciuta, mentre passava davanti a una fedele riproduzione del tempio dell’Heraion di Samo; lì Annabeth avrebbe dovuto incontrare la dea che più odiava.

Si sedette su una panchina, intenta a godersi la vista delle ninfe che fuggivano dai satiri, a godersi la musica delle divinità minori e pensò a sua madre… doveva essere sicuramente lì da qualche parte, ma la dea della saggezza preferiva non intromettersi nelle imprese che non la riguardavano.

Era apparve davanti Annabeth, sul viso un’espressione di collera. La ragazza rabbrividì, qualcosa non andava.

“Darmi della stupida sul mio ascensore! Ragazzina, sei una figlia di Atena, ti credevo più intelligente!”

Annabeth arrossì di colpo. Non era mai stata in buoni rapporti con lei e sapeva che avrebbe dovuto tenere a freno i propri ragionamenti e lo aveva fatto… per una settimana. Mentre saliva i piani dell’ascensore le erano passate alla mente tutte le piccole disavventure del viaggio: era finita in una cantina piena di ragni, entrata in un ostello dove la direttrice era niente di meno che Medusa, era fuggita di nuovo per rifugiarsi in un luogo per la notte, dove una lamia l’aveva scoperta.

“Non credevo ci fosse così poca privacy da non poter neppure lasciarsi sfuggire qualche pensiero di troppo!”

Era s’infuriò ancora di più: “Non fare la saccente, oh stolta ragazzina! Non puoi oggi, non nei momenti in cui il dio Socrate è qui!”

“Frena, frena, frena!” Disse Annabeth - ignorando quella parte della sua mente che le fece notare che quell’atteggiamento era un po’ da Percy - “mi son persa qualcosa, Socrate non era un filosofo?”

Era aveva gli occhi letteralmente infuocati. “Dio del pensiero, adesso, poiché tua madre ha reso quell’uomo una divinità, vedendo come grazie a lui l’umanità abbia sviluppato il pensiero astratto e razionale!” Annabeth ebbe l’impressione che quelle informazioni fossero solo la giustificazione di un’azione ben più grande. “Ti credi così intelligente, così furba, così matura! Ma sai che ti dico, figlia della saggezza? Sarai anche scaltra, saprai usare quel cervellino che ti ritrovi nella tua testolina bionda, ma credo proprio tu abbia bisogno di una bella lezione di umiltà!” Era schioccò le dita e Annabeth si sentì restringere, letteralmente! Vide le proprie braccia diventare più corte e quando guardò ai suoi piedi le sembrò che il terreno volesse inghiottirla, ma si rese conto che non era quest’ultimo ad avvicinarsi, ma lei: era come se si fosse accucciata. In un primo momento non capì quello che era successo, ma poi le mura lucide dell’Heraion le mostrarono il suo riflesso, un po’ distorto, certo, ma inequivocabilmente simile a quello di una bambina.

“Cosa?”

Era rise, “divertiti, ragazza, sono sicura che questa settimana per te… sarà uno spasso”

 

Percy stava aspettando Annabeth nella sua Porsche blu, regalo di suo padre, fabbricata da Efesto in persona ( in fondo aveva parato il deretano a quei stramaledettissimi Dei più di una volta, si meritava un piccolo bonus! Per non parlare del fatto che Elena Beckendorf aveva modificato il motore, quindi quell’auto andava proprio a bomba!). Era intento a tamburellare con le dita sul cruscotto, mentre i suoi complessi pensieri si diramavano tra due profondi quesiti divini: Diet Coke o Diet Pepsi?

Sussultò quando vide lo sportello aprirsi senza che nessuno avesse afferrato la maniglia, ma quando la portiera rivelò un adorabile bambina di poco più che tre anni, Percy tolse la mano dal cappuccio di vortice - beh, se si era un semidio si stava costantemente sulle spine. “Piccoletta, mi sa che hai sbagliato macchina, ti sei…” qualcosa negli occhi della bambinetta costrinse Percy al silenzio, qualcosa che il semidio conosceva molto bene: l’ira negli occhi della sua ragazza. “Annabeth?” Riuscì a dire.

“Non un’altra parola,” ordinò la bambina, salendo in auto. “Torniamo al campo mezzosangue”

 

Piper spazzolava i capelli della bambina, mentre Hazel sceglieva tra alcuni vestitini che una figlia di Afrodite le aveva gentilmente offerto. “Staresti così bene in rosa!”

“Hazel!” Borbottò Annabeth, guardandosi a disagio allo specchio. “Devo dire che questa volta Era si è davvero superata”

Reyna la guardava seria, era l’unica a non averla presa in giro da quando era tornata, probabilmente perché sapeva cosa significava non avere più il proprio corpo. “Beh, ha detto solo una settimana, magari anche lei si è ricordata che alla fine hai fatto un’impresa per lei”

“Faccio sempre imprese per lei. Sono stanca, si comporta come se le dovessi sempre qualcosa”

Piper sorrise dolcemente mentre avvolgeva una piuma simile alla sua nella treccia bionda di Annabeth. “Sarà solo una settimana, potrai sopravvivere”

E la figlia di Atena quasi ci credette davvero, poi si ricordò che la sua amica era in grado di utilizzare la lingua ammaliatrice. “Grazie, Piper, ma no grazie”

Hazel si mordicchiò il labbro inferiore e sedette sul letto accanto a Annabeth. “Credo dovresti vedere la situazione da un punto di vista più semplice, insomma, sai quante persone vorrebbero tornare bambine e non ne hanno mai avuto la possibilità? Da bambini si ritrova quel senso di curiosità e meraviglia che ti coinvolge e ti lascia senza fiato, quando diventi un adulta quelle sensazioni non ci sono più, o almeno, non sono così forti, così intense”

Annabeth sorrise tristemente, “questo, Hazel, dipende dall’infanzia che hai avuto,” poi si alzò, sentiva l’urgente bisogno di andarsene da lì, aveva bisogno di stare un po’ da sola. “Ci vediamo a cena, ragazze, scusatemi”

 

Ad Annabeth non piaceva guardarsi allo specchio in quel momento, si sentiva troppo vulnerabile, troppo esposta: nonostante da bambina fosse scappata di casa più volte, aveva sempre avuto Luke e Talia che non l’avevano mai fatta sentire sola, e in quel lasso di tempo, seduta sulla riva del laghetto delle canoe, avvertì di nuovo la loro assenza. Non c’era giorno in cui non li ricordava, ma poi c’era sempre qualcuno accanto a lei che leniva il dolore; una persona che in quel momento era chissà dove; magari sul fondo dell’oceano, a parlare con i pesci, piuttosto che a confortare la sua ragazza tornata bambina.

Piccoli mulinelli incresparono la superficie cristallina dell’acqua e Annabeth ritrovò quello stupore al quale forse si riferiva Hazel. Percy la prese in braccio e la strinse a sé.

“Fino a quando non tornerai normale, Annabeth, ci sono io con te,” e la piccola sorrise, trovando ancora una volta conforto tra le braccia del suo ragazzo.

 

Leo urlò quando vide quella scena. “Percy è diventato un pedofilo, gente!”

Percy arrossì di botto. “Ma cosa stai dicendo, idiota!?” Poi corse verso di lui, soffocandolo in un abbraccio. “Ben tornato, amico!”

Leo rise, aveva accanto una ragazza dai capelli castani, caratterizzati da delicati riflessi color caramello e ad Annabeth quella descrizione ricordava qualcuno, solo che non riusciva a ricordare bene. “Sul serio, Percy,” disse Leo, “non dovresti abbracciare delle bambine in quel modo, cosa direbbe Annabeth se ti vedesse?”

Percy lo guardò male, “era un abbraccio protettivo, cretino!”

Annabeth si avvicinò al ragazzo dai capelli ricci e con una mossa di shorinji kempo lo buttò a terra. “Sono io Annabeth, e chiamami bambina un’altra volta e giuro che non mi limiterò a buttarti a terra,” poi sorrise e lo abbracciò. “Ci sei mancato, Leo!”

Leo era sconvolto. “Cosa? Come?”

Percy alzò gli occhi al cielo, “Era”

Leo annuì. “Beh, se noi stiamo tranquilli a mangiar panini, Era è pronta a portar cas…” Fu interrotto da un colpo di tosse. “Oh, scusatemi,” disse arrossendo lievemente. “Lei è Calypso,” fu allora che Percy spostò lo sguardo su di lei e trattenne il fiato, sia per l’imbarazzo che per il senso di colpa.

“S… scusami, io… non avevamo notizie di Leo da una vita ed ero preso dall’euforia. È un p… piacere vederti”

Annabeth analizzò Calypso come se fosse stata lo schieramento di un esercito nemico, alla fine decise di non esagerare con le elucubrazioni e di limitarsi a stringerle la mano.

“Piacere, Calypso, vedo che conosci già il mio ragazzo, bene, io sono la sua ragazza, Annabeth Chase,” sottolineò volutamente le parole “ragazzo” e “ragazza”.

Gli occhi scuri del titano si posarono a lungo in quelli di Annabeth; Calypso sapeva riconoscere quando vedeva un grande potere, sapeva chi era la bambina bionda che aveva davanti, era al corrente della sua gelosia, ma era un sentimento inutile, perché aveva relegato Percy in un piccolo cassetto della sua mente e aveva buttato la chiave.

“Piacere, Annabeth, spero che la mia presenza al campo mezzosangue non sia un disturbo”

La bambina sorrise, anche se quell’espressione era degna di un film horror. “Nessun disturbo, Calypso”

 

Angolo dell’autrice

Eccoci alla fine di questo capitoletto. Gli accoppiamenti che mi son risultati sono alquanto strani, ma alle volte sembrano calzare a pennello, come per esempio quelli che vi saranno nel prossimo capitolo ;) Ovviamente la situazione di Annabeth non si è risolta in questo capitolo e ( contro ogni aspettativa) procederà nel prossimo. Non mi sono prefissata di fare una long, sono semplicemente scorci di vita quelli che vado a descrivere e magari un prompt può anche protrarsi da un capitolo all’altro.

Inoltre tenevo a dire che so di non sapere(?), nel senso che non ho mai fatto filosofia e le informazioni per  rendere Socrate un dio le ho prese di pari passo da wikipedia, quindi se volete siete liberissimi di urlarmi contro, ma mi sembrava un’idea simpatica(?).

Detto questo vi saluto con un abbraccio, alla prossima!
  
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