Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Always221B    18/06/2016    3 recensioni
-Agghiacciante. - commentai.
-Oh non essere sciocco. E' invenzione pura.
Gli passai la lettera, e lui estrasse un foglio giallognolo.
Bloccai la sua mano con la mia, trattenendolo.
-Andiamo John, non sarai mica superstizioso? -mi domandò Sherlock, sistemandosi la camicia viola.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ciao carissimi! Grazie mille di essere stati presenti! Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno lasciato una recensione, quelli che seguono le mie storie o le ricordano!
Eccovi il secondo capitolo di questo crossover, e perdonatemi se non è esattamente il massimo ma è molto difficile per me, sopprattuto perché è il primo!
Vi lascio alle gioie delle mie patatose OTP.
Ship come se piovessero!









                                                 Cene imbarazzanti



                                                                                     Bayonne, New Jersey (USA)
                                                                                              01:11 am
 
Si sentiva così abbandonato.
Senza un’ancora di speranza, tanto meno di salvezza.
Passeggiava con la barba incolta e il trench chiaro macchiato di olio e salsa.
Era caduto, ancora una volta, sapendo di aver nuovamente tradito la fiducia di suo Padre.
L’ennesima rivolta tra angeli lo stava soffocando,  pretendevano di averlo come leader, e lo controllavano costantemente affinché non si rimettesse in contatto con i Winchester.
‘Sono pericolosi Castiel.’ gli aveva detto la sua amica Anna. ‘Non farti coinvolgere.’
Il problema è che ormai stava sentendo quello che aveva sempre voluto provare.
Solo che non era gestibile come avrebbe sperato, o immaginato.
Era immerso nel turbine di passioni e sensazioni che gli umani non smettevano mai di provare.
E poi c’era quello che succedeva quando vedeva Dean.
Che non sapeva cosa fosse, ma era a conoscenza del fatto che era diverso con chiunque altro, ma in fondo era consapevole che era sempre stato così.
Ripensava ancora a quella voce che non cessava di chiamarlo, fino a diventare quasi un sussurro esasperato, fino a bruciare e a marchiarli la mente.
Suono che tintinnava nelle sue orecchie, che gridava con tutto sé stesso qual era la strada che avrebbe dovuto prendere.
Castiel continuava a vagabondare nei vicoli bui e stretti di qualche malsana periferia del Bayonne, alla ricerca di qualcosa che il suo migliore amico aveva lasciato lì.
Davanti a lui, finalmente, il nero brillante della vecchia Chevrolet Impala del ’67 coperto da uno strato di polvere alto quasi due dita.
L’angelo sorrise, soddisfatto.
Aprì la portiera dell’auto e maledisse il fatto che non aveva idea di come si guidasse, nonostante avesse avuto a che fare con altre vetture.
Per l’affetto che provava per il proprietario era spaventato all’idea di rovinarla.
Prese un bel respiro. ‘Dean mi ucciderà.’ Pensò, facendo partire la macchina in modi tutt’altro che convenzionali.
Si sedette e sistemò lo specchietto.
Sarebbe tornato da Dean tra qualche ora, avrebbe rivisto la sua famiglia di cacciatori.
Ricordò la terribile  giornata in cui dovette abbandonarli, per via di sanguinose battaglie tra i suoi fratelli. Il giorno in cui i Winchester dovettero lasciare lì l’autovettura, scappando per l’ennesima volta dalla polizia.
Partì, lasciandosi dietro il New Jersey alla volta di Baltimora, seguendo quella voce che non cessava un attimo di chiamarlo, frustrata.
 
 
                                                                           Baltimora,  Maryland
                                                                                                                                                                                                              Tre ore dopo
 
-Hai preparato tutto, Sammy? – domandò Dean,  dando un’ultima occhiata rassegnata al bunker dove stavano vivendo.
Suo fratello ridacchiava, consapevole che la preoccupazione del maggiore fosse dovuta al suo terrore per gli aerei. –Sì, lo sai. Prendiamo l’auto di Bobby.
-Rivoglio Baby.- rispose lui, tentando di regolare il tono della sua voce.
‘Quelle dannatissime macchine volanti’  pensò.
In effetti gli aerei erano sempre stati il suo incubo.
Giganti ammassi di ferro che pretendono di poter volare.
Non era come farlo con Castiel, con lui era diverso.
-Ok, preso tutto? – domandò, ancora una volta, seduto nella vettura.
-Per l’amor del cielo, metti in moto questa vecchia carretta. – rispose Sam, divertito dall’aria esasperata di suo fratello. –Sono contento, comunque, che tu abbia cambiato idea.
-Non l’ho fatto. – sentenziò l’altro, girando la chiave e mettendo in moto l’arcaico pick-up.
L’autostrada era vuota, solo poche macchine passavano a quell’ora.
Sammy non era abituato ai viaggi in auto silenziosi, faceva strano non sentire la musica rock riempire la vettura. –Ci vorrebbe della musica. – disse infatti.
-Baby avrebbe provveduto. – rispose suo fratello, ripensando alla sua bellissima Impala.
-Carry on my wayward son… -iniziò ad intonare il più piccolo.
-There’ll be peace when you are done…
-Lay your weary head to rest…
-Don’t you cry no more! *
I fratelli si guardarono, sorridendo.
Era la loro canzone, dopotutto. Quella della loro vita, che li avrebbe uniti per sempre.
In un’impercettibile frazione di secondo la scena mutò.
Dean frenò bruscamente, non riuscendo ad evitare lo scontro con un’altra auto.
-Brutto bastardo.- il maggiore scese dalla auto, lasciando suo fratello immobile sul sedile, che fissava l’altro con un certo sconcerto.
Iniziò a correre, raggiungendo l’altra autovettura.
Gli bastò una rapida occhiata per riconoscerla: Baby era di nuovo di fronte a lui.
Ogni graffio, ogni ammaccatura, erano segni della vita dei Winchester.
E ora aveva un faro rotto.
Aveva acciecato baby.
Aprì con rabbia lo sportello, e trovò davanti a sé i due grandi occhi oltreoceano dell’angelo per cui aveva quasi perso la voce.
Se non la testa.
-Bastardo. – ripeté, tirandolo per il trench e facendolo sollevare. –Cosa ti è saltato in mente? – gridò.
-Dean. – lo chiamò l’altro, semplicemente, con il suo solito sguardo stupito, come se si trovasse lì per caso, come se fosse appena stato svegliato.
-Cass. – sussurrò il maggiore dei cacciatori, stringendo il suo migliore amico in un abbraccio che iniziava a fare male.
 
 
                                                                                     Londra, Inghilterra
                                                                                      11:00 am



Era una delle tante mattinate grigie di Londra.
Sherlock giaceva immobile sul divano ormai da un paio d’ore.
Era immerso nel suo mondo, nel suo palazzo mentale.
Il suo telefono iniziò a squillare, due, tre, quattro volte.
Senza che lui paresse sentirlo.
La stanza era immersa nel buio, ma per abitudine ormai riuscivo a distinguere le sue forme, e in particolare quelle del mio inquilino.
Le mani giunte sotto il mento a punta.
La carnagione pallida che brillava come sassolini sotto la luna.
La debole luce proveniente dall’unica finestra gli rischiarava il volto.
Due rughe di espressione sulla  fronte facevano crollare quel moto di perfetta apatia ed indifferenza.
Gli occhi color cielo nascosti dalle folte ciglia.
La sua voce profonda spezzò il silenzio. –John? – mi chiamò, rendendosi conto di essere osservato.
Fu imbarazzante essere colto nell’atto di guardarlo.
Liberò gli occhi gelidi dal peso delle palpebre, e mi scrutò, come se volesse dedurre il corso dei miei pensieri.
Sorrisi, e mi guardai i piedi, tentando di dissimulare la vergogna che stavo provando.
Ringraziai il cielo del buio, perché mi sentivo bollire, e ci avrei scommesso  tutto l’oro del mondo che stavo arrossendo.
Il problema è che con Sherlock Holmes i silenzi valgono molto più di quelle futili parole dette tanto per riempire le assenze di rumore.
Non necessarie, passive, immaginarie.
Ma con il consulente investigativo si vive di sguardi interminabili, palpabili.
‘Devo inventare qualcosa subito’, pensai.
-Ho sentito il tuo cellulare suonare. – dissi. – Non sapevo se te ne fossi accorto.
Fece roteare gli occhi al cielo, quasi deluso -Quando? –  chiese.
-Da un po’. – risposi, sorridendo al pensiero che non se ne fosse accorto.
Si mise a sedere, cambiando posizione. –Devo averlo rimosso. Preferisco i messaggi. – disse, guardando lo sfondo luminoso del suo cellulare.
-Non rispondi? – chiesi.
-E’ Mycroft.
Ridemmo.
-John, stasera andremo ad analizzare la casa.
-Ho una cena con Sarah.
-John, per favore.
Il suono della sua voce riusciva sempre ad ipnotizzarmi.
-D’accordo. – mi arresi.
Il telefono riprese a squillare.
-Rispondi. - disse, mettendomi il rumoroso aggeggio tra le mani.

“Dottor Watson, vorrei parlare con mio fratello.” Esordì la voce del maggiore degli Holmes, dall’altra parte del cellulare.
“Come…?”
“Non sprechiamo tempo. Ho una questione urgente di cui discutere. Gli dica che riguarda l’operazione DWF.*”
Ripetei a Sherlock la sigla.
Lui sbatté le palpebre, sbiancando.
Prese il telefono e salì al piano di sopra, per non farsi sentire.
Mi sedetti sul divano.
Il bisogno di riflettere si faceva sempre più opprimente.
Perché dovevo sentirmi sempre così?
Imprigionato in una gabbia di convinzioni.
Lui si allontanava da me, ogni giorno, ad ogni ora.
Sempre di più, come se avesse deciso per non so quale intuizione di privarmi di sé.
Le sue parole diventarono più fredde, gli sguardi più brevi.
E io restavo seduto lì, a contemplare il vuoto della sua poltrona, con una profonda fitta di disillusione.
Erano mesi ormai, che non riuscivo più a far finta di niente.
E Sherlock non smetteva di allontanarsi, convinto che non mi accorgessi della distanza che stava ponendo fra di noi.
-Una sciagura.- mi interruppe la sua voce in uno strillo degno solo di una vera prima donna.
Mi schiarii la voce. -Ora che succede?
-E se morissi? - continuò, senza ascoltarmi. - Sono in grave pericolo.
Amplificò il pathos del suo monologo con tangibili gesti di disperazione. -Ho bisogno di te, John.
Una preoccupazione folle iniziò a colorarmi il volto, o forse era stata quell'ultima frase, detta nel sussurro folle della paura.
-Che succede?
Il moro non pareva calmarsi, e lo strattonai, finché non mi ritrovai ad un palmo dal suo respiro.
E non mi resi più conto di niente.
Perché era lì, con le pupille dilatate, che accompagnava la mia presa con la sua mano.
Che mi stringeva, pur gridando di essere liberato.
Smisi di impugnare la sua camicia, e lo liberai dalla morsa che avevo creato con il mio corpo.
-La noia mi ucciderà. Tutto ma non la cena con i miei genitori. - disse, con un filo di voce roca.
-I tuoi genitori? -chiesi, perplesso dalla rivelazione. -Un soliloquio così solo per una cena di famiglia?
Lui mi guardò senza dire una parola, con la bocca semi aperta in una smorfia di disgusto e sconcerto.
-Devo venire con te?-gli chiesi.
-Come farei senza il mio dottore? – domandò, avvicinandosi a me.
Ancora una volta lo spazio personale era andato a fottersi, insieme alla razionalità di pensiero.
Giurai a me stesso che non avrei più permesso una cosa del genere.
-Non possiamo andare ad analizzare il probabile luogo del delitto. – sbuffò, come un bambino che fa i capricci.
 
 
                                                                           Londra, Inghilterra
                                                                            07:00 pm
 
La tavola da pranzo era lunga e spaziosa.
Apparecchiata per sei.
Doppi piatti, doppie posate, doppio bicchiere.
Sherlock mi tirò per il polso, sorprendendomi, come se fosse terrorizzato dall’idea di stare solo in mezzo agli altri.
Mrs Holmes sembrava euforica d conoscermi. – Sherly mi ha parlato così spesso e bene di te!
Sorrisi, comprendendo la bugia. – Oh, sono sicuro che Sherly non mi abbia citato tanto frequentemente . – risposi, ricalcando il nomignolo.
Sentii il mio amico strattonarmi la manica della giacca, ma rimanere perfettamente in silenzio, e immobile agli occhi di un osservatore esterno.
Era insolito vederlo così, era e sarebbe stata l’unica volta della mia vita in cui lo vidi  impacciato.
Quella casa era un mondo in cui tutti , o quasi, erano capaci di capire cosa provasse e come.
Pareva si sentisse spiato,  e l’impassibilità del suo sguardo e dei suoi gesti sembrava pian piano sgretolarsi.
Si stava mostrando. E io ero l’unico a rimanerne totalmente incantato.
-Sherly, Myc ancora non è arrivato! – sospirò la donna, ricevendo da suo figlio un moto scortese di ovvietà.
-John caro, accomodati pure sul divano! Ti porto subito delle foto del mio bambino quando era piccolo. – ridacchiò, dirigendosi fuori dalla porta, per poi salire al piano superiore.
-Ehm, Sherlock?
-Mmh?
-Tua madre è convinta che noi..? –tentai di chiedere, lasciando la frase incompiuta.
-Sì, pensa che anche tu sia gay. – sbuffò, visibilmente annoiato.
-Non era quello che intendevo.
-Sì invece. – sentenziò guardando in alto, con evidente stizza e noia.
-…Crede che stiamo insieme? – trovai il coraggio di dire
-Lo pensano tutti, non  fa differenza. –osservò.
-La fa per me. – risposi.
Mi scrutò per qualche istante, aprì la bocca per ribattere a la richiuse immediatamente, senza proferire parola.
Spaventosamente insolito.
-Ultimamente mi stai respingendo. – dissi, riuscendo finalmente a togliere fuori questa questione, che mi soffocava come un palloncino nella gola, impedendomi di respirare.
-Lo sai come sono John. Mi annoiano i vostri discorsi. Talvolta ho bisogno di passare del tempo con menti superiori rinchiuso nel mio Mind Palace.
Sorrisi per la pessima umiltà del mio amico, ma tornai subito serio. –Ti sento.. diverso.
Mi guardò con aria interrogativa, poi sorrise, sollevando l’angolo destro delle labbra. –Cosa vorresti da me, dottore?
-Magari vorrei te.
In quel momento vidi il perfetto palazzo mentale di Sherlock Holmes cadere mattone dopo mattone.
Sentivo il rumore dei cocci che si frantumavano cadendo al suolo da un’altezza così notevole.
Vidi il suo viso mutare espressione, per poi tornare impenetrabile, ancora più del solito.
Marmo: bianco, liscio, immobile.
Non rispose, amplificando la frustrazione di quei silenzi lunghi eternità che non smetteva mai di riservarmi.
-Sherlock, dì qualcosa. – tentai, spaventato dalla sua reazione.
Rimase ancora a guardarmi, ma in quegli occhi di cielo pioveva.
La bocca semi aperta, come se non riuscisse più a  muoversi secondo il regolare ritmo del tempo.
Quello sguardo dal colore indefinito mi fissava, il verdeazzurro che danzava nel ciano e nell’antracite.
Mrs Holmes tornò con il libro delle fotografie tra le mani, me lo consegnò con un sorriso melenso, e poi andò in cucina per finire di preparare le varie pietanze.
Ma suo figlio continuava a non muoversi, a non distogliere lo sguardo.
Lei non sembrò accorgersene..
-Sherlock, ti prego, dimmi qualcosa.  Qualunque cosa.
Iniziava a diventare frustrante, imbarazzante.
-Me? – domandò, con un gli occhi pieni di inconsapevole spavento.
-Sei mio amico, Sherlock, direi il migliore che io abbia mai avuto. – replicai – potresti tornare in te?
L’uomo mi guardò, sforzò un sorriso, un po’ come al solito, e riprese le sembianze marmoree che aveva sempre avuto.
Come se la conversazione tra noi non fosse mai avvenuta.
-Hey? – lo chiamai.
Ma lui non sembrò sentirmi, e seguì i passi di sua madre.
Feci lo stesso.
-Oggi  conosceremo la fidanzata di Myc. – disse Mr Holmes, felice.
Guardai il mio coinquilino, notando che sogghignava.
-Myc? – gli sussurrai, divertito.
L’appena nominato suonò al campanello, entrando con la solita perfetta eleganza britannica.
Tutti attendevamo il suo ingresso, nel corridoio, come se fosse una qualche celebrità.
‘In effetti’, pensai, ‘è il governo britannico.’
L’uomo fece oscillare per tre volte il suo ombrello, prima di decidersi ad appoggiarlo.
Giurerei che fosse triste di abbandonarlo.
-Lei dove sta? – chiese Mrs Holmes, sorridendo, mentre aiutava suo figlio maggiore a levarsi il cappotto.
-Lui. – la corresse Sherlock. –Sei ingrassato, fratellino?
Mycroft Holmes tirò un sorriso. –Sono dimagrito.
-Attento con la cena, non si sa mai quanti chili sei in grado di sopportare. –continuò a stuzzicarlo.
Risi sotto i baffi, sperando di non essere visto, ma tutti si accorsero di me.
Il maggiore entrò, e dietro di lui intravedemmo un uomo.
I capelli brizzolati, grigio biancastri,  gli occhi scuri  e il sorriso caldo e morbido.
Rimasi qualche secondo a bocca aperta, rendendomi conto di chi mi trovavo davanti.
Era uno dei miei migliori amici, e io non sapevo niente.
-Salve Gavin. – esordì Sherlock, ondeggiando.
Non riuscivo a non guardare il suo corpo perfetto.
-Greg. – lo corresse l’ispettore Lestrade.
-Ancora ti fai chiamare così? – domandò il consulente investigativo.
-Oh per l’amore del cielo Sherlock, Gregory non ha inventato il suo nome. –intervenne Mycroft.
-Ah. – il mio coinquilino  sembrò deluso, - non me l’avete mai detto.
Risi, e lui mi guardò. Sorrise. –L’abbiamo fatto. – risposi.
Mr Holmes guardava la scena, insicuro se intromettersi nel discorso. –Oh beh,- riuscì a dire, infine, all’ispettore –spero che almeno a te, tra gli uomini della famiglia, piaccia il football.
Lestrade sorrise, felice di essere stato accettato tanto facilmente da dai genitori dei due più grandi geni che Londra abbia mai visto. –Assolutamente sì.
-Andiamo a tavola!- disse il signor Holmes.
Rimasi indietro, tirando Sherlock –Lestrade e Mycroft? Da quanto lo sapevi?- domandai, sconcertato.
-Come sei noioso John, era lampante. –rispose, saccente.
-Ma no! –protestai.
-Sotto gli occhi di tutti.  –riprese, con tono ovvio.
-Ma Sherlock!
-Cristallino. –continuò, con un lampo di sfida nello sguardo.
-Oh sì giusto. Per te è sempre tutto così ovvio.
Il mio migliore amico sollevò un sopracciglio.
-Era eterosessuale. – tentai di fargli capire la mia perplessità.
Lui rise.
-Cosa? – chiesi, infastidito , come se si fosse beffato della mia di sessualità e non di quella di Greg.
-Bisessuale. –sentenziò, aspettandosi da me una qualche reazione, ma la mia risposta non fu differente dal ‘Ah, giusto.’
-E tu? – mi chiese lui,  mantenendo un sorriso beffardo.
-Finora non ho mai provato attrazione per gli uomini.- risposi, tentando di chiarire una volta per tutte il concetto.
Ed era vero, dannazione. Fottutamente vero.
Fino ad ora.
-E per me? – domandò, confuso.
E’ umanamente impossibile descrivere l’autocontrollo con il quale risi, fingendo che fosse una battuta, per poi dirigermi in cucina per tentare di far diventare normale la mia carnagione.
Ma io conoscevo Sherlock Holmes, e in cuor mio sapevo, e speravo, che non avrebbe lasciato in sospeso la discussione.
Mi seguì, e si sedette al mio fianco.
Mrs Holmes iniziò a riempire i piatti di cibo.
-Mi piace l’autocontrollo dei soldati. – mi sussurrò all’orecchio.
‘Che fa’? Si mette anche flirtare ora?’ pensai.
Mi voltai a guardarlo e risposi : -Non so di cosa parli.
‘Imposizione John Hamish Watson. Non ti serve altro. Hai invaso l’Afghanistan, dannazione.’
Eppure le mie labbra si seccavano e la gola diventava sempre più arida, e per quanto mi sforzassi non riuscivo a smettere di guardarlo nemmeno per un attimo, terrorizzato dall’idea di vederlo ancora andare via.
-Ah no? –mi chiese, tirando ancora la manica della mia giacca da sotto il tavolo.
Aveva dedotto il mio desiderio di un suo contatto.
Non gli risposi, provando a non ascoltare la disperata sensazione che cominciava a farsi strada in me sempre più prepotentemente.
Sentii il riccio poggiare una sottile mano lattea sulla mia coscia sinistra.
Tossii, tentando di ignorare il suo tocco.
Mentre il desiderio di spogliarlo si faceva sempre più esasperato.
E lui l’aveva capito.
Quella vicinanza folle e priva di confini stava logorando il mio buon senso.
Continuavo a guardarlo, lasciando perdere il fatto che tutti, compreso lui, lo stavano notando.
La sua pelle lunare, il corpo aggraziato ed elegante, così alto e caldo, al contrario di ciò che sembrerebbe.
I folti ricci scuri indomabili, come il suo carattere.
Presi un sorso di vino come per poter permettere la fuoriuscita delle parole. –Sherlock che stai facendo?
Il moro sorrise e non rispose, fingendo di ascoltare spazientito il discorso dei suoi genitori.
-Sono così felice che mi abbiate presentato i vostri fidanzati. – stava dicendo la signora Holmes, prima di iniziare un brindisi. –A voi! – brindò, sorridendo ai suoi due figli.
-Non siamo una coppia. – risposi, meccanicamente, senza ormai pensare nemmeno più a quel che stavo dicendo.
Nessuno, tranne Sherlock, ribatté, ma l’espressione divertita di  Mycroft mi fece intuire che lui sapeva.
-Io sento il tuo corpo dire tutt’altro. – bisbigliò il consulente investigativo.
Lo sentii sbottonare i miei jeans.
Tossii, per coprire l’eccitazione che ovviamente il Politico avrebbe notato comunque.
-Oggi tossisci spesso, non starai mica male. –scherzò Sherlock, in un suono praticamente inudibile.
Schiacciai il piede del mio amico, cercando d farlo desistere.
Continuai a schiarirmi la voce, senza mai parlare.
La fame era completamente cessata, ma mi sforzai ad ingerire qualche boccone di cibo, e non solo il vino, necessario per trovare una scusante all’imbarazzo che mi colorava le gote.
-Vedi John, - cominciò –non sarò bravo in queste cose.
-No, per nulla. –affermai, guardando gli altri Holmes e Lestrade alzarsi dalla tavola dopo aver finito il pasto.
-Vi lasciamo soli.  – bisbigliò Mycroft, allontandosi con Greg e il resto della famiglia.
Sherlock lo ignorò -Ma se c’è qualcosa in cui sono imbattibile è la chimica.
-Tu sei pazzo. – gli risposi.
Finalmente trovai il coraggio ti togliergli le mani dalle mie gambe, spaventosamente vicine al mio sesso. –Avrebbero potuto scoprirci.
-Scoprire cosa? – mi chiese, ancora una volta atono.
-Di noi.
Fece uno strano effetto dirlo.
-Nessuno lo saprà. –rispose, impassibile.
-Cosa significa quello che hai fatto? –domandai, disperato.
-Cosa pensi che voglia dire?
 
 


                                                                  Aeroporto,           Baltimora
 
-E’ ora di cena o di colazione? –chiese Cass, guardando un grande orologio davanti  al posto in cui erano seduti attendendo l’arrivo dell’aereo,  che segnava  le quattro e mezzo.
-Spuntino. –disse Dean, guardandosi intorno alla ricerca di un H24.
Castiel piegò la testa di lato, come faceva sempre, e il maggiore dei Winchester lo trovò tenerissimo.
‘Ho davvero detto questo?’ pensò il biondo, sconcertato da sé stesso.
-Quello dovrebbe essere un bar.- disse Sam, indicando un punto ad una ventina di metri da noi.  –Sembra sia aperto, le luci sono accese anche lì.
Cass si guardò intorno e, notando che vi erano molte poche persone, poggiò una mano sulla spalla del suo migliore amico e lo portò poco distante all’ingresso della caffetteria.        
Sam ridacchiò, vedendo Dean e Castiel che in lontananza si sfiorarono la mano.
Quando la coppia si avvicinò con i caffè, trionfante, Sammy fu felice di non essere più seduto da solo.
-Come mai non hai risposto alle nostre chiamate? – chiese rivolto all’angelo.
-Ero sorvegliato. In Paradiso, vi volevano morti. –affermò, scuro in viso.
-Nessun cambio di programma, dunque. –disse Dean, cercando il lato ironico della situazione.
-No, nessuno. –rispose Cass, serio –mi dispiace Dean. Non avrei voluto lasciarti.
Sam rise sotto le basette.
Dean gli sorrise.
-Hey, aspetta.  – disse il più piccolo –non potresti portarci tu? – chiese a Castiel.
-No.- sentenziò il biondo. –E’ stanco, ha fatto un viaggio lungo e le lotte ai livelli superiori l’avranno sfinito. Non ce la farebbe mai.
Il moro sollevò un sopracciglio. 
‘Vuole andare in aereo per non farlo stancare?’ pensò, e risorrise maliziosamente.
-Che c’è Sam? È tutta la sera che fai sorrisini strani. Fai paura. – intervenne Dean, scocciato.
-No, niente. È che sembrate una coppia sposata.
Sammy venne fulminato dallo sguardo del cacciatore  più grande.
Il biondo osservò l’angelo bere il caffè e stupirsi ad ogni sorso, che non sembrava essersi accorto della discussione che stava avvenendo e che lo riguardava.
-Non osare commentare. –Dean sgridò suo fratello minore, che si stava preparando una nuova battuta.
Sam l’aveva capito da subito. Da quando suo fratello sembrò perdere letteralmente la testa.
E fissava quel blu, incapace di essere salvato dalla profondità di quell’abisso.
Il più alto dei Winchester sorrise soddisfatto, guardando il suo computer portatile. –Ok, sono riuscito a prenotare il tuo biglietto, Cass.
L’angelo sorrise. –Dove stiamo andando?
-Belgio. –rispose Dean, prontamente.
-Che succede?
-Charlie ha bisogno di una mano. Un fantasma che a quanto pare non si riesce a catturare.
-I resti? – domandò Castiel, che ormai aveva appreso l’arte della caccia.
-Non si trovano, la rossa sta impazzendo : ha hackerato tutti i siti possibili, ma non ha trovato niente. – rispose Sam.
-Qualche idea? – chiese ancora l’angioletto moro.
-Niente di niente. – intervenne Dean.                  







Spazio note:
Nota1: testo della canzone dei Kansas 'Carry on my wayward son', diventata ormai simbolo della serie di Supernatural.
La traduzione potete trovarla ovunque, questa è quella della strofa che ho citato: 'Non ti fermare figlio ribelle, ci sarà pace alla fine. Posa la tua testa stanca e falla riposare,non piangere più. 
Nota2 : DWF la sigla sta per 'Dinner with family' ovvero cena con la famiglia.



Eccoci qui alla conclusione di un altro capitolo! Spero che vi sia piaciuto, lasciatemi un commento!
Ciao ciao fangirl! E fanboy? D: 
Baci, al prossimo capitolo!
   
 
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