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Autore: Carla Marrone    21/06/2016    1 recensioni
Un'avventura umoristica, in cui, il mio OC, una glottologa, finirà nel mondo di Lost Canvas. Il suo scopo? Tradurre delle antiche pergamene, che conducono ad un misterioso, magico tesoro. Il tutto, possibilmente, prima che queste cadano nelle mani degli Specter. Ad aiutarla, i Cavalieri di Atena, che avrà occasione di conoscere.
Come unica avvertenza, il linguaggio, solo in alcuni punti, un po' scurrile. Mi piace illudermi che, talvolta, fosse più che necessario. Quando ci vuole, ci vuole.
Spero vi divertiate a leggere questa breve incursione nella realtà dei Saint Seiya, almeno quanto mi sono divertita io ad inventarla. Fatemi sapere, ci conto!
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9.QUASI COME LA SCENA DEL BALCONE… DICO QUASI

 

Non appena giunta al Tempio, scopro che, per la dea Atena, il da farsi è del tutto chiaro.

“Avvicina le tue mani allo scrigno.” Mi dice con voce dolce, porgendomi l’oggetto.

Nel momento esatto in cui le mie mani lo sfiorano, si spalanca, inondando di luce la sala del consiglio. Improvvisamente, tutta la stanchezza di questa lunga giornata svanisce nel nulla. Quindi, era vero, quello che dicevano le scritture sanscrite, sulla sua capacità di rinvigorire. Ciò che sono riuscita a provare, nel giro di pochi secondi, ha dell’incredibile. Io stessa non ci credo. Mi sento fresca come una rosa e piena di energie. Se oggetti come questi esistessero nel mio mondo, credo che l’aspro dibattito sulla marijuana officinale andrebbe a farsi benedire. Non ce ne sarebbe più bisogno. O, forse, no… Preferisco non saperlo. 

Come volevasi dimostrare, non sono riuscita a dormire. Ero troppo carica, ieri, dopo aver aperto lo scrigno. 

Così, mi vesto ed esco, di primo mattino, per recarmi al villaggio. Voglio andare a reclutare Ivan e Paul, per lo spettacolo di stasera, al Tempio. Sasha mi ha detto che ne sarebbe stata entusiasta, quando abbiamo parlato a tu per tu; dopo che i due guerrieri si sono congedati, assieme al Gran Sacerdote. 

Cammino, diretta alla taverna di Zorba, per le strade polverose del paesino, guardandomi intorno. Anche se sono stata a casa mia solo per un giorno, prima di tornare, mi tocca ammettere che cominciavo già a provare una sorta di nostalgia, per questi luoghi. D’altronde, ho vissuto qui, quasi tre mesi. Riconosco il balconcino bianco, tutto fiorito, di una ragazza che viene, spesso, a vedere le mie esibizioni. Adoro le case di qui. Sono un misto di marmo bianco, mattoncini di pietra e travature lignee. Un luogo del genere, nel mio mondo, verrebbe considerato “caratteristico”, se non, “pittoresco”. Per me, è, semplicemente, la seconda casa. Prima di adesso, non avevo mai vissuto, neanche per poco, da altre parti, se non casa mia. Non abbiamo abbastanza soldi, per viaggiare. Ogni tanto, però, andiamo a stare, per qualche giorno, in una pensioncina, vicino al mare. 

“Sherazade!” Riconosco l’accento inglese di Paul, alle mie spalle. 

Mi volto e vedo anche Ivan. Mi fa un cenno di saluto con la mano e mi dice: - Credevamo fossi tornata a casa tua, in Italia, tre giorni fa! Cosa ti porta di nuovo qui? – Riconosco una nota di sollievo e stupore nella sua monotona cadenza russa.

Non so come spiegargli. Quindi, qui, sono già passati tre giorni. “Sì, in effetti ero tornata, ma poi, sono venuta di nuovo qui, perché… - E, adesso, che mi invento? Ah, già, gli parlo dello spettacolo di stasera! -   C’era un’occasione troppo grande, che non potevo assolutamente perdermi. Ma, voglio che ci siate anche voi!” Spero vivamente che se la bevano. 

“Certo, certo, ti ricordi dei tuoi amici, solo quando ti servono. – Mi rimprovera Ivan. Ma, poi, aggiunge dell’altro. – Di che si tratta. Roba grossa?” 

 

“Ci puoi scommettere! – Ribatto e allargo le mani, come a misurare qualcosa che è troppo grande, da non riuscire neanche a reggerlo tra le braccia. – Sash…ops! La dea Atena, in persona, vuole che ci esibiamo per lei, stasera. Ci state?” Li guardo con un sorrisone, in fervente attesa delle loro reazioni. Che, giungono subito, esattamente come me le aspettavo. 

“Ci puoi giurare. – esclama Paul. – E’ da una vita che aspetto un’occasione così! Lei com’è, carina?” Mi domanda, infine, curioso.

“La ragazza più gnocca che tu possa immaginare, Paul.” 

“Allora, ci vengo e come. A che ora si va?”

“Non appena finiamo le prove.” Gli rispondo, ancora agitata per il grande annuncio che gli ho fatto.

“Ma scusa, - Ivan sembra in dubbio su qualcosa che ho detto. – come hai fatto ad andare e venire dall’Italia in soli tre giorni?” Dimenticavo, qui non esistono ancora i treni, men che meno, gli aerei. 

“Ho viaggiato con una nave molto veloce.” Mento spudoratamente, usando la prima balla che mi salta in testa. Se ci pensassi troppo, prima di rispondere, s’insospettirebbero. 

“Avrai sborsato una cifra esorbitante, Sherazade!” Mollami Ivan! Il suonatore di Taksim pel di carota è peggio di un mastino. Quando qualcosa non gli torna, continua ad indagare, fino a quando tutto non fa, esattamente, due più due. Una palla al piede. Per fortuna, Paul fa virare la conversazione su tutt’altro frangente. 

“A proposito di Tempio, cosa ti ci hanno portata a fare, lì?” Il ragazzo, adesso, appare visibilmente preoccupato. Anche Ivan si distoglie dalla sua paranoia sul prezzo della nave e prende a fissarmi con aria interessata. Dimenticavo di dirvi che loro mi chiamano esclusivamente col mio nome d’arte. E’ una cosa fra noi. 

“Avevano solo bisogno che traducessi loro una pergamena.” Butto lì, falsamente distratta. Fino a qui, credo di potergliela raccontare, ma non oltre. Perciò, sto bene attenta. Non voglio certo farli preoccupare per me, o svelargli informazioni top-secret.

Saputolo, comunque, i due sembrano perdere interesse e si concentrano sul chiedermi cose del tipo come sia il Tempio e quale pezzo portare stasera. 

Indosso una gonna a ruota, con due spacchi laterali, di organza, bianca, come i miei fan veli ed un reggiseno a frange, fatte di perle, dello stesso colore. Ho sciolto i capelli e, se possibile, li ho resi ancora più ricci, lavorandoli con un olio profumato. Tutto è perfetto, ora, devo solo concentrarmi sull’eseguire correttamente la coreografia, che, dovendolo ammettere, non è delle più semplici. Mi trovo nella stanza di Sasha. Ci siamo solo noi e le sue ancelle. Paul è al culmine della gioia. Ivan è sposato.  

La musica parte. Mi siedo a terra con le gambe di lato. Ho lasciato un fan velo a terra, lo raccoglierò col procedere della coreografia. L’altro, poggia sulla mia spalla e mi reggo l’estremità dietro la testa. Inizio a scuoterlo, a tempo con l’accordo lento e struggente di violino arabo. Lo sollevo continuando a tenerlo con entrambe le mani. La musica si fa più intensa e parte anche il tamburo. Lascio l’estremità del velo ed inizio a farlo vorticare intorno al mio corpo, avviluppandomi in esso. Raccolgo l’altro attrezzo ed inizio lentamente a salire in piedi. Prima una gamba, poi, l’altra. Nel mentre, lancio in avanti il tessuto e lo faccio ondeggiare. Compio un otto con le braccia, poi, mi porto dall’altro lato della stanza con uno shené. Un altro otto. Congiungo le braccia, poi, le riapro. Ripeto il giro, portandomi di nuovo al centro dell’abitazione. Incrocio le braccia, che continuano a muovere i veli, come fossero ali di fata, nel frattempo, compio un passo arabo, seguito, subito dopo, da un pivot. Lancio i miei oggetti a destra, sinistra, poi, di nuovo, destra, direzione verso la quale compio un giro tribal, lasciandoli fluttuare sopra la mia testa. Ripeto l’operazione a sinistra. La musica comincia a scendere d’intensità ed io mi riporto lentamente in posizione seduta, stavolta sulle ginocchia. Mentre mi abbasso, faccio salire le braccia e muovo i veli, imitando la ruota di un pavone. La musica cessa di colpo ed io lascio cadere le mani con un colpo secco. 

Le ragazze prendono ad applaudire ed io mi rendo conto di non aver sbagliato nulla. Sono felice. Anche Sasha lo sembra molto. Si sta spellando le mani. 

I miei due musicisti riprendono a suonare. Stavolta, si tratta di un pezzo ritmato da forti percussioni. Paul invita a danzare le ancelle, le quali, prima recalcitranti, si fanno coraggio e scendono in pista, incoraggiate da Sasha. Lei, però, non ballerà. Non credo possa farlo, nella sua posizione. Per questo, incita le sue servitrici a divertirsi anche per lei. L’atmosfera si fa divertita e gioiosa. Io, però, ho bisogno di una boccata d’aria fresca. Necessito di smaltire l’intensità del pezzo che ho ballato, restando, qualche momento, da sola. Sapendo che avrei danzato per Sasha, ci ho messo l’anima. 

Esco sul sagrato ed inalo a pieni polmoni. Quanto vorrei avere con me i miei sigarillos! Stupidamente, pensando di poter smettere, come nulla fosse, li ho regalati a Manigoldo. Ecco, adesso vorrei che Manigoldo fosse qui. Per i sigari, s’intende. 

Sento un rumore alle mie spalle e vedo un ramo d’albero cadere a terra, seguito da Manigoldo in persona. Ok… Questa cosa mette i brividi. Il ragazzo si rialza in piedi e prende a massaggiarsi una natica. 

“Come sono andata, Manigoldo?” Gli domando, impertinente. 

“Non sono riuscito a vedere abbastanza bene, c’erano troppe foglie davanti alla mia faccia. – Asserisce un po’ imbarazzato. Sembra non riesca a guardarmi, se non di sbieco, senza arrossire. – Comunque, mi pare bene. Ti hanno applaudita, no?” 

“Diciamo che non ho sbagliato nulla. E questo è già una specie di successo. - Gli faccio presente. – Posso avere un sigarillo?” Gli chiedo, poi, impaziente. 

“Ancora con questa storia? – Mi fa, canzonatorio. – Credevo di averti detto che non devi fumare!” 

Rispondo con altrettanta verve. “Certo, mi hai detto anche il perché.” 

Arrossisce di nuovo. Per un po’, cala il silenzio. 

“Come va la ferita alla pancia?” 

“Quale, quel graffietto? Sono già bello che guarito. – Il solito spaccone. – E Shion mi ha già anche riparato l’armatura.” 

“Buon per te. – Scherzo. – Un po’ meno per lui…” 

La mia ultima battutina lo fa volgere completamente verso di me. Pronuncia, nuovamente, una frase che, da una persona come lui, o, da una persona che, credo essere come lui, non mi sarei mai aspettata. 

“Tu sai sempre cosa dire, vero? – Fa una pausa – Come fai a parlare seriamente e, allo stesso tempo, sdrammatizzare sempre tutto così?” 

“Perché, tu non fai la stessa cosa, forse? – Attendo qualche attimo anch’io, prima di continuare il mio discorso. Divengo seria, un’espressione malinconica stampata sulla faccia – Sai, quando ero una ragazzina avevo paura di parlare con le persone. Diventavo nervosa; mi sembrava di dover salire un’infinita rampa di scale, ogni volta che dovevo raccontare qualcosa di me agli altri. Poi, un giorno, ho scoperto che, a volte, quella rampa di scale può condurre ad un palcoscenico. Alcuni miei amici, si sono detti convinti che era meglio quando non parlavo, però!”  

E, all’improvviso, le sue labbra sono sulle mie. Sento il calore delle sue guance sul mio viso. Rimango immobile, stupefatta ed imbarazzata, senza saper decidere bene cosa fare. Accarezza le mie labbra, con le sue per qualche secondo, poi, si ritrae. 

“Sono d’accordo con loro, devo dire.” Mi guarda con un sorriso ingenuo ed imbarazzato. 

“N-non ho capito bene il concetto. Me lo potresti rispiegare?” Chiedo, letteralmente fervendo. 

“Incredibile. Anche in momenti come questi, riesci a fare il pagliaccio.”

Senza darmi modo e tempo di replicare, mi bacia un’altra volta. Stavolta, però, è più languido. Sento il suo respiro farsi più intenso ed accarezzarmi le gote. Ha gli occhi lucidi. Non potendone più di aspettare, decido di portare io stessa la cosa un po’ più in là. Nel momento esatto in cui la mia lingua tocca le sue labbra, Manigoldo scatta all’indietro. E’ rosso come un pomodoro e mi parla concitato. 

“N-non mi dirai che hai già fatto cose di questo tipo con altri ragazzi?!” 

“Bè, sai, ho venticinque anni…” Già, dimentico sempre che qui siamo nel passato. Le donne di quest’epoca sono meno emancipate. 

Adesso, mi fissa come fosse indeciso sul da farsi. Credo vada incoraggiato un pochino. Gli bacio il viso tre volte, avvicinandomi sempre di più alla bocca. Inutile dirlo, alla quarta, siamo di nuovo connessi. Provo un’altra volta. Stavolta, lui mi imita. Le nostre lingue si incontrano a metà strada e si accarezzano gentilmente, per qualche minuto, prima di lasciare che le labbra si massaggino a vicenda, nuovamente. Piccoli schiocchi, simili al crepitio di un fuoco emanano dalle nostre bocche. Poi, il bacio diviene liquido. Gli accarezzo il viso. Lui pone la sua mano aperta, dietro la mia schiena nuda. Un brivido pungente mi attraversa la colonna vertebrale. Lo abbraccio anch’io. 

“Miranda…” Sento il mio nome provenire dal fondo della sua gola ed incollarsi alla mia bocca. Mi piace la voce che sta facendo. Voglio sentirla ancora.

“Sherazade! Sei qui?” Ivan mi chiama a gran voce. Il solito guasta feste! Mai, come ora, mi è tanto dispiaciuto essere chiamata col mio nome d’arte.

Manigoldo ed io ci stacchiamo di colpo e, non senza una buona dose d’imbarazzo, cerchiamo di assumere una postura composta e disinvolta, insieme. Il tentativo di mischiare le due cose, deve essere risultato alquanto ridicolo, perché Ivan ci squadra perplesso. 

“Hai bisogno di qualcosa, Ivan?” 

“Sì, bè, le ragazze volevano sapere se potevi insegnargli qualche passo.” 

“Certo, arrivo subito.” 

Il rosso si avvia dentro ed io lo seguo a ruota. Giunta sulla soglia della stanza, mi volgo verso il ragazzo che osserva intento le mie spalle.

“Buona notte, Manigoldo.” 

“Tsk! – Ride sarcastico, ma, ha sul volto un’espressione alquanto soddisfatta. - Lo sapevo che finiva così.” Prima che io possa persino pensare di replicare, lo vedo sparire con un salto, oltre la recinzione del palazzo.

   
 
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