Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: talkingdead    19/06/2016    2 recensioni
“ [...] Sapeva soltanto che si trovava in grossi, grossissimi guai, e belli seri. Parafrasando in termini spicci, era incastrato tra le gambe di Levi, con la punta del naso sul suo petto e l’orecchio a un centimetro di distanza dal cuore. [...] ”
→ questa fanfiction partecipa al contest di rhys89, " Giochi o non giochi? " / / /
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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UNO STUPIDO GIOCO NON HA MAI UCCISO NESSUNO - FINORA 
⇉ questa fanfiction partecipa al contest di rhys89, " GIOCHI O NON GIOCHI? "


Era tutta colpa di Sasha. Quella sera, quando si era avvicinata agli altri e aveva preso posto attorno al fuoco che Jean e Connie si erano preoccupati di accendere, a nessuno era sfuggito il fatto che stesse nascondendo qualcosa. E in effetti tutti potevano dirsi ben consci di quanto lei avesse preso senza farne fin troppo segreto, cosa che peraltro stava trattenendo sotto il mantello come il coltello di un bracconiere. Ancora una volta aveva saccheggiato il sacco dei viveri e si era impadronita di una patata, la più grande, l'unica che alla definizione di "gigante" aveva il potere di farla sorridere e scatenare la famelica follia di quella che alla storia sarebbe passata come "la ragazza delle patate". Eppure, mentre lei piano piano scottava il suo spuntino serale con un rivolo di saliva alla bocca, nessuno tra i presenti sospettava che la vera patata bollente sarebbe arrivata da lì a due minuti, e che lei stesse aspettando di aver ben cotto lo stuzzichino solo per godersi le facce altrui.
« Sapete, ragazzi... stavo riflettendo –» esordì solenne prima di affondarvi i denti, tempo che permise a Connie di sottolineare le sue ultime parole con una battuta che i presenti trovarono molto reversibile, e a Jean di prepararsi per il peggio con una smorfia che diceva "ci siamo già arrivati la settimana scorsa, a quello che devi dire". « Dovremmo divertirci, di tanto in tanto – c'è un gioco che i ragazzi facevano e al quale io non potevo prendere parte quando ero piccola... » facile, troppo facile: un'altra battuta di Connie volò rasoterra così pericolosamente che poteva benissimo mirare a se stesso, e la smorfia di Jean si era camuffata in una sorta di "allora probabilmente ci siamo già arrivati lustri or sono." « Lo chiamano "7 minuti in paradiso" e qui ci vuole, dato che stiamo all'inferno da troppo tempo. » L'ennesima battuta e l'ennesima smorfia di compiacimento stavano per palesarsi a mo' di costante, ma Mikasa fu più svelta e zittì ogni più piccolo sussurro di ribellione. « Facciamolo. » E se ci stava lei, allora erano dentro anche tutti gli altri. Doveva essere una serata pacifica, una di quelle riunioni insignificanti fra nuove reclute, come tutte le altre sere intorno al fuoco quando si parlava del più e del meno, di come Connie fosse in grado di emulare i versi dei cavalli e di quanto Jean potesse somigliarvi. Eppure non era destino: il fato e la sfortuna ci avevano messo lo zampino in una lega più forte di quella bianca, in un podio combattuto tra chi era in grado meglio di assestare il calcio in culo più colossale della storia. E no, non si trattava di un gigante, ma di qualcosa di più piccolo e ugualmente letale: Hanji. Eren si era lasciato andare con spensieratezza per tutta la serata, beandosi del fatto che il suo nome non fosse stato estratto accanto a quello degli altri e che sì, poteva sperare di passarla liscia per quella volta. Ma poi era subentrata Hanji, che come al solito aveva dovuto ficcare il naso in questioni più grandi di lei e, chissà perché, i nomi possibili si erano moltiplicati. Eren si stava alzando, rassegnato a bei sogni e grandi speranze, quando Hanji cominciò a sventolare un foglietto e urlare come una forsennata.
« Ereeeeeen, ho vinto! Ho vinto! Ho trovato il tuo noooome! »
E mentre tutti si avvicinavano cercando di vedere chi sarebbe stato il prossimo con la stessa bramosia di Eren, che, invece, non volendo avervi niente a che fare aveva già cominciato a correre, la sua voce squillò nell'aria e con quella colpì al petto il cuore del ragazzo.
« Eh? Bingooo! Ho la mano fortunata, fatemi pescare ancora! È la mia serata, me lo sento. »
Non aveva sentito il suo nome, né aveva intenzione di chiederlo per semplici motivi: non gli interessava e poi non c'era nessuno con cui voleva chiudersi in una stanza al buio. Eppure, quella notte continuò a rigirarsi nel letto immaginandosi di essere in una stanza chiusa, in compagnia di qualcuno che non riusciva a vedere.

La mattina seguente si era svegliato male, tutto trafelato e spettinato e con un gran disordine nella mente. E ora si trovava lì, a fallire ogni tentativo di una trasformazione perfetta e a mancare ogni prova, il che lo infastidiva e lo faceva sentire utile quanto della cacca di cavallo su un pavimento. Fuori luogo, fastidiosa e senza senso, qualcosa da rimuovere assolutamente – prima di pranzo. È così che Levi gli stava dettando ordini al riguardo: non si sa come, un cavallo doveva essere andato in una delle stanze più remote del castello, quelle raggiungibili solo con torce e illuminazioni che non avevano niente a che fare con la luce del sole, dato che lì non batteva mai e non c'erano finestre. E, chissà come, quel cavallo era perfino riuscito ad appiattirsi talmente al muro da non beccare una zuccata che lo avrebbe privato del muso e della criniera. A meno che quel cavallo non fosse pelato, senza zoccoli e più idiota. In ogni caso, toccava ad Eren pulire perché, a detta di Levi, in superficie e all'aperto non poteva essere che più inutile di quanto non ne desse prova lì, ma comunque qualcuno doveva farlo, e Levi stesso si era fatto supervisore attento dei suoi guai. Nemmeno due minuti, il tempo di arrangiarsi a fatica in quella sorta di scantinato, che subito erano fioccate lamentele riguardanti la sua pluripremiata lentezza e la frase d'esordio della sua famigerata intuizione: "devo rimuoverla?".
« Non se vuoi mangiarla: in quel caso dovresti solo fagocitarla e conservarla insieme a tutte le altre cazzate che dici. »
Non era il tentativo magro di fare conversazione, ma l'imposizione di un punto che la troncasse. D'altronde era noto a tutti quanto Levi fosse una persona molto loquace: Eren si era forse scordato di come doveva comportarsi per lenire il supplizio di trovarsi a tu per tu con il piacere fatto a persona? Levi, dopo un'ulteriore esortazione a terminare quel lavoro in fretta, decise di mostrargli come si dovesse pulire. Fu proprio con quell'intento che superò la soglia, raggiungendo fin troppo velocemente quel buono a nulla che reggeva un manico di scopa e quella mole di deiezioni equine che dovevano essere sgomberate il prima possibile, specialmente perché non voleva stare lì troppo a lungo. Se Levi si mosse animato da quei buonissimi propositi, rivolgendo un'affermazione seccata a quel povero ragazzo, non lo fu altrettanto chi ne approfittò per chiudere la porta nel momento stesso in cui il caporale si aggiunse a quel bel quadretto. Quadro che diede ancora una volta parola alla sacra intelligenza di Eren tentandola con un semplice:
« Merda! »
« Ah sì? Ma bravo, non me ne ero accorto. »
Ma Eren non si riferiva al letame che stava alla sua sinistra occupando gran parte della stanza che era fin troppo piccola. Lui stava parlando di ciò che stava davanti a sé, della sagoma che poteva immaginare ad un passo di distanza. E sì che era stipato nell'angolo: se ci fosse stato più spazio avrebbe chiesto al caporale di indietreggiare, ma il problema è che proprio mancavano quei dannati centimetri di sicurezza che lo avrebbero fatto sentire più al sicuro. Avrebbe dovuto capirlo prima, dalla situazione che puzzava troppo - e no, non la merda. Cioè anche! - e dall'affermazione di Hanji quando aveva pescato l'altro biglietto.
Eren aveva invano creduto che il gioco sarebbe stato sospeso appena fosse uscita Sasha, che certamente doveva averlo proposto per mangiarsi chissà cosa al buio, indisturbata, magari con un complice. Invece era toccato a lui, e quel cavallo che si era scaricato in quella stanza aveva lasciato molto di più che una traccia del suo passaggio: doveva essere opera di Jean, perché poteva benissimo sentire le sue risate nel saperlo lì, con - con Levi. E come nel sogno, il ragazzo si sentì in trappola, in una stanza buia, stretta e con qualcuno a pochi millimetri di distanza.
« Cosa...? » Eren aveva lanciato quel punto di domanda timido, sperando che Levi lo prendesse come appiglio per ottenere qualcosa che facesse breccia in quell'atmosfera così tesa. Dovevano passare solo sette minuti: ce l'avrebbe fatta? Sarebbe uscito tutto intero? La risposta era ovvia, ed era negativa: per questo Eren si mosse verso la porta, per cercare ingenuamente di aprirla. Allungò solo un passo, e fu abbastanza: nessuno aveva mai detto che lui fosse un tipo sveglio, e infatti in tutto questo aveva dimenticato di muoversi con agilità e non troppa irruenza, perché il terreno da percorrere non era dei migliori. Scivolò con un tonfo per terra, strisciando su qualcosa di troppo morbido per poter essere definito pietrisco. Immaginò lo sguardo superiore di Levi che lo giudicava in malo modo, e decise che forse avrebbe fatto meglio a limitarsi a sporcare un solo fianco piuttosto che due; i soli vestiti che le mani. Cercando dunque di non poggiare le mani a terra, Eren cominciò a tastare alla cieca intorno a sé, cercando un qualunquissimo appiglio che non fosse un pugno d'aria. « Quella è la mia gamba, deficiente! » La voce di Levi non gli era mancata, affatto: quello che cercava Eren era un aiuto, non un'imprecazione. Appurò che quanto avesse detto Levi corrispondesse alla realtà tastando quello che, in effetti, pareva un polpaccio - un bel polpaccio. Il calcio lo sentì perfino arrivare, ma non fu mai così vicino come quando se lo sentì ben stampato sulla guancia. Eren, una mano a tamponare la guancia che bruciava, si ostinava a non mollare la presa e, anzi, nel tentativo di scansarne un altro, trascinò verso di sé l'unico appiglio sicuro che avesse per le mani. Strisciò verso il caporale con l'intento di chiedergli scusa e, facendo leva sullo spigolo del suo ginocchio, tentò di rialzarsi a fatica, sballottando a destra e sinistra a causa di un equilibrio già precario e il senso dell'orientamento tramortito. Non indugiò troppo su cosa avesse urtato e cosa lo avesse fatto nuovamente stramazzare verso il basso, né perché atterrò sul morbido. Sapeva soltanto che si trovava in grossi, grossissimi guai, e belli seri. Parafrasando in termini spicci, era incastrato tra le gambe di Levi, con la punta del naso sul suo petto e l’orecchio a un centimetro di distanza dal cuore. Batteva forte, pulsava come quello di Eren quando era terrorizzato, e a quella scoperta un’unica conclusione fece il punto della situazione: possibile che Levi avesse paura di lui? Il fatto che il caporale fosse muto e irrigidito a tal punto da non potersi sbarazzare di lui erano comunque indizi da dover considerare. In effetti, all’aperto era un conto: ci si poteva allontanare in fretta, e la fuga era davvero un’opzione validissima oltre l’attacco, nel caso in cui si fosse trasformato. Dentro, tra quelle piccole pareti, al buio e con i movimenti così limitati, chiunque avrebbe sperato di morire in fretta se si fosse trovato a tu per tu con un ragazzo maldestro che non riusciva nemmeno a controllare la sua trasformazione. Eren si sentì sconfitto: la sua mente cantilenava l’eco dei battiti impazziti del cuore di Levi a tal punto che non si sorprese quando scoprì che anche il suo cuore stava galoppando. Forse stava solo partendo in quarta, con la marcia sbagliata, forse il caporale si fidava di lui, anche in quella situazione. Ma come poteva esserne certo? Dopotutto non poteva nemmeno incrociare il suo sguardo per ricevere una conferma o una smentita… non un rimprovero o qualcosa, qualunque cosa che gli avrebbe fatto comodo. Eren decise comunque di provare a stabilire un contatto, seppur immaginario, e così fece per alzare il viso e puntare le pupille dove credeva avrebbe trovato quelle di Levi. Ma, come volevasi dimostrare, ciò che trovò non fu uno sguardo: il buio aveva divorato tutto. Eppure il suo sforzo non fu vanificato, anche se il tentativo di stabilire un contatto non si rivelò del tutto ben progettato. Fu un attimo, in effetti: le sue labbra sfiorarono quelle di Levi. E, nel momento stesso in cui se ne accorse, il suo cuore saltò un battito, riacquistandolo con un’altra scomoda scivolata sulla bocca del caporale. Le sue labbra erano morbide, ed Eren non si stupì di questa scoperta, ma solo del semplice fatto che vi si fosse soffermato pure a pensarci. E poi gli venne in mente quella volta in cui Christa, quasi spaventata, chiedeva se loro avessero mai baciato qualcuno. La risposta, quella volta, era più che ovvia per quanto riguardava Eren, ma quell’alzata di spalle tornava alla mente come se volesse abbassarlo di più verso il caporale, mentre quel no scivolava via, come una maledizione, verso il basso, verso le labbra che aveva abbandonato.
« Mi hanno detto che il primo bacio è qualcosa di speciale, e in qualche modo ti lega all’altro per sempre. »
Se era un modo per dire che non si sarebbe più scordato di Levi - oh, beh: quello non l’aveva mai messo in conto. Come poteva qualcuno anche solo sperare di dimenticarsi di lui? Se c’era stato un insistente imbarazzo contenuto da parte di Eren, quando sentì la mano dell’altro passare dietro la nuca come una carezza, il ragazzo si sentì esplodere come  un colpo di cannone. Uno di quelli sparati male, però, perché ancora una volta, probabilmente, pareva essere giunto alla conclusione sbagliata. La mano di Levi agguantò i suoi capelli e spinse con violenza la testa e il corpo del poveretto lontano da sé, con il comprensibile intento di alzarsi e sbarazzarsi di un peso che ogni secondo acquistava più libbre.  Eren si ritrovò ancora una volta a contatto col freddo del pavimento in pietra e, come se fosse appena piombato sulla terra dopo una caduta dal Wall Maria, riscoprì quello che a Levi non doveva essere mai sfuggito di mente: l’odore nauseabondo della causa di tutti i loro guai aveva riempito la stanza. Strano che non se ne fosse accorto prima, dato che era diventata una prova inconfutabile del fatto che non potevano più resistere lì dentro. Abbandonato ogni tentativo di rimettersi in piedi onde evitare ulteriori incidenti, il ragazzo alzò la spalla e trovò rifugio nell’incavo del braccio,  riacquistando anche la dovuta calma o, almeno, quanto bastava per non farsi prendere dal panico con frasi minatorie che comprendevano sempre costanti come “Levi”, “bacio”, “ammazzare” e sinonimi.  In quel momento, mentre cercava di sbollire l’imbarazzo immaginando la sua morte in versione umana o da gigante, sentì bussare alla porta –e finalmente si ricordò che quello non era solo un incubo ma anche un gioco, con delle regole, e che sarebbe finito molto prima del previsto. E con questa consapevolezza acquistò anche quella che gli permise di pensare che la porta non fosse realmente chiusa. Evidentemente anche Levi giunse a quella conclusione, tant’è che fu lui, con uno scatto veloce e seccato, a spalancarla e a permettere alla luce di entrare e al colpevole di materializzarsi oltre la soglia. Hanji sorrideva da dietro le lenti degli occhiali: Eren questo lo sapeva, e forse anche a Levi non sfuggì. Tuttavia la donna fu svelta a giustificarsi dicendo che aveva scoperto delle cose molto interessanti riguardo ad Eren e che il ragazzo le serviva seduta stante, e quindi doveva scortarlo nel suo pseudo angolo degli esperimenti. Per lei voleva dire “scienza a fin di bene”; per Eren “possibile salvezza” e per Levi “una scusa mal proposta ma accettabile”.  Tutti e tre avevano ottenuto quello che volevano: liberarsi dagli impicci. Eppure, Levi volle mettere le cose in chiaro mentre loro già tentavano la via di fuga. « Ottimo lavoro, Hanji. Ah, ed Eren – dopo devi venire con me: ti insegno come si fa a scopare.  »
Qualunque cosa intendesse, Eren la prese come una sentenza di morte, e il suo cuore riprese a battere con violenza, colto dal panico di quello che sarebbe potuto succedere. Come aveva detto, Sasha? “ Uno stupido gioco non ha mai ucciso nessuno – finora.”
 



 
   
 
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