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Autore: Carla Marrone    16/06/2016    1 recensioni
Un'avventura umoristica, in cui, il mio OC, una glottologa, finirà nel mondo di Lost Canvas. Il suo scopo? Tradurre delle antiche pergamene, che conducono ad un misterioso, magico tesoro. Il tutto, possibilmente, prima che queste cadano nelle mani degli Specter. Ad aiutarla, i Cavalieri di Atena, che avrà occasione di conoscere.
Come unica avvertenza, il linguaggio, solo in alcuni punti, un po' scurrile. Mi piace illudermi che, talvolta, fosse più che necessario. Quando ci vuole, ci vuole.
Spero vi divertiate a leggere questa breve incursione nella realtà dei Saint Seiya, almeno quanto mi sono divertita io ad inventarla. Fatemi sapere, ci conto!
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7. L’AVVENTURA HA INIZIO… UN’ALTRA VOLTA

Non appena a casa, ho iniziato la procedura di soffocamento ai danni di mia madre. L’ho abbracciata, per dieci minuti buoni. Nel frattempo, ho annusato accuratamente il suo odore. Non le ho chiesto se si era fatta la doccia.

E’ stato quel profumo, misto agli aromi della nostra cucina a convincermi definitivamente di essere tornata. La casa, intesa come “le persone che ci vivono dentro”, è il rifugio. Ogni parte di esso si porta dietro sensazioni olfattive, visive e tattili strettamente collegate alle interazioni con la gente che vi abita. 

Ad ogni modo, mia madre è riuscita a liberarsi quando ha ritenuto troppo irritante il fatto che io respirassi aria a pieni polmoni, mentre lei rantolava. Mi ha suggerito di andare a salutare un po’ anche la nonna. Mossa tattica. 

Mi reco in salotto, dove vedo la nonna intenta a guardare il solito talk show. Mi è mancata tanto e glielo dico. Lei ride. Nella nostra normale routine, parole come queste non ce le diciamo, non ce n’è bisogno. Per questo, è importante che loro non sappiano che, negli ultimi mesi, ho vissuto in modo completamente diverso. Non mi crederebbero, se gli dicessi che, in pochi secondi, ho vissuto un’ intera vita parallela in un altro mondo. Anzi, farebbero di più: mi manderebbero per direttissima da uno strizza cervelli. Ed io non voglio fornirgli ragione alcuna per preoccuparsi.

Mentre racconto, o, per meglio dire, invento (non ricordo nulla del museo) quello che ho visto, mi ingozzo di tutte le porcherie che riesco a trovare in casa. Ho già pranzato con Giulia, ma, le merendine alla crema mi mancavano tanto. Quasi come la nonna. Forse, dovrei preoccuparmi per la mia integrità morale. 

“Credevo fossi stata al museo, non a correre la Maratona di New York.” Mia madre mi fissa severa, con le mani poggiate sui fianchi. Quanto la amo. Quanto mi mancava. Non posso esattamente dire lo stesso del suo sarcasmo, ma le sorrido raggiante, comunque. Il che, forse, la insospettisce un pochino. 

Improvvisamente, il modo in cui mi guarda mangiare mi riporta alla mente la cena con i Cavalieri, alla mensa dell’esercito.

Sento il bisogno di stare un po’ da sola, adesso. 

Salgo di sopra e mi faccio una tanto agognata doccia. Finalmente, un po’ di pulizia come dico io. Asciugati i capelli e scoperto che so ancora come si utilizza un phon, mi butto sul letto e mi leggo il manga che ho comprato. I personaggi corrispondono perfettamente alle persone che ho incontrato nell’altra dimensione. Quindi, la vita vera in un mondo distante dal nostro, potrebbe essere un’opera di pura fantasia nel nostro mondo. Se tanto mi da tanto, nell’antica Grecia dell’altro spazio temporale, ci potrebbe essere un romanzo che parla della mia vita. Troppo narcisista? Effettivamente… E poi, sarebbe una noia mortale, tutto quello che faccio è studiare, dormire e mangiare. Qualche volta ballo, ma dubito che la cosa servirebbe a rendere tanto più movimentate le cose. Ed eccomi di nuovo a pensare a loro. Nella fattispecie, adesso, sto pensando al mio pubblico, fatto di clienti della locanda di Zorba. In quell’altro posto, ero molto più attiva. Certo, dovevo sbarcare il lunario tutta da sola. 

Se non altro, leggere questo albo mi sta aiutando a capire un sacco di cose sul mondo in cui ho vissuto fino a poco fa. La cosa non mi serve a molto, ora che sono qui, ma sono curiosa. Ad esempio, ho scoperto che Asmita è davvero cieco, come avevo ipotizzato. Questo fumetto è quasi tutto dedicato a lui. Pare abbia dei sensi sviluppatissimi, più delle altre persone, per sopperire alla mancanza della vista. Non so fino a che punto credere a quello che sto leggendo. Qui, dice che i Cavalieri hanno dei super poteri straordinari, direttamente collegati al Cosmo, che pare albergare dentro i loro spiriti. Sarà veramente così anche nell’altro mondo? 

Ho ultimato la mia lettura. Sull’ultima pagina, c’è una pubblicità. Dice che il singolo dell’ending di Lost Canvas è visionabile su You Tube. S’intitola “Hana no kusari”, catena di fiori. Decido di ascoltarlo, non so neanch’io il perché. Di solito, la musica giapponese non mi fa impazzire. 

Mi ritrovo, invece, ad ascoltarlo ben quattro volte. Mia madre ed i vicini mi avranno odiato. Mi casca persino una lacrima. Forse, perché il brano ha un ché di nostalgico. Ma, io so il vero motivo. La tristezza delle note mi fa pensare alla vita dura delle persone che ho incontrato, mentre la dolcezza della voce della cantante mi ricorda Sasha. La mia piccola, grande Atena. Sbaglio, o qui si diventa emotivi? Quasi, quasi, mi trucco gli occhi di nero e corro a comprarmi una lametta. 

E’ ancora presto, ma decido di mettermi, comunque, a letto. Il che si rivela essere la scelta sbagliata. 

Faccio uno strano sogno: mi trovo in uno spazio grigio e sbiadito e, proprio davanti ai miei piedi, c’è una pozzanghera nera. Non so per quale astruso motivo, decido di avvicinarmici. Di colpo, l’acqua, prima scura, si accende di una luce perlata. Ed io mi ci tuffo dentro. Nel momento esatto in cui i miei piedi toccano il liquido luminescente, il mio corpo si trasforma in una chiave. Poi, per fortuna, mi sveglio. Meglio tardi che mai. 

“Devo tornare lì.” E’ quello che riesco a dire, prima che il sonno abbia, di nuovo, la meglio su di me.

Ed eccomi di nuovo al museo. Non sono andata all’università, oggi, per venire alla mostra d’arte antica. Mossa poco geniale, dato che mi manca tanto così alla tesi di laurea. Ma, ho come la costante sensazione che ci sia qualcosa che non va. Qualcosa di irrisolto nel “mondo di Lost Canvas”, come suggeritomi dal sogno di stanotte. 

Per tanto, ho deciso di tornare sul posto, in cui tutto ha avuto inizio. Mi ci è voluto un notevole sforzo di coraggio, comunque. I viaggi dimensionali, che, spero divenuti per me impossibili, non mi mandano esattamente in visibilio. Ho pagato ben diciassette euro per vedere quattro facce di bronzo ed altrettanti bassorilievi in marmo. Ho salutato la mia famiglia e gli amici come se non ci fosse un domani e, letteralmente, corso fino a raggiungere l’immagine del Partenone. Le persone, nel museo, mi hanno guardata male. Quelle che ho spintonato, più delle altre. Una centometrista, che gioca a bowling con la clientela di un museo, non è considerata esattamente normale. Al momento, non mi importa. C’è un’allegra comitiva di giapponesi, parcheggiata davanti all’opera che mi interessa. Tanto per cambiare, stanno scattando delle foto. Proprio ora che io ho fretta.

Mi aiuto con convulsi gesti delle mani e qualche parola di etrusco (non parlo giapponese) e gli spiego che non possono fare foto, altrimenti gli smalti si rovinano. Magari è pure vero. Non so cosa abbiano capito, ma se ne stanno andando. Forse, mi hanno presa per una guida turistica, perché, prima di allontanarsi, mi propongono un selfie tutti insieme. Faccio pure il benedetto selfie. Tutto purché spariscano, lasciandomi da sola per un attimo. Non lo so nemmeno io perché provo tutta questa impazienza. E’ come un impellente bisogno fisiologico. Devo soddisfarlo o mi sento male. 

Finalmente in santa pace. Il resto della sala è quasi deserto. Mi chiedo se funzionerà ancora. Il dipinto che mi ha fatta viaggiare attraverso lo spazio è stato distrutto… Tentar non nuoce, si dice così, giusto? 

Stringo tra le mani i miei due fan veli, giganteschi ventagli con un lungo e sottile pezzo di stoffa connesso all’estremità. Sasha ha detto che avrebbe voluto vedermi danzare, quindi, li ho portati con me, nella speranza che passassero attraverso il varco dimensionale. La coreografia che ballo con questi attrezzi è la mia preferita. Ero l’unica del mio corso a non averli ordinati on-line. Me li sono fatta fare a mano dalla nonna. Per cucirli, ha utilizzato degli scampoli di stoffa avanzati dal suo abito della prima comunione. Tengo molto a questi due oggetti. Spero di non rovinarli durante il viaggio. 

Ci siamo. Un respiro profondo, qualche passo in avanti. Tendo la mano verso il bassorilievo. Poi, la luce. Una luce tiepida ed accecante mi avvolge completamente. Sembra quasi avere un corpo, che mi soffoca fino a darmi le vertigini. Mi sto davvero pentendo di aver abbracciato mia madre così forte, ora che so cosa si prova.

La sensazione di stare passando attraverso un semplice metal detector rimpiazza ogni altra ed io mi sento più tranquilla. Durante gli altri due viaggi, non ero altrettanto lucida, ho notato molto meno cosa mi stesse accadendo. 

Sono contenta abbia funzionato. 

Riconosco subito il gazebo in cima al Grande Tempio. E’ da qui che sono partita per tornare a casa, l’ultima volta. Sento un fruscio alle mie spalle, accompagnato da un tintinnio metallico, come di campanelle. Mi volto. 

“Sasha?” 

Non appena scorgo la ragazza accompagnata dal Patriarca, Manigoldo e il Cavaliere d’oro dell’Ariete, controllo quello che ho in mano. I miei adorati fan veli sono arrivati sani e salvi. 

Sasha ha in mano uno scettro di forma circolare, con dei piccoli anelli attaccati tutt’intorno. Ha un’aria solenne, mentre mi guarda negli occhi. 

“Miranda, sei tornata… - si protrae verso di me ed allarga le braccia. - Sono contenta tu sia qui. – Il suo sorriso svanisce e la postura del corpo torna composta e seriosa. – A quanto pare, il tuo lavoro non era ancora concluso.” Mi dice. 

Sono confusa. “Come facevi a sapere che sarei arrivata qui? E, per Giove, come ho fatto io a ritornare? Credevo che il dipinto che mi ha condotta qui fosse stato distrutto!” Ecco, un minuto nell’antica Grecia e già bestemmio agli dei dell’Olimpo. Poco male, a casa mia faccio di peggio. 

“Ho percepito il tuo Cosmo e sono venuta ad accoglierti. – si porta una mano al cuore e mi guarda, apprensiva. – A quanto pare, il varco dimensionale non si è ancora completamente richiuso. – La sua espressone si fa, quanto mai, seria. – Ma, dovrai svolgere il tuo lavoro e tornare a casa, prima che la completa chiusura avvenga.” 

Sono sempre più confusa. “Non capisco, lo scrigno è stato recuperato, giusto? Cos’altro può mancare?” 

Atena abbassa il capo. “La chiave…” La stessa sensazione di completa idiozia, che ho provato, quando ho ritrovato le chiavi della mia macchina, nel frigorifero, si fa largo nella mia mente. Ha che serve avere uno scrigno magico se non sai come aprirlo? Assieme ad essa, i sensi di colpa. 

“Strano. Nelle pergamene che ho tradotto non si fa menzione di nessuna chiave.” Mi copro la bocca con una mano, mentre, assorta, ripenso a quello che ho scritto, nelle versioni. 

“Tu non hai colpe, Miranda – Sasha riesce, sempre, a leggermi nel cuore. Capisce esattamente cosa ho bisogno di sentirmi dire. Me la voglio portare nel mio mondo. La metto sul comodino a parlarmi, quando mi sveglio e davanti allo specchio, quando mi trucco in bagno. Sono sicura migliorerebbe molto la mia autostima. – L’Imperatore ha, probabilmente, scelto di tenere segreta l’esistenza della chiave. Era un uomo prudente. Aveva ben compreso la pericolosità dell’oggetto magico. Ho avuto una visione, stanotte. Ho visto una chiave fatta di luce all’interno della Fortezza. Per questo, so che esiste.” 

Sono stupefatta, non solo perché Sasha è riuscita a fare, in una sola notte, dormendo, un lavoro migliore del mio, che sono rimasta sveglia, per tre giorni di fila. Sono stupita, anche perché abbiamo fatto quasi lo stesso sogno. Che fosse una visione, anche la mia? Buffo, però, io non ho poteri spirituali, come lei. 

C’è un dubbio che mi preme togliermi. “Ma se, questo Imperatore era davvero così prudente, come mai non ha semplicemente distrutto lo scrigno?” 

Il Patriarca risponde alla mia domanda. “Si sta parlando di un oggetto carico di Cosmo, non è cosa facile sbarazzarsene.” 

“Ha probabilmente resistito ad ogni tentativo di romperlo.” Mi dice Shion. Che voce calma. Come ci riesce? L’argomento che stiamo trattando, a me procura la tachicardia. Lui, invece, sembra stia commentando un articolo di giornale, che spiega come preparare il tè indiano. 

“Ma dimmi di te, Miranda. Cosa ti ha spinta a rischiare tanto per tornare qui?” Mi chiede Sasha con un misto di interesse e preoccupazione sul volto. 

“Che tu ci creda o no, Sasha, ho sognato di trasformarmi in una chiave. – Faccio un respiro profondo. Parlare del sogno mi ha messo addosso una certa angoscia. Per non parlare, poi, dello sforzo fatto per rammentarlo. L’avevo quasi rimosso. – Quando mi sono svegliata, ho sentito come la necessità di provare a vedere se sarei riuscita a tornare qui.” Concludo, non senza un po’ d’imbarazzo. Non credo abbia del tutto senso quello che ho detto.

Per qualche istante, cala il silenzio. Tutti stiamo pensando a qualcosa. Questo è uno di quei casi in cui vorrei tanto saper leggere nel pensiero. Mi rassicurerebbe scoprire se pensano che, avere delle visioni, senza essere la reincarnazione di un dio, sia normale, o, se devo correre a rinchiudermi in una clinica. Esistono cliniche psichiatriche qui?

Grazie al cielo, Manigoldo decide di spezzare l’imbarazzo, con una delle sue sparate.  

“La verità è che non riuscivi a starmi lontana, ammettilo!” Alza il mento e mi sorride. 

Il Patriarca lo squadra in faccia ed il ragazzo si ammutolisce, dopo aver sobbalzato, per un attimo. 

Devo ammettere che, però, non ha tutti i torti. Adoro vedere come reagisce quando viene rimproverato a causa mia.

   
 
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