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Autore: venerdi_mattina    15/06/2016    1 recensioni
cosa siamo noi senza i sogni o senza ricordi? Loro sono la nostra struttura, l’impalcatura della nostra coscienza. Cosa siamo senza di essi se non animali privi di un'anima?
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Serviamo il numero settantaquattro.” disse l’avvenente signorina al banco.
Ogni volta che mi presentavo davanti a lei sentivo le gambe squagliarsi e il cuore martellarmi il petto. Merito dei suoi occhi da cacciatrice e delle sue labbra gommose. Come se non bastasse il suo aspetto, ogni volta che qualcuno le si avvicinava non perdeva mai occasione per sfoderare il suo seno prosperoso fatto per il settanta per cento di plastica. Il ché, data la mia latitante autostima, non faceva altro che aumentare la sudorazione facendo assomigliare le mie mani a una carta moschicida. 
Io però non ero il numero settantaquattro, quello era il tizio accanto a me. Un omaccione grosso e grasso con il naso schiacciato e un doppiomento che sembrava più la sacca di un pellicano. Per ironia della sorte puzzava anche di pesce. Lo conoscevo di vista, lavorava in quella orribile pescheria vicino al porto. Un uomo triste e solo, che ogni volta che gli chiedevi un’ordinazione ti rispondeva con sguardo truce, schiacciando il doppiomento contro il collo, come se lo stessi sfidando. Un uomo d’altra parte come tanti lì dentro. Persone diverse, ma tutti con storie simili, che si ritrovavano allo studio di Donovan per trovare uno stimolo, un qualcosa che permettesse loro di trascinare la carcassa del loro corpo senza sentirsi un cadavere. Appena udito il proprio numero, l’uomo dal doppiomento si alzò entusiasta dalla sedia e si avvicinò alla scrivania della segretaria dallo sguardo ammiccante. Lei gli consegnò una cartella e l’uomo scomparve dietro la porta alle spalle della ragazza.

Finalmente è arrivato il mio turno. Diavolo non sopportavo più di stare accanto a quel sempliciotto pettegolo del fioraio. Ogni volta che passi vicino alla sua bottega lo vedi defilarsi tra i cespugli di rose pronto a bisbigliare qualche strano incantesimo o qualche diabolica fattura. Sempre bravo a criticare gli altri. “Conosci quella tipa? Il marito le ha fatto le corna con il cognato.” “Guarda quello come va in giro vestito! Ti sembrano modi?” “Quanto è grasso quello” “Quanto è magra quella”. Pettegolezzi da provinciale qualunque. Come se nessuno avesse notato il suo tic. Proprio lui critica i difetti fisici degli altri. Lui! Che starnutisce con gli occhi. Sì, proprio così. Non è capace di sbattere le palpebre come ogni persona normale, le sbatte in maniera così violenta e talmente in fretta che sembra starnutisca. Per questo tutti in città lo chiamano starnutocchi. Ma probabilmente questo non doveva essergli arrivato agli orecchi. Vanno bene tutti i pettegolezzi fuorché quelli che riguardano lui. Quanto vorrei pescarlo in mezzo ai suoi fiori e pestarlo finché non smette di starnutire! 
Oh! Ecco Daisy, finalmente. Ecco che tutti i malanni e i problemi svaniscono via. Al diavolo starnutocchi! Guarda che occhi, che labbra! Che scollatura … 
“Giornata piena oggi?”
Sorridi! Sorridi come ti hanno sempre consigliato. Ha annuito! Mi ha risposto! Che donna fantastica. 
- Poteva almeno dire qualcosa invece di biascicare quella maledetta gomma. - sembra bofonchiare starnutocchi alle mie spalle.
Non mi interessa, mi ha guardato, non sono invisibile per lei! 
- Sei centoventiquattro chili, solo una parziale cecità le impedirebbe di vederti. -
Stai zitto, starnutocchi. È il mio turno.

“Questa è la sua cartella signor Lonz. La presenti al mercante appena entra.”
Odio questo lavoro. Pagato bene non mi lamento, altrimenti col cavolo che starei qui. Ogni giorno devo stare su questa sedia come merce in vetrina. Ogni giorno uomini che sbavano e donne che mi guardano con disprezzo solo perché invidiose di come mi guardano i loro mariti. A nessuno interessa sapere perché sono qui e perché sono così. Pensano che masticare una gomma e avere una scollatura provocante sia sinonimo di arroganza e stupidità. So cosa pensano le donne e quel malato di mente di starnutocchi. Tutti pensano che sia la regina del pollaio, ma nessuno ha guardato il mio curriculum. Ho sudato per ottenere questo posto! Ho ventisei anni e sono la segretaria più ricca della città, mi sono laureata due anni fa a giurisprudenza con il massimo dei voti facendo venire le vesciche alle mani ai membri della commissione. Nessuno sa perché ho questo aspetto da tacchino farcito di plastica! Ma considerando il fatto di essere stata capace di trovare subito lavoro appena uscita dall’università e di guadagnare il quadruplo di una segretaria normale e dieci volte tanto il 70% dei miei coetanei, posso anche sopportare di avere a che fare con strani personaggi mitologici metà uomo e metà pellicano.
Adesso gli do la cartella. Ecco bravo prendila e cerca di non ungerla con i salsicciotti della tua mano. È inutile che sorridi, rischi solo di peggiorare la cosa con quel gozzo paranormale. Esatto sparisci. Finalmente è entrato. Spero solo che non faccia alcuna menzione di me al mercante.

Il signor Lonz si avvicinò alla porta. Stranamente dal suo solito sembrava aver lasciato nella pescheria quella sua maschera di odio, tristezza e noncuranza verso il prossimo. Titubò e cominciò a sudare freddo. Per qualche istante parve dimenticare come aprire la porta, quasi non riuscisse a vedere il pomello. Poi lo afferrò, ungendolo con una buona quantità di sudore ed entrò. 
Dentro l’ambiente era semibuio e l’aria era invasa dalla lavanda, musica soft in sottofondo, insomma la pace dei sensi. Sul lato sinistro stava l’acquario, con all’interno un’infinità di pesci a lui sconosciuti. 
“Sono qua signor Lonz.”
Una voce profonda e baritonale lo richiamò all’ordine. Ricordò per un attimo i richiami del capitano che lo aveva addestrato all’accademia militare e si pose sugli attenti. Si sentì stupido e pregò che non lo avesse visto.
“Arrivo.” bofonchiò e si mise a sedere sulla sedia di fronte alla scrivania.

Mi chiamo Donovan e sono un mercante. Per adesso vi basti sapere questo. C’era un giorno in cui avevo tutto ciò che un uomo può desiderare di possedere, ero un padre e un marito, avevo un lavoro onesto che mi dava quanto necessario per far stare bene me e la mia famiglia, avevo amici disposti a dare tutto per me. 
Ero, avevo, verbi che appartengono al passato. E ciò che è passato è morto. Io sono morto. O almeno credevo di esserlo. 
   
 
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