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Autore: Solounaltrarosarossa    15/06/2016    1 recensioni
Al Ministro, ci vediamo sulla Luna.
[...] C’era una volta un ragazzo. Più che un ragazzo era un bambino, sperduto in un paesino che a lui sembrava immenso. Questo bambino era davvero speciale, tanto da non saperlo. Vi chiederete allora perché io non vi dica il suo nome. Non lo so. Quel bambino, semplicemente lo aveva dimenticato, come ci si dimentica di comprare il latte tornando a casa o forse un nome non lo aveva mai avuto. Si diceva che fosse orfano ma lui non lo sapeva, lui non conosceva niente. Era giunto non si sa come in quel piccolo paesino, senza un nome come lui e non aveva niente, neanche sé stesso. Aveva con sé solo il suo destino, anche questo senza un nome e una promessa fatta a chissà chi, chissà quando e chissà perché “ci vediamo sulla Luna” ma lui, la Luna non sapeva cosa fosse. [...]
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il ragazzo dagli occhi gelidi viveva ancora. Non che questo la sorprendesse, era ovvio che ce la facesse. In quei giorni si sentiva distrutta. Era sempre così, ogni volta che quei ragazzi finivano nel laboratorio. Erano intelligenti, perspicaci, forse troppo, e l’ultima volta arrivare lì era stato persino più facile delle altre volte per loro, tutto per colpa sua. Come aveva potuto dimenticare di bruciare anche quella lettera? Era ovvio che ce ne fossero tre, una per ogni figlio… ah, era inutile rimuginare su queste cose. Sapeva fin troppo bene che per quanto si possa cercare di cancellare qualcosa accaduto tempo prima questo rimane impresso come un’ombra nelle memorie delle persone. Dopo questa volta, però, non sarebbe più successo niente di tutto ciò. I ragazzi non sarebbero mai più arrivati al laboratorio, non entrambi. Questo la faceva soffrire terribilmente. Erano pericolosi quei due ragazzi, se messi l’uno accanto all’altra. Ma non potevano essere separati, anche se allontanati finivano sempre per ricongiungersi e per arrivare al laboratorio. Il governo dietro sua richiesta era andato avanti per moltissimo tempo cancellando loro la memoria e cercando di impedire loro di arrivare al laboratorio, ma senza risultati. Sapeva che avrebbe dovuto distruggere la carta di Camilla, ma gliela aveva regalata Bruno, e non aveva voluto farlo, benché si fosse costretta a distruggere quelle di Luca e Marco. Questo era stato un grosso errore. Ora Camilla sarebbe morta, tutto per colpa sua. Sua e dell’uomo che non aveva mai smesso di amare. Se non lo avesse amato tanto… se lui non avesse detto che l’amava ancora nella lettera, forse… forse sarebbe andato tutto in modo diverso. Ma non era andata così, e tutti avrebbero sofferto. Camilla sarebbe morta della stessa terribile morte di Luca e lei avrebbe provato dolore, ancora una volta. Se lo ricordava, Luca, un ragazzino gentile e coraggioso, identico a suo padre. Non aveva neanche avuto il coraggio di alterare il suo aspetto come aveva fatto con il ragazzo che stava urlando in quella stanza. Le ricordava troppo Bruno, il suo dolce Bruno. Quello che aveva perso. E come lui, come Camilla, Luca era fragile. Aveva potuto cancellargli la memoria solo un paio di volte, soltanto in modo leggero, ed era sempre arrivato al laboratorio assieme ai due ragazzi che ora erano rinchiusi in due stanze separate. Entrambe le volte ricordava molte cose: suo padre, sua sorella, suo fratello, la promessa… ma non lei, lei era stata facile da dimenticare. Luca, Camilla, persino Marco… tutti l’avevano dimenticata. Ma non Bruno. A Bruno non era stato possibile cancellare la memoria, neanche una volta. Lui aveva sangue Lunari puro. Morì al primo tentativo, aveva inoltre trasmesso quella fragilità tipica dei Lunari a Luca e, in minor parte anche a Camilla. Tuttavia, incredibilmente, non era stata trasmessa a  Marco. Marco era forte, aveva il suo sangue e i suoi occhi gelidi, anche se provava un dolore indescrivibile ogni volta che la memoria gli veniva cancellata. Una volta aveva anche i suoi capelli rossi, ma aveva dovuto alterare il suo aspetto, altrimenti lui e Camilla avrebbero potuto capire di essere fratelli, avrebbero potuto ricordare Luca, e così trovare più facilmente il laboratorio. Era stato comunque uno dei suoi tanti esperimenti falliti. Era la tredicesima volta che i ragazzi arrivavano al laboratorio, contando le volte che erano arrivati con Luca, e Camilla poteva resistere per sedici volte alla memoria cancellata in modo leggero. Ma questa volta Alice aveva deciso di tentare il tutto per tutto, aveva deciso di cancellarle la memoria come aveva fatto tante volte con Marco, ma era stato tutto inutile. Non rimaneva che restituirle i ricordi per un’ultima volta e cancellare tutto in modo definitivo, sapendo che avrebbe davvero dimenticato tutto in questo modo. Avrebbe dimenticato la promessa, Marco, Luca, Bruno, lei, ma avrebbe dimenticato anche come si respira e il suo cuore avrebbe dimenticato come battere. Una morte del genere era molto dolorosa, ma il corpo dimenticava cos’era il dolore. Così quella morte era semplicemente triste per chi la guardava. Una morte del genere cancellava completamente una persona dall’esistenza, e se nessuno ricorda che una persona sia vissuta, non si può dire che sia vissuta realmente, la sua vita diventa solo un’ombra, come i ricordi cancellati. Avrebbe ucciso sua figlia, quella bambina che le assomigliava tanto e che ora non ricordava più il suo nome. Era come Marco prima di arrivare al laboratorio per la tredicesima volta. Camilla gli aveva dato un nome, Silenzio. Lo aveva fatto anche un altro paio di volte:  una volta lo aveva chiamato Occhi di ghiaccio, un’altra Stelle… era interessante studiare le variabili di quell’esperimento. Certo, lo sarebbe stato molto di più se le cavie non fossero state i suoi figli… ma lei li aveva abbandonati, aveva rinunciato a loro, aveva fatto una scelta e, in nome della Luna e della scienza, non si poteva pensare a queste sciocchezze, anche se la faceva soffrire doveva andare avanti, altrimenti… no, doveva concentrarsi sulle variabili. C’erano delle costanti, nelle persone di sangue Lunari. Marco ricordava sempre due cose: suo fratello maggiore e una promessa, mentre Camilla ricordava sempre Bruno e il momento in cui era morto. E poi non ci si poteva certo dimenticare delle ombre che ritornavano. Ad esempio Camilla doveva ricordare di un legame tra lei e Marco, una bambina introversa come lei non avrebbe mai fatto accolto uno sconosciuto in casa per giorni, né tantomeno gli avrebbe mostrato lo studio di suo padre. Anche Marco doveva ricordare quello studio, la stanza di quello che una volta era stato suo padre, il suo maestro. Marco era il secondo figlio, e quello con minore concentrazione di sangue Lunari. Proprio per questo motivo sarebbe sopravvissuto a tutta la sua famiglia. Una famiglia maledetta, i Lunari. Era vero che tutti quelli intorno a Camilla erano morti, almeno in questo non avevano dovuto mentirle. I Lunari erano una famiglia rispettata, potente, una volta. Ma poi ci fu Bruno che non volle accettare quello che stava accadendo nel suo paesino. Era, in fondo, solo un ragazzo e una volta cancellatagli la memoria di lui più che un ragazzo rimase un bambino, sperduto in quel paesino che a lui sembrava immenso. Era davvero speciale, tanto da non saperlo. Bruno, si chiamava, e non voleva dimenticare il suo nome, ma non sempre i desideri vengono rispettati. Lo avevano mandato in strada, a morire, e si diceva che fosse orfano, ma lui non lo sapeva, lui non conosceva niente, neanche come si faceva a respirare e a far battere il cuore. Era giunto non si sa come in quel piccolo paesino, senza un nome come lui, e non aveva niente, neanche sé stesso. Aveva con sé solo il suo destino, già vissuto e dimenticato, senza nome. I nomi s’eran già conosciuti, ma nessuno aveva il coraggio di pronunciarli, e così s’erano persi. E aveva una promessa, fatta a chissà chi, chissà quando e chissà perché “ci vediamo sulla Luna” ma lui, la Luna, non sapeva cosa fosse. Eppure si ricordava ancora di lei, di quello che aveva fatto per lei… Era stato sciocco ad agire così, lui era un Lunari, uno scienziato che aveva il dovere di proteggere il grande segreto del paesino senza nome. Il paesino si chiamava Luna, ed era perso tra le stelle, lontano dai regni degli uomini, e allo stesso tempo anch’esso uno dei regni, forse quello più duramente governato. E questo era solo merito dei Lunari, che proteggevano il paesino di generazione in generazione, tenendo tutti al sicuro, al di sotto della cupola d’atmosfera, cancellando la memoria dei curiosi, di chi voleva viaggiare e scopriva che l’unico mondo era la sua città. Cancellavano la memoria a chi faceva troppe domande, e anche Luca un giorno, dopo Bruno, avrebbe dovuto farlo. Ma Bruno aveva compromesso l’esperimento. Durava da generazioni, ed era promettente. La gente era forse un po’ intontita, e qualcuno ogni tanto moriva, ma per la scienza questo era un piccolissimo prezzo da pagare, no? Ma forse era proprio questo il motivo per il quale lo amava tanto. Aveva avuto coraggio, Bruno, e riusciva a scombinare i piani del governo anche da morto, anche da dimenticato. Quando l’avevano mandata lì dalla Terra non pensava che la Luna potesse essere un posto così crudele. E pensare che la Luna era qualcosa di così bello da guardare, così delicato… la Luna le sembrava come gentile, se vista dalla Terra. “È proprio vero che le apparenze ingannano” pensò.
Ding. La macchina aveva finito di fare il suo lavoro. Il ragazzino dagli occhi gelidi non aveva più ricordi, solo ombre. Ora non sarebbe stato più Marco, ma qualcun altro, il governo non aveva ancora deciso chi. Marco, il suo Marco, era dentro ad una scheda, quasi fosse una canzone… “Hai dato un suono al Silenzio” pensò “Forse anche io non sono una carta qualsiasi del mazzo”. Una variabile, era una variabile anche questo, doveva tenerlo bene a mente. Era tempo di tornare da Camilla. Ci sarebbe stato il tempo per un suo ultimo desiderio. “Vado ad uccidere mia figlia” pensò “ma è per la scienza, è il prezzo da pagare… la sua vita è solo una variabile… se non avessi accettato, se fossi rimasta su quel pianeta inquinato e quasi invivibile non avrei dovuto farlo. Magari avrei avuto anche lì i miei tre figli, i miei bambini dai capelli rossi… anche se non avrei avuto lui.” Doveva smetterla con queste sciocchezze, doveva ritornare al suo lavoro. Uscì dalla stanza dopo aver controllato Marco. Era svenuto per il dolore, sveniva sempre, mentre lei piangeva. Andò nella stanza di fronte a quella che aveva appena lasciato. Su una sedia vi era una ragazzina dai capelli rossi che aveva perso se stessa, aveva visto quella scena fin troppe volte. Farsi strappare i ricordi era un’operazione sfiancante per una persona con anche una sola goccia di sangue Lunari, ma provava un piacere immenso quando questi venivano rimessi al loro posto. “Per questo tutti gli scienziati vengono dalla Terra, e per questo tutti i Lunari non generano figli con persone che si sono fatti iniettare la stessa sostanza” ricordò. I Lunari non dovevano dimenticare, altrimenti diventavano inutili. Ma lei aveva generato figli con Bruno e non aveva quella sostanza nel sangue. Era allergica, se gliela avessero iniettata sarebbe morta, ma era già incinta di Luca, e se non l’avesse fatto l’avrebbero messa a morte comunque. “Una comune allergia e un figlio testardo che rovinano un esperimento che va avanti da quattro generazioni” la faceva quasi ridere. Bruno aveva dovuto fare l’impossibile per truccare gli esami e l’iniezione, e non le aveva detto niente fino a quando era morto. Sapeva cosa avrebbe fatto se ne fosse venuta a conoscenza. “Se incontrerai tua madre, dille che non ho mai smesso di amarla, nonostante tutto.” Glielo aveva ripetuto in tutte e tre le lettere. Lei l’aveva tradito, quel giorno, perché non pensava che l’avrebbero ucciso, perché non sapeva niente di quanto voleva fare… no, non era per questo… era perché la scienza veniva prima di tutto, lui era solo una variabile. “Anche io lo sono, e sono una di quelle che non dovrebbe mai verificarsi.” Spinse il bottone. Ding. Un altro lavoro completato. Sul volto pallido della ragazzina si dipinse un sorriso, e poi una lacrima.
«Mamma?» disse, come se fossero state ancora una volta sotto la sua quercia a giocare e leggere favole… lei era quella che aveva goduto meno di tutti di quei momenti.
«Sì?» rispose Alice, come aveva già fatto tante, troppe volte.
«Papà ha detto di dirti che ti ama.»
   
 
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