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Autore: Walpurgisnacht    22/06/2016    1 recensioni
Allora ragazzi, vi capita mai di avere idee folli su cui vi sale un hype incontrollabile e che DOVETE mettere per iscritto? Ecco, se vi è successo sapete cosa è passato per la testa mia e della mia socia. Spiegazioni sul crossover e altri tecnicismi nel primo capitolo.
Aggiornamenti settimanali, due a botta. Numero finale di capitoli: ventuno.
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Un aereo cade. Nove ragazzi ammaccati si leccano le (piccole) ferite e cercano di capire come andarsene da quel posto dimenticato da chiunque.
Sul serio, non c'è nessun tizio psicopatico che vuole farli giocare alla sua personalissima versione de La Ruota della Fortuna.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una volta inserita la password, la porta si aprì senza problemi.

Makoto si aspettava qualcosa di importante, qualche rumore assordante, una voce metallica che comunicava loro il passaggio al livello successivo, o semplicemente la voce di Zero che ancora una volta si divertiva a schernirli… e invece nulla. Silenzio assoluto. Ci rimase quasi male.

La stanza davanti a loro era decisamente spoglia, ad esclusione di una scala che scendeva verso uno scantinato o qualcosa di simile.

“Quindi che facciamo?” chiese qualcuno, e la domanda lo distolse dai suoi pensieri. Kyouko ricordò loro che avevano ancora una porta da sbloccare: tornarono quindi nella stanza in cui avevano trovato il ritaglio di giornale, pronti a rimetterla a soqquadro, solo per scoprire che la porta era stata sbloccata. Ovviamente si chiesero come fosse possibile, arrivando alla conclusione che forse il tastierino numerico aveva sbloccato entrambe le porte (o che quella l’avesse aperta Zero, ma lo ritenevano poco probabile); comunque alla fine Togami, col suo solito charme, fece notare loro che era inutile stare lì a farsi domande invece di proseguire l’esplorazione. Era un’obiezione sensata, quindi decisero di andare a vedere cosa li aspettava nella nuova area.

“Al momento l’unica cosa che sappiamo di Zero è che ha gusti raffinati” borbottò Mukuro, mentre si aggiravano per l’ennesima stanza elegantemente decorata, piena di mobili costosi, libri antichi e…

“A quanto pare abbiamo trovato la prima porta numerata.”

Si voltarono tutti verso Aoi, ferma davanti alla porta d’acciaio in fondo alla stanza: su di essa era dipinto il numero sei con della vernice rossa.

Quindi ci siamo, pensò Makoto. Le prime ore in quel posto erano già state piuttosto tese senza che si trovassero davanti le porte numerate, ma ora la sola idea di attraversarla lo atterriva.

“Questo dev’essere l’apparecchio di cui parlava Zero” disse Kyouko, esaminandolo da vicino: era composto da un pannello circolare su cui presumibilmente poggiare la mano, una leva e un display con la scritta “VUOTA”.

“Bene miei cari ospiti, siete giunti davanti alla prima porta numerata. Vi ho già spiegato le regole: non appena avrete trovato la combinazione di numeri la cui radice digitale corrisponde a quella sulla porta, premete la mano sul pannello di riconoscimento. Una volta dentro fate lo stesso con il secondo dispositivo entro il tempo prestabilito, pena una punizione.”

“C-Che tipo di punizione?”

“Vedete i vostri braccialetti? Sul fondo hanno due piccoli aghi. Se doveste essere troppo lenti si attiveranno, prima uno e poi l’altro, e vi inietteranno rispettivamente un tranquillante e, circa un minuto dopo, un rilassante per i muscoli. Vi si fermerà il cuore. Una morte molto dolce, non trovate?”
Makoto deglutì, ora decisamente agitato.

“Se sarete riusciti a non rimanerci secchi nel tentativo, rimarrete chiusi nella stanza finché non avrete risolto gli enigmi che ho preparato per voi.”

Poi la voce di Zero svanì, lasciandoli in silenzio con il peso di quelle parole a gravare su di loro.

Kyouko diede ancora una volta prova di essere quella pragmatica e prese parola: “Ok, direi che a questo punto l’unica cosa che possiamo fare è capire chi deve entrare.”

“Chi rimane fuori può sempre ispezionare l’altra stanza” propose Togami, “anziché stare ad aspettare che gli altri escano.”
Seppur con riluttanza tutti concordarono, convenendo che era la cosa migliore da fare.

Dopo qualche rapido calcolo, Kyouko comunicò ai presenti le possibili combinazioni: “I candidati sono uno” e indicò Aoi, “cinque” si rivolse a Sakura, “e nove” annuì verso Mukuro. Quest’ultima rimase impassibile così come Sakura, mentre Aoi sgranò gli occhi.

“Oppure” proseguì Kirigiri, “i numeri uno, due e tre” disse, e stavolta toccò a lui e Touko trasalire. Le altre combinazioni possibili erano: quattro, cinque e sei (Oowada, Oogami e Togami); due, sei e sette (Fukawa, Togami e Ishimaru); due, cinque e otto (Fukawa, Oogami e Kirigiri); uno, sei e otto (Asahina, Togami e Kirigiri); tre, cinque e sette (Naegi, Oogami e Ishimaru); due, quattro e nove (Fukawa, Oowada e Ikusaba); tre, quattro e otto (Naegi, Oowada e Kirigiri). Per comodità si fermarono a tre elementi, altrimenti ci avrebbero perso l’intera giornata.
“Queste sono le nostre possibilità” concluse Kyouko, “chi se la sente di cominciare?”.

Iniziarono un po’ di discussioni, con gente che si rimbalzava la palla della responsabilità e del “Con quello non vado da nessuna parte!”. Soprattutto Aoi e Touko sembravano molto timorose dinnanzi alla prospettiva.

Makoto si lasciò andare a un sospiro interiore, conscio che quella situazione di stallo giocava a loro svantaggio. Stava per proporsi quando…

“Va bene, non abbiamo tempo per essere indecisi. Io vado”. Fu la massiccia figura di Sakura ad avvicinarsi alla porta: “Ikusaba, Aoi. Siete con me, vero?”.

Il Soldato si fece avanti senza dire una sola parola, coerente con se stessa e con l’immagine di dura che amava dare. Al contrario Asahina prese a tremare visibilmente.

“È… è dura per me, Sakura-chan…”.

“Lo so mia piccola Aoi, lo so. Ma qualcuno deve pur farlo”.

“Sì, ma… perché proprio io?”.

“Avanti, uno vale l’altro. Non possiamo piantarci al primo ostacolo” commentò acido Byakuya. Non che non avesse ragione, ma Makoto si ritrovò a pensare per l’ennesima volta che lui e le buone maniere abitavano su due piani d’esistenza diversi.

“Che cosa ti avevo detto, Togami?” ringhiò Sakura nella sua direzione.

“Sì sì, mi farai tanto male. Però dopo che avrete aperto quella dannata porta. Ok?”.

Uno sbuffo da parte di lei significò la fine del battibecco. Tornò a guardare Aoi, che dava l’impressione di volersi appallottolare su se stessa: “Per favore, ci servi”.

“Mi dispiace che tutto questo ti metta a disagio, Asahina” si inserì Mukuro “Purtroppo la nostra situazione attuale è questa e non possiamo fare altrimenti. E comunque prima o poi ti toccherà per forza. Se Oogami ha deciso di farsi volontaria sei quasi indispensabile, a meno che qualcuno degli altri papabili non si faccia cavallerescamente avanti al posto tuo...”.

“Io passo” proclamò lo Scion senza neanche pensarci due volte. Hai paura che Sakura ti pesti duro, eh?

Altri rifiuti più o meno determinati, che a Makoto parvero solo gli squittii di animaletti terrorizzati. Incluso quello di Ishimaru, che finiva col tagliare le gambe anche a lui per via delle combinazioni.

“Coraggio” disse ancora l’Artista Marziale “Ci sarò io a proteggerti da ogni pericolo. Non ti succederà nulla”.

A suo giudizio nessuno poté prevedere lo slancio di Asahina, che si gettò a peso morto su di lei. Almeno, lui di sicuro non lo aveva previsto.

“Maledizione…”.

 

*

 

“Maledizione…”.

Quella singola parola, pronunciata con voce incrinata da Asahina, lasciò un segno in Mukuro Ikusaba.

Non era mai stato il tipo empatico, inoltre il suo lavoro non era adatto per i deboli di stomaco. O di cuore. Si sa, Mukuro era la migliore in quello che faceva e quello che faceva non era niente di bello.

Non faticava ad ammettere di essere una persona piuttosto arida.

Eppure quella singola parola l’aveva colpita.

Forse, si disse, era l’emblema della crisi in cui si trovavano. Forse era proprio chi l’aveva detta a scatenarle sensazioni sepolte da tempo immemore.

O forse, più prosaicamente, la lontananza dalla guerra la stava ammorbidendo.

D’altronde era una reazione comprensibile: un tizio misterioso li aveva imprigionati in quel posto e parlava di ammazzarli al primo sgarro, oltre ad aver citato presunti torti che avrebbero commesso non si sa quando a scapito di non si sa chi.

Non che non fosse abituata a situazioni estreme. Cavolo, doveva pur essersi guadagnata il suo titolo in qualche modo. Ma niente, nel suo vasto carnet di esperienze sul campo di battaglia, poteva essere paragonato a ciò che stavano vivendo in quei concitati attimi.

L’osservare Asahina che si stringeva con un bisogno a dir poco estremo al ventre di Oogami, la quale non smetteva un solo attimo di accarezzarla per cercare di calmarla… era uno spettacolo difficile da digerire persino per una come lei.

Mukuro era cinica e spiccia, senza ombra di dubbio. Ma non insensibile al punto di non sapersi immedesimare, se non altro a livello “logico”, in qualcun altro. Quindi capiva bene perché un’anima semplice, gioiosa, fragile (nel contesto in cui si trovavano) come quella di Aoi potesse avere simili attacchi di panico.

Fu con lo spirito appesantito da questa consapevolezza che si trovò costretta a separare le compagne e a esortarle a sbrigarsi. Chiuse dicendo “Prima lo facciamo e prima la finiamo”.

“Ikusaba ha ragione” le diede corda Oogami.

“Lo so lo so lo so... ho solo…”.

“Sei spaventata, Asahina. Ed è normale. Normalissimo. Non credere di essere l’unica. Qui tutti e nove, chi più chi meno, abbiamo paura. Paura di morire, paura di deludere chi crede in noi, paura di trovarci di fronte a uno scoglio invalicabile. Lascia che ti dica questo: i veri eroi non sono coloro che non hanno paura. Quando c’è in gioco la vita tutti, e sottolineo tutti, hanno paura. Persino io, nonostante ciò che ho vissuto in giro per il mondo. Non farti fregare dai filmetti romantici o dai romanzi da quattro soldi… tranquilla che non sto parlando di te, Fukawa. I veri eroi sono coloro che sanno mascherare la paura e lasciarla da parte quando c’è da alzarsi le maniche e impegnarsi. Te la senti di provare a tirar fuori tutto quello che c’è di eroico in te? Perché lo so che c’è, ti conosco abbastanza bene da sapere di non star parlando a vanvera”.

Il lungo discorso motivazionale riscosse un discreto successo fra i presenti, con in particolare Naegi che le fece dei sentiti complimenti per quanto aveva detto.

Oh su, non ho fatto nulla di particolare… ma grazie Makoto, grazie…

Quando tornò a dedicarsi ad Asahina la vide vicino alla porta, a giudicare dal BEEP che ci fu aveva già inserito il valore del proprio braccialetto: “Diavolo Ikusaba, perché non ti sei mai candidata per qualche ruolo rappresentativo a scuola? Sapresti convincere un sasso a votarti con tutta la capacità oratoria che ti ritrovi. Sei proprio fortunata: brava a sparare e brava a parlare”.

“Mi confondi, ma apprezzo i complimenti. E sono contenta di vedere che il mio seccarmi la gola ti è stato utile”.

“Ah ecco, allora è per questo che lasci l’incombenza a Ishimaru. Lui è fisicamente incapace di stancarsi quando parla”.

“Insomma, la smettete di dileggiarmi? Guardate che sono qui e vi sento!” disse quello, piccato.

“Si faceva per scherzare, musone che non sei altro” lo rimbrottò Aoi ridendo, a quanto sembrava molto più calma.

Ok, credo di aver fatto la mia buona azione quotidiana. Ora sotto col braccialetto.

Lei e Oogami fecero lo stesso e la porta si sbloccò, aprendosi da sola.

“Adesso ali ai piedi, ragazze!” le esortò Mukuro. Le altre due non si fecero pregare e, una volta all’interno, individuarono quasi subito il dispositivo gemello a quello d’ingresso.

Si identificarono più velocemente possibile e la porta si richiuse, lasciandole separate dagli altri sei.

“Va bene, signore. Ora siete bloccate. Dovrete venirne fuori da sole e io non vi dirò certo come. Buon divertimento”. Evidentemente c’era un sistema di trasmissione in funzione per tutto l’edificio, visto che Zero sembrava come pedinarli man mano.

E in quel che aveva detto… uhm, era strano ma non sapeva cosa potesse essere…

Se ne sarebbe occupata dopo.

 

*

 

Neanche a dirlo, anche quella stanza era arredata in maniera elegante come le precedenti: mobili raffinati, luci soffuse, librerie piene di tomi enormi e sicuramente complicati. Aoi sbuffò: cominciava a detestare quell’ambiente all’apparenza confortevole, persino l’aereo su cui avevano viaggiato le sembrava più invitante. Se non fosse ormai inservibile aggiunse mestamente.

“Bene, cosa dovremmo cercare?” chiese, senza rivolgersi a nessuno nello specifico, ma fu Mukuro a risponderle: “Zero ha parlato di enigmi, quindi immagino dovremo metterci a cercare qualcosa che corrisponda alla descrizione.”

Scambiò uno sguardo perplesso con Sakura, poi entrambe fecero spallucce e cominciarono a darsi da fare. A sapere come diamine è fatto un enigma pensò, mentre rovistava tra gli scaffali di una delle librerie. Più ci pensava più le uniche cose che le venivano in mente erano gli indovinelli sulla rivista dei cruciverba, e dubitava seriamente che Zero avesse lasciato per loro un foglio pieno di rebus e sudoku da risolvere; se erano anche solo lontanamente simili a quello che avevano (accidentalmente) risolto per aprire le due stanze precedenti, avrebbero perso un sacco di tempo anche solo per trovarlo. E, senza nulla togliere a Sakura-chan e Ikusaba-san, senza quei due cervelloni di Kirigiri-san e Togami-san ci sarebbe voluto un po’ anche per trovare la soluzione. Sospirò e proseguì l’ispezione degli scaffali, mentre Sakura guardava dietro ai mobili più pesanti (che spostava senza fatica) sperando di trovare oggetti nascosti, e Mukuro passava al microscopio i cassetti di una scrivania.

Stava quasi per arrendersi e lasciarsi andare alla disperazione quando nella stanza riecheggiò un CLICK.

Sakura si voltò verso le altre: “Cos’è stato?”
“A quanto pare abbiamo finalmente sbloccato qualcosa” disse Mukuro, guardandosi attorno forse alla ricerca dell’oggetto che aveva prodotto il rumore. “Proviamo a ripetere le nostre ultime azioni, muovere gli ultimi oggetti che abbiamo toccato” propose “forse così riusciremo a risalire a cosa ha provocato quel suono.”

Le altre due annuirono e ripercorsero velocemente i loro ultimi movimenti, finché non sentirono di nuovo quel CLICK.

“Ecco cos’è stato” annunciò Sakura, dirigendosi verso Aoi e indicando il libro che la ragazza aveva spostato: “Dev’essere stato questo. Prova a reinserirlo tra gli altri libri e poi toglierlo di nuovo, per favore” chiese, e l’altra obbedì: come previsto spostare il tomo dal suo alloggio provocava il suono.

“Magari aziona un qualche tipo di meccanismo” ipotizzò Mukuro, osservando le due librerie che occupavano buona parte della stanza, “e forse dobbiamo muoverne altri per risolvere l’enigma.”

“Il problema è capire quali muovere” aggiunse Sakura, pensierosa. Aoi sospirò, sentendosi quasi inutile: aveva mosso quel libro per puro caso, e non aveva alcuna idea di come individuare gli altri. Mentre ancora rimuginava, la Super Artista Marziale parlò di nuovo: “Potrei averli trovati.”
“Davvero?” trillò Aoi, e Mukuro aggiunse: “Sei sicura? Quali sono?”
Sakura indicò loro dei libri che avevano una costina simile a quella del tomo che Aoi aveva spostato: “Hanno tutti lo stesso colore e il simbolo dello yin e dello yang.”

Mukuro annuì e Aoi saltellò sul posto: “Bella intuizione, Sakura-chan!”

L’altra arrossì appena ma ricambiò il sorriso: “Ora non ci resta che capire in quale ordine muoverli” disse, e il Super Soldato aggiunse: “Se non sbaglio Asahina ha preso il primo libro dalla libreria più vicina alla porta… potremmo banalmente seguire l’ordine e continuare verso sinistra. Alla peggio probabilmente il meccanismo non si azionerà.”

Non avendo altre opzioni le altre due annuirono e la seguirono a ruota.

“Io prendo questa, Oogami occupati di quella dopo”.

“Va bene”.

Aoi, con ancora il libro in mano, le osservò mentre compivano l’azione.

CLICK.

CLICK.

SCLACK.

Eh? Un rumore diverso?

Si guardò attorno e notò che uno dei quadri alle pareti, che rappresentava un bellissimo tramonto rosso fuoco, si era mezzo staccato dal muro.

Aspetta, c’era qualcosa dietro?

Lo prese e lo appoggiò per terra. In effetti, coperta dalla cornice, c’era come una cassaforte incassata nel muro.

“Un’altra” mormorò sottovoce, manifestando l’irritazione per la scoperta.

“Tutto bene, Aoi?”.

“Oh sì Sakura-chan, tutto bene. Perché me lo chiedi?”.

“Mi sembravi un po’ abbacchiata”.

“Ma no, nulla. Mi dà solo fastidio sapere che dobbiamo aprire una cassaforte”.

“Non sarebbero dei puzzle degni di questo nome altrimenti” commentò leggera Mukuro, quasi ridendo.

Mi fa piacere che lo trovi divertente, Ikusaba.

“Ok ragazze” riprese il Soldato “abbiamo un gioiellino da scardinare. Un gioiellino che sembra senza manopole o meccanismi per farlo”. Si avvicinò e prese ad osservarla: “Qualche idea?”.

Cominciarono a tirar fuori varie possibilità che però si rivelavano puntualmente inefficaci. Il tutto mentre Asahina era in realtà distratta dal libro.

Come già successo per l’altro indovinello si sentiva poco adatta e non in grado di aiutare concretamente, pertanto trovò più interessante sfogliare le pagine.

Lesse l’introduzione.

Sentì una fiammata al centro del petto bruciarle qualcosa, per poi spegnersi pian piano.

Il libro si chiamava L’Amico Ritrovato e parlava di una grande amicizia rotta dagli eventi e riparata solo dopo la morte di uno dei due personaggi.

“Sakura-chan, posso farti una domanda… privata?”.

 

*

 

Sakura Oogami sentì un colpo di freddo. Raramente Aoi le si era rivolta con un tono tanto… non riusciva a definirlo bene, ma suonava molto… era incredibile associarle quella parola, ma suonava rassegnato. Aoi Asahina sapeva essere un miliardo di cose: energica fino all’inverosimile, spiritosa, maliziosa, caparbia, capace di fare le faccine buffe, capace di tenerti il muso per un mese perché le hai rubato le ciambelle. Ma rassegnata no, non ne era capace.

Che siano i primi effetti di questo posto nefasto su di noi?

“Certo che puoi” si limitò a rispondere, concisa. Preferì non girarsi verso di lei, facendo finta di rimanere concentrata sulla cassaforte che non si voleva aprire.

Mezzo minuto di silenzio.

Un minuto di silenzio.

“Aoi…?”.

Un minuto e mezzo di silenzio.

“Asahina, stai bene?”.

Naturalmente si erano entrambe fermate quando i tempi della domanda erano diventati anomali. La stavano guardando stranite, chiedendosi quale potesse essere l’insormontabile problema che la bloccava così tanto.

Poi, finalmente, parve darsi una scrollata: “Sakura-chan, tu… tu… ti è mai capitato di avere un’amicizia strettissima e molto importante che… che… che è stata rovinata da qualcosa?”.

L’interpellata ebbe un secondo di sbigottimento: era questa la domanda apocalittica che le aveva causato tutte quelle difficoltà? Cioè, era un ficcare il naso nei suoi affari e quindi poteva comprendere un po’ di imbarazzo nel porla. Ma un conto è un po’ di imbarazzo, un conto è passare un sacco di tempo muta come un baccalà perché non ti escono le parole dalla bocca. Inoltre aveva premesso che sarebbe stata personale e lei non aveva opposto la minima obiezione, quindi non capiva da cosa le nascesse tutto quel disagio.

Che ci fosse sotto qualcos’altro? Qualcosa che non riusciva a capire?

Scosse impercettibilmente la testa. In primo luogo non stava a lei dubitare della buona fede della sua amica, in secondo luogo eventuali secondi fini non le dovevano interessare.

Peraltro nel suo caso la risposta era molto semplice: “A dire il vero no. Come sai c’è stato Kenichiro, ma era una situazione un po’ più complessa di così. E poi lui è morto, quindi l’amicizia non è finita a causa di un litigio fra noi”.

“Se posso intromettermi…” chiese Mukuro, alzando appena il braccio.

Interpretò la mancanza di rimostranze come un assenso, quindi riprese a parlare: “A me è successo. Durante il periodo con Fenrir, dove i rapporti interpersonali spesso si riducevano a un «dammi quel cazzo di fucile, stronzo». Lui si chiamava Edward, australiano. Se lo aveste visto muoversi e parlare vi sareste potute chiedere cosa ci faceva lì, stonava del tutto con l’ambiente generale. Gentile, carino, servizievole. Un tesoro. E incredibilmente bravo a spiattellarti le cervella sul pavimento. Insomma, per farla breve era l’unica oasi umana felice in mezzo a un branco di tagliagole senza possibilità di redenzione. Al di fuori del lavoro eravamo inseparabili, anche se è pur vero che aveva in comune col nostro Naegi l’invidiabile capacità di farsi benvolere da chiunque. Poi un giorno, ci trovavamo sulle alture dell’Afghanistan… commisi un errore. Un errore che gli è costato entrambe le gambe. Gliele hanno amputate. Quando lo andai a trovare all’ospedale ricordo come se fosse ieri il torrente di insulti che mi buttò addosso. «Sei una baldracca, Ikusaba! Dovevi solo assicurarti che le mine fossero innocue e non sei riuscita a fare nemmeno quello! Non camminerò mai più in vita mia, bastarda! E per colpa tua! Colpa tua! Colpa tua! Va’ a impiccarti in mezzo al deserto, troia!». Non mi sono mai sentita così in colpa come quando uscii dalla quella stanza, le sue urla che ancora cercavano di pugnalarmi alla schiena. Per un paio di giorni ho avuto l’impulso di seguire il suo consiglio e appendermi da qualche parte, credevo che non sarei riuscita a sopravvivere con quel peso sulla coscienza. Poi per fortuna l’ho superato... ma ogni tanto il suo spettro viene a farmi visita nei miei incubi, ricordandomi i miei torti e quello splendido rapporto ridotto in cenere nell’arco di pochi secondi. Vi chiedo scusa per la volgarità ma rendeva bene l’idea”.

Entrambe restarono imbambolate di fronte alla confessione di Mukuro. Quanto avevano appena sentito era… era sconvolgente.

Non poté evitarsi di rubarle un’occhiata. La vide con la testa appena reclinata in avanti… e gli occhi lucidi. Mukuro Ikusaba che rischia di piangere, uno spettacolo che decisamente non si vede ogni giorno.

Lasciò che il suo corpo si muovesse da solo e la abbracciò, sentendo presto anche l’arrivo di quello scricciolo di Aoi.

“Santissimi kami, Ikusaba-san! Mi dispiace, mi dispiace di averti fatto ricordare un episodio così terribile! Scusami ti prego scusami non volevo!” si prodigò la Nuotatrice, fuori di sé. I singhiozzi le parvero raddoppiare.

Santo cielo, che brutta situazione.

“Kerumph. Sono il vostro amichevole Zero di quartiere. Perdonate se disturbo questo delizioso quadretto di condivisione fra ragazze, ma avrei delle cose da comunicarvi. Posso? Non do fastidio? Se vi do fastidio tanto meglio. Sappiate che c’è uno e un solo modo per aprire la cassaforte, un modo in realtà rapido e indolore che non contempla nessun difficile rompicapo. Asahina, appoggia il palmo della tua mano destra sulla superficie di quell’affare. Su, muoversi muoversi muoversi”.

Sakura sentì come uno strappo dal loro abbraccio comune. Era Aoi che si era staccata e le fissava terrorizzata: “C-Cosa vuol farmi? M-Mi vuole staccare la mano!”.

Entrambe si affrettarono per cercare di quietarla, facendole presente che aveva parlato di un metodo rapido e soprattutto indolore. Certo, sulla credibilità delle sue parole se ne sarebbe potuto discutere a lungo e qualcuno avrebbe potuto giustamente sostenere che non c’era granché da fidarsi, ma in una simile situazione era meglio pensare positivo.

“Spicciati Asahina, non ho tutto il giorno”.

“Potresti almeno dirle cosa la attende!” sbraitò Mukuro rivolta verso il soffitto.

“E privarmi subito di tutto il divertimento? Non ci penso neppure. La prossima tranche di informazioni arriverà quando avrà fatto quel che le ho gentilmente chiesto”.

Dannazione. Aoi era palesemente sconvolta, chi poteva dire come si sarebbe evoluta la situazione con lei in quelle precarie condizioni psicologiche?

L’unica è tirare dritto, temo.

“Coraggio Aoi, io e Ikusaba siamo qui con te. Ti guardiamo le spalle e ti sorreggeremo se dovessi cadere”.

“Assolutamente sì. Puoi contarci, Asahina”.

“G-Grazie…”. L’esortazione parve avere un minimo di effetto, il suo tremolio diminuì d’intensità e cominciò a caracollare lenta verso l’obiettivo.

A Sakura faceva un male tremendo vederla conciata in quello stato. È vero che in parte era dovuto al tristissimo racconto di Mukuro, ma ciò non toglieva che probabilmente Zero si sentiva molto fiero di se stesso in quei momenti.

Finalmente, dopo quella che alle presenti parve un’eternità, il palmo della mano destra di Aoi prese contatto con la superficie della cassaforte.

“Ecco, vedi? Tutta ‘sta frigna per nulla. È stato così difficile?” la prese in giro la voce senza corpo. Chiaro come si stesse divertendo da matti, nonostante l’evidente distorsione con cui la percepivano.

“E-E-E adesso? Cosa devo fare?”.

“Assolutamente nulla… salvo rivelare il tuo più lurido, sordido segreto al mondo intero. Quando avrai finito si aprirà da sola”.

L’aria si ghiacciò. Sembrò quasi che fosse preso a battere un fortissimo vento artico, di quelli che ti portano il freddo fin dentro le ossa e poi cominciano a scavare per congelarti completamente.

E poi silenzio.

Silenzio pesante come un macigno da dodici tonnellate.

“...”.

“...”.

“Il… il… mio segreto… più sordido…”.

“Ci senti benissimo. E sai a cosa mi sto riferendo”.

“N-Non p-puoi v-v-volere che faccia una c-cosa del genere…”.

“Non solo lo voglio, lo pretendo. Se dovessi rifiutarti attiverò il tuo braccialetto. Questo è il mio gioco, Asahina. Il mio campo. Le mie regole. Voi siete solo delle inermi pedine che devono imparare a stare al loro posto e ubbidire a quanto viene loro ordinato”.

“E… e v-va bene… p-preferisco morire che ri-rivelarlo…”.

“Ricordati che non sarai l’unica a morire se dovessi insistere nell’essere testarda. Anzi, ancora meglio: prima quello di Ikusaba, poi quello di Oogami. E solo allora il tuo. Così avrai il tempo di strapparti i capelli e renderti conto che saranno crepate per colpa tua. Ti concedo trenta secondi per cambiare idea. Da adesso”.

“Aoi” disse Sakura giungendo alle sue spalle “So di starti chiedendo tanto, forse troppo. Ma devi farlo. Ne va della sopravvivenza di tutti, noi tre chiuse qua dentro e gli altri sei là fuori”. Lei stessa si rendeva conto di non suonare per nulla sicura e la cosa le dava parecchio fastidio.

“Dieci”.

“Asahina, Oogami ha ragione. E poi, cosa può essere di così mostruoso? Sei una persona normale senza impulsi violenti o strane psicosi... non è vero?”.

“S-Sì, certo… ma... “.

“Ma?”.

“Q-Questo… distruggerà… la mia vita… e non solo la mia…”.

“Cosa intendi?”.

“Non l-lo posso dire… proprio non posso… mi spiace ragazze, morirete a causa mia…”.

“Venti”.

“Aoi, per favore. Ho promesso di proteggerti, non costringermi a rompere il giuramento più importante che abbia mai fatto in vita mia. Te ne prego. Nessuno ti giudicherà se è ciò che temi, dovranno passare sul mio cadavere prima di potercisi solo azzardare”.

“E-Ecco… lo sapevo… non riesci a… fare a meno di… essere così…”.

“Così?”.

“Venticinque”.

“Così… splendida…”.

“Cosa?” lei e Mukuro chiesero in stereo.

“IO AMO SAKURA OOGAMI!” urlò senza freni, nel contempo scoppiando a piangere come un fiume che aveva rotto gli argini.

“Ding! E brava Asahina, alla fine ci sei riuscita. Bene frauen, vi lascio ai vostri chiarimenti. La cassaforte è aperta”.

Si udì un leggero click e lo sportello si spostò appena, abbastanza da consentire a Mukuro di infilare le dita e aprirlo del tutto: “E questo…?” commentò, rimanendo ferma ad osservare la misteriosa ricompensa per la quale Aoi aveva dovuto rivelare il suo più intimo segreto.

Seppur scossa da quanto era appena successo, Sakura si sforzò di rendersi utile: “Cos’hai trovato, Ikusaba-san?” chiese, e quest’ultima si voltò con un carillon tra le mani.

“Fantastico. E ora che cosa ce ne facciamo?” borbottò mentre lo poggiava sulla scrivania e lo contemplava, quasi sperasse che a un certo punto si azionasse da solo e rivelasse loro il modo per uscire da lì.

Mentre il Soldato rifletteva, Sakura si voltò di nuovo verso Aoi: la ragazza si era accucciata su una delle poltroncine, accoccolandosi su se stessa e… apparentemente singhiozzando. Le si strinse il cuore nel vederla così indifesa e a pezzi: da quanto si portava dentro quel segreto? Quanto doveva aver sofferto in silenzio, col terrore di sentirsi rifiutata, sbagliata… di perdere la persona a lei più cara?

Si sentì pervadere da un moto di rabbia, e giurò a se stessa che Zero avrebbe pagato caro quello scherzo. Osservò ancora Aoi con il viso nascosto tra le gambe, prese coraggio e con tutta la delicatezza di cui era capace le si inginocchiò accanto: “Asahina-san?”

“...”

“Aoi?”

“S-Sakura-chan… non odiarmi…” balbettò, e di nuovo si sentì sprofondare: “Non potrei mai odiarti, per nessuna ragione al mondo.”

Aoi sollevò appena il viso: “Da… davvero?”

Sakura sorrise: “Certo che sì.”

L’altra annuì appena, per poi abbassare di nuovo lo sguardo. Sakura tentò ancora: “Aoi, se vuoi parlarne…”

“N-Non adesso, per favore” la pregò Aoi, con un tono di voce così triste che avrebbe messo in ginocchio persino Togami. “Non… non me la sento.”

“Nessun problema, hai tutto il diritto di non volerne parlare ora” rispose. “Quando vorrai, quando te la sentirai… io sono qui.”

La ragazza sollevò la testa e la guardò con occhi umidi e increduli, poi annuì e tornò silenziosa.

Più di questo non poteva fare, pensò Sakura. Data la situazione era già tanto se Aoi non aveva ceduto ad una crisi isterica. Sospirò e tornò a rivolgersi ad Ikusaba, che apparentemente non aveva ancora risolto il mistero del carillon.

Quella frase urlata avrebbe avuto degli strascichi. Lunghi, dolorosi e interamente imputabili a Zero.

Per la prima volta da quando praticava arti marziali, Sakura Oogami non nascose a se stessa una certa voglia di menare le mani.

   
 
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