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Autore: AriaAuditore    16/06/2016    0 recensioni
"Torneremo insieme Louis. Non so quando né come, ma so di non avere alcun dubbio. Non potrebbe essere altrimenti. Ho bisogno che anche tu ci creda. Perché credo in te." E Louis crede in Harry, gli crede come non ha mai creduto in nessun altro prima d'ora. Perché Louis non è mai stato innamorato come lo è di lui. Perché il primo amore, quello che ti strappa il cuore e ti lascia senza fiato, è sempre vero. E non importa essere un vampiro, non importa se tutto e tutti sono contrari a questo sentimento. Louis e Harry non vogliono scegliere da che parte stare. Louis e Harry, a sedici anni, tra i corridoi di Evernight, un esclusivo e misterioso collegio, hanno incontrato l'amore. E nessuno potrà portarglielo via.
***
Voglio precisare che la storia in questione non l'ho scritta io ma è un adattamento dal libro 'Evernight' di Claudia Gray.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Raggiunsi la mia stanza appena in tempo per infilarmi sotto le coperte, prima che Patrick entrasse accompagnato dalla signora Bethany. La luce debole dal corridoio disegnava la sagoma della preside e tutto ciò che riuscivo a distinguere era il suo profilo.

— Sai che qui abbiamo regole precise, Patrick. — La sua voce era tranquilla ma anche molto seria, non c'era dubbio. Mi suonava minacciosa, nonostante non stesse rimproverando me. — Devi capire che tali regole vanno rispettate. Non possiamo scorrazzare in aperta campagna di notte. La gente inizierebbe a parlare. Gli studenti  perderebbero la calma. E il risultato potrebbe essere una tragedia. Chiaro?

Patrick annuì e la porta si chiuse. Mi sedetti sul letto e sussurrai: —È stato terribile?

— No, soltanto una gran seccatura — brontolò Patrick mentre iniziava a svestirsi. Ci cambiavamo nella stessa stanza da una settimana, ormai, ma io mi sentivo ancora in imbarazzo. Lui no. Persino mentre si sfilava la maglietta, mi guardava.

— Sei ancora vestito! — esclamò.

— Ehm, sì.

— Pensavo che te ne fossi andato presto.

—  Già. Però, ecco... non sono riuscito a tornare subito dentro. Stavano di guardia. Poi hanno capito dov'eravate e sono partiti. Io sono riuscito a rientrare appena tre minuti prima di te.

Patrick fece spallucce mentre cercava il suo pigiama. Io feci del mio meglio per cambiarmi senza abbandonare il mio angolino. La conversazione era finita e per la prima volta ero riuscito a mentire con successo al mio compagno di stanza.

Forse avrei dovuto spiegargli il motivo del mio ritardo. Probabilmente sarebbe stato più normale fremere al desiderio di raccontare a tutti della persona incantevole che avevo appena agganciato. Ma il segreto mi piaceva.

Il fatto che solo io ne fossi al corrente rendeva tutto più speciale, in un certo senso. Piaccio a Harry e lui piace a me. Penso che forse, presto, saremo assieme.

Mentre mi infilavo di nuovo sotto le coperte pensai che la conclusione probabilmente fosse un po' azzardata. Ma al tempo stesso non riuscivo a trattenermi. La mia mente correva troppo veloce per concedermi di dormire e sorrisi, stretto al cuscino.
È mio.



—  Ho sentito che c'è stata una bella festa stanotte  —  commentò papà mentre sistemava un hamburger con patatine davanti a me, sul tavolo di famiglia.

—  Mmmmmm  —  risposi, con la bocca piena di patatine. Poi mi ricomposi e mormorai: — Cioè, sì, anch'io l'ho sentito.

Mamma e papà si scambiarono uno sguardo ed ebbi l'impressione che fossero più divertiti che arrabbiati. Che sollievo.

Quella fu la prima di una lunga serie di cene domenicali fra noi. Ogni secondo che riuscivo a passare con i miei genitori nel loro appartamento, anziché circondato dagli studenti di Evernight, mi faceva bene. Malgrado cercassero di minimizzare, intuivo che i miei sentissero la mia mancanza tanto quanto io sentivo la loro. Sullo stereo c'era Duke Ellington e, malgrado il breve interrogatorio, ogni cosa sembrava tornata al suo posto.

— La situazione non è sfuggita di mano, vero? — A quanto pareva, mamma aveva deciso di fingere di non avermi sentito dire che non c'ero stato.  —  Corre voce che si sia trattato soltanto di birra e musica.

— Che io sappia, no. — Non fu esattamente una smentita: tutto sommato, avevo frequentato la festa per soli quindici minuti.

Papà scosse la testa e disse a mamma: — Non importa se c'era soltanto birra. Le regole vanno rispettate, Johanna. Non sono preoccupato per Louis, ma per certi altri...

—  Io non sono contro le regole. Ma è naturale che  gli studenti più anziani si ribellino, di tanto in tanto. Meglio qualche infrazione sporadica che un incidente disastroso — mamma si rivolse a me. — Qual è il tuo corso preferito, per il momento?

— Il tuo, ovviamente. — La guardai come per chiederle se davvero mi credesse così sciocco da rispondere altrimenti, e lei rise.

—  A parte il mio, intendo. —  Mamma posò il mento sulla mano, ignorando la regola dei gomiti sul tavolo.  —  Letteratura, magari? È sempre stata la tua materia preferita.

— Non con la signora Bethany.

Questo non mi fece guadagnare neanche un briciolo di approvazione. — Ascoltala. — Papà, severo, posò il bicchiere sul vecchio tavolo di quercia con un colpo troppo energico e rumoroso. — Faresti bene a prendere molto sul serio una come lei.

Pensai: Stupido, è il loro capo. Cosa succederebbe se girasse la voce che il loro bambino parla male della preside? Tanto per cominciare, non pensare sempre e solo a te stesso.

— Mi impegnerò — promisi.

— Ne sono certa — mamma posò la mano sulla mia.

Quel lunedì andai a lezione di letteratura deciso a ricominciare da zero. Avevamo appena iniziato a trattare la mitologia e il folklore, due argomenti che mi erano sempre piaciuti. Senza dubbio, se c'era un settore in cui potevo dimostrare le mie capacità alla Bethany, era quello.

Be', in realtà non fu per niente l'occasione giusta per dimostrare le mie capacità.

—  Immagino che relativamente pochi fra i presenti conoscano già il nostro prossimo argomento di studio  —  disse, mentre una pila di tascabili girava per l'aula. La Bethany aveva sempre un leggero odore di lavanda, femminile e inconfondibile. — Tuttavia, immagino anche che più o meno tutti ne abbiate sentito parlare.

I tascabili raggiunsero il mio banco e prelevai una copia di Dracula, di Bram Stoker. Dalla fila più vicina sentii Raquel brontolare: — Vampiri?

Un istante dopo, una strana elettricità sembrò crepitare nell'aula. La signora Bethany si scagliò contro di lei. — Trova che sia un problema, signorina Vargas?

I suoi occhi scintillavano mentre fissava lo sguardo da falco su Raquel, che pareva si stesse mordendo la lingua per evitare di fare altri commenti. Il maglione della sua unica divisa aveva già iniziato a rovinarsi e a sfilacciarsi all'altezza dei gomiti. — No, signora.

—  A me sembrava di sì. La prego, signorina Vargas, ci illumini. — La Bethany incrociò le braccia, con l'aria di chi sta per scagliare una battuta pungente. — Se la sua attenzione è così rapita dalle saghe nordiche che parlano di mostri enormi, perché non dovrebbe esserlo dai romanzi sui vampiri?

Qualunque risposta avesse dato Raquel, sarebbe stata sbagliata. La Bethany l'avrebbe zittita e così sarebbe trascorsa tutta l'ora. Durante quasi ogni lezione precedente, la signora Bethany si era divertita in quel modo, prendendo di mira qualcuno, di solito con gran divertimento dei suoi studenti preferiti, ovviamente gli eredi delle famiglie più potenti. Se avessi fatto la scelta più intelligente, sarei rimasto zitto e avrei lasciato che Raquel diventasse il capro espiatorio quotidiano. Ma non ci riuscii.

Alzai la mano, timido. La Bethany mi guardò con la coda dell'occhio. — Sì, signor Tomlinson?
Dracula non è granché come libro. — Tutti mi osservarono, sorpresi che qualcuno potesse contraddire l'insegnante. — La lingua è troppo barocca e poi ci sono tutte quelle lettere dentro altre lettere.

— Vedo che qualcuno critica la forma epistolare, che così tanti autori di rango seppero utilizzare durante il Diciottesimo e il Diciannovesimo secolo.  —  Il clic ciac delle sue scarpe sul pavimento di legno  sembrava innaturalmente rumoroso mentre si avvicinava a me, dimentica di Raquel. L'odore di lavanda si fece più intenso.  — Lo
trova antiquato? Fuori moda?

Perché mai ho alzato la mano?

— Lo trovo soltanto un libro un po' lento. Tutto qui.

—  Ah, certo, la  velocità è il parametro con cui giudicare tutta la letteratura, altroché. — Qualcuno rise sotto i baffi, mentre mi sentivo morire di vergogna.  —  Forse desidera che i suoi compagni si chiedano perché mai un libro del genere vada tenuto in considerazione?

— Stiamo studiando il folklore — commentò Courtney.

Non per salvarmi ma per mettersi in mostra. Chissà se per umiliarmi o per costringere Balthazar a guardarla.

Da giorni non faceva che sistemarsi la gonna in modo da esporre le gambe ogni volta che si sedeva, ma Balthazar non faceva una piega.  —  E un elemento presente nel folklore di tutto il mondo è il vampiro.

La Bethany rispose con un semplice cenno.  —  Nella  cultura occidentale moderna non esiste mito vampiresco più famoso di quello di Dracula. Quale punto di partenza migliore?

Sorpresi tutti, incluso me stesso, rispondendo: — Il giro di vite.

— Come ha detto? — La Bethany alzò le sopracciglia.

Nessuno dei presenti sembrava capire dove volessi arrivare, escluso Balthazar, che si mordeva le labbra per non scoppiare a ridere.

Il giro di vite. Il racconto di Henry James che parla di fantasmi, cioè, che forse parla di fantasmi. — Non avevo intenzione di scatenare il vecchio dibattito sulla pazzia vera o presunta della protagonista. Da sempre trovavo i fantasmi  davvero paurosi, ma era più facile affrontare quelli nella finzione, rispetto alla Bethany in carne e ossa.  —  I fantasmi sono più presenti dei vampiri nel folklore mondiale. E Henry James scrive meglio di Bram Stoker.

—  Quando  sarà  lei  a  programmare le lezioni, signor Tomlinson, sarà libera di iniziare dai fantasmi — la voce della mia insegnante era affilata come una lama. Dovetti soffocare un brivido mentre la vedevo incombere, l'espressione dura e immobile come quella di un gargoyle di pietra. — Qui, inizieremo con lo studio dei vampiri. Scopriremo come varia la percezione del vampiro nelle varie culture ed epoche, dal passato remoto a oggi. Se lo trova noioso, si faccia coraggio. Vedrà che fra non molto arriveremo anche ai fantasmi, sia paziente.

E a quel punto capii che non era il caso di ribattere.

In corridoio, dopo la lezione, sfinito dai postumi dell'umiliazione, camminavo lento fra i capannelli di studenti. Sembrava che chiunque, tranne me, ridesse con qualche amico. Raquel e io avremmo potuto consolarci a vicenda, ma lei se l'era già battuta.

Poi sentii una voce: — Un altro lettore di Henry James.

Mi voltai e vidi Balthazar che si affiancava a me. Forse era venuto a offrirmi supporto, forse cercava soltanto di evitare Courtney. Comunque ero lieto di vedere un volto amico. — Be', ho letto II giro di vite e Daisy Miller, tutto qui.

— Quando hai tempo, prova Ritratto di signora. Secondo me potrebbe piacerti.

— Davvero? Perché? —  Mi aspettavo che Balthazar parlasse delle qualità del libro, ma mi sorprese:  —  Parla di una donna che vuole definire se stessa, anziché lasciarsi definire dagli altri.  —  Procedeva agile tra la folla senza mai togliermi gli occhi di dosso. L'unico altro ragazzo ad avermi guardato con quell'intensità era Harry.

— Ho il sospetto che la cosa possa riguardarti.

— Forse hai ragione  —  risposi.  —  Andrò a cercarlo in biblioteca. E...  grazie. Per il consiglio  — e anche, pensai, per l'opinione che hai di me.

— Prego  —  Balthazar sorrise e sul suo mento rispuntò la fossetta, ma in quell'istante entrambi sentimmo la risata di Courtney, poco lontano. Lui mi rivolse un finto sguardo spaventato che mi fece ridere. — Devo scappare.

—  Svelto!  —  sussurrai, mentre imboccava il corridoio più vicino. Malgrado l'incoraggiamento di Balthazar mi avesse rincuorato, mi sentivo ancora scosso dall'interrogatorio della Bethany. Decisi di fare una passeggiata veloce per i cortili, a godermi un po' d'aria fresca e di silenzio prima di mangiare. Magari restando solo per qualche minuto prezioso.

Purtroppo l'idea non era venuta soltanto a me, anzi.

Parecchi studenti passeggiavano all'aperto, ascoltavano musica e chiacchieravano. Notai un gruppo di ragazze sedute all'ombra, nessuna delle quali sembrava intenzionata a tornare in camera per pranzo. Probabilmente sono a dieta in vista del Ballo d'Autunno, pensai mentre le osservavo bisbigliare sotto uno dei vecchi olmi.

In cortile c'era soltanto una persona che mi andava di vedere.

— Vic? — chiamai.

Lui mi sorrise. — Ehi!

Sembrava un incontro fra vecchi amici, anziché la nostra prima conversazione. I capelli flosci, rossicci, gli saltavano fuori dal cappellino dei Phillies e la skin del suo iPod era un turbine di arancione e verde. Mentre mi si avvicinava a passi lunghi e si levava gli auricolari, dissi:

— Ciao. Hai visto Harry?

—  Quel tipo è pazzo! — Nel mondo di Vic, la parola "pazzo" suonava come un complimento.  —  È scappato dall'aula studio, io gli faccio: «Ehi, che combini?», e lui risponde: «Tu coprimi, okay?» E finora l'ho coperto, ma tu non farai la spia. Tu sei un tipo giusto.

Vic e io non avevamo mai parlato: come faceva a considerarmi un tipo giusto? Poi mi chiesi se non fosse stato Harry a dirglielo e il pensiero mi fece sorridere. — Sai dov'è?

—  Se me lo chiede un professore, no. Ma siccome sei tu, penso che c'entri qualcosa la stazione di posta.

La stazione di posta si trovava nella zona settentrionale, accanto al lago. Era il luogo in cui ai vecchi tempi si custodivano cavalli e carrozze. Fresca di ristrutturazione, ora ospitava gli uffici amministrativi di Evernight e la residenza della Bethany. Che ci faceva Harry laggiù?

—  Farò due passi da quella parte. Così, tanto per camminare. Senza un motivo preciso.

—  Aaah, giuuustoooo  —  commentò Vic, e annuì, come se avessi davvero detto qualcosa di arguto. — Hai capito.

Non è certo un mostro di furbizia, conclusi mentre passeggiavo distratto in direzione della stazione di posta. Però aveva l'aria di un bravo ragazzo. Niente a che vedere con il tipo Evernight, per fortuna. Nessuno si accorse di me mentre mi allontanavo dagli altri studenti. Forse era l'unico aspetto positivo del mio anonimato: potevo farla franca molto più spesso degli altri.

Non c'era nessuna foresta a farmi da scudo ma soltanto prati regolari e soffici, fitti di trifoglio, e pochi alberi piantati a intervalli regolari, probabilmente per gettare un po' d'ombra. Fra gli arbusti vidi uno scoiattolino morto, anzi, i resti martoriati di ciò che era stato. Il vento ne scuoteva la coda. Arricciai il naso e cercai di ignorarlo, per concentrarmi sulla mia ricerca. Il mio passo si fece più lento e silenzioso, nella speranza di captare la presenza di Harry.

La stazione di posta era lunga e aveva un piano solo. Inutile aggiungerne un secondo se ci abitano dei cavalli, no? Era circondata da altri alberi imponenti che gettavano un'ombra quasi notturna e soltanto poche chiazze ondeggianti di luce sfioravano il terreno. In punta di piedi, mi diressi verso il retro, mi nascosi dietro l'angolo e vidi Harry balzare fuori dalla finestra della Bethany. Atterrò agile e chiuse con cura la finestra dietro di sé.

Poi si voltò e mi vide. Per un secondo infinito restammo semplicemente a guardarci. Sembrava che fosse stato lui a sorprendermi con le mani nel sacco, non il contrario.

— Ciao — blaterai.

Anziché giustificarsi, Harry sorrise. — Ciao. Perché non sei a pranzo?

Mentre mi raggiungeva con passo tranquillo, capii che voleva fingere che non ci fosse niente di strano, che non avessi visto nulla di straordinario. Oppure avevo iniziato io, salutandolo anziché chiedergli cosa stesse architettando? — Non ho molta fame.

— Non è da te cambiare argomento.

— L'argomento è il pranzo?

— Più che altro pensavo, come mai non mi chiedi perché mi sono intrufolato nell'ufficio della Bethany?

Sospirai di sollievo ed entrambi scoppiammo a ridere.

— Okay, se sei disposto a dirmelo non dev'essere niente di grave.

—  Mia madre dice che firmerà il permesso ufficiale per lasciarmi andare a Riverton nelle domeniche libere soltanto se a metà quadrimestre avrò il massimo dei voti in tutte le materie. Ma avevo il sospetto che avesse già firmato e non sono tanto sicuro del mio andamento in chimica, perciò ho deciso di controllare. Di vedere se nel mio fascicolo c'era il modulo. Come ti ho già detto, rispettare le regole non è il mio forte.

— Certo. — Anche se era sbagliato, non era troppo sbagliato, no? Fidarmi di Harry mi veniva spontaneo. — E lo hai trovato?

—  Sì.  — L'aria compiaciuta con cui reagì era volontariamente esagerata, voleva farmi ridere e ci riuscì.  —  Anche con una semplice sufficienza, sono coperto.

—  Che c'è di tanto importante nei fine settimana liberi? Ho passato un po' di tempo in città quest'estate, prima che arrivaste voi. Credimi, non c'è granché da vedere.

Camminavamo all'ombra, tracciando il nostro percorso verso Evernight seguendo vie laterali, così da poterci mescolare agli altri studenti senza dare nell'occhio. Eravamo entrambi molto bravi a non farci notare.  —  Pensavo che sarebbe un bel posto in cui passare un po' di tempo insieme. Lontano da Evernight. Che ne dici?

Dopo la conversazione nel gazebo, non avrei dovuto sentirmi così sorpreso o sconvolto. Invece sì, e fu allo stesso tempo spaventoso e meraviglioso.

— Sì. Cioè, mi piacerebbe.

— Anche a me.

Per un po' né io né lui aprimmo bocca. Desideravo che mi prendesse per mano ma non ero poi così coraggioso da agire per primo. Pensai febbrilmente a qualcosa di divertente da fare a Riverton, cittadina più grande di Arrowwood ma, se possibile, ancora più noiosa. C'era un cinema, se non altro, che proiettava pellicole classiche prima dell'ultimo spettacolo, ogni tanto.  —  Ti piacciono i vecchi film? — azzardai.

Lo sguardo di Harry si accese. — Adoro i film, vecchi o nuovi, non importa. Da John Ford a Quentin Tarantino, mi piacciono tutti.

Sollevato, risposi con un sorriso. Forse tutto sarebbe andato per il meglio, dopotutto.

Alla fine di quella settimana il clima mutò all'improvviso. Fu il freddo a svegliarmi la mattina, lo sentivo fin dentro alle ossa. Mi avvolsi ancor di più nelle lenzuola ma non servì a molto. L'autunno aveva ricamato  le finestre di brina. Più tardi avrei dovuto tirar giù il piumone dal ripiano più alto dell'armadio: stare al caldo si annunciava un'impresa difficile.

La luce tenue e rosa era ancora quella dell'alba. Sbadigliai, mi sedetti e mi rassegnai al risveglio. Avrei potuto recuperare il piumone e cercare di strappare qualche altra ora di sonno, ma avevo bisogno di lavorare alla mia relazione su Dracula per evitare l'ira della Bethany. Perciò infilai la felpa e scivolai in punta di piedi davanti a Patrick, che dormiva beato come se il freddo non riuscisse a penetrare il lenzuolo sottile che lo copriva.

I bagni di Evernight erano stati costruiti in un'epoca lontana, nella quale probabilmente gli studenti erano stati così felici di avere toilette al coperto da non fare troppo i pignoli sulla qualità delle strutture. Troppo pochi i separé, nessun comfort come prese elettriche o specchi e, nei minuscoli lavandini, rubinetti separati per l'acqua fredda e quella calda: li avevo odiati sin dal primo giorno. Almeno avevo imparato a riempirmi le mani d'acqua gelata prima di aggiungere quella bollente. In quel modo riuscivo a lavarmi la faccia senza ustionarmi. Le piastrelle erano talmente gelide al contatto con i piedi nudi che ricordai a me stesso di indossare le calze a letto, almeno fino a primavera.

Quando chiusi i rubinetti sentii un rumore: un pianto, soffocato e tenue. Mi asciugai il viso tamponandolo con l'asciugamano e mi avvicinai al rumore. — Ehi? C'è qualcuno?

I singhiozzi si interruppero. Proprio mentre temevo di aver curiosato troppo, da uno dei separé sbucò il viso di Raquel. Indossava un pigiama e il braccialetto intrecciato di cuoio da cui sembrava inseparabile. Aveva gli occhi rossi. — Louis? — sussurrò.

— Sì. Tutto okay?

Scosse la testa e si asciugò le guance.  —  Sto impazzendo. Non riesco a dormire.

—  È questo freddo, tutto di colpo, vero?  —  Mi sentivo uno stupido. Sapevo bene quanto lei che Raquel non stava piangendo nei bagni all'alba perché c'era il ghiaccio sulle finestre.

—  Devo dirti una cosa  —  la mano di Raquel mi strinse il polso, con una presa più energica di quanto potessi immaginare. Il viso era pallido, il naso arrossato dal pianto.
— Ho bisogno che tu mi dica se sto diventando matta.

Domanda assurda, poco importa chi la faccia, quando, dove o come. Con cautela, le chiesi: — Senti che stai impazzendo, davvero?

— Forse? — la risata faticosa di Raquel mi rassicurò. Se riusciva a cogliere l'aspetto divertente del problema, in fondo stava bene.

Lanciai un'occhiata alle nostre spalle, ma il bagno era vuoto. A quell'ora potevamo contare di avere il locale tutto per noi, almeno per un po'. — Stai facendo brutti sogni o cose del genere?

—  Vampiri. Mantelli neri, canini e tutto il resto.  —  Cercò di ridere.  —  Diresti che avere ancora paura dei vampiri è roba da bambini, ma nei miei sogni... Louis, sono terribili.

—  La notte prima che cominciassero le lezioni, ho sognato un fiore che moriva  —  risposi. Volevo distrarla dai suoi incubi: forse condividere i miei ci sarebbe stato utile, anche se mi sentivo un po' stupido a parlarne ad alta voce.  —  Un'orchidea, o qualcosa del genere, che avvizziva nel cuore di un temporale. Mi ha spaventato così tanto che ci ho messo un giorno intero per levarmelo dalla testa.

— Io non riesco a togliermeli dalla mente. Queste mani morte che mi afferrano...

—  È solo colpa di quel compito su Dracula —  insistetti.  —  Vedrai che nel giro di una settimana ci sbarazziamo di Bram Stoker.

—  Lo so, non sono stupida. Ma gli incubi si trasformeranno in qualcos'altro. Non mi sento mai al sicuro. Come se ci fosse questa persona...  questa  presenza...  qualcuno, qualcosa che si avvicina troppo. Qualcosa di terribile  —  Raquel mi si avvicinò per sussurrare: —  Non ti viene mai il sospetto che in questa scuola ci sia qualcosa di... maligno?

— Courtney? — Cercai di buttarla sul ridere.

—  Non quel genere di malignità. Quella vera.  —  Le tremava la voce. — Tu credi che il male esista?

Nessuno me l'aveva mai chiesto, ma conoscevo la risposta.

— Sì, ci credo.

Raquel deglutì così forte che riuscii a sentirla  e per qualche istante rimanemmo a fissarci senza sapere cosa aggiungere. Avrei dovuto continuare a consolarla, ma l'intensità della sua paura mi costrinse ad ascoltare.

— Mi sento sempre osservata — raccontò. — Sempre. Persino quando sono da sola. So di sembrare pazza, ma è vero. A volte ho la sensazione che gli incubi continuino anche dopo che mi sono svegliata. A notte fonda sento tonfi, cose che strisciano sul tetto. Quando guardo fuori dalla finestra, te lo giuro, a volte vedo un'ombra che corre nella foresta. E gli scoiattoli...  li hai visti, vero? Hai visto quanti ne muoiono?

—  Un paio.  —  Forse era il freddo autunnale nel vecchio bagno pieno di spifferi a farmi rabbrividire, o forse la paura di Raquel.

— Ti senti mai davvero al sicuro? Davvero?

Balbettai:  —  Non mi sento al sicuro, ma non penso sia niente di assurdo. —  Ma, di nuovo, "assurdo" poteva significare cose diverse a seconda della persona.  —  È questa scuola. Questo posto. I gargoyle, la pietra, il freddo... e l'atteggiamento di certa gente...  mi  fanno sentire fuori luogo. Solo. E impaurito.

—  Evernight ti succhia la vita —  Raquel fece una debole risata. — Ma sentimi. Succhiavita. Di nuovo i vampiri.

—  Hai bisogno di riposo  —  esclamai con un tono deciso che mi fece somigliare un po’ troppo a mia madre.  —  Un po' di riposo e letture diverse.

—  Il riposo è una buona idea. Secondo te in infermeria avranno qualche sonnifero da darmi?

—  Non sono certa che ci sia un'infermeria, qui.  —  Quando Raquel arricciò il naso, costernato, proposi:  —  Magari puoi comprare qualcosa in farmacia quando andremo a Riverton.

—  Magari. Comunque è una buona idea. —  Fece una pausa e mi rivolse un sorriso sbiadito.  —  Grazie per avermi ascoltata. So che sembro sconvolta.

Scossi la testa. —  Niente affatto. Te l'ho detto, è Evernight che dà alla testa.

— La farmacia — ripetè Raquel a bassa voce mentre raccoglieva le sue cose prima di tornare nella sua stanza. — Prenderò del sonnifero. Così ci dormirò sopra.

— Sopra cosa?

—  I rumori sul tetto.  —  La sua espressione si fece solenne, come avesse più anni di quanti ne dimostrava.  —  Perché di notte c'è qualcuno là sopra. Lo sento. Quella parte non è un incubo, Louis. È reale.

Per parecchio tempo dopo che Raquel era tornata a letto, restai solo nel bagno, in preda ai brividi.


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Ecco un altro capitolo per farmi perdonare delal mia assenza ahahha
Spero che la storia vi stia piacendo, se così fatemi sapere cosa ne pensate con una piccola recensione, al prossimo capitolo!
-A.



 
  
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