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Autore: La Chiave di Do    17/06/2016    0 recensioni
Fu come un fulmine a ciel sereno, un rombo di tuono, un cadere dal letto.
Era il suono di una risata, una risata calda e squillante.
«Beh, ci vediamo allora! Fammi sapere, ci conto!». Ed era una voce, una voce profonda, eppure incredibilmente fresca, una voce di miele tuffato nel tè bollente.
Genere: Drammatico, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Mitchell, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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FLORENCE
(Parte seconda)

 

 

Chi ami è un angelo
che uccide se lo tocchi

 

Perfino il drink faceva pietà: era insipido e quasi analcolico. Ordinò una vodka e ce la rovesciò dentro per provare a renderlo almeno passabile. Sorseggiò: pessimo. Ne buttò giù un paio di sorsate abbondanti per provare a finirlo più in fretta, poi si ruotò sullo sgabello in direzione del divano appena abbandonato: Jason se n'era andato, e per un momento solo provò la stretta del senso di colpa.

“Al diavolo” pensò continuando a bere “non è colpa mia. Vuole solo scoparmi e la sola tecnica che conosca è quella dello sfinimento”. Si sentì rimbombare in testa il fiume di parole che il ragazzo le aveva gracchiato nel corso della serata, non ricordando realmente i contenuti ma solo suoni sconnessi, pronunciati in una voce troppo acuta da una bocca con denti troppo storti. La sua mente si scosse di dosso quei discorsi vani come un cane appena rientrato dopo una giornata di pioggia.

Tornò a fissare la porta con nostalgia, sperando che potesse uscirvene almeno con il pensiero.

Niente uscì, ma qualcosa, improvvisamente, entrò.

 

Fu come un fulmine a ciel sereno, un rombo di tuono, un cadere dal letto.

Era il suono di una risata, una risata calda e squillante.

«Beh, ci vediamo allora! Fammi sapere, ci conto!». Ed era una voce, una voce profonda, eppure incredibilmente fresca, una voce di miele tuffato nel tè bollente.

 

«Tutto bene?»

Florence si riebbe come da una trance, sbattendo gli occhi un paio di volte prima di realizzare.

«Come?»

Di nuovo quella risata. Rideva con l'anima che gli avvolgeva la voce, gettando la testa un po' all'indietro.

«Ti ho chiesto se ti senti bene» ripeté con tono gentile «sembri giù di corda».

Era un ragazzo con una birra in mano. Tutto sommato un ragazzo qualunque, comune, eppure nei suoi tratti brillava una suadente tipicità, come se ogni suoi tratto fosse perfetto, nella sua normalità. Alto, ben formato, vestiva di scuro con gusto tipicamente inglese. Aveva la pelle bianca, di un bianco luminoso e incorrotto, e i suoi capelli erano neri, e ogni riccio si muoveva nella sua perfetta definizione appoggiato dietro le orecchie; una singola ciocca ricadeva delicatamente sulla fronte, spezzando la continuità di due sopracciglia dritte e scure, quasi severe. Naso dritto, labbra turgide e rosate.

Sono dopo qualche secondo alzò gli occhi nei suoi: erano scuri, dalla mandorla delicata e sensuale, leggermente allungata, come se le ombre che naturalmente gli di dipingevano sul viso ne definissero l'espressione languida e indagatrice.

«Sono solo...» provò a dire, notando che lui non distoglieva lo sguardo dalla sua espressione più stupida che stupita «arrabbiata».

Il ragazzo sorrise di un sorriso che gli illuminava il viso, ma non era beffardo. Appoggiò la birra sul bancone: «Spero non con me!»

Lo guardò confusa, alzando un sopracciglio per sottolinearlo: «Come potrei? Neppure ti conosco!» scosse la testa e tornò a finire il suo pessimo drink.

«Qualcosa di serio?» lo vide agguantare una sedia e sedervisi al contrario, a gambe aperte, coi gomiti sulla spalliera e il viso fra le mani «Hai bisogno di parlarne? Non necessariamente con me, si intende, magari posso trovarti qualcuno di più adatto, tipo...» alzò la testa lasciando ciondolare le mani giù dalla spalliera, guardandosi intorno con quel suo sguardo indagatore; allungò un dito inanellato verso un punto in fondo alla sala «quello!».

Il dito puntava verso un enorme omaccione pelato, ricoperto di tatuaggi e infilato in un giubbotto di pelle di almeno un paio di misure troppo piccolo.

«Direi di no».

«Beh, allora quello là!» esclamò lui indicando un tipo smilzo, abbastanza ubriaco da gracidare come una rana semisdraiato sul suo tavolo.

Le venne da ridere, ma stette al gioco: «Mi pare poco adatto» ammise.

Il ragazzo allargò le braccia in segno di resa: «Allora mi tocca, temo!»

Florence accennò un mezzo sorriso: «In realtà non c'è nulla da dire» ammise con un'alzata di spalle «solo una coinquilina stupida e un tizio noioso».

«Diamine, speravo di starti simpatico!»

Finalmente rise: «Ma no, il ragazzo che era con me prima! Una noia cosmica!»

Il ragazzo la scrutò dal basso, come cercando di studiare l'autenticità della sua reazione: «Non sembri più arrabbiata» concluse con un'ombra di soddisfazione nel tono della voce.

«Lo sono, ma non con te…?»

«Mitchell, chiamami Mitchell».

«Florence».

«Firenze!» fece eco Mitchell, ammirato «ai tuoi piace l'Italia?»

“Un punto per te, Mitchell”, pensò lei in un sorriso “se sei stupido lo sei meno di Nathalie”. Finì il drink con un'espressione disgustata.

«Non buono?»

«Atroce».

Lui scosse la testa: «Se vogliamo che ti passi la rabbia, non puoi bere qualcosa di cattivo» sentenziò alzandosi. Le porse una mano «Andiamo!»

«E dove?»

«Nei soliti posti» disse con noncuranza «a prendere una buona bottiglia di vino e a berla senza musica e gente di merda attorno».

«Ci stai provando?»

Mitchell ritrasse la mano come se fosse stato ustionato «Mi offendi!»

“Ci sta provando. Ma almeno in un modo più carino del teorema di Fermat. Ed è bello come una stella”. Si infilò la giacca, avvolse la sciarpa al collo, raccolse la borsa: «Andiamo!»

Quegli occhi neri la trapassarono: sorridevano. 

   
 
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