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Autore: Hischocolateeyes    16/06/2016    1 recensioni
Annabelle ha ventuno anni, una figlia di nome Lydia e si è trasferita a Los Angeles per sfuggire al suo passato. Lì trova lavoro come assistente su un set televisivo. Per un anno va tutto bene, ma poi il padre di Lydia improvvisamente riappare, e non vuole andarsene senza aver ottenuto la custodia di sua figlia. Annabelle sa che lui è un uomo violento e pericoloso e preferirebbe morire, piuttosto che lasciargli la bambina. Di conseguenza ha solo due possibilità: la prima, scappare e ricostruirsi una vita ripartendo da zero da un'altra parte, o la seconda, rimanere e lottare per ciò che ha costruito. In questa situazione già di per sé complicata ci si mette in mezzo anche Ethan Connors, un attore che si troverà (volente o nolente) ad aiutarla.
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Annabelle era in ritardo. Si può dire che Annabelle fosse talmente in ritardo che, se non avesse avuto assoluto bisogno di un lavoro e se i suoi genitori non le avessero inculcato un minimo di responsabilità, avrebbe tranquillamente chiamato il suo capo e si sarebbe finta malata, evitando la giornata. Non è che lei odiasse il suo lavoro, anzi lei lo amava: non era un lavoro che i suoi genitori avrebbero approvato ma Annabelle era contentissima, aveva l’opportunità di interagire con persone e aveva conosciuto la sua migliore amica così, anche se il suo lavoro consisteva principalmente nel portare in giro caffè e controllare che tutti fossero nel posto giusto al momento giusto.
Come al solito, iniziò a correre come se la sua vita dipendesse da questo e, in un certo senso, per il suo futuro era così: non poteva permettersi di perdere l’unico lavoro che aveva trovato. Guardò la piccola bambina che aveva attaccata al fianco, le baciò il naso e la salutò con un occhiolino prima di lasciarla nelle mani della sua vicina sessant’enne, un’anziana signora che si chiamava Eliza Smith e che aveva acconsentito a fare da babysitter senza volere niente in cambio, dicendole che: “Il piacere è mio, cara. Mi ricorda del tempo quando i miei nipoti erano giovani. Adesso non mi visitano più tanto spesso, sai… con il lavoro e tutto. Sono solo la nonna che manda loro un pensiero a Natale e ai compleanni.”
Annabelle provò ad andare più veloce che poteva con la sua macchina mezza scassata, conoscendo Los Angeles abbastanza bene da evitare le strade maggiori piene di turisti e di traffico. Quando raggiunse gli studi iniziò quasi a piangere di gioia nel vedere che aveva ben due minuti prima che il suo turno di lavoro iniziasse e corse verso l’entrata, raggiungendo l’ufficio del direttore con trenta secondi di anticipo e respirando pesantemente.
Bussò alla porta, tenendo sempre d’occhio l’orologio. Quando essa si aprì la ragazza mise su il suo miglior sorriso: “Buongiorno Signor Dawson, come posso aiutarla oggi?”
 “Buongiorno a te Annabelle, se potessi andare a prendere il caffè per me e il resto del cast allo Starbucks in fondo alla strada, te ne sarei grato. Mi fido di te per ricordarti gli ordini di tutti, ma in ogni caso ho la lista qui.”
Jonah Dawson era un uomo molto interessante, più verso i cinquanta che verso i quaranta, con i capelli argentati e occhi marroni che guardavano tutti con estrema gentilezza. Capiva perfettamente la sua situazione fuori dalla norma e faceva il suo meglio per farla sentire benvenuta e a suo agio. Tutto questo contava un occhio chiuso sui suoi quasi-ritardi giornalieri, un ordine scritto di quale tipo di caffè piaceva di più agli attori e una piantina della città con sopra segnati le strade più veloci per andare dove doveva che, anche se era passato un anno da quando si era trasferita nella città degli Angeli, Annabelle usava praticamente ogni giorno. Jonah le diede la lista e le sorrise brevemente prima di tirare fuori dalla scrivania la pila di copioni per il blocco di episodi che dovevano girare successivamente. “Se potessi anche dare i copioni in giro quando torni, te ne sarei grato. E dì a tutti che la lettura è stata fissata per martedì prossimo alle nove di mattina.”
“Certo signore.” la ventunenne sorrise, grata di avere qualcosa di simile a un amico nel suo capo. Prese il pezzo di carta, i copioni e uscì dalla stanza senza nemmeno guardare dove andava, finendo per sbattere contro Reyna, una delle attrici principali.
“Mi dispiace signorina Robinson, non l’avevo vista.” Annabelle si scusò con un sorriso timido, non sapendo bene come rapportarsi con lei durante le ore lavorative.
“Non preoccuparti cara. Non è successo nulla.” Reyna Robinson guardò l’assistente sorridendo. L’attrice era una bellezza di ventiquattro anni, se uno credeva alla descrizione dei siti di gossip: aveva lunghi capelli neri, gli occhi verdi e la pelle chiara. Se Annabelle non fosse stata sicura al cento per cento di essere etero, avrebbe forse potuto prendersi una sbandata per lei. Reyna era una delle persone più gentili che uno poteva avere la fortuna di incontrare: aveva molta pazienza, riuscendo sempre a sopportare i suoi coprotagonisti, che molto spesso si comportavano come bambini, e non urlava mai a nessuno se per caso sbagliavano il suo ordine, cosa che altri attori facevano senza problemi. Grazie a tutto questo, Reyna era diventata una delle persone preferite di Annabelle e poteva definirla un’amica, visto che parlavano tutti i giorni e uscivano spesso per un caffè o cose così. “E, Annabelle, quante volte devo ripeterti che non c’è alcun bisogno che tu mi chiami ‘signorina Robinson’? Anche se non fossimo amiche, nessuno mi chiama così quindi, davvero, smettila.”
A quel punto Annabelle si rilassò e rise: “Mi conosci, Reyna. Non riuscirai mai a farmi smettere. Ora, anche se vorrei stare e fare due chiacchere ho qui il tuo copione per il prossimo blocco di episodi, Jonah ha deciso che martedì prossimo alle nove dovrete essere nella sala riunioni per leggerli. In più, devo andare a recuperare i vostri caffè, quindi… buona fortuna. Ho il presentimento che avrai un giorno lungo e difficile davanti a te.”
“Bene allora,” l’attrice sorrise, prendendo il copione con sopra il proprio nome, “faresti meglio a fare in fretta. Sai come diventa Ethan se non ha il suo prezioso caffè. Non so se sono in grado di poter fare i conti con lui e Cody oggi.”
“Si signora!” Annabelle finse un saluto militare e uscì ridendo, salendo in macchina e recandosi al negozio di Starbucks più vicino, canticchiando tra sé la nuova canzone di Ellie Goulding e sorridendo tristemente, quando per un attimo le sembrò di vedere la sua migliore amica, Amanda, seduta di fianco a lei nella macchina che cantava con lei. Scosse la testa, ripetendosi per l’ennesima volta che quello non era possibile e parcheggiò nel primo posto che vide.
Entrò nel negozio come se fosse la regina di quel posto e, sotto un certo punto di vista, era così: il barista la conosceva molto bene, siccome era lì praticamente tutti i giorni con lo stesso ordine per le stesse persone.
“Ciao Anna, come stai oggi?” le chiese Christian gentilmente, sorridendole gentilmente e scrutandola con i suoi occhi blu, come se potesse vederle attraverso.
“Io sto benissimo Chris. Te come stai?”
“Bene anche io. Posso darti il solito?”
“Non riesco a sorprenderti più, vero?” lui rise alla frase e Annabelle sorrise prima di finire. “Comunque si, due caffè latte medi, un caffè con una spruzzata di cioccolato bianco grande, un caffè freddo grande e due espresso medi, come al solito.” Lei gli diede la carta di credito che aveva ricevuto per spese di lavoro e lui la prese sorridendo, prima di restituirla e iniziare a preparare l’ordine chiacchierando. Alle nove e mezza di mattina di un lunedì di metà ottobre, il negozio era vuoto dato che tutti erano a scuola o al lavoro.
“Pensavo avessi le lezioni di lunedì, Chris. Trovare un lavoro non ti dà il diritto di saltare la scuola, sai?”
Lui rise al suo avvertimento, prima di risponderle mentre finiva le prime bevande. “Cosa farei io senza di te a tenermi in riga? Comunque si, ho lezione il lunedì dalle undici all’una e dalle tre alle cinque, il che significa che prendo il turno di mattina, dalle sei alle dieci e lavoro doppio martedì che è il mio giorno libero da scuola. Te, piuttosto, hai mai pensato a riprendere i tuoi studi? Da quanto mi hai detto andavi molto bene a Londra.” Mise i sette contenitori sul bacone e si piegò leggermente in avanti, chiaramente curioso e aspettando una risposta.
“Sai perché ho dovuto mollare, Chris. Non riuscivo assolutamente a badare a un bambino, pagare il college e avere un appartamento senza trovare un lavoro. Il che significa, che ho dovuto mollare la scuola per prendermi cura di Lydia e poi ho trovato un lavoro per pagare le bollette.” Rispose lenta, scegliendo le parole con attenzione e guardandolo. “Quindi, sento che è il mio dovere di dirti questo: stai attento e non mettere incinta nessuna mentre sei al college. I bambini richiedono tempo e denaro, in caso non lo sapessi.”
“Non preoccuparti, non dovrò preoccuparmi di questo per molti anni.” Lui sorrise e in quel momento il campanellino della porta suonò, facendo capire a entrambi che era ora di chiudere la conversazione e di tornare entrambi ai propri lavori. “Guida con attenzione, okay?”
“Lo farò. Ciao Chris, buona giornata.” Lei sorrise al ragazzo e uscì dal negozio, andando verso la macchina: si fermò un attimo quando, guardandosi intorno, le sembrò di vedere un uomo dai capelli biondi che la fissava. Per un momento si innervosì, ma poi si ricordò che lui non sapeva nemmeno dove lei si era trasferita: aveva fatto molta attenzione, pagando tutti in contanti e lasciando meno tracce possibili.
Annabelle sorrise e guidò verso gli studi, provando a lasciare indietro tutti i brutti pensieri. Quando arrivò erano quasi le dieci e lei imprecò sottovoce: doveva essere la prima, perché avrebbero iniziato a girare alle dieci e un quarto e lei lo sapeva che Ethan si sarebbe arrabbiato con lei perché ‘non aveva avuto il tempo di gustarsi il suo espresso prima di iniziare a lavorare’.
Appena lesse sulla sua agenda la location per quel giorno, ringraziò Dio o qualunque entità superiore esistesse per aver permesso che il suo quasi ritardo con il caffè avvenisse in un giorno in cui giravano interni dentro gli studi. Corse verso l’ingresso tenendo in equilibrio due vassoi con le varie bevande su un braccio e i copioni nell’altro: trovò Reyna mentre finiva gli ultimi ritocchi del make-up e senza dire una parola appoggiò il suo cappuccino vicino a lei, urlandole poi un saluto prima di lasciare la stanza. Un secondo prima che Annabelle si chiudesse la porta alle spalle la voce dell’attrice la raggiunse. “Se fossi in te andrei da Ethan per primo. Penso che lui e la sua ragazza abbiano litigato o qualcosa del genere perché è incazzato nero e eviterei di dargli un motivo per prendersela con te.”
“Merda. Grazie Reyna, ti devo un favore!” Annabelle urlò la risposta e poi corse lungo il corridoio più veloce che poteva senza far cadere niente. Si fermò di fronte alla porta che recava il suo nome –Ethan Connors- e prese un respiro profondo, ma non ebbe neanche il tempo di alzare la mano per bussare che essa si aprì.
“Sai, ti ho sentita correre e affannarti fin dall’altra parte del corridoio. Non che tu abbia cercato di fare piano, ovviamente.” Ethan Connors era dietro la porta oramai completamente spalancata, sempre tenendo la maniglia. Si mosse pigramente dall’uscio ed entrò nel camerino, sedendosi sul divano e facendole segno di seguire il suo esempio. Non c’era alcun uso nel negare l’evidenza, ovvero il fatto che Ethan era davvero bello e lui era il primo a saperlo. Sapeva di avere un po’ di potere sopra il gentil sesso e non esitava ad usarlo, ma Annabelle aveva passato la sua vita circondata da coglioni egocentrici, quindi era praticamente immune al suo cosiddetto ‘charme’. “Come mai ci hai messo tanto Wilkins?” chiese lui mentre lei poggiava l’espresso sul tavolino vicino a lui.
“Mi dispiace signor Connors, ma erano molto impegnati allo Starbucks dove sono andata e ho dovuto aspettare.” Bugia. Annabelle aveva appena raccontato una balla grande quanto l’ego di Ethan, ma lei sapeva che se gli avesse detto la verità, ovvero che era in ritardo perché si era messa a fare due chiacchiere con il barista si sarebbe messa nei guai. Sinceramente, lei aveva già abbastanza problemi per conto suo, non aveva assolutamente bisogno di finire sulla lista nera dell’attore: Ethan era uno stronzo di natura con tutti, ma si vantava ed era molto orgoglioso del fatto che diventasse un bastardo malvagio con tutti coloro che gli stavano antipatici o che gli facevano un torto.
“Bene, ora mi hai portato il caffè. Direi che te ne puoi andare.” disse, senza alzare lo sguardo dal suo cellulare. Lei masticò un insulto e gli lasciò il copione, riferendogli ciò che Jonah aveva detto sugli orari, prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle, brontolando fra sé e sé. “‘Grazie mille per il caffè Annabelle! Lo so che non lo dimostro spesso, ma apprezzo davvero quello che fai qui.’ ‘Grazie mille Ethan, è bello sentirsi apprezzati. ’ Stronzo.”
Scosse la testa, finendo il lavoro che le era stato assegnato e consegnando tutto il materiale agli altri, insieme al messaggio di tenersi liberi la mattina del martedì successivo, facendo un record nel tempo che impiegò per fare tutto. Si, era stupido. Si, lei doveva teoricamente essere una donna matura, se il fatto che si dovesse occupare di un bambino dava un qualche indizio. E si, essere contenti per essere riusciti a consegnare sei copioni e sette caffè in meno di cinque minuti era tutto tranne ciò che una persona intelligente potesse fare. Ed è per quello che lei lo stava facendo. La sua giornata migliorò gradualmente, anche se dovette rincorrere Cody per metà del set perché l’imbecille aveva deciso che voleva andare senza trucco, cosa non possibile visto che dovevano girare una scena in cui lui doveva essere coperto di sangue, ma almeno non dovette più rivolgere la parola ad Ethan, il che la rendeva estremamente felice. Naturalmente, come tutte le cose belle eventualmente finiscono, la giornata prese una piega orribile verso la fine, quando Jonah la chiamò nel suo ufficio con un’espressione di scuse talmente patetica che fece in modo che Annabelle si pentisse sul momento di aver accettato il posto, l’anno prima.
“Mi dispiace signorina Wilkins, ma avrò bisogno dei suoi servizi stanotte: dobbiamo girare alcune scene notturne mi dispiace di doverla chiamare così tardi e soprattutto senza preavviso, so che dovrà riuscire a trovare un babysitter e tutto, ma l’altra assistente ha appena chiamato dicendo che è malata.”
“Va bene, signor Dawson. Per che ora ha bisogno che io sia qui?”
“Inizieremo a girare alle dieci in punto e andremo avanti fino a mezzanotte. Dopo faremo una pausa e, poi vedremo se abbiamo tutto il materiale necessario o se dobbiamo rifare alcune cose.”
“Quindi sarò qui intorno alle nove o nove e un quarto con il caffè per lei e per gli attori. Sa dirmi chi sarà presente?”
“La signorina Robinson e il signor Connors sono gli unici che saranno presenti, in quanto la scena sarà loro. Ora puoi andare, direi che il tuo turno è appena finito giusto?” lui le sorrise e poi guardò l’orologio, che segnava le cinque del pomeriggio.
“Si signor Dawson, a stasera.”
Lei si limitò a sorridergli prima di andarsene, fermandosi al supermercato lungo la strada per comprare le poche cose di cui aveva bisogno. Quando bussò alla porta della signora Smith erano le cinque e tre quarti e la donna aveva un’espressione così sollevata nel vederla che la ragazza si sentì in colpa per doverle chiedere di badare a Lydia per la notte. Dopo tutto, non poteva portarla con se al lavoro: dove avrebbe messo la bambina di due anni? Non poteva di certo lasciarla da sola in una stanza anche perché con tutti i cavi e gli spigoli il set era pericoloso per una bambina che era in una fase in cui doveva vedere e toccare e testare tutto quello che trovava.
 “Salve signora Smith. Grazie mille per essersi presa cura di Lydia oggi.” Non aveva fatto in tempo a finire la frase che la donna aveva messo Lydia tra le sue braccia e la borsa con i giochi e i cambi di Lydia sulla spalla sinistra di Annabelle. “Va tutto bene, signora Smith?” Annabelle era preoccupata: Lydia aveva dei giorni in cui era intrattabile, come tutti i bambini, ma la donna più anziana non si era mai lamentata, e aveva sempre provato a farle restare per cena, abbracciando Lydia almeno dieci volte, prima di lasciarle andare a casa. Quando Annabelle guardò negli occhi la donna, li trovò bagnati e con la voce tremante Eliza spiegò che suo marito aveva avuto un attacco di cuore mentre finiva il suo torneo di golf in Florida, e che ora era in un ospedale di Orlando in condizioni critiche.
“Oh mio Dio, signora Smith! Mi dispiace un sacco!” E Annabelle era davvero dispiaciuta.
Il signor Smith era un vecchietto molto simpatico, vicino ai settanta: i suoi capelli erano ancora neri, ma piccoli fili bianchi si iniziavano a vedere e i suoi occhi sempre sorridenti erano circondati da piccole rughe che lo rendevano più interessante che mai. Voleva molto bene sia a Lydia che ad Annabelle, e lui e sua moglie erano i primi a dar loro il benvenuto nel piccolo quartiere in mezzo alla periferia di Los Angeles. Il fatto che ora fosse in un ospedale, lottando per la sua vita dall’altre parte del paese era preoccupante e aveva anche lei voglia di piangere.
“Va tutto bene, tesoro. È solo la vita. Ma devo andare, sai? Assicurarmi che lui… che lui stia bene. Ho già prenotato i biglietti, il mio areo parte alle dieci di stasera: mi dispiace un sacco di dover lasciare te e la piccola principessa con così poco preavviso, ma non so davvero cosa fare e non posso lasciare Bob da solo, ora che ha bisogno di me.” La signora Smith iniziò a scusarsi, quasi piangendo e il cuore di Annabelle si ruppe un poco alla vista di una donna a cui voleva bene e che rispettava forse più dei suoi stessi genitori, distrutta dalle notizia che l’uomo che amava forse non sarebbe più stato come prima.
Le avevano raccontato moltissime storie sul come si erano conosciuti e su come si erano innamorati: lei le adorava tutte e, molto spesso, raccontava le stesse storie a Lydia per aiutarla ad addormentarsi. Solo il pensiero di non rivedere più l’uomo le portava le lacrime agli occhi.  “Non preoccuparti, Eliza: capisco perfettamente. E non stare in pensiero per noi, staremo benissimo, vero Lydia?” la bambina sorrise e annuì con la testa, senza comprendere bene il motivo di tutto questo discorso. Annabelle abbracciò Eliza stretta e la bambina ridacchiò, venendo pressata tra i corpi delle due donne.
“Mamma!” Annabelle sentì i suo cuore stringersi un poco alla parola urlata dalla bambina, prima che lei si mettesse tutto il pugno in bocca e lei dovette lottare con la piccola per tirarlo fuori.
“Mi dispiace tesoro, adesso ti porto a casa. Di ciao a Eliza, Lydia.”
“Ciao Ellie!” la bambina non poteva parlare perfettamente e tutti avevano soprannomi di quattro lettere o meno: che rendeva tutto molto più tenero di quanto potesse essere considerato legale.
“Ciao tesoro, non fare diventare pazza la tua mamma, va bene?” la signora baciò Lydia sulla fronte, prima di tornare in casa e finire di fare la valigia.
Annabelle si impose di non imprecare: non aveva una babysitter per la serata, non aveva intenzione di prenderne una perché non si fidava assolutamente delle agenzie e non poteva chiamare il capo e dirgli che non sarebbe riuscita ad andare al lavoro. Appena si chiude la porta alle spalle, lasciò Lydia libera e la bambina si avvicinò ai suoi giocattoli, scegliendo una bambola e iniziando a divertirsi, facendo rumori e sostenendo conversazioni immaginarie in una lingua che solo lei poteva capire. La prima cosa che Annabelle fece fu assicurarsi che Lydia potesse venire con lei.
“Pronto?”
“Salve signor Dawson, sono Annabelle.” la ragazza iniziò a tirare fuori dal frigo l’occorrente per un panino e preparò il piccolo tavolo mentre parlava.
 “Oh, ciao Annabelle. Cosa posso fare per te?” le chiese cortesemente.
“Ho un problema signor Dawson. Non sono riuscita a trovare una babysitter per Lydia e ovviamente non posso lasciarla da sola, quindi mi chiedevo se fosse possibile portarla con me? Le prometto che dormirà per quasi tutto il tempo.”
“Non vedo perché no. La possiamo lasciare nella stanza di ristoro con una guardia mentre te sei sul set.” Anche se non era per niente contenta di questa cosa, Annabelle non poté negare che era una buona idea e la migliore soluzione possibile. “Grazie mille signor Dawson! A stasera.”
“Di niente.” Lei chiuse la telefonata e finì di preparare il suo panino per poi andare a recuperare Lydia da un’intensissima sessione di tè con le sue bambole, per metterla sul suo seggiolone e darle da mangiare la sua cena.
“Mamma! Guarda!” la voce eccitata della bambina risvegliò Annabelle dallo stato semi catatonico in cui era caduta mentre mangiava il suo panino e lei non poté fare a meno di ridere quando vide le condizioni in cui Lydia era ridotta: il cucchiaio aveva trovato la sua casa non nel piatto, ma sul tavolo facendo un gran casino e la faccia della bimba era diventata rossa, coperta del sugo di pomodoro usato da Annabelle nel fare la pastina. “Sei un completo disastro tesoro mio.” la ventunenne si chinò in avanti, pulendo la faccia di Lydia con un tovagliolo, prima di aggiungere “Ascolta, amore, la mamma deve andare a lavorare tardi questa sera, e tu dovrai venire con me. Puoi promettermi che farai la brava e che ti comporterai bene?”
“Si mamma. Sarò bravissima!” disse Lydia, divenendo improvvisamente seria e lasciando andare il cucchiaio che aveva ripreso in mano poco prima, schizzando il tavolo di pomodoro.
“Perfetto allora. Andiamo che ti preparo per andare via, d’accordo principessa?”
 
Alle otto e quarantacinque, Annabelle aveva la chiavi della macchina in mano, la borsa sulla spalla sinistra e teneva in equilibrio una Lydia mezza addormentata sul suo fianco destro. Riuscì a malapena a chiudere la porta dietro di lei e uscì, sistemando la bambina nel suo seggiolino e metterle la cintura di sicurezza correttamente. Prima di entrare nel sedile del guidatore, si guardò intorno e si stupì nel vedere che c’era una macchina che non aveva mai visto parcheggiata di fronte a una casa che doveva essere stata appena comprata, visto che Annabelle era sicura nessuno vi avesse abitato per almeno sei mesi. Non si soffermò troppo sul pensiero, ingranando la prima e dirigendosi per prima cosa verso lo Starbucks, dove si fermò per prendere i due caffè e chiacchierò con James, il barista di turno per un paio di minuti.
Annabelle conosceva praticamente tutti lì, e tutti conoscevano sia lei che Lydia da talmente tanto che avevano capito che domande potevano fare e quali era meglio evitare. Annabelle non aveva mai parlato del padre della bambina e loro, dopo un paio di tentativi incontrati con i completo mutismo della ragazza, avevano deciso –saggiamente- che non erano problemi loro, e non avevano mai più toccato l’argomento.
Quando entrò nel parcheggio degli studi, dopo aver mostrato i vari documenti e i vari pass, Lydia era sveglissima, la fermata al caffè era servita solo a renderla più attiva che mai alla vista di ‘Zio Jamie’ e, siccome aveva in qualche modo capito che sarebbero andati a vedere anche ‘Zia Lena’, era un disastro di adrenalina ed eccitazione, parlando da sola in un linguaggio conosciuto solo da lei e la parola ‘nanna’ era divenuta sinonimo di ‘blasfemia’ nel suo vocabolario. Una volta entrata, mise a terra la bambina, consentendole di camminare tenendole la mano, mentre nell’altra portava i caffè: appena entrarono nella sala di ristoro, vennero salutate da una Reyna al settimo cielo, completamente vestita ma con il trucco ancora incompleto, che sarebbe stato terminato all’ultimo momento.
“Ciao principessa!” l’attrice si lanciò sulla bambina, sollevandola e tenendola stretta, lasciando piccoli baci ovunque riuscisse ad arrivare.
La relazione tra Lydia e Reyna era strana come minimo. Si erano viste solo un paio di volte, ma una amava l’altra come se si conoscessero da sempre. Il loro primo incontro era capitato solo un paio di mesi dopo il primo giorno di Annabelle sul set: Reyna aveva deciso che era arrivato il momento di conoscersi meglio e le aveva chiesto se voleva andare a prendere un caffè ed Annabelle non aveva avuto altra scelta se non portare una Lydia di soli quattordici mesi con se, visto che la signora Smith era in una meritata vacanza alle Bahamas con suo marito e Reyna si innamorò completamente della bambina dai capelli rossi. Reyna non conosceva la storia completa, nessuno la sapeva, ma era al corrente di più cose che molti altri: ei sapeva che il padre di Lydia era un bastardo e che Annabelle era scappata da Londra l’istante in cui la bambina divenne abbastanza grande per volare. Quello era probabilmente il motivo per cui l’attrice era sempre gentile con lei, anche quando commetteva errori; oltre ad essere diventata sua amica, Reyna conosceva alcuni dei suoi problemi e voleva aiutarla in qualche modo.
“Come sta la mia piccola principessa? Wow, sei splendida stasera tesoro!” la ragazza dai capelli neri iniziò a parlare con Lydia come se fosse la cosa più naturale del mondo e Annabelle non poté evitare di pensare a quanto era fortunata ad avere un’atra persona ad aiutarla, stando dalla sua parte.
Il bellissimo momento di pace venne interrotto dall’aprirsi della porta e dall’entrata nella stanza di Ethan Connors. Era alto, molto più di un metro e ottanta, e aveva la faccia di un angelo: aveva i capelli e gli occhi marroni e, a volte, quando sorrideva, gli si formava una fossetta al lato destro delle labbra. Era molto difficile per Annabelle credere che una faccia così perfetta nascondesse il coglione più grande del mondo: la ragazza trovò quasi divertente il modo in cui il suo solito sorrisetto strafottente svanì dalla sua faccia alla vista di una bambina di due anni dai capelli rossi che si agitava tra le braccia della sua coprotagonista e venne sostituito da un’espressione confusa. Quando la piccola Lydia tese le braccia verso l’assistente e disse “Mamma!” in un’espressione quasi rabbiosa, probabilmente perché era stata ignorata per troppo tempo, Ethan pensò davvero di essere entrato in un mondo parallelo o una cosa del genere. Questo, ovviamente, non lo fermò dal fare un commento sarcastico che suonava molto come “Wow, Wilkins. Devo dire che mi hai stupito: non sapevo avessi una vita sociale, figuriamoci un figlio.”
“Beh, signor Connors” Annabelle iniziò a parlare, prendendo la bambina dalle braccia di Reyna e sorridendo alla tirata improvvisa che sentì sui suoi capelli, “lei non mi ha mai parlato per più di cinque minuti, o per qualcosa che non involva l’urlarmi contro: non dovrebbe essere stupito, quindi, se scopre che c’è più di me rispetto a quelle che sono le apparenza.”
Non poté impedirsi di sorridere dentro di se, certa di aver vinto quella discussione: inutile dire che non aveva ancora fatto i conti con l’attore che semplicemente non poteva accettare di perdere.
“È davvero tua figlia?” chiese e sembrava sinceramente sorpreso.
“Si che lo è, Connors” lei ringhiò, arrabbiata con l’attore per averle chiesto una cosa del genere, “mi ha chiamata ‘mamma’, di chi cavolo pensi che sia figlia? E comunque non sono cazzi tuoi: torna al tuo lavoro, ti ho lasciato il caffè senza il quale non puoi vivere sul tavolo.”
“Vedo che questo è un argomento difficile per te, Annabelle. Mi chiedo perché. Chi è il padre di questa povera bambina, eh?” Ethan aveva puro veleno e odio negli occhi e Annabelle sapeva che stava dicendo queste cose solo per farle un torto: se c’era una cosa che l’attore non sopportava era la mancanza di rispetto e la ragazza sapeva di aver passato la linea con la sua ultima frase. Lui continuò “Ti dirò cosa penso sia successo, tu puoi dirmi se è corretto o sbagliato. Io credo che tu ti sia trovata incinta al college, il tuo accento è tipico del Regno Unito quindi dirò che questo è accaduto da qualche parte in Inghilterra. Non sei riuscita a uccidere il bambino e ovviamente non l’hai detto al padre perché, andiamo... chi mai potrebbe voler stare con te? Ti dirò in oltre cosa penso sia accaduto: i tuoi genitori non erano d’accordo col modo in cui hai gestito questo…” indicò Lydia, che ora era ferma immobile nelle braccia di Annabelle, avendo in qualche modo capito che quello che stava succedendo non era buono e che sembrava sul punto di piangere “… questo piccolo errore, posso chiamarla così? Quindi probabilmente ti hanno tagliato i fondi, e tu sei stata costretta a lasciare il college e a trovare un lavoro, ma non potevi rimanere là perché tutti i tuoi amici ti hanno abbandonata quindi ti sei trasferita qui. Anzi, sai che ti dico? Ritiro quello che ho detto prima sul padre della bambina: te non gli hai detto della piccola Lydia perché tu non hai la più pallida idea di chi possa essere.”
Ethan si fermò e guardò con un poco di orgoglio l’espressione pietrificata sul volto di Annabelle. L’aveva ferita nel profondo, lui lo sapeva bene: vide una lacrima scivolare via dai suoi occhi, seguita da un paio di sue compagne. Qualcosa dentro di lui si mosse e una piccola parte di lui si sentì male vedendo la prova finale del fatto che aveva vinto la discussione e che l’aveva distrutta, ma lui velocemente soppresse il sentimento: se lo era completamente meritato. Finì quindi il suo discorso, “Dimmi, Annabelle Wilkins: quanto della storia che ti ho appena raccontato è corretto?”
Lei lo guardò, e all’improvviso tutte le lacrime sparirono dai suoi occhi, lasciando spazio alla rabbia più pura. Si girò e diede Lydia, che ancora non aveva fatto un suono ma il tremolare del suo labbro faceva intendere che avrebbe iniziato a piangere, in braccio a Reyna prima di marciare verso di lui e fermarsi solo quando le loro facce erano separate da pochi centimetri. La mora era di almeno quindici centimetri più bassa di lui, ma questo non calmò lo strano senso di inquietudine che si impossessò di Ethan quando gli occhi della donna si assottigliarono. Quando lei parlò aveva assoluto odio nella voce.
“Sai, Ethan Connors, te parli sempre di quanto odi quando qualcuno ti manca di rispetto ma in questo momento hai provato a me e Reyna due cose: uno, sei il più grande stronzo che abbia mai camminato su questa terra, e due, che sei anche il più grande ipocrita che io abbia mai conosciuto. Quindi, vaffanculo.” Detto questo, prese Lydia dalle braccia di Reyna e lasciò la stanza. Quando la porta si chiuse alle sue spalle la donna rimasta si avvicinò all’attore: “Te sei mio amico Ethan, ed io ti voglio un mondo di bene, ma lei è la mia migliore amica. Non ti permetterò di parlarle così mai più. Quindi, appena la vedrai ti scuserai profondamente con lei e non tirerai mai più in ballo l’argomento, anzi sarai un vero gentiluomo nei suoi confronti: se non lo farai puoi considerare la nostra amicizia finita.”
“Se l’è cercata, Re. Hai sentito come mi ha parlato?” disse lui, quasi incredulo di fronte alla reazione della collega
“Si, ho sentito. C’ero anche io nel caso te lo fossi scordato. Ma Ethan, te hai tirato in ballo un argomento di cui non sai nulla, e l’hai fatta passare per una puttana, nel caso non te ne fossi reso conto. E prima ancora hai insinuato che la piccola Lydia non fosse sua! Onestamente, non so quale delle due sia peggio. Quindi ti sei meritato tutto quello che lei ti ha detto: non osare lamentarti o far diventare la sua vita un inferno, mi hai sentita? Se no dopo sarò io quella di cui dovrai aver paura.” Reyna era una donna calma e gentile, ma quando cose come queste succedevano in un momento diventava un’altra persona, e riusciva con poche parole e uno sguardo glaciale a terrorizzare una qualsiasi persona e ad ottenere ciò che voleva.
Annabelle era ferma davanti alle finestre vicino agli ingressi degli studi, cercando di cacciare indietro le lacrime che si stavano formando, mentre le ultime parole di Ethan si ripetevano nella sua mente, come un disco rotto: non sapeva bene perché si era recata lì, aveva semplicemente seguito i suoi piedi mentre tentava di calmare una quasi piangente Lydia che aveva capito lo stato d’animo della donna e si era agitata.
Aveva sempre saputo che Ethan era uno stronzo, ma non aveva mai provato in prima persona quanto cattivo lui potesse diventare se provocato: sinceramente, non era una cosa che avrebbe voluto succedesse di nuovo.  Quando sollevò lo sguardo le sembrò di vedere una figura guardare la scena da lontano, illuminata dai lampioni che distavano poco dal casotto della guardia, inutile dire che si allarmò subito: immediatamente si fece indietro, cercando di appiattirsi contro un pilastro, ma appena trovò il coraggio di riavvicinarsi al vetro la figura non c’era già più. ‘Non è stato niente, te lo sei solo immaginato. Sei stanca, Annabelle questa è solo la tua paranoia che si fa sentire’, si ripeté la ragazza almeno tre volte, prima che la parola avessero l’effetto sperato e lei si potesse rilassare un pelo: nonostante questo sentì per tutto il resto della serata una sensazione di formicolio dietro il collo, come se qualcuno la stesse osservando, tentando di decifrare il suo comportamento, le sue azioni, come se qualcuno la stesse studiando.


Hola!
Breve spiegazione sul perchè sono spuntata fuori (quasi come un fungo) con questa storia: gli scorsi anni sono stati molto complicati per me e non ho scritto neanche una riga. Quest'estate mi è venuta un'idea per una storia (di cui questo è il primo capitolo): ci ho messo molto a trovare il coraggio di pubblicarla, e niente... spero vi piaccia!
  
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