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Autore: Leonhard    16/06/2016    3 recensioni
"Il Lifestream circola all'interno del Pianeta: vedilo come un corso d'acqua all'interno di un percorso circolare".
"Allora, se io ad un certo punto getto un ramo all'interno del Lifestream, dopo qualche tempo lo vedrò passare nuovamente dal punto in cui l'ho buttato?". Cloud si prese il suo tempo per rispondere.
"Spero di no..." rispose, ma la faccia era seria, preoccupata. Aveva probabilmente colto nel segno.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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9. L’angelo crudele


Il combattimento che prese vita nei cieli nelle Wasteland non sembrava prevedere cose astratte ed assurde come pause, pietà e leggerezza; volavano i colpi di spada, esplodevano nuvole di piume, clangori assordanti inquinavano l’aria come i rintocchi disarticolati ed acuti di una campana rotta.

Cloud ascoltava il vento, che gli suggeriva il da farsi; non aveva armi con sé, ma aveva Sephiroth che sembrava ansioso almeno quanto lui di passare a fil di spada prima l’ala di Rufus e poi la testa del suo proprietario.

Le ovaie di Jenova, i Riuniti, l’eliminazione dei Turks: probabilmente avrebbe dovuto capire molto prima che in quella storia qualcosa non quadrava. Anzi, con il senno del poi avrebbe riconosciuto che c’erano più cose strane che elementi a posto, ma anche quel ricordo diventava sfocato ed impalpabile davanti allo scenario che lo vedeva testimone. Quella era una battaglia che non poteva combattere.

Era una battaglia che non voleva combattere.

Quindi sarebbe stato i disparte, avrebbe aspettato il suo turno con una pazienza ed un gelo che non gli erano mai appartenuti. Avrebbe aspettato il momento giusto: sapeva che sarebbe arrivato così come sapeva che avrebbe avuto un’arma da usare e, a giudicare dalla situazione, un’arma che conosceva molto bene.


Sephiroth sogghignava, divertito dai deboli tentativi di quel pupazzo nel cercare di spodestarlo dal suo trono, disarcionarlo dal suo scopo, rimpiazzarsi a lui davanti agli occhi della Madre. In fin dei conti non aveva una reale colpa: era inesperto, in piena crisi adolescenziale, smanioso di avere tutto e subito anche se il tutto non gli competeva.

Rufus attaccava con movimenti lenti ma fluidi e la stazza di quella spada coperta di ruggine colpiva con la stessa violenza di un tempo, quasi non fosse passato nemmeno un giorno dall’ultima volta che le due lame si erano incrociate. Volteggiavano nel cielo, duellando, mentre il terzo burattino, quello con il nome, fluttuava pigramente attorno ai due, cogliendo ogni occasione per entrare in scena e sabotare alternativamente entrambi: una volta era una spallata a Rufus, la volta successiva un calcio sul dorso della Masamune.

Il sorriso presto svanì dalle labbra del SOLDIER, lasciando il posto ad un’espressione accigliata, palesemente stanca di quella situazione di stallo. Un gioco è divertente se breve, gli avevano detto: e quello non era forse un gioco?

Intercettò Cloud volteggiare alle spalle del burattino neonato e riconobbe in quell’istante il momento della chiusura dei giochi. Con un fendente particolarmente violento disarcionò Rufus dal suo precario equilibrio e mezz’aria: barcollò all’indietro di qualche metro e il biondo gli fu addosso. Fu questione di attimi, che si godette appieno.

L’espressione di Rufus contrariata farsi sorpresa e spaventata nell’istante in cui comprese le intenzioni di Cloud, che armeggiava sulle sue spalle con occhi sterili, portandolo nella posizione ideale per fargli molto ma molto male. Afferrò saldamente la base dell’ala e, con un solo movimento, spinse con le gambe la sua schiena.

Ci fu uno strappo unito ad un rivoltante gorgoglio, poi il vento si trovò a trasportare un grosso rivolo rosso e piume ovunque, come se il cielo ne fosse improvvisamente invaso. Afferrò la Buster Sword dalle mani di Rufus, troppo sconvolto, indebolito e dolorante per mantenere una presa salda e lo colpì al fianco con il dorso scagliandolo contro il suolo.

L’angelo mutilato si schiantò contro la roccia, sfondandola con un’esplosione di polvere grigia. Cloud rimase a guardare il polverone sollevarsi, con la Buster stretta in una mano ed un brandello sanguinolento di Rufus nell’altra. Dedicò a quella vista non più di qualche secondo, poi si volse e scagliò l’ala mutilata verso Sephiroth.

Non era propriamente esatto dire che quello spettacolo che aveva appena visto, ciò che aveva appena fatto, gli fosse piaciuto, l’avesse scosso o disgustato: era la cosa giusta da fare e lui l’aveva fatta. Poteva essere null’altro che l’effetto del Mako, ma la capacità di volare aveva cambiato qualcosa in lui. Non stette a pensarci troppo: era una cosa che in quel momento gli tornava sicuramente utile. Fu addosso a Sephiroth e lo costrinse ad arretrare sotto i suoi colpi veloci e violenti. Subì parando con urgente affanno, come se non se li aspettasse, senza il suo caratteristico ghigno che metteva su ogni volta che combatteva contro di lui, come se sapesse già l’esito. Uno stormir di piume e Sephiroth si allontano, ma Cloud non era disposto a rallentare la cosa.

(Che fai, scappi ancora?) pensò, agendo nello stesso istante.

Solo una volta nella sua vita aveva mai lanciato la spada ed era stato durante l’addestramento. Le dimensioni di quella lama le precludevano ovviamente qualunque impiego come arma da lancio e, anche se quella volta aveva trafitto ed ucciso sul posto un mostro, gli altri due del branco aveva dovuto sconfiggerli con le magie delle Materia incastonate nello spallaccio. Ne era uscito vivo, ma nonostante amasse le cose estreme non era tra i suoi ricordi preferiti; in quel momento non aveva nemmeno una Materia, ma sentiva una forza ed una padronanza di sé che non ricordava di aver mai avuto.

Sephiroth afferrò la lama e, per pochi tremendi secondi, sembrò un avversario veramente insuperabile, un vero e proprio Prescelto. Poi Cloud gli fu addosso, trasportato dall’impeto della sua lama. Puntò nuovamente all’ala, ma la lama della Masamune gli sbarrò la strada; deviò fulmineo ed afferrò il polso di Sephiroth, torcendoglielo dolorosamente all’indietro ed indebolendo la presa per qualche istante, tempo sufficiente per appropriarsene. Menò un fendente e sbalzò il SOLDIER verso terra, inseguendolo subito dopo con una serie di attacchi violenti e fulminei.


Sephiroth fissò la spada: grondava sangue, che sapeva suo. Non era più abituato a vedere il suo sangue e la cosa lo turbò. Una goccia si staccò da una delle tante chiazze e fece da collegamento con le altre, attingendo abbastanza fluido da continuare la sua corsa. Prima di superare la guardia ed inzaccherargli i guanti, si prese il disturbo di coprire parte di ruggine formatasi nel corso degli anni in cui era stata piantata in cima a quella rupe fuori Midgar, dove più che una spada era stata una lapide.

Che spreco, aveva detto una volta una persona. Non gli portava rancore: non sapeva che quella rupe era qualcosa di più ed il suo commento era stato sincero. Non era nemmeno sicuro che avesse avuto torto: effettivamente, era veramente uno spreco.

Inspirò per ritrovare energia, ma sentì solo una fitta al fianco e gli abiti farsi più caldi ed appiccicosi. A fatica si rialzò, puntellandosi con la spada. Guardò il suo avversario ed ebbe un flash: il flash di un giovane che, non si sa bene con quale forza, scagliava in un reattore un uomo che lo aveva appena trafitto con la sua spada. Vide quell’uomo precipitare verso un ignoto fondo nascosto da una luminosa luce tendente al verdognolo. Lo aveva guardato rimpicciolirsi, diventare delle dimensioni di un piccolo neo e poi anche quel neo era scomparso, ma lentamente, come se stesse continuando a cadere.

Una volta gli avevano detto che il Lifestream circolava all’interno del pianeta, in una giostra continua, un apparato cardiocircolatorio in scala…beh…un po’ più grossa della sua. Si rimise in guardia, cercando di ignorare un dolore che nemmeno il mako mischiato alle cellule Jenova riusciva a far sparire. Decise di tentare il tutto per tutto e strinse l’elsa, come a prepararsi ad una cosa che non aveva assolutamente voglia di fare.

Il suo avversario lo guardava calmo, serafico, quasi divertito, con quegli occhi verdi-azzurri e quelle pupille a taglio. Sorrideva sornione, dai attacca, sembravano dire: non andrà in maniera diversa da come è stata finora questa scaramuccia. Dammi la gioia di portartela via.

Dammi la gioia di portartela via.


Strinse l’elsa tanto da far sparire la circolazione dalle mani. Con un sommesso fruscio ed un’esplosione di piume nere, spiegò l’ala.

“Non puoi sconfiggermi Cloud” ringhiò gelido. “Io sarò sempre parte del Pianeta. E presto sarò IL Pianeta”. Cloud lo fissava con gelido divertimento; la Masamune nelle sue mani era leggera e, anche se avrebbe preferito combattere a mani nude piuttosto che con quella lama, non poteva non pensare che fosse effettivamente comoda.

Sbatté le palpebre e tornò lentamente in sé, mentre l’ala si ritirava lentamente dalla sua spalla. Gli occhi tornarono seri, le pupille feline tondeggianti e l’espressione che fece quando posò gli occhi sulla lunga spada fu di spaventato disgusto. La lasciò andare con una sottile vena di panico e la guardò cadere nella polvere con un vibrante clangore.

“Perché resisti, Cloud?” sibilò Sephiroth, guardandolo con il suo solito mezzo sorriso. “Non ha senso quello che fai”.

“Sta zitto” ringhiò, studiandosi un modo per riprendersi la sua spada.

Sua spada? E da quando era la sua? Il SOLDIER scosse la testa, quasi come se avesse letto i suoi pensieri.

“Tu sei parte della Madre, non vedi?” osservò, indicando lo spallaccio distrutto. “Non puoi cambiare ciò che sei; la Madre è la vera dea di questo mondo…e noi siamo i suoi figli, i suoi angeli”. Protese una mano verso di lui, in un simbolico invito. “Unisciti alla Madre; unisciti al Pianeta. Smettila di farla piangere”.

“Tu sei pazzo…” borbottò. Già, come se non lo sapesse. Sephiroth sorrise, poi fluttuò lentamente accanto a Rufus; l’uomo era mezzo svenuto contro le rocce sfondate e quando il SOLDIER lo prese per il bavero della giacca si mosse in maniera convulsa, disarmato ed inerme.

“Questo aborto disobbediente verrà con me” disse, parlando quasi a sé stesso. “La Madre saprà cosa fare di lui”. La terra sotto di loro s’illuminò di verde e poi scomparve, lasciando posto ad un buco delle dimensioni di una botola. Al di sotto di essa, il Mako scorreva immenso, come un fiume in piena. Rufus sgambettò, cercando la terra che non c’era sotto i suoi piedi.

“Che stai facendo?” rantolò. Sephiroth sorrise.

“Io sono il figlio prediletto della Madre” disse, annuendo. “Ma non fare l’errore di pensare che tutti gli angeli sono misericordiosi”. Si avvicinò a lui. “Io sono un angelo crudele”.

Lo lasciò andare.

Rufus cadde nel Mako, che rapidamente lo incorporò dentro di sé. L’uomo affondò nel Mako cercando disperatamente un appiglio che non trovò. Annaspò per qualche secondo, poi scomparve sotto la corrente verde fluorescente: nel momento in cui anche le dita furono sovrastate dalla corrente vitale del Pianeta, la terra tornò magicamente a coprire la fessura e fu come se quegli ultimi secondi non fossero mai stati. Un movimento delle braccia e la terra sotto i piedi di Sephiroth s’illuminarono della stessa luce. Cloud non si mosse, pietrificato dalla sorpresa.

“Io sono il Pianeta, Cloud” disse ancora, sorridendo sornione. “Non puoi sconfiggermi: io sono il Pianeta”. Il corpo del SOLDER si disgregò in piccole lucciole verdi, che si dissolsero nell’aria. La Masamune ai piedi di Cloud scomparve in un bagliore verde e la Buster Sword cadde nella polvere con un tonfo metallico.

Nelle Wasteland tornò la pace, il silenzio, il vento. Cloud sbatté un paio di volte le palpebre, accorgendosi con una crescente stizza che Sephiroth non era venuto per lui, ma per Rufus: alla fine quel maledetto ce l’aveva fatta.

Aveva distrutto completamente la Shin-ra. Con un sospiro, il biondo raccolse la spada e, spiegata la sua nuova ala, raggiunse la rupe e la rimise al suo posto, accanto al suo vero, autentico padrone.

Sapeva cosa doveva fare. Sapeva dove doveva andare. Ma prima aveva bisogno di fare una cosa che per tanto tempo aveva rinviato. Prese il volo, sfrecciando verso Midgar e pensando, non senza un sorrisetto divertito, che questa volta Tifa non avrebbe avuto bisogno di un invito per mettergli le mani addosso.

Doveva andare da lei.

Doveva parlarle, farsi menare, fare l’amore con lei.

Doveva dirle addio.
   
 
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