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Autore: Anna Wanderer Love    21/06/2016    5 recensioni
Jemima Wright è un'ex agente dello S.H.I.E.L.D, licenziatasi dopo aver subito gravissime ferite provocate dal Soldato d'Inverno nel corso di una missione segreta.
Un anno dopo di ritrova a lanciare coltelli contro quello stesso Soldato nella sua cucina.
Perché il Soldato d'Inverno è così ossessionato da lei? Perché la controlla, la segue dappertutto? E, soprattutto, perché quando Jemima guarda quegli occhi scuri non sente rabbia, ma solo compassione?
[Dal testo:]
Si chinò, inginocchiandosi. Lo guardavo con le lacrime agli occhi e la bocca piena di sangue, ma ero determinata a non cedere.
Il suo sguardo si spostò sulla mia gamba, intrappolata sotto a pezzi di cemento.
Con uno scatto si spostò vicino alla mia anca e sollevò un piccolo masso. Il sollievo che provai nel sentire quel peso non gravare più sulla mia carne fu quasi violento, ma prima che potessi muovermi o trascinarmi via da quella trappola un palo di ferro rovinò sulla gamba.
Urlai con tutto il fiato che avevo, mentre il dolore esplodeva nella mia mente.
L’ultima cosa che vidi prima di svenire fu il bagliore del suo braccio di metallo.
(Bucky/Soldatod'InvernoxNuovoPersonaggio) (StevexNatasha)
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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When Love arrives in the dark

I must go.
 


Il mercato di Rabat era una moltitudine di odori pungenti, colori sgargianti e suoni di tutti i tipi. Le voci dei mercanti che cercavano di attirare i passanti a dare un’occhiata alle loro merci si mischiavano alle grida dei bambini che giocavano sotto il sole del mattino, inseguiti dalle urla delle madri. Ridevano, schivando donne avvolte in abiti color pastello e ragazzi vestiti all’occidentale, mentre rincorrevano una palla rossa.
Uno di loro, il più piccolo, urtò una cesta di fagioli e ne fece rovesciare il contenuto a terra. La proprietaria, una donna anziana, cominciò a urlargli dietro e il bimbo iniziò a correre per evitare gli schiaffi, mentre i suoi compagni guardavano il tutto ridendo.
Svoltò in una stradina laterale, ma non percorse nemmeno un metro che andò a sbattere contro un uomo alto e vestito di scuro.
- Üzgünüm bayanlar - cominciò a scusarsi, ma l’uomo alzò una mano a fermarlo.
- Parli inglese? - gli chiese. La sua voce era roca, stanca, ma tranquilla. Alzò un angolo delle labbra in un debole sorriso.
Il bimbo annuì freneticamente.
- Sì signore! Scusa signore! Non volevo, signore!
- Non c’è problema - sorrise lo straniero. - Puoi dirmi dove posso trovare un’erboristeria?
- La accompagno, signore, venga - il bambino lo prese per mano e cominciò a tirarlo verso una stradina ripida che spariva in un edificio di pietra.
James lo seguì, faticando a stargli dietro a causa della ferita. A un certo punto dovette premere una mano sullo sterno, battendo gli occhi per dissipare i puntini neri che gli apparivano davanti agli occhi.
Il piccolo gli fece percorrere una miriade di scale, discese e scorciatoie mentre passavano per il centro del mercato, sempre tenendolo saldamente per la mano. Ogni tanto si girava a guardarlo, preoccupato nel vederlo così affaticato.
- Stai bene, signore? Vuoi che ci fermiamo, signore? - chiedeva, ma James scuoteva la testa e continuava a procedere, stringendo i denti. Alla fine arrivarono davanti a un negozio senza insegne, scavato sotto il livello della strada, a cui si accedeva scendendo vari scalini. Già da fuori si sentiva un forte aroma di erbe e spezie.
- Ecco, signore. Ciao ciao, signore - James non fece nemmeno in tempo a ringraziarlo che il bambino sparì dalla sua vista. Prese un respiro profondo e scese le scale.
L’odore intenso di maggiorana e timo che impregnava l’angusto negozietto gli fece girare la testa. Dovette appoggiarsi allo stipite della porta a causa del capogiro, stringendo i denti mentre inalava un respiro profondo e la ferita sembrava pulsare, sotto alle sue dita.
James riaprì gli occhi e individuò subito la figura curva di un vecchio seduto su una seggiola scalfita dal tempo, in un angolo della stanza. Dietro di lui c’era una tenda che copriva un piccolo corridoio, che probabilmente portava all’abitazione dell’uomo. Attorno a lui erano disposte varie ceste ricolme di frutti freschi.
Avanzò lentamente, analizzando la struttura: c’era solo una via d’uscita, ovvero la porta d’entrata, se si escludeva la minuscola finestrella a livello della strada, sulla parete a est. In condizioni normali gli sarebbe bastato un salto per raggiungerla, ma James dubitava che con quelle ferite avrebbe potuto riuscirci. Era già difficoltoso camminare.
I colori accesi delle erbe aromatiche e delle spezie baluginavano nella penombra. James ci passò accanto, facendo finta di osservarle e di ponderare quali prendere. Cercò di capire se quel vecchio, Abhik, vendesse anche erbe medicinali come gli aveva detto il bambino del mercato. Se era vero, non erano esposte.
- Ne arıyorsun? *
James scoccò un’occhiata al vecchio. Aveva il volto cotto dal sole, pieno di rughe, e i capelli grigi erano tirati indietro in una treccia che gli cadeva sulla schiena.
- Ho bisogno di erbe medicinali - rispose. Sperò che l’uomo parlasse inglese, o quantomeno lo capisse; ma a giudicare dalla sua espressione, che si era incupita, non era affatto così. 
James si costrinse a mantenere una postura rilassata, ma la sua presa sul coltello da combattimento, nascosto nella tasca del giubbotto, si fece più salda. Si sentiva sempre più debole.
- Hale, buraya gel! **
James rimpianse amaramente di non sapere il turco, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa la tenda dietro al vecchio si spostò, e una figura femminile emerse dallo stretto e buio corridoio.
Era giovane, probabilmente aveva meno di vent’anni. Era minuta, avvolta in una semplice tunica blu scuro, e i capelli color ebano erano raccolti in una treccia. La cosa che lo sorprese per un attimo, però, furono le iridi azzurrissime che spiccavano su quei lineamenti orientali e di cui si accorse non appena lei notò la sua presenza e posò lo sguardo su di lui. 
- Ihtiyacı neler yapmaktan hoşlandığını sor - disse burbero il vecchio, guardando diffidente il loro ospite. 
La ragazza annuì appena prima di puntare lo sguardo su James. 
- Mio padre chiede di che cosa hai bisogno - disse in un inglese quasi perfetto, con un forte accento turco.
- Erbe medicinali - la ragazza aggrottò le sopracciglia scure. 
- Per che motivo, signore? Ferite, ustioni, per cicatrizzare?
- Io... - all’improvviso l’odore delle spezie si acuì, diventando fin troppo intenso. James ebbe un capogiro, la sua vista si oscurò e cadde a terra. 
 

Qualcosa di morbido si adagiò con delicatezza sulla sua fronte imperlata di sudore, e in una frazione di secondo l’urlo di Hale risuonò nella stanza. Un momento prima James era incosciente, sdraiato febbricitante e madido di sudore sul letto, e l’attimo dopo la sua mano le stringeva il polso così forte da farla gridare di dolore.
- Non farmi male! - con le lacrime agli occhi, la ragazza lasciò andare il panno con cui gli stava bagnando la fronte e cercò di tirarsi indietro, fissando spaventata gli occhi vacui del Soldato.
James si rese conto solo in quel momento di cosa stava succedendo e la lasciò immediatamente andare. Hale si tirò indietro, stringendosi il braccio dolorante al petto mentre il padre faceva trafelato il suo ingresso nella stanza.
Puntò prima lo sguardo sulla figlia e poi su James, in una muta domanda.
Hale mormorò qualcosa nella sua lingua, abbassando lo sguardo a terra. Raccolse il panno da terra e uscì dalla camera, mentre le vesti rosse turbinavano dietro ai suoi passi svelti.
James guardò il punto in cui era sparita ancora per qualche secondo, prima di mettersi seduto.
- Hayır!***- il vecchio fu di fianco a lui e gli posò la mano sulle spalle. Al contatto delle sue dita ruvide sulla pelle, James trasalì e si ritrasse di scatto.
Abbassò lo sguardo su di sè, accorgendosi per la prima volta di essere a torso nudo. Sgranò gli occhi, afferrandosi la spalla metallica e guardando Abhik. Il suo volto anziano era neutro, forse con qualche accenno di curiosità negli occhi.
- Onlar hasta azalttı - commentò, attirando un’espressione attonita da James. - Yatmak, aptal. ****
Lentamente gli posò di nuovo le mani sulle spalle e fece pressione, in modo da farlo sdraiare. Lo coprì con le lenzuola che James aveva spinto ai piedi del letto e anche lui se ne andò, lasciandolo sdraiato in preda alla febbre e al rimorso.
James si strinse nelle coperte, tremando. Chiuse gli occhi, cercando di riprendere il controllo del proprio corpo, rilassando i muscoli. 
Ma nemmeno così i ricordi smisero di dargli pace. Appena prima di sprofondare nel sonno, un volto riemerse dalla nube di pensieri a cui si rifiutava di dar seguito.
Jemima, dove sei? pensò disperato.
 

Anche stavolta rinvenne mentre Hale si stava prendendo cura di lui, ma rimase immobile, senza aprire gli occhi. Il peso della ragazza faceva incurvare appena il materasso. Gli passò un panno umido sulla pelle bagnata di sudore, per poi appoggiare il palmo della mano sulla sua fronte per sentire la febbre.
Il suo tocco era lieve, rassicurante.
- Mi dispiace - mormorò.
La sentì sussultare, e la sua mano si ritrasse subito dalla sua fronte. James aprì gli occhi lucidi di stanchezza, battendo le palpebre per riuscire a rendere la sua figura nitida. 
- Come ti chiami? Chi sei? - lei si chinò appena su di lui, i suoi morbidi capelli neri si adagiarono sul suo petto mentre gli accarezzava piano la guancia. 
- Qualcuno che non avresti mai dovuto incontrare - rispose lui, prima di sprofondare di nuovo nell’incoscienza, tormentato dagli incubi.


Nella piccola cucina al piano di sotto, padre e figlia stavano discutendo in modo alquanto acceso, in turco.
- Dobbiamo dirlo alla polizia! - insistette Hale, posando un piatto pieno di mandorle caramellate davanti alla bimba seduta al tavolo. Aveva i lunghi capelli intrecciati e un sorriso sdentato. Anche lei, come la madre, aveva gli occhi di un azzurro impressionante.
- Non se ne parla! - Abhik batté un pugno sul tavolo, facendo sussultare la bambina, che smise di disegnare per puntare lo sguardo sul nonno. - Per ora ci limiteremo ad aspettare che guarisca.
Hale sospirò, passandosi le mani sulla fronte.
- Papà, non mi sento al sicuro - disse a bassa voce, di modo che la figlia non la sentisse. Abhik le posò una mano sul ventre appena gonfio, tranquillizzandola.
- Non vi succederà nulla. Non è nemmeno in grado di alzarsi in piedi.
- Ma quel braccio... - il volto di Hale era pieno d’inquietudine.
Un urlo disumano, proveniente dal piano di sopra, li spaventò Abhik. Hale fece cadere la tazza in cui stava versando il tè, rovesciando la bevanda sul tavolo per lo spavento.
La bambina di fronte a lei trasalì.
- Che succede? - chiese spaventata.
Abhik scosse la testa, sbuffando, e sparì lungo le scale. Hale sorrise alla piccola, stringendola al petto.
- Tutto bene - sussurrò. - Va tutto bene.
Abhik intanto salì le scale di corsa ed entrò nella stanza in cui avevano sistemato James. L’uomo si contorceva nel sonno, in preda agli incubi.
- No, no... no, ti prego, no... mi dispiace - nel sonno, si afferrò il braccio metallico e cercò di strapparlo via.
Abhik si precipitò su di lui, cercando di fermarlo. - Fermo, fermo! - gridò, e si ritrovò con le mani di James attorno al collo. Strabuzzò gli occhi, mentre il Soldato, ansimante, lo fissava con lo sguardo pieno d’odio.
- Abhik! - l’urlo di terrore di Hale risvegliò la coscienza di James. Spinse lontano il vecchio, inorridito, e singhiozzò mentre il panico dilagava nel suo petto.
Era pericoloso.
Era un’arma. Non importava quanti sforzi avesse fatto per tornare alla normalità, con quanta fatica la sua Jemima avesse provato a farlo tornare umano, a convincerlo che non era più una macchina assassina.
L’Hydra era lì, lo era sempre stata, annidata nelle profondità del suo cervello, e governava lui e il suo corpo, annientava la sua volontà.
James si alzò, con un gemito di dolore. Barcollò verso la porta, disperato.
- Devo andarmene - gridò, quando Hale e Abhik si lanciarono su di lui, cercando di costringerlo a stendersi di nuovo. Fece resistenza, ma era troppo debole, le ferite troppo gravi, il dolore troppo forte. Si aggrappò alla vita di Hale, mentre lei gridava spaventata dal suo tocco, con la vista che andava e veniva, punteggiata di macchioline nere.
- Io devo... devo... Jemima - chiamò, con un lamento straziante. L’ultima cosa che vide prima di svenire fu l’azzurro impressionante degli occhi della donna. Anche se avrebbe disperatamente voluto scorgere del verde, in quegli occhi.
 

- Oh, ma guarda un po’ chi c’è qui - Jemima girò la testa e incontrò lo sguardo di uno sconosciuto dal volto familiare. Volto familiare che, per inciso, si aprì in un sorriso smagliante. Uno di quei sorrisi grazie a cui il proprietario sapeva di essere in grado di far cadere ai suoi piedi e a bocca aperta ogni donna che incontrava.
Ogni donna, a parte quell’americana bionda dagli occhi verdi fin troppo tristi per i suoi gusti.
- Oh - le labbra soffici di Jemima si piegarono appena verso l’alto - Amir... giusto?
Il ragazzo alzò un sopracciglio, afferrando lo sgabello accanto a lei e avvicinandolo. Jemima si voltò verso di lui, tornando a posare le labbra sul bordo del bicchiere di vodka. Se c’era una cosa che Natasha le aveva trasmesso, oltre a molti utili consigli pratici da spia, era l’amore per la vodka russa. 
- Asier, veramente. Farò finta di non aver sentito e che tu ti ricordi di me.
- Oh, ma io mi ricordo di te, Mister Passione Per I Vestiti Attillati - l’alcool le aveva sciolto la lingua, almeno quello ogni tanto poteva concederselo. E Jemima doveva ammettere che il modo in cui il ragazzo davanti a lei reclinò la testa all’indietro e scoppiò a ridere, scoprendo i denti bianchissimi, era alquanto affascinante. Così come il suono della sua risata; calda, avvolgente, allegra. 
Un piccolo sorriso fece capolino sulle sue labbra. 
- Be’, chica, tu sì che sei interessante - involontariamente Jemima cedette e lasciò che i suoi occhi si spostassero sulla lingua del ragazzo, che stava percorrendo lentamente le sue labbra. Un ghigno di trionfo illuminò il volto di Asier.
Jemima sapeva che non doveva farlo, ma l’alcool che aveva in corpo e che aveva annebbiato la sua mente aveva inibito la parte razionale del suo cervello. Senza dire altro si alzò e uscì dal pub, con il cuore a mille e la fronte imperlata di un leggero strato di sudore. Aveva caldo, ogni centimetro del suo corpo era in fiamme e i suoi pensieri erano senza controllo.
Una mano le afferrò il polso e Jemima si ritrovò trascinata nel vicolo dietro al pub, spinta contro al muro di mattoni e il respiro di Asier sul collo. Ridacchiò, inclinando la testa e afferrando la camicia bianca che gli stava da dio, su quella carnagione scura. Un sospiro languido lasciò le sue labbra quando la lingua di Asier sfiorò la sua pelle, mentre le mani del ragazzo si appoggiavano sui suoi fianchi e il suo corpo si spingeva sul suo. La bocca di Asier si avventò sulla sua, mordendole il labbro, accarezzandolo con la lingua. Le afferrò i polsi e li fermò sopra alla sua testa mentre l’adrenalina cresceva e le mordeva la pelle morbida del collo. 
- James... - Jemima si rese conto di ciò che le era sfuggito assieme a un mezzo gemito solo quando Asier si fermò, ansimando sul suo collo. Sgranò gli occhi, rendendosi conto di cosa stesse per succedere.
Maledizione.
Non perché la serata di piacere era ormai una lontana prospettiva, né perché sentiva di aver tradito James con quei baci bollenti. Certo, un minuscolo senso di colpa stava cercando di farsi strada nel suo petto, ma tra lei e James non c’era stato niente. Niente che facesse supporre che lui provasse un qualche coinvolgimento emotivo al suo stesso livello.
Era arrabbiata perché si era resa conto che comunque, nonostante stesse in compagnia di un uomo completamente diverso, con entrambe le mani calde e morbide, più alto e meno possente, comunque aveva pensato a lui mentre le sue labbra la marchiavano, mentre perdeva il controllo dei propri pensieri e immaginava cose proibite. Con James.
Asier si scostò da lei con un sorriso obliquo, lo sguardo lucido.
- Penso che non sia il caso, principessa. 
Jemima ringraziò il cielo che se ne stesse andando, voltatole le spalle e tornatosene verso il pub. Perché se fosse rimasto, gli avrebbe tirato un ceffone per quei soprannomi ridicoli.



 

* * * 

* Ne arıyorsun? : Cosa stai cercando?
** buraya gel!: vieni qui!
*** Hayır: no
**** Onlar hasta azalttı. Yatmak, aptal: Ti hanno ridotto male. Mettiti giù, sciocco.










 
Well well well.
Che abbiamo qui?
Un piccolo, raro esemplare di James ferito... chi vuole prendersene cura?
Ecco lasciato più spazio al nostro darling. Contente? Be', so che avreste preferito andasse diversamente ma...
Vi tocca stare a leggere eheh. 
Le vostre prime impressioni su Hale e Abhik? E Asier? Non ho ancora le idee chiare su ques'ultimo...
Potrebbe come non potrebbe ricapitare fuori, chissà. Secondo voi cosa succederà nel prossimo capitolo?
Un grazie speciale a tutte coloro che mi hanno illuminata con la loro recensione la scorsa volta!
Spero sarete così carine e coccolose (e incazzate nere per come ho ridotto il nostro James MUAHAHAH) da rifarlo anche ora!
Un bacione a tutti! xx
Anna


 
   
 
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