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Autore: Laylath    20/06/2016    4 recensioni
Dal prologo:
"... Non lasciarmi!”
Quelle ultime due parole le procurarono un forte ed improvviso battito del cuore, risvegliandola bruscamente. Il buio era ancora attorno a lei, promessa di sicurezza ed oblio, ma qualcosa non andava.
Non riusciva più ad abbandonarsi ad esso come voleva.
Improvvisamente la sua memoria esplose di ricordi, di visi conosciuti, di voci che la chiamavano con insistenza...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Team Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 26
1914. Guardie del corpo




 
La stanza era spoglia, eccetto un basso letto cigolante ed un comodino con una gamba storta dove stava una lampada dalla luce tremula. Le pareti di legno, vagamente illuminate, emanavano un forte odore di umidità e muffa, le cui chiazze si intravedevano tra le ombre proiettate dai pochi oggetti presenti. Non c’erano finestre, l’unica via d’uscita era una piccola porta in fondo: l’odore di chiuso era tremendo ed il fatto che un grosso strato di polvere la facesse da padrone nel pavimento contribuiva a creare un forte senso di claustrofobia.
Riza trasse un profondo respiro, cercando di reprimere il pensiero che quello era tutto meno che il posto ideale dove portare una persona ferita, ed iniziò a levare i vestiti sudici di melma alla giovane che giaceva sul letto. Considerato che sfilarli era praticamente impossibile, date anche la particolarità dell’abbigliamento, non le restava che aiutarsi con delle rozze forbici da lavoro che aveva trovato in un vecchio mobile in un altro ambiente… pregando con tutta se stessa di non peggiorare una situazione già molto critica.
Cercò di essere il più delicata possibile, ma era chiaro che ogni movimento provocava fitte di dolore alla tremenda ferita che c’era all’altezza della spalla sinistra, là dove una volta si attaccava il braccio. Come arrivò in quella zona ed iniziò a tirare via la stoffa sporca, tirando inevitabilmente la carne viva, la ragazza di Xing emise un profondo lamento, simile al verso di un animale: i suoi occhi scuri si serrarono per cercare di trattenere il dolore, ma quasi a smentirla, delle lacrime iniziarono a colare sulle sue guance, lasciando solchi sulla pelle sporca.
“Mi dispiace – mormorò Riza, aiutandosi con un asciugamano bagnato per cercare di liberare la ferita dai lembi di stoffa rimasti attaccati – ma è necessario pulirla il meglio possibile.”
“Fai pure…” ansimò lei, parlando per la prima volta da quando Ling Yao l’aveva caricata in macchina, dopo quella rocambolesca fuga per le vie di Central City.
Era una voce molto giovane, la sofferenza la rendeva quasi infantile. A guardar bene quel corpo, ormai privato dei vestiti nella parte superiore, Riza intuì che la ragazza doveva essere poco più che un’adolescente: certo, c’era una grossa componente dovuta a un grande esercizio fisico, tuttavia si riconoscevano ancora i segni di una femminilità appena sbocciata e non del tutto adulta.
Quel dettaglio le fece provare una grande pena: quella giovane ragazza, per il resto della sua vita, avrebbe dovuto fare i conti con una menomazione grave come la perdita di un braccio. Di fronte ad una cosa simile persino la sua schiena sfregiata le sembrava ben poca cosa.
Abbassando di nuovo lo sguardo su quel viso tondo, che in altre occasioni sarebbe stato davvero delizioso, Riza si trovò scrutata dai profondi occhi scuri. Era come se la giovane avesse seguito il filo dei suoi pensieri e avesse realizzato che il suo braccio davvero non c’era più. C’era una strana forma di angosciosa sorpresa nella sua espressione, quasi non ci volesse credere, non sul serio… come se la supplicasse, di dirle qualcosa di confortante, che smentisse la realtà dei fatti.
Sì, un comportamento del genere era del tutto normale e lei lo sapeva: durante Ishval le era capitato di vedere soldati ai quali i medici erano stati costretti ad amputare qualche altro. L’incredulità era la stessa, così come il dolore e l’angoscia che trapelavano dallo sguardo della fanciulla.
“Allora ti chiami Lan Fan, vero? – disse, cercando di distrarla almeno per qualche minuto, sperando che il colonnello arrivasse presto con il medico promesso – non sono esperta di nomi di Xing, ma il tuo è davvero bello.”
“… il mio nome è bello?” lo chiese con sincera curiosità, come se non si fosse mai posta simili domande sul suo nome. A Riza sembrò davvero strano: persino lei, nella sua solitaria infanzia, si era spesso soffermata a pensare sul suo nome. A volte nei libri di poesie materni ne aveva trovato alcuni davvero meravigliosi, ma considerato che a scegliere il suo era stata proprio sua madre aveva finito per affezionarsi e a non volerne nessun altro.
Ma l’importante era che fosse riuscita nel suo intento di distrarla dalla ferita.
“Lo trovo molto musicale – annuì Riza, tornando a pulire la ferita – e ti sta bene.”
Lei annuì distrattamente e rimase per qualche secondo a farsi medicare come una brava bambina. Ma poi parve svegliarsi da quello strano limbo e si guardò attorno, cercando di identificare il posto dove si trovavano.
“… sua altezza! – mormorò, agitandosi lievemente, quasi volesse alzarsi a sedere – dov’è il principe?”
“No, stai ferma – la bloccò Riza, non potendo fare a meno di metterle una mano sulla spalla sana, ma provocando comunque una nuova ondata di dolore – se ti riferisci a Ling Yao, è fuori a fare la guardia e ad attendere l’arrivo del mio superiore con un medico per te.”
“Sta bene?” chiese con urgenza.
“Ha solo qualche taglio superficiale, niente di grave. Sei tu quella che ha bisogno di cure, non dovresti agitarti in un simile modo.”
“Ma io… non posso – protestò lei – …non posso stare ferma qui mentre sua altezza…”
Forse avrebbe aggiunto altro, ma una vertigine la costrinse a serrare gli occhi e posarsi pesantemente sul rozzo cuscino. Il suo respiro si fece ancora più ansimante e questo spinse Riza a passarle l’asciugamano bagnato sulla fronte e sul polso che ancora le restava, sperando che i suoi battiti si regolarizzassero.
“Così non fai che peggiorare la perdita di sangue – le spiegò, come se cercasse di far ragionare una bambina recalcitrante – credi che il giovane Yao sarebbe felice di sapere che non stai collaborando e stai rendendo le cose ancora più difficili? Durante il viaggio non eri cosciente, ma sappi che era molto preoccupato per te: continuava a chiamarti, a cercare di svegliarti. Sono sicura che quello che vuole è che tu ti riprenda.”
Lan Fan aveva riaperto gli occhi a quelle parole e la fissava mentre un timido rossore appariva sulle sue guance sporche.
“… preoccupato…” mormorò.
“Ci tiene a te – scrollò le spalle la soldatessa, lieta di averla calmata – altrimenti non mi avrebbe letteralmente obbligato a deviare dal percorso per venire a cercarti. E’ una brava persona.”
La giovane ferita la guardò ancora per qualche secondo, ma poi chiuse gli occhi.
“E’ il principe del mio clan – spiegò con voce roca, che sforzava di mantenere salda – il mio compito è proteggerlo.”
“Proteggerlo…”
“Sono la sua… guardia del corpo.”
A quell’affermazione Riza rimase leggermente interdetta: le sembrava inverosimile che lei e quella ragazzina svolgessero il medesimo ruolo. Eppure quell’affermazione ebbe il potere di farla andare oltre le apparenza adolescenziali di Lan Fan e di farle vedere la profonda determinazione che l’aiutava a restare cosciente.
Possibile che io e te siamo simili?
Avrebbe chiesto pure lei del colonnello, proprio come Lan Fan aveva chiesto di Ling Yao? Si sarebbe sentita pure lei in tremenda colpa per essere ferita e dunque non svolgere il proprio dovere di difendere il suo protetto? Si sarebbe sentita impotente…?
Ti sei già sentita così, stupida!
Sì, a ben pensarci capiva fin troppo bene cosa stava passando quella ragazzina… forse capiva persino il rossore che aveva tinto le sue guance qualche minuto prima. Ma quell’ultimo era un pensiero di una Riza che non poteva permettersi di esistere, quella che lei aveva rinunciato ad essere quando aveva indossato la divisa dell’esercito anni prima.
“Anche io sono una guardia del corpo, sai – si costrinse a dire – e… e ammetto che negli ultimi tempi non sono riuscita a svolgere il mio dovere come volevo.”
Lan Fan la guardò con stanco dubbio per qualche secondo, come se ritenesse che quella frase fosse detta solo per tenerla buona in quel letto.
“Contro gli homunculus la mia bravura con le armi da fuoco non ha potuto molto – continuò Riza, riuscendo persino a fare un timido sorriso davanti alla sua impotenza – l’unica cosa che sembra poter valere qualcosa è l’alchimia del mio superiore, colui che dovrei proteggere. Qualche giorno fa… è stato lui a salvare me e non viceversa, e non una ma ben due volte… mettendo in pericolo la sua incolumità.”
“… il mio signore spesso sparisce… fa di testa sua – sospirò Lan Fan – mi avrebbe dovuto lasciare in quella fogna… me la sarei cavata.”
Riza annuì, in realtà rivedeva se stessa quando aveva fatto la sfuriata al colonnello per essere intervenuto quando aveva rischiato di venir mangiata da Gluttony. No, Lan Fan non ce l’avrebbe mai fatta da sola in quelle fogne: la perdita di sangue era stata troppo copiosa e sicuramente non sarebbe mai riuscita a riguadagnare la superficie, non nelle sue condizioni. Proprio come lei non si sarebbe mai potuta salvare da quell’homunculus, nemmeno dopo che era intervenuto Fury.
“Ti capisco…”
“Se… se mi capisci… allora, fammi alz…”
“Ti capisco, ma so anche che non funziona così – la bloccò Riza – credimi, non è solo perché siamo guardie del corpo che siamo importanti per loro.”
Sì, stava per riprendere in toto quanto le aveva detto Breda qualche giorno prima. Ma adesso ne era convinta, non era solo una giustificazione per se stessa. Ne era convinta perché aveva visto l’espressione del colonnello quando Havoc si era ritirato dalla squadra, aveva visto la sofferenza di entrambi nel dover arrendersi a quella separazione forzata. Il senso di aver fallito era così tangibile da fare male. Sia in Havoc che nel colonnello perché…
“… non so come stanno le cose a Xing – continuò – ma quello che c’è tra una guardia del corpo ed il suo protetto non è un qualcosa a senso unico. Io faccio parte di una squadra e... per il mio superiore ciascuno di noi è importante, capisci? A prescindere che io possa combattere un homunculus o meno, per il colonnello è fondamentale il mio appoggio come persona… il mio credere in lui e nelle sue azioni.”
“… no – lei scosse debolmente il capo, facendo scivolare di lato l’asciugamano bagnato – se… se non lo puoi proteggere… hai fallito… io… io non posso più…” una nuova lacrima scese sulla guancia destra.
“Ti sbagli – scosse il capo la bionda, rimettendole l’asciugamano sulla fronte – se non ci proteggessimo a vicenda avremmo fallito…”
Non funziona così, Lan Fan… altrimenti il sacrificio di Havoc non avrebbe senso.
Al ricordo di come il biondo si fosse appoggiato pesantemente nel letto al limite delle lacrime… di come il colonnello le avesse chiesto la divisa, non curandosi della ferita al fianco, Riza sentì una gelida rabbia montarle dentro.
Tuttavia non poté esternare nessun pensiero in merito: vedendo che la fanciulla aveva quasi del tutto perso conoscenza dopo quello sforzo, riprese a pulirle le ferite. Ogni tanto si girava verso la porta e pensava a quel nobile xinghese che, all’ingresso dell’abitazione, attendeva con ansia l’arrivo del colonnello col dottore.
Forse Lan Fan non si era accorta della grande preoccupazione che aveva mostrato, o forse non l’aveva voluta vedere. Perché in fondo quando sei guardia del corpo ti viene più facile pensare che sia davvero un qualcosa a senso unico, dove il ruoli sono ben definiti… e tutto è molto semplice come un’addizione.
Ma non era assolutamente così.
Proprio in quel momento si sentì il rumore di una macchina.
 
Durante la guerra le era capitato diverse volte di dover assistere qualche commilitone ferito: i medici scarseggiavano e spesso ci si doveva arrangiare, magari facendosi aiutare dagli altri. Così, qualche volta, non si era tirata indietro quando c’era da stringere qualche benda malconcia o versare acqua su qualche taglio. In alcune occasioni aveva persino assistito all’estrazione di una pallottola da degli arti, per poi veder suturare la ferita con della polvere da sparo a cui veniva dato fuoco: il metodo del soldato… veloce, rapido e quasi del tutto indolore.
Non le era mai capitato, invece, di assistere ad un’operazione vera e propria. I medici esercitavano molto distante da dove si trovava di stanza con il suo plotone e non aveva mai accompagnato un ferito grave in quelle postazioni.
Ma sembrava che questo non importasse al dottor Knox.
Appena entrato nella stanza aveva dato una rapida occhiata a Lan Fan e poi aveva annunciato a Riza che gli serviva qualcuno per aiutarlo: l’aveva nominata sua assistente nell’arco di cinque secondi, senza nemmeno chiederle se avesse avuto esperienze in ambito medico.
Riza avrebbe potuto obbiettare, ma si era limitata ad annuire, prevenendo anche le eventuali proteste del colonnello che era entrato assieme a Knox nella stanza. Tutto sommato erano in guerra, e quando si è in guerra si deve tener conto di dover svolgere compiti che non sono i propri.
“Se non si prende il tetano sarà una gran fortuna – borbottò l’uomo, quando rimasero soli. Aveva levato dalla sua borsa una serie di strumenti chirurgici, posandoli sul tavolino malfermo – non posso garantire del risultato che ne ricaverò.”
Lan Fan, fortunatamente, continuava ad essere priva di sensi. L’idea che la sua ferita venisse suturata senza l’uso di anestetici faceva venire un brivido persino a una soldatessa navigata come Riza.
Knox osservò attentamente la spalla della paziente, toccando delicatamente la parte dove una parte dell’osso si vedeva ancora, recisa quasi di netto da chissà quale arma.
“Se l’è amputata da sola… ne ha di fegato – commentò Knox cupamente – non è da meno dei soldati che si sono recisi da soli le gambe ferite pur di poter uscire vivi da crolli di palazzi. Ascoltami, ragazza: devo levare del tutto l’omero… quest’ultima parte rimasta non serve ed è dannosa perché è recisa male e ci sono schegge. La cosa migliore… sì, non ci sono dubbi, dobbiamo arrivare alla spalla: una volta lì potrò suturare la ferita e sperare che tutto vada per il meglio… in simili condizioni.”
“Mi dica pure quello che devo fare.”
“Il tuo ruolo è più semplice di quanto creda – l’uomo frugò nella borsa e tirò fuori un pezzo di cuoio, attorno al quale avvolse alcune bende. Quindi aprì la bocca di Lan Fan e lo inserì a forza – tienila ferma più che puoi: senza anestesia le sue reazioni sono imprevedibili, anche se ora è priva di sensi. Avessi avuto del laudano… ma si sa, sui cadaveri non serve…”
Riza non seppe cosa rispondere: sembrava che quell’uomo sentisse l’esigenza di fare del sarcasmo a prescindere da chi lo ascoltava. Aveva un viso duro, segnato dalle rughe, l’espressione tipica di chi ha visto davvero tanto in guerra: il cinismo, con tutta probabilità, gli era esponenzialmente aumentato dopo quell’esperienza. Tuttavia quando spostava lo sguardo su Lan Fan, qualcosa di simile alla paura appariva nei suoi occhi infossati: era come se si stesse chiedendo se fosse all’altezza della situazione, come se operare su una persona viva lo spaventasse più del previsto.
“… merda, questa non ha nemmeno vent’anni, credi a me. Credevo che simili stronzate fossero finite con la guerra. Allora, ragazza, tieni qua e prepararti a tamponare con quell’asciugamano: ci sarà un ben po’ di sangue, spero che non ti impressioni troppo.”
“Non si preoccupi.” garantì Riza, consolidando la presa nel punto dove le era stato indicato.
“E se senti di dover vomitare girati dall’altra parte.”
La bionda stava per dirgli che non era debole di stomaco, ma poi lo vide prendere in mano un seghetto e dovette trattenere il respiro.
Quando poi iniziò a sentire il rumore raschiante che la lama produceva a contatto con l’osso rimasto, dovette serrare gli occhi e deglutire con forza.
 
Lan Fan emise un lieve lamento, ma per fortuna non riprese conoscenza.
Il dottor Knox nemmeno ci fece caso impegnato com’era a cucire i lembi di pelle rimasti.
“In teoria la ferita dovrebbe esser lasciata in parte aperta e drenata con cura per i prossimi giorni, ma con questa muffa e queste porcherie è meglio chiuderla del tutto.”
Il suo commento, come tutti gli altri durante l’operazione, non era rivolto a Riza ma a se stesso. La soldatessa arrivò a pensare che lavorare con i cadaveri produceva strani effetti collaterali. In ogni caso era stato bravo, per quanto lei fosse una completa profana in materia: le sue mani erano state decise e, tutto sommato, l’operazione non era durata molto. Adesso non era privo di una certa delicatezza mentre usava ago e filo all’altezza della spalla della paziente.
“Sei l’assistente di Mustang, vero? Novità su quel vostro soldato ferito alla spina dorsale?”
“Si è congedato, signore – mormorò Riza, sorpresa di esser stata chiamata in causa – credo che presto tornerà ad East City.”
Non gli disse del tentativo di Breda di cercare la pietra filosofale, né della rabbia che aveva provato il colonnello nel trovarsi costretto a lasciare indietro Havoc.
“Scommetto che a quel testone di Mustang la cosa brucia più del fuoco.”
“Lui… lui semplicemente si sente responsabile nei confronti di noi, suoi sottoposti.”
“Bene, qui ho fatto… ora bendiamo pure – Knox si drizzò, emettendo un lieve lamento nello stiracchiare la schiena. Si girò verso il tavolino per prendere un rotolo di garza – Non ti ho mai visto, ma non vorrei sbagliare nel dire che sei stata ad Ishval, vero?”
“Sì, è vero.”
“L’ho capito dai tuoi occhi appena sono entrato. Ci si riconosce sempre tra di noi, eh?”
Riza non rispose, limitandosi a posare una mano sulla fronte accaldata di Lan Fan.
“Non dubito che sei al corrente di quello che ha combinato il colonnello in quel posto… lui bruciava, io sezionavo: una vera e propria squadra. E, a quanto pare, continua a cacciarsi nei guai… non si è stancato? Tu non ti sei stancata?”
“No, signore, non sono stanca – scosse il capo la soldatessa – non posso permettermelo.”
“Senso di colpa, eh? Quello forse è lo sprone peggiore di tutti… sollevale il busto con delicatezza, coraggio. Ed invece cosa ha spinto questa ragazzina a ridursi così?”
“La fiducia che ha nel proprio signore.”
“La stessa che nutri tu nei confronti di Mustang.”
“Sì, in qualche modo sì…”
Knox alzò lo sguardo su di lei e poi commentò con massima serietà:
“Che non ti venga in mente di farti ferire in un simile modo, ragazza, sia chiaro. Come assistente puoi andar bene, ma come paziente mi rifiuto categoricamente.”
Riza si trovò ad annuire ed arrossire lievemente.
Che strano personaggio il dottor Knox, eppure in qualche modo riusciva a risultare rassicurante. Forse Ishval non aveva spento del tutto l’animo del medico che era in lui.
“Vado a chiamare gli altri per dire che l’intervento è finito.”









Capitolo più breve del solito, ma non si legava bene con la parte che volevo scrivere dopo e quindi ho deciso di spezzare.
Avevo in mente questo confronto tra le due guardie del corpo per eccellenza di FMA, spero abbiate gradito :)
E Knox... beh, lui è sempre un piacere inserirlo

 
  
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