Liam
Per qualche strana ragione,
nonostante detestassi con tutto
il cuore qualsiasi cambiamento imprevisto apportato alle mie giornate
accuratamente organizzate, mi era sempre piaciuto cogliere di sorpresa
le
persone.
Quella volta poi mi ero impegnato sul
serio e lo avevo fatto
in prima persona. Diane, negli ultimi due giorni, mi aveva osservato in
silenzio mentre bisbigliavo al telefono per poi sparire
all’improvviso
dall’ufficio dandole l’ordine di deviare tutte le
chiamate sul mio telefono
cellulare. Più di una volta mi venne la tentazione di
chiederle una mano o
perlomeno domandarle un consiglio ma poi ritornai sui miei passi, ancor
più
deciso di prima a terminare il lavoro senza aiuti esterni.
Avevo dovuto recuperare le ore di
lavoro perse nell’organizzazione
di quella serata durante quella fascia oraria, dalle dieci
all’una di notte,
durante la quale solitamente mi dedicavo alle mie solitarie sessioni di
running
ma l’espressione di autentico stupore di Felicity aveva
ampiamente ripagato il
sacrificio e le ore di sonno in arretrato.
Ammirai soddisfatto il mio lavoro,
anche se tecnicamente io
mi ero occupato più della parte puramente economica e
organizzativa, e abbassai
lo sguardo per capire se la mia compagna si fosse ripresa o avesse
ancora la
bocca deliziosamente aperta a o.
Quello che vidi mi
destabilizzò ancora di più:
«Stai…stai
piangendo?», le chiesi osservando il luccichio sospetto che
appannava quegli
occhioni e minacciava di dare il via ad una cascata da un momento
all’altro.
Dopodiché successe
qualcosa di ancora più inaspettato e
sorprendente: Felicity iniziò a prendermi a pugni. Con gli
occhi invasi dalle
lacrime, lacrime che evidentemente non era affatto contenta di star
versando,
iniziò a colpire alla cieca il mio petto mentre tentava allo
stesso tempo di
trattenere i singhiozzi e riempirmi dei peggio insulti del suo
vocabolario.
«Liam Carter Wright! Come
ti permetti? No-non puoi
fare…così! Cosa accidenti pensavi di combinare?
Testa di un cavolfiore che non
sei altro! Io-io…arghhh!», continuò a
tempestarmi di
pugni sempre più deboli fino ad arrestarsi
e ad abbandonare i palmi delle mani inerti contro il cotone chiaro
della mia
camicia.
Poi fece una cosa che non mi sarei
mai aspettato da Ms. Van
Houten, sempre molto allegra ma anche attenta a mantenere le distanze e
ad
assicurarsi che tutti stessero al proprio posto senza che le si
avvicinassero
più del dovuto. Fece un passo nella mia direzione e
posò il capo contro la mia
spalla, le sue mani sempre posate delicatamente sul mio torace.
Del tutto impreparato
dall’inspiegabile svolgersi della
situazione smisi di pensare alla precisa scaletta che avevo chiara in
mente per
quella serata e decisi di comportarmi in modo naturale, senza calcolare
troppo
quali parole avrei detto di lì a poco e quali azioni avrei
compiuto. Allungai
una mano e iniziai ad accarezzarle i capelli chiari. Li avevo sempre
ammirati
da lontano: lucenti e sempre costretti in mille acconciature
disordinate. Quella
sera li portava sciolti, a decorarle il capo come una cascata dello
stesso
colore del sole e dal dolce profumo di mandorla.
«Non ti piace? Posso
riportarti a casa ora, se vuoi…»,
chiesi piano.
Lei non si mosse ma si
limitò a sussurrare piano,
solleticandomi il collo con il fiato. «No! Voglio restare. Lo
voglio davvero. È
solo che…che è tutto troppo bello. Ed
è per me. Cioè almeno penso tu lo abbia
fatto per me…E io…accidenti, lo sai benissimo che
coltivo sogni romantici fin
dall’asilo e vedere tutto questo, sembra troppo un sogno che
diventa realtà per
credere che sia tutto vero»
Abbassai lo sguardo e la vidi fissare
con sguardo vacuo la
pelle del mio collo prima di scuotere la testa e allontanarsi da me,
assicurandosi di rimettere la solita formale dose di distanza tra i
nostri
corpi. «Liam…io apprezzo davvero tutto
ciò ma, per favore, non aspettarti
chissà cosa da me stasera. So che ora in teoria sono libera
ma con Theo è
finita da così poco che io…», aggiunse
in modo frettoloso cercando di guardare
dovunque tranne che nella mia direzione.
Una scarica di indignazione mi
percorse da capo a piedi: con
chi diamine pensava di avere a che fare? Non ero certo un animale
guidato solo
dai suoi istinti e non avevo certamente organizzato quella serata con
chissà
quale oscuro e perverso proposito.
Lei dovette percepire il mio
risentimento, mi si avvicinò di
nuovo e mi prese una mano tra le sue, stringendola lievemente.
«Scusa, io non
intendevo insinuare niente. Mi fido di te, Mr. Liam»,
mormorò scrutandomi
attentamente negli occhi come alla ricerca di un segno di perdono.
La verità era che sembravo
incapace di nutrire anche solo
un’ombra di riprovazione nei suoi confronti, ci avevo provato
ma avevo fallito
miseramente. Quella ragazza poteva avere mille difetti eppure emanava
una luce
così accecante che tutti quelli venivano messi in secondo
piano. Una grazia
tale poteva essere solo un dono innato; quel suo modo, quasi casuale,
con cui
si prendeva cura delle persone, così come delle sue piante e
del suo amato
giardino, era meraviglioso nella sua totale naturalezza. Felicity,
senza rendersene
conto, col suo disordine e la sua smemoratezza era riuscita a dare un
senso a
quel caos che era stata la mia vita prima d’ora.
Lei ovviamente non poteva sapere, se
non attraverso quello
che io o quella pettegola di Judith le raccontavamo, quanto fosse
desolata e
priva di scopo la mia vita e quanto potente fosse stata la scossa che
il suo
arrivo aveva assestato a quest’ultima.
Era completamente all’oscuro del fatto che
avessi richiesto al giudice
minorile di rivedere il tipo di affido di Arabella, per poter ottenere
più
settimane in sua compagnia anche al di fuori del periodo estivo, o che
avessi
trovato un affittuario per il mio loft a partire da settembre, mese in
cui mi
sarei definitivamente trasferito a vivere nella restaurata casa di
campagna del
nonno. Non aveva idea di quante ore avessi trascorso in quel giardino,
sua
opera e creazione, a godermi i caldi raggi del sole e a domandarmi
perché
diamine scoprissi solo a trent’anni suonati la bellezza
disarmante della natura
e la pace che questa offriva.
La cosa divertente di tutto
ciò è che era stata Mildred a
farmelo notare. Qualche giorno prima, mentre io e Felicity seduti su
una
panchina del parco cittadino ci assicuravamo che Arabella non si
spezzasse
l’osso del collo nei suoi giochi scatenati in compagnia di
altri piccoli
teppistelli, lei mi aveva accennato brevemente al fatto che lei e
Theodore si
erano lasciati.
Colpa della
distanza,
o almeno credo. Così aveva detto. Non si era
soffermata troppo sui
particolari anche se mi aveva colpito il fatto cheavesse concluso
dicendo che
si sentiva sollevata per aver posto fine a quel rapporto.
Non era cambiato nulla dopo quel
pomeriggio. Fino a due sere
prima quando ero stato convocato a cena da Queen Mildred.
Come sempre aveva cucinato, o meglio
aveva fatto cucinare,
piatti tanto elaborati quanto poveri di grassi e di sapore e si era
presentata
a cena fasciata in un abito più adatto ad un incontro alla
Casa Bianca che ad
una semplice serata tra ‘amici’ ma stavamo parlando
di Mildred quindi niente
riusciva a stupirmi.
Gabriel, ormai esperto camminatore,
aveva tentato per tutta
la sera di sfuggire dal radar materno senza però riuscirci.
Matt, leggermente
alticcio a causa del vino ad alta gradazione che avevo portato, parlava
un po’
a vanvera con l’unica conseguenza di irritare oltre misura la
sua astemia
consorte. Malefica, terribilmente stizzita dopo l’ennesima
battutaccia del
marito, aveva spedito Matt e il pargoletto a dormire e mi aveva rapito
con la
scusa di offrirmi un caffè. Mi aveva invece scortato in
giardino dove si era
accomodata su un divanetto in vimini
facendomi poi segno di seguire il suo esempio e sedermi
accanto a lei.
In segno di ribellione mi sedetti sì, ma di fronte a lei.
Mai farle intendere
di poterti comandare a bacchetta, il povero Matthew ancora ne pagava le
conseguenze.
Dopodiché aveva
accavallato le sue lunghe ed eleganti gambe
e si era lanciata nella proclamazione dell’Ode
a Felicity, brano poetico che a quanto pareva era caro a
tutte le persone a
me più vicine. Mildred, sempre avara in fatto di complimenti
e lodi, mi
raccontò come la sua iniziale opinione su Ms. Van Houten
fosse cambiata
radicalmente dopo averla conosciuta grazie al progetto di mettere a
nuovo il
giardino.
Effettivamente, cosa che avevo colto
ancor prima di varcare
la soglia d’ingresso ed unirmi alla loro tavola, il mio
sguardo non aveva
potuto fare a meno di notare come, dopo il piccolo intervento di
Felicity, ogni
singola fogliolina di quel verde giardino raccontava qualcosa della
ragazza.
Solo lei avrebbe potuto selezionare dei delicati vasi di terracotta
smaltata
dai colori dell’oceano, riempirli con le più
rigogliose ed odorose piante
officinali e disporli in una graziosa composizione che adornava il
portico
anteriore. Come solo un suo intervento avrebbe potuto trasformare lo
spoglio
muro di cinta in una cascata dalle tinte accese, grazie ad una serie di
cassette
in legno pensili contenenti una profusione di surfinie fucsia.
«Tu sai, Liam caro, che
nonostante i tuoi mille difetti non
ho mai mancato di apprezzare il tuo buongusto e il tuo indiscutibile
stile.
Perciò comprenderai la mia sorpresa quando, due
martedì fa, si presentò alla
mia porta colei che dichiarava di essere la giardiniera da te
consigliatami.
Portava una salopette di velluto tagliata al ginocchio, perdio! Una salopette, capisci? E aveva un modo di
fare senza dubbio fin troppo brioso e pieno di entusiasmo. Chi mai si
infervorerebbe in quel modo all’idea di sporcarsi di fango ed
essere divorata
da stupidi insettuncoli? Ho avuto poi modo di offrirle una limonata e
scambiare
con la signorina due chiacchiere riguardanti argomenti che esulassero
da
sementi e travasi. E sai cosa mi ha sorpreso? L’ho trovata
terribilmente
franca. Non parlo di una schiettezza che rasenta
l’impertinenza ma piuttosto di
un candore quasi infantile che le impedisce di nascondersi dietro un
qualsiasi
tipo di comportamento artificiale o costruito ad arte per compiacere
altri. Ti sei
accorto di come guarda sempre fisso negli occhi il proprio
interlocutore? È sempre
attenta, in un modo quasi premuroso, eppure, nonostante questa sua
dolcezza l’ho
trovata senza dubbio sveglia e dalla risposta sempre pronta. Ci credi
che io
stessa non ho potuto trovare nulla, vestiario a parte, che me la
facesse
risultare sgradita come mi succede praticamente con quasi tutte le
persone con
cui faccio conoscenza? E così dannatamente
amabile quella creatura! Tutta sorrisi e capelli dorati. Non
riesco proprio
a capire perché tu non l’abbia ancora rapita e
sposata!». Mildred pareva
terribilmente infastidita e mi guardava con muto rimprovero. Leggevo
nelle sue
iridi chiare una palese accusa. Liam,
zuccone che non sei altro, perché non ti accorgi mai delle
cose che sono proprio
sotto al tuo naso?
Le sue parole mi avevano lasciato
interdetto, non solo per
il loro contenuto ma piuttosto per il fatto che fossero state
pronunciate
proprio da quella donna. Donna a cui si potevano imputare molte
mancanze ma
certamente non quella di essere alquanto arguta. Mildred, nonostante
tutto, era
una persona molto realistica, che non amava girare per lungo tempo
intorno ad
una faccenda, preferendo piuttosto affrontarla di petto e risolverla.
Qualunque
fosse poi il risultato. Era una donna forte dopotutto. Forse fin troppo.
Mi passai stancamente una mano tra i
capelli e allungai le
gambe di fronte a me. Sospirai, non avevo ancora ben capito dove la mia
interlocutrice volesse andare a parare alla fine. Quale era lo scopo
ultimo di
quel bel discorso?
«Potresti anche avere
ragione ma non capisco cosa ti aspetti
che faccia…», le risposi in modo interrogativo.
Speravo potesse chiarirmi quel
piccolo punto mancante che sembrava sfuggirmi. Felicity era un piccolo
concentrato di virtù, questo era assodato, ma non capivo
davvero come ciò
potesse condurmi ad attenderla presso un altare nel bel mezzo di una
natava
adorna di fiori.
Mildred sbuffò e
roteò gli occhi con fare esasperato, un
comportamento decisamente poco da lei, sempre rigida ed attenta ad
esercitare
un controllo ferreo nei confronti dei suoi muscoli mimici.
«Te lo devo davvero
dire io?»,
esclamò guardandomi come
per comprendere se fossi diventato idiota in quel momento o
più semplicemente
lo fossi sempre stato.
La verità era che quel
pensiero lo avevo già accarezzato
anche io. Forse solo nell’angolino più recondito
della mia mente, forse solo in
sogno, forse solo per una frazione impalpabile di tempo. Non ero certo
saltato
subito all’idea di metterle un bel diamante
all’anulare, prenotare un volo per
le Fiji e contattare un giudice di pace. Diciamo che avevo immaginato
una vita
insieme a quella donna dalla testolina tanto bionda quanto sbadata. O
perlomeno
mi ero interrogato riguardo ad una possibile quotidianità
condivisa. Come avrebbe
potuto essere? Impossibile? Facile? Felice?
Quella pallida idea, dopo le parole
di Mildred, acquistò
colore e spessore e iniziò a prendere pian piano possesso
della mia mente. Quelle
ultime settimane, dal punto di vista lavorativo, si erano rivelate
estremamente
improduttive. La presenza di Arabella e il pensiero di Felicity mi
avevano
distratto in un modo che, ne sono certo, Montgomery Van Houten non
aveva mai
permesso a sé stesso.
Ecco, Arabella poi non mi aveva di
certo aiutato a
semplificare quel già complicato quadro. No,
perché sua figlia, notoriamente
molto volubile e poco avvezza a mostrarsi cordiale con persone che non
fossero
i suoi genitori, e talvolta neppure essi, aveva adorato Felicity. La
bambina
pareva non aspettare altro se non le ore passate in compagnia della
giovane
donna e si era rabbuiata quando le avevo spiegato che la ragazza doveva
lavorare e non poteva trascorrere tutto il tempo a mangiare fragole e
rincorrere farfalle con lei. E quest’ultima si era comportata
in maniera
esemplare; era stata spontaneamente affettuosa, pronta a dedicarle
generosamente il proprio tempo libero, senza però arrogarsi
il diritto di
comportarsi a mo’ di madre surrogata. Le aveva spazzolato i
capelli soffici,
avevano cantato insieme Lei it go
piroettando a piedi nudi sull’ampio prato che separava la mia
casa dalla sua, e
aveva voluto bene alla mia bambina. E quest’ultima cosa non
aveva potuto fare
altro se non conquistarmi.
«Ti prometto che non
verserò più una sola lacrima di
coccodrillo questa sera. Ora possiamo avvicinarci?», mi
domandò Felicity, un
timido sorriso a curvarle le labbra.
Per un attimo rimasi a fissare quella
bocca rosea e piena
domandandomi se mai avessi avuto occasione di assaporarla. Anche solo
per una
volta. O anche per tutta la vita.
Invece di risponderle intrecciai le
mie dita alle sue e mi
diressi verso l’ingresso dell’orto botanico segnato
da un arco di rose
rampicanti, attorno a cui era stato delicatamente avvolto un lungo filo
formato
da tante piccole lucine iridescenti che brillavano nella penombra della
sera e
davano il benvenuto in quel piccolo paradiso di cui era il fiero
custode.
Avevo insistito a lungo
affinché il risultato fosse di
sobria eleganza e l’atmosfera fosse leggermente fatata senza
scadere in una
messinscena pacchiana e palesemente costruita per apparire romantica.
La presenza
di romanticismo, ai miei occhi, dipendeva dall’attitudine
delle due persone
coinvolte piuttosto che da tappeti di petali di rose o striscioni con
plateali
dichiarazioni.
Il semplice vialetto
d’ingresso, modestamente illuminato ai
lati, conduceva al laghetto circolare e alla piccola pagoda rialzata,
dietro
alla quale si ergeva fiero un enorme salice piangente.
«Posso già dirti
che finora tutto mi sta piacendo tantissimo
e che sono contenta di essere stata rapita?», mi
sussurrò all’orecchio, prima
di ritrarsi veloce e lasciarsi andare ad una risata cristallina.
Era proprio questo che mi attraeva di
lei, Felicity non
lesinava complimenti od apprezzamenti e se qualcosa le piaceva non
faceva altro
che ammetterlo candidamente. Altre donne avrebbero atteso fino al
momento
finale, tenendo il proprio compagno sul filo del rasoio fino
all’ultimo, prima
di manifestare la propria opinione al riguardo. Felicity no, lei non
aveva
ancora visto il vero traguardo di quella serata, eppure si era
già dichiarata
felice e contenta di quello che finora era successo, riuscendo in un
sol colpo
a rassicurarmi e a regalarmi parte della sua gioia.
Mi sentii strattonare gentilmente e
così mi decisi ad accelerare
il passo per accontentare l’impazienza della mia
accompagnatrice.
«Quel salice risplende come
di luce propria. Caratteristica sospetta,
non trovi?», mormorò tra sé prima di
adeguare la direzione dei suoi passi in
modo da raggiungere l’ampia e fitta cortina di fronde del
salice in pochi
passi. Attese un attimo e poi allungò lentamente la mano che
non stringeva la
mia e scostò con cautela quella rigogliosa cascata verde.
Uno spiraglio di luce si
ritagliò sulle nostre figure mentre
Felicity, con mio grande disappunto, abbandonava la mia mano e
scompariva oltre
la coperta di rami, escludendomi così all’esterno.
Un paio di passi e anche io
entrai in quel magico cerchio che avevo con tanta cura creato.
E successe di nuovo. Questa volta a
parlare non fu un’esplicita
frase della ragazza ma la sua espressione. Assoluto rapimento. Ruotava
piano su
sé stessa, come per assicurarsi che fosse tutto vero. Ed era
tutto vero: quell’intima
cupola all’ombra dell’antica pianta, quelle tante
lanterne color crema che
creavano giochi di calda luce tutt’attorno, quel semplice
tavolo decorato con
ogni sorta di prelibatezze.
«So che rimangiarsi le
proprie parole non è propriamente un
comportamento esemplare ma, accidenti Mr. Liam, dopo tutto questo io non ho quasi più
fiato e non so se posso davvero fidarmi
di te. O di me…», concluse, un tremore quasi
impercettibile nella voce.
Non potei trattenere un sorriso
nell’udire quelle parole. Immediatamente
le dozzine di furiose telefonate con il servizio catering o
quell’incompetente
di un guardiano dell’orto botanico, le ore di lavoro perdute
e gli appuntamenti
posticipati, lo stress accumulato, i troppi caffè, tutto
ebbe senso.
Un impertinente brontolio
disturbò quel momento e mi resi
conto con divertimento da chi provenisse. «Che ne dici se ci
accomodiamo?», le
proposi, scostando per lei la sedia dal tavolo e aiutandola a prendere
posto.
Si lasciò andare ad un
sospirò, «Sei così galante»,
commentò
civettuola.
«E tu sei così
adulatrice», ribattei prontamente, mentre
andavo ad occupare il mio posto di fronte a lei.
La osservai sistemarsi i lunghi
capelli dietro le spalle e
dispiegare il candido tovagliolo in pregiata stoffa sul suo grembo.
«Allora:
cosa prevede il menù?»
Saziati nostri stomachi entrambi
concordammo sulla necessità
di una bella passeggiata al chiaro di luna. Lasciammo la nostra piccola
bolla e
ritornammo sotto il cielo stellato. Felicity si attardò un
attimo a lanciare un’ultima
occhiata alle sue spalle e a passare la mano tra le foglie fruscianti
del
vecchio salice. Pareva quasi un saluto.
Si diressero verso la riva, dove il
laghetto silenzioso e buio
abbracciava la sottile ghiaia che precedeva il dolce pendio
d’erba che
conduceva al giardino.
«Vedi quella pagoda? Ho
sempre pensato che sarebbe stata
perfetta per un matrimonio. Così esposta alla luce,
così vicina all’acqua…»,
commentò indicandomi la piccola struttura in legno.
Ci avvicinammo lentamente, le nostre
mani intrecciatesi
quasi senza pensarci a non permetterci di allontanarci l’uno
dall’altro.
Osservai le piccole guglie lignee che
decoravano il tetto
dalla forma a pagoda e aggrottai la fronte. Cosa c’entrava
quello spigoloso
particolare puramente gotico con le morbide curve del resto della
struttura? Appesantiva
la costruzione e la rendeva cupamente minacciosa, costellata di punte
aguzze
come appariva. «Mi pare più adatta ad un funerale.
Si trova rivolta a nord,
prospicente verso il lago in modo da riversare in esso le ceneri del
defunto
senza troppo disturbo. C’è persino un teschio
intagliato nel legno del
parapetto, guarda qui…», le mostrai, passando
piano le dita su quel disegno
abbozzato.
Una testolina bionda fece capolino da
dietro la mia spalle e
si sporse ad osservare la piccola figuretta macabra. «Uff,
Mr. Liam, sei terribilmente
pessimista! Diciamo allora che questo pare il posto adatto a celebrare
i passi
più importanti che caratterizzano i cicli della vita degli
uomini?», mi
concesse lei.
«Com’è
magniloquente, Ms. Van Houten! E mi dica noi cosa
vogliamo festeggiare?», le domandai cingendole la vita con un
braccio e
avvicinandola a me. Posai la guancia sul suo capo mentre sentivo le sue
mani
avvolgermi i fianchi e carezzarmi piano la schiena con fare distratto.
Alzò di colpo il viso e mi
fissò, un ghignetto malefico
stampato in volto. «Il tuo funerale? Pensa,
c’è un teschio inciso da un qualche
delinquente, chissà quale oscuro e funesto significato
potrà mai avere! Secondo
me è un segno premonitore, Mr. Liam, stai
attento…», mi soffiò in pieno volto,
prendendosi chiaramente gioco di me.
Mi finsi offeso e feci per allentare
la mia presa sul suo
corpo ma lei non me lo permise, alzando le braccia per circondarmi il
collo e
imprigionarmi. «Hai degli occhi enormi, Signorino Due
Cognomi. Non li avevo mai
osservati da così vicino…»,
mormorò poco dopo spezzando il silenzio.
Abbassai il capo per avvicinarmi al
suo volto e le chiesi
soffice: «Così come sono?»
Lei sorrise divertita e mi
sussurrò lieve: «Giganteschi»
Diminuii ulteriormente la distanza
che separava i nostri
nasi e le posi la medesima domanda.
«Immensi. Ora
chiudili…», mi ordinò dolcemente poco
prima di
chiuderli lei stessa.
Rimanemmo qualche secondo
così, abbracciati, gli occhi
chiusi e il frinire delle cicale tutt’attorno.
Poi in un soffio mi ritrovai a
baciare quella bocca morbida
che tanto avevo osservato, ascoltato e desiderato.
Non so chi fece il primo passo ed
immagino resterà per
sempre un mistero.
Anzi lo spero.
Capitolo breve ma l’ho scritto
di getto in questi due giorni
e terminato proprio ora, un occhio che si chiude memore
dell’alzataccia di
stamattina, e l’altro troppo stanco per trovare eventuali
errori. Eh sì,
carissimi lettori miei, che posso dire? Fatto il misfatto!
Ringraziamenti ed
abbracci a voi, che leggete, commentate (cuori
miei) e
mettete in preferiti e vari. Attendo impaziente le
vostre opinioni!
Ormai ho perso il
controllo del livello di miele per capitoli. E pensare che non sono
neanche
innamorata e perciò giustificata nel mio vedere e nello
scrivere in una nuvola
rosa di tanto ammmore.
Notte a tutti e alla
prossima!
S.
P.S. Potrò non
aggiornare per un bel mesetto ora perché, ragazzuoli miei,
la sessione estiva è
qui ormai e minaccia di farmi soccombere.