Titolo:
Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico,
sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 3.307 (Fidipù)
Note: Tadaaaaaannn! Eccomi qua con il classico aggiornamento del
lunedì! Allora, prima di ogni cosa, qua
potete trovare il link del locale presente nel capitolo (Così non sarò la
sola a sbavare sulle foto, manco fossi Flaffy!). Che altro posso dire? Ah,
giusto! Beh, farete una nuova conoscenza in questo capitolo e il mistero
di Coeur Noir si sta leggermente dissolvendo...ormai manca veramente
poco.
Detto ciò, al solito, voglio ringraziarvi per i vostri commenti (qui e su FB), per il fatto che inserite questa storia in una delle liste messa a disposizione da EFP, perché leggete e mi sopportate con i miei millemila capitoli.
Grazie, di tutto cuore, grazie!
Adrien
sbuffò, camminando spedito per Rue de Rivoli e gettando un’occhiata
distratta al Museo del Louvre alla sua sinistra: «Qualcosa non va?» gli
domandò Marinette, allungando una mano e stringendo le dita attorno alla
stoffa della camicia all’altezza del gomito, inclinando la testa e
studiandogli l’espressione.
«Beh. Avrò una settimana infernale a partire da domani…» sentenziò il
ragazzo, liberando una mano dalla tasca dei jeans e catturando quella
della ragazza, portandosela alle labbra: «Avrei preferito fare qualcosa
con te, piuttosto che questo ritrovo di supereroi a cui dobbiamo
partecipare.»
«Perché tutto quello che dici ha qualcosa come millemila doppisensi?»
«Perché tu sei una coccinella pervertita, semplice.» le rispose
tranquillamente Adrien, facendole l’occhiolino e sorridendo: «Ti ricordi
di quando l’Imposteur rubò la Monna Lisa? Quel tipo poi cercava di
imitarmi facendo battute ridicole…»
Marinette aprì bocca, decisa a far tornare il discorso sulla sua natura
pervertita, ma rinunciò alla vista dello sguardo del ragazzo: «Quando Alya
mi chiamò avevo capito che qualcuno ti avesse rapinato…»
«Cosa?»
La ragazza sorrise, inclinando la testa: «E’ strano. Sono passati un po’
di anni, ma ricordo benissimo tutto e alcune cose sceme meglio di altre.»
«Ovvero?»
«Mh. Ti ricordi di quando abbiamo affrontato il tipo che si trasformava in
qualsiasi animale?»
«Sì.»
«Ti ricordi di come ti eri arrabbiato perché si era trasformato in un
dinosauro?»
«Io ricordo di qualcuno che si era lanciata di sua volontà dentro la bocca
di quel bestione…» sospirò Adrien, alzando gli occhi al cielo: «Ehi, E
quando Alya si trasformò in Lady Wi-fi nella metrò? Era sotto il controllo
della Marionettiste.»
«Sì!» esclamò Marinette, battendo le mani e ridacchiando: «Sai che quella
volta sei stato molto vicino a scoprirmi?»
«Davvero?»
Marinette annuì, riprendendo a camminare e ridacchiando: «Certe paure non
si dimenticano! Stavo dicendo a Tikki di trasformarmi ed ecco una mano
sulla spalla…»
«Ho sempre avuto un pessimo tempismo.» borbottò il ragazzo, scuotendo il
capo biondo: «Potevo sapere chi eri all’epoca e invece…Come quando ti
rinchiudesti in quello sgabuzzino ed io, imbecille!, chiusi la porta.»
«Beh, quella volta rivalutai un po’ Chat Noir.»
«Davvero?»
«Mh mh. Non era l’idiota totale che pensavo.»
«Grazie, sempre bello sapere l’opinione che avevi di me.»
«Vediamo…»
«Non inferire, my lady.»
«Avevo l’impressione di conoscerti da sempre…» mormorò Marinette,
battendosi le dita sulle labbra e sorridendo: «Comunque non eri il mio
tipo: troppo sicuro di te, senza contare i tuoi giochi di parole…» si
fermò, ridacchiando: «no, in verità quando li miagolavi eri divertente.»
«Non ero il tuo tipo? Miagolavo i miei giochi di parole?»
«Ah! E poi cercavi sempre di metterti in mostra…ok, questo lo fai anche
ora…»
«No, ma prego. Colpisci direttamente qua.» sentenziò Adrien, picchiandosi
il pugno sul petto: «Fai prima.»
«Però ero contenta che tu fossi con me.»
«Davvero?»
«Senza il tuo aiuto non so come avrei fatto a combattere tutti gli
akumatizzati di Papillon.»
«Ah. Ecco.»
«Beh, però hai anche molte qualità: combatti benissimo e so che posso
contare sempre su di te.» dichiarò Marinette, gettando indietro la testa e
sorridendo: «Se non ci fossi stato tu come Adrien…beh, avrei guardato Chat
Noir in un altro modo.»
«In pratica mi sono dato la zappa sulle zampe – l’hai capita? – da solo.»
«Io non sono stata da meno, no?»
Adrien ridacchiò, prendendole di nuovo la mano e camminando al suo fianco:
«All’epoca era tutto più facile, non pensi? C’era l’akumatizzato, lo
combattevano e ognuno per la sua strada: niente riunioni strategiche e
problemi su capire dove e quando il nemico attaccherà…»
«Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, mon minou.»
«A-ha. Questa l’ho già sentita.» Adrien le fece l’occhiolino, ridacchiando
e dandole un lieve colpetto sul naso: «Piuttosto, dov’è che Lila ha detto
di trovarci?» domandò, osservando il Palais Royal dall’altra parte della
strada: «Rue de Rivoli. Ma dove?»
«Penso che il locale che ci ha detto sia più avanti.» spiegò Marinette,
indicando davanti a sé: «Se ho capito bene quale locale è…beh, ci sono già
stata con mio padre.»
«Davvero?»
«Sì. Il titolare è un amico di papà e ci siamo andati qualche volta.»
«Quindi fanno dolci?»
La ragazza annuì con la testa, sorridendo: «E’ una sala da the, in verità;
ma monsieur Rumpelmayer – l’amico di papà – fa dei dolci…»
«Ottimo.» sentenziò Adrien: «Anche se non tradirò mai tuo padre.»
«Tranquillo, anche papà riconosce il talento di Rumpelmayer.»
«Quei vassoi di croissants e biscotti…» sospirò teatrale il ragazzo,
scuotendo il capo: «Ogni volta venivano da me e qualcuno li cacciava…»
«Non avevo già chiesto scusa per questo?» mormorò Marinette, alzando la
testa verso il cielo terso: «Era la prima volta che venivi a casa mia,
avevo fatto – avevamo fatto, perché Tikki mi dette una mano – tutta quella
fatica per sistemare camera mia e renderla presentabile e mio padre ci
disturbava ogni tre secondi…»
«Perché dovevi rendere presentabile camera tua?»
«Ah.»
«Ah che, Marinette?»
La ragazza ridacchiò a disagio, scuotendo il capo: «Nulla di che. Era
davvero in disordine, tutto qui.»
«Mh.»
«Davvero!»
Adrien sospirò, afferrando la borsetta della ragazza e aprendola,
sorridendo alla kwami rossa: «Ciao, Tikki!» esclamò allegro e notando la
piccolina inclinare la testa: «Stavi ascoltando, vero?»
«Sì.»
«Cosa mi sta nascondendo?»
«Semplicemente il fatto che aveva tappezzato tutta camera di tue foto,
ritagliate dai giornali?»
«Traditrice!» sibilò Marinette, imbronciandosi e voltandosi di lato,
mentre le guance le diventano rosse: «Uno pensa che almeno il suo kwami
non ti tradisca mai…»
«Avevi le mie foto appese in camera?»
«Penso di aver quasi sbavato quando vidi la collezione di tuo padre…»
sospirò la ragazza sognante: «Aveva anche la gigantografia della mia
preferita…»
«La cosa bella è che ha l’originale qui davanti.» dichiarò Adrien,
scuotendo il capo: «Terra chiama Marinette. Terra chiama Marinette.»
«Eh?»
«Ciao, sono Adrien. Il protagonista di quello che stavi fantasticando poco
fa.»
«Purtroppo l’originale ha il brutto vizio di parlare.»
«Eh, non posso farci niente. Ho provato anche a smettere, ma è più forte
di me.»
La ragazza sorrise, avvicinandosi e passandogli le braccia attorno alla
vita, stringendosi a lui: «Ma ti amo anche per questo.» sentenziò, alzando
la testa e sorridendo, mentre le guance le diventavano rosa acceso: «Ogni
tanto mi accorgo che mi ero innamorata solo di un aspetto di te.»
«Non è un problema, no?» dichiarò Adrien, abbracciandola a sua volta e
chinandosi, sfiorandole le labbra con le proprie: «Alla fine ti sei
innamorata della mia purffezione!»
«E ovviamente sempre a pomiciare, eh?» domandò la voce di Rafael:
Marinette sussultò, voltandosi di lato e incontrando lo sguardo sconsolato
del ragazzo che, assieme a Sarah, li osservava a pochi passi di distanza:
«State iniziando a essere insopportabili.»
«Sarah…» esordì Adrien, trattenendo una recalcitrante Marinette nel suo
abbraccio: «Dovresti stare attenta alle persone con cui giri. Piuttosto,
che ci fate insieme, voi due?»
«Qualcuno…» Rafael indicò con la mano l’americana, abbozzando un sorriso:
«Ha problemi di orientamento, così invece di doverla andare a raccattare
dalla parte opposta di Parigi, l’ho scortata fino a qui.»
«Ti ho già detto e ripetuto che ho problemi solo quando esco dalla metrò!»
«Ma guarda un po’? Per arrivare qui da casa tua bisogna prendere la
metro’!»
Sarah sospirò, roteando gli occhi e scuotendo il capo: «Tu sei stato
troppo tempo con Alex.» sentenziò, incrociando le braccia: «Vi comportate
allo stesso modo.»
«Mai pensato di essere tu il problema?»
«Pennuto…» mormorò Adrien, sorridendo ai due che si erano voltati verso di
lui: «Giusto per sapere, ma esiste un essere umano a questo mondo con cui
non litighi?»
«Forse?»
«Comunque…» s’intromise Sarah, indicando Rafael e sorridendo: «Qualcuno
parla parla, ma si è perso.»
«Non mi sono perso, solo non ho capito dove cavolo è il locale che ci ha
detto Lila!» sbottò il moro, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni
e imbronciandosi.
«Dovrebbe essere davanti il Giardino delle Tuileries.» spiegò Marinette,
indicando davanti a loro: «Poco più avanti su questa strada.» spiegò,
riprendendo a camminare con Adrien al fianco, mentre Sarah e Rafael si
accodavano.
«Il Giardino delle Tuileries?» domandò Sarah, voltandosi verso il compagno
e aspettando.
Rafael annuì, facendo scivolare una mano fuori dalla tasca e passandosela
sulla nuca: «Mh. Non ne so molto senza guida turistica, ma è un parco che
c’è fra Place de la Concorde e il Louvre.» borbottò, sospirando: «Ci
dovrebbero essere anche due gallerie e…»
«La ruota panoramica!» esclamò Sarah, raggiunto l’incrocio e indicando la
grande struttura che si elevava sopra il verde: «Voglio andarci! Voglio
andarci! Ci andiamo, Rafael?»
«Mi stai ricordando Flaffy quando vede una chocolaterie…» mormorò il
ragazzo, scuotendo il capo e ridacchiando: «Magari dopo la riunione
strategica degli Avengers parigini, d’accordo?» acconsentì, spingendo
l’americana avanti a sé e raggiungendo il lato opposto della strada: Sarah
annuì, tenendo d’occhio l’attrazione turistica e sorridendo allegra.
«Dovremmo esserci quasi…» mormorò Marinette, marciando spedita sul
marciapiede e osservando il colonnato dall’altra parte della strada:
«Dovrebbe essere più avanti.»
«Non facciamo prima ad attraversare?»
«Vorrei evitare di superarlo…» dichiarò Marinette, superando le scale che
scendevano sotto terra, segno che lì era presente una fermata della metrò:
«Tuileries. Ci conveniva scendere a questa…»
«Mi ricordate di quando vivevo a New York.» sentenziò Sarah, ridacchiando:
«Conoscevo benissimo solo la zona in cui vivevo.»
«Penso succeda un po’ a tutti quelli che vivono nelle metropoli.» dichiarò
Adrien, voltandosi indietro: «Anch’io so perfettamente l’isolato dove vivo
e quello di Marinette. Ah, anche quello della scuola; per il resto sembro
un idiota quando mi muovo…» si fermò, storcendo il naso: «Forse conosco
meglio Parigi via tetti…»
«Via te…Oh! Capito!»
«Eccolo!» esclamò Marinette, battendo le mani e indicando il tendaggio
grigio perla su cui spiccava il nome del locale, Angelina.
«Avevi paura di non vederlo?» domandò Adrien, facendo un cenno con la
testa verso le strisce pedonali e raggiungendole assieme agli altri: «Mi
spieghi come si potrebbe non vedere?»
«Ehi, tutto è possibile con me.»
Rafael ridacchiò, avvicinandosi al locale e notando la vetrina carica di
dolci: «Oh no!» esclamò, vedendo poi qualcosa di blu sgusciare fuori dalla
giacca e spiaccicarsi contro il vetro: «Flaffy!» sibilò, recuperando il
kwami e guardandosi intorno, mentre Adrien lo affiancava.
«Se questo è il paradiso, ti prego non riportami in vita…» mormorò
sognante il kwami, fissando alcuni pasticcini ricoperti di glassa al
cioccolato.
«Concordo con lui.» dichiarò Adrien, deglutendo e tenendoanche lo sguardo
sui piccoli capolavori di pasticceria che facevano bella mostra di sé in
vetrina: «Lasciatemi qui con queste meraviglie. Non portatemi via.»
«Sì. Rimaniamo qui…»
«Voi due siete preoccupanti.» bofonchiò Rafael, nascondendo nuovamente il
kwami sotto la giacca e afferrando il collega modello per il colletto,
trascinandolo dentro, al seguito delle due ragazze: Marinette avanzò nel
locale, sorridendo alle ragazze al di là del bancone e poi voltando verso
sinistra e trovandosi nella sala interna del locale; si guardò intorno e
sorrise alla vista di Lila e Wei, seduti a un tavolo in un angolo.
«Eccoli là!» esclamò la mora, avviandosi verso i due amici, seguita da
Sarah e i due ragazzi: «Scusate il ritardo.»
«No problem.» sentenziò Lila, osservandoli sedersi e ridendo: «Ho avuto
modo di studiare ogni cosa di questo meraviglioso posto.»
«E sbafare su ogni dolce che passava.»
«Sbavare.»
«Sba-va-re. Sbavare.»
Una cameriera arrivò da loro non appena tutti si furono accomodati e, con
un po’ di confusione, prese l’ordine: «Perfetto. Iniziamo la riunione
strategica supersegretissima, fatta in un locale chic con una sala piena
di gente. Chi prende la parola?» domandò Adrien, fissando a turno i
compagni: «Andiamo. Nessun coraggioso?»
«Chiedo subito scusa per non averlo detto prima, ma fra la partenza di
Alex e tutti quegli attacchi…» iniziò Sarah, muovendo le mani nell’aria:
«Beh, me ne sono dimenticata. Comunque prima di partire, Alex mi ha detto
che si è ricordato qualcosa…»
«Cosa?»
«Mh. Allora ha detto che Coeur Noir è una donna…»
«E lo sapevamo già.» sentenziò Lila, annuendo con la testa: «Allora. Coeur
Noir è una donna. Ok. Che altro?»
«Ha ricordato che nella stanza dove stavano c’era uno specchio. Uno
specchio strano…»
«E questo è nuovo.» dichiarò l’italiana, guardando seria il tavolo e
mordendosi il labbro inferiore: «Un altro specchio…»
«Sembra sia un tema ricorrente per Coeur Noir.» sentenziò Rafael,
poggiando le spalle contro lo schienale della sedia e sorridendo alle due
cameriere che erano giunte con il loro ordine: il gruppo le osservò mentre
disponevano bevande, dolci e tramezzini sul tavolo per poi andarsene:
«Mogui e i suoi problemi con la sua immagine riflessa, ora questo specchio
strano…»
«Strano in che senso?» domandò Adrien, voltandosi verso Sarah: «Alex te
l’ha detto?»
«Gli sembrava che il riflesso fosse vivo; comunque non ha ricordato
nient’altro.»
Il biondo annuì, sospirando sconsolato: «Con Sarah abbiamo fatto qualche
ricerca…» li informò Marinette, abbozzando un sorriso: «ma abbiamo trovato
poco o niente.»
«In Cina c’è la leggenda che i morti vedono la forma in cui rinasceranno
attraverso uno specchio magico.» buttò lì Wei, scuotendo il capo: «Ma non
penso centri molto con Coeur Noir.»
«In Italia abbiamo l’usanza di coprire gli specchi quando muore qualcuno
per non far imprigionare l’anima.» dichiarò Lila, stringendosi nelle
spalle: «Poi…boh, so che i vampiri non possono rispecchiarsi perché sono
senza anima e il basilisco – ringraziate Vooxi se so questo – muore se si
riflette in uno specchio.»
«E se il riflesso che Alex ha visto fosse un’anima intrappolata?»
«Se lo fosse, my lady.» iniziò Adrien, voltandosi verso la ragazza:
«Dobbiamo chiederci se è buona o cattiva.»
«Visto ciò che fa Coeur Noir, micetto, direi che sarebbe buona.» bofonchiò
Lila, alzando gli occhi al cielo: «E se Coeur Noir fosse una specie di
demone, spirito, che s’impadronisce dei corpi e imprigiona l’anima
dell’ospite nello specchio?»
Il gruppo si guardò a vicenda, sospirando: «Dobbiamo far parlare mister
Miyagi.» sentenziò Adrien, colpendo il palmo destro con il pugno sinistro:
«Sono assolutamente convinto che sa.»
«Sono d’accordo con te, perfettino.» assentì Rafael, osservando il resto
della tavola annuire: «Il maestro è l’unico che sa e direi che è anche ora
che ci dica tutto.»
Ascoltò il rumore della chiamata in uscita, respirando pesantemente: da
quanto tempo non la sentiva? Sicuramente un centinaio d’anni…
Possedere un Miraculous aveva donato a ogni portatore una vita più lunga
rispetto a quella di un comune umano.
Dopo che aveva lasciato la Cina, Fu aveva fatto di tutto per non sentire
più gli altri Portatori di Miraculous: sapeva che Zorro e Abeja erano
morti alla bellezza di centocinquant’anni, circondati dai nipoti e
pronipoti; di Pavão non aveva più saputo niente da dopo che era scoppiata
la Prima guerra mondiale, mentre Black Cat e Ladybug…
Loro non voleva assolutamente ricordarli.
Il cuore gli doleva ancora al pensiero dei due compagni, caduti durante la
loro lotta contro il male.
«Sì?» domandò una voce femminile all’altro capo della linea e Fu sorrise,
ascoltando il suono della sua lingua madre.
«Sto cercando Fa Mei. Le dica che la cerca Fu.» dichiarò, maledicendosi
per non aver controllato se la vecchia Portatrice del Miraculous della
Farfalla fosse ancora viva: minimo era morta e…
«Tu! Maledetto!» urlò la voce di Fa dall’altro capo, facendolo sobbalzare:
«Come osi chiamarmi dopo tutti questi anni e dopo che mi hai abbandonato
in quel modo?»
Ok. Era viva.
«Fa.» disse il nome dell’antica compagna, con tutta l’autorità che
possedeva, quella che aveva imparato a usare da quando era Gran Guardiano:
«Lei è viva.»
«Lei chi, vecchio maledetto?»
«Lei, Fa!»
«Hai una minima idea di quante Lei conosco?»
«Non Lei in senso di Lei!» sbottò Fu, spalmandosi una mano in faccia e
sospirando: «Lei lei!»
«Ti si è rincitrullito il cervello? Passami Wayzz, almeno con lui posso
fare un discorso decente.»
«Non posso. Wayzz non è più con me.»
«Come non è…» Fa si bloccò e Fu la sentì inspirare profondamente: «Un
nuovo Portatore?»
«Sì. Qui a Parigi è giunta una minaccia, una vecchia oscura minaccia…»
Sentì la donna dall’altro capo trattenere il respiro: «Mi stai dicendo che
lei è viva?»
«Te lo sto dicendo dall’inizio, vecchia incartapecorita!»
«Non darmi della vecchia, vecchio!»
«Vecchio è chi vecchio lo fa!»
«Questo discorso non sta andando da nessuna parte, Fu. Quanti Miraculous
hai già dato?»
«Tutti, Fa.»
Lila sorrise, osservando Sarah e Rafael in una delle cabine che,
lentamente, stava salendo; l’americana la salutò con la mano, voltandosi
poi verso il ragazzo e dicendogli qualcosa: «Qualcosa non va…» commentò
Wei al fianco dell’italiana, osservando il sorriso spegnersi sulle labbra
di quest’ultima.
«Hai presente quando hai una brutta sensazione, ma non sai riguardo a
cosa?»
«Sì.»
«E’ come mi sento.» dichiarò l’italiana, mentre lo sguardo le si posava su
Adrien e Marinette, in fila per andare sulla giostra: «Ho la sensazione
che qualcosa di brutto succederà, ma non so cosa o quando.»
Wei annuì, passandole un braccio sulle spalle e attirandola verso di sé:
«Farò tutto ciò che è in mio potere per evitare che la tua sensazione si
trasformi in realtà. Lo giuro.»
«Grazie, Wei.» mormorò Lila, abbandonandosi contro il corpo del ragazzo e
sospirando, lo sguardo che scivolava dalla coppia in fila a quella già
sulla ruota: «Voglio anch’io che non si trasformi in realtà.»
«Che bello!» esclamò Sarah, indicando il panorama parigino e ridendo:
«Immagino che di sera è cento volte meglio.»
«Ci sono le luci delle case, i monumenti illuminati…» spiegò Rafael,
voltandosi anche lui e osservando la città che si dipanava sotto di loro:
«Sì, decisamente meglio.»
«Ci eri già salito?»
«Una volta, quando ero piccolo: mio padre era stranamente a Parigi e
decise di farmi fare il turista…» il moro si fermò, grattandosi il naso
con l’indice e sorridendo al ricordo: «Andammo al Louvre e poi qui: mi
ricordo che avevo una paura assurda di salire e mi attaccai a lui per
tutto il tempo; arrivammo in cima e mi fece guardare il panorama,
dicendomi di non avere paura perché ero in alto: se dovevo morire, sarebbe
successo anche se fossi stato con i piedi per terra.»
«Quanti anni avevi?»
«Sette? Otto?»
«E tuo padre…»
«E’ sempre stato un tipo particolare.»
«Lo noto.»
«Comunque penso che fosse un modo tutto suo per dirmi di essere
coraggioso.»
Sarah sorrise, voltandosi e osservando la figura della Tour Eiffel che, in
lontananza, si ergeva su Parigi: «Quando mio padre morì, per un bel po’ io
non riuscivo a scendere nella metropolitana: mi sentivo mancare l’aria
ogni volta; un giorno mamma decise di andare a vedere uno spettacolo a
Broadway e…beh, per farla breve mi spinse letteralmente giù dalle scale,
costringendomi a prendere la metropolitana…» si fermò, voltandosi e
incontrando lo sguardo grigio: «Una volta sopra mi disse che non dovevo
aver paura di quello che aveva ucciso mio padre, perché non era detto che
mi sarebbe toccata la stessa sorte: penso fosse il suo modo per dirmi di
essere coraggiosa.»
«Anche tua madre era un tipo particolare.»
«Sì. Parecchio.»
Rafael annuì, voltandosi e osservando l’emblema parigino: «E secondo te,
lo siamo? Coraggiosi, intendo.»
«Io conosco uno degli eroi più coraggiosi di tutta Parigi e si chiama
Peacock.»
Il ragazzo si voltò, sorridendole: «Mi piacerebbe dire lo stesso di Bee,
ma se ne sta sempre appollaiata su un lampione.»
«Ehi, è una cecchina.»
«E’ coraggiosa anche lei: è venuta dall’America per inseguire Coeur Noir e
batterla. Secondo me è anche più coraggiosa di Peacock.»
«Non sminuirti, Rafael. Sei un grande eroe e Parigi è fortunata ad averti
come suo protettore.» mormorò Sarah, allungandosi e prendendo una mano del
giovane fra le sue, stringendola lieve: «Io sono onorata di conoscerti.»
Rafael fissò le loro mani unite e poi alzò lo sguardo verso Sarah,
fissandola negli occhi: «Non dovresti essere onorata di conoscere un tipo
come me: io sono…»
«Sei Peacock, eroe di Parigi e Portatore del Miraculous del Pavone. Devi
essere orgoglioso di ciò che sei, di ciò che indossi.»
Rafael girò la mano, stringendo quella piccola di Sarah nella sua: erano
quelle le parole che aspettava? Era per quello che aveva iniziato a
combattere? Sorrise, intrecciando le dita con quelle della ragazza e alzò
lo sguardo: «Grazie.»